7. Colpo di scena

Lo Pan è più accorto di quanto pensassi. Eppure mi sembra l'unico che si sia scucito rispetto agli appelli più classici. Cosa avrà voluto intendere con quella frase sul nascondersi?

L'unica condivisione pubblica sul suo profilo è proprio il post che mi è passato sotto gli occhi. Anche lui tiene l'attività privata e l'altra foto che riesco a vedere è quella che rievoca il film.

Sono stanca e stufa. Clicco su aggiungi agli amici e chiudo il computer.

La copia delle Tre bare è ancora sul tavolino, ma ora non ho proprio voglia di leggere. Scendo di sotto è mi preparo per andare a letto. Non sto neanche giocando. I miei compari di sessioni di videogame online mi sfottono in chat, ipotizzando un'iperattività sessuale tale da tirar loro il pacco. Non ho voluto rispondere, visto il tempo di magra.

Andare a letto prima del solito mi aiuta nel ripartire. Salto giù alla strumentale di Chop Suey! sempre dei System of a Down. Non sono neanche decisa con le sveglie, ne cambio almeno una alla settimana. Per prima cosa controllo le notifiche di Facebook, ma dal cattivone cinese nessuna accettazione della mia richiesta. Nessuna news anche sull'eventuale ritrovamento dello scomparso.

Salto sul treno che precede quello delle 8:03 ed è persino poco affollato, il borsone per la palestra finisce sul sedile accanto a me invece che nel minuscolo spazio portabagagli dei nuovi convogli. La giornata inizia bene e per farla andare meglio spero che Stefano sia arrivato presto come al solito per condividere con lui il mio piano di ricerca persona.

Salgo al terzo piano dei Magazzini del Cotone prendendo l'ascensore invece di godermi l'ascesa tramite le scale mobili. Non c'è ancora neanche la segretaria amministrativa che fa anche da accoglienza. Nel piccolo corridoio, invece di prendere la porta a sinistra, svolto in quella a destra per trovarmi sul lato di Stefano e mi scontro letteralmente con Giacomo. 

«Che cazz...» si lascia andare a un'imprecazione che non gli avevo mai sentito esternare. La botta gli ha fatto compiere un passo indietro. 
In questo momento, quello che dovrebbe essere il mio bed interest è l'ultimo dei miei pensieri. Un bug che vorrei correggere volentieri: avrebbe dovuto palesarsi in un altro momento.
Decido di proseguire, non posso perdere tempo prezioso.
«Scusa, sono di fretta. Ti offro il pranzo per farmi perdonare». Mi volto appena per vedere i suoi occhi sbarrati e la bocca semiaperta, mentre si sfrega con una mano il petto colpito dalla mia irruenza.
Il nostro primo contatto fisico me lo aspettavo diverso.

L'open space è vuoto, con l'eccezione di Pietro, che ha appena posato uno zaino dietro la sua sedia: il nostro Chopin, come mi piace chiamare il sound designer, è sempre il primo ad arrivare e oggi non fa eccezione.
La scrivania di Stefano è ancora orfana.
Soffio aria dalle narici e ritorno sui miei passi.
Giacomo non c'è più.

Frustrata, decido di aspettare l'arrivo di Stefano seduta al suo posto.
La sedia è molto meno avvolgente della mia. Ha lo schienale semi-rigido e non ha il poggia testa. Il tessuto è liso in alcune parti. Probabilmente non se l'è mai fatta cambiare. Tenuto conto che Stefano è sul metro e novanta mi domando come faccia a stare comodo per tutto il giorno.

Tamburello le dita sul legno della scrivania e come sempre mi colpisce l'assenza di foto che facciano riferimento a qualche amicizia o alla famiglia, ma anche i post-it che di solito costellano le altre postazioni di lavoro, compresa la mia: Stefano non dimentica scadenze, ha tutto in testa e non ha bisogno di promemoria, l'ho sperimentato più di una volta quando eravamo assegnati allo stesso progetto.

Quando lo vedo nel riflesso del monitor vuoto, mi sembra che i suoi occhi vogliano fulminare la sottoscritta all'istante. Ruoto la sedia pensando al sorriso più conciliante che so fare, ma non faccio in tempo: la sua espressione è già cambiata in un tacito "lo sapevo", con le iridi azzurre al soffitto e un lieve scuotimento della testa.

«Non ho tempo, ora. Sono in ritardo di dodici minuti». Posa il piccolo borsello accanto al mouse e aspetta che gli lasci la sedia.
«Lo so, lo so... ma posso darti un nome, almeno?»
«Il lupo perde il pelo, ma non il vizio. Stavolta, almeno, il cognome ce l'hai già?»

Giacomo rientra in sala e la sua attenzione è subito catalizzata da noi due. Raddrizzo la schiena e mi ravvio i capelli.

«Sì, sì, ma la situazione è più complicata. C'è una sparizione di mezzo».
Ora la faccia di Stefano è quella che si può definire esempio lampante di commiserazione.
«Gloria». Non ho mai sentito così tanta fermezza da parte sua.
«Ok, ok...» mi alzo e mi allontano come un cane beccato a mangiare da un tavolo imbandito. «Volevo solo farmi perdonare da Dave alla mia maniera».
«Offrimi il pranzo, a-almeno» butta lì tradendo un minimo di emozione.

Mi viene da ridere ripensando alle pause al bar in cui lui si è fatto praticamente scappare tutti i miei sotterfugi per trovare quell'Alberto. Mi volto e non riesco a trattenere l'ilarità: «Il lupo perde il pelo? A chi lo dici!»
Resta impassibile. Lo odio quando torna nella modalità monocorde che ho conosciuto per anni.
«Affare fatto». Mi avvicino con la mano tesa per sancire il patto. Voglio tenere io il coltello dalla parte del manico.
Lui si accorge che sto entrando nel campo minato e si sistema gli occhiali sul naso con l'indice. Poi allunga la mano, un po' tremante, e se la lascia stringere. La presa è ancora molle, ma sta migliorando.

Torno verso la mia postazione a testa alta, mentre Giacomo si sta sedendo nella sua. Ho appena barattato il suo pranzo con uno per Stefano, ma lui non lo sa ancora. A metà mattinata troverò una scusa plausibile.

Dave non è ancora arrivato e ne approfitto per dare un'occhiata di nuovo a Facebook e ai siti locali. Da Lo Pan nessuna risposta, le condivisioni con la foto di Roberto Pastorino sono ormai diverse centinaia e sui siti di notizie non trovo nessun aggiornamento. Il masonese è scomparso ormai da quattro giorni.

Faccio in tempo a ridurre a icona i risultati delle mie ricerche non appena sento alle spalle il solito «ciao» di Dave quando mette piede in ufficio.
Si lascia cadere sulla sedia. Sbircio con la coda dell'occhio e non mi sembra di buon umore.
Evito di stuzzicarlo e mi metto al lavoro.

I primi messaggi email sono aggiornamenti sul successo di Underground: siamo arrivati già a ottocentomila copie vendute compreso il digitale, con una buona base qui in Italia, ma anche un bel sostegno dal resto del mondo.

Apro l'agenda condivisa e vedo che oggi iniziano i sopralluoghi per l'espansione del gioco in realtà aumentata. A me invece toccherà lavorare sul motore grafico per un altro dei progetti della Gold Games. Mi rendo conto che non vedo l'ora di tornare nei sotterranei genovesi.

«Caffè?»
L'invito di Dave arriva inatteso alle undici in punto e non mi sottraggo.
Ci dirigiamo alle macchinette aziendali e non so come intavolare un discorso normale senza pensare a ciò che posso aver detto o fatto da ubriaca, né alle mie ricerche a sua insaputa.

Stasera distruggerò il sacco, se vado avanti così.
«Come va, oggi?» gli chiedo mentre infila monete per entrambi.
«Insomma... non i miei giorni migliori da un po' di tempo a questa parte».
Ha il muso lungo anche se cerca di fare un sorriso di circostanza.

«Potremmo davvero organizzare da me per una partita a Underground se vuoi distrarti un po'». L'invito mi esce spontaneo e senza malizia. I videogiochi sono sempre stati il nostro passatempo preferito e non ho nessun secondo fine.
«Potremmo, sì. Magari non stasera».

L'invito mi fa venire in mente che devo trovare una scusa per Giacomo al più presto.
«Glo?»
Ha il braccio teso con il bicchierino del mio caffè in mano chissà da quanto tempo.
«Scusa, ero sovrappensiero».

Quasi mi ustiono la lingua per accelerare le operazioni e mostrare un minimo di reattività.
«Ci organizziamo per domani, intanto anche io stasera non avrei potuto: vado a boxe».
«Prima o poi voglio vedere cosa combini coi guantoni». Ride e stavolta non è di facciata.

L'atmosfera è più distesa e torniamo alle scrivanie entrambi più leggeri, ne sono certa. Il bip di una notifica su WhatsApp non mi scompone. Prima devo pensare a come gestire la situazione con Giacomo, anzi, come ribaltarla a mio favore. 
«Potrei trasformarlo in un aperitivo...» mormoro. All'improvviso la sessione di pugilato mi sembra meno interessante.

Un anomalo vociare monta nell'open space e interrompe il galoppo delle mie fantasie.
«Che cavolo succede?» Dave dà voce ai miei pensieri.
Mi ricorda la scena di quando Pietro era venuto a dirci che era crollato il Ponte Morandi.
Ci guardiamo preoccupati, poi l'occhio mi cade sul telefono. Il messaggio è di Riccardo nella chat aziendale: "Non è uno scherzo. Mi hanno telefonato dall'hotel: non possiamo fare il sopralluogo e chissà per quanto... Hanno trovato un cadavere nel Diurno sotto Principe".









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