35.Demolizioni
Rientro a casa, esausta. Cerco di non fare caso al perenne disordine, primo livello di quello che potrebbe sembrare un abbandono, dei miei sessanta metri quadri.
Durante la doccia ripenso a quanto ci siamo detti, a tutte le ore dedicate alla ricerca di un indizio, qualcosa che ci indirizzi verso il colpevole. È più difficile fare l'investigatore che scrivere videogiochi di indagini. Nei videogame ci si blocca, ma è chiaro che prima o poi la strada per superare le difficoltà si trova, mentre nella realtà non è così. Non ci sono aiuti sul web di altri giocatori che possono darti una mano a superare il problema. Un irrisolto lo può restare per sempre.
Con ancora i capelli bagnati faccio scendere la scala e salgo in mansarda. Apro Underground e il Livello quattro.
La salita che porta verso la doppia scalinata per raggiungere l'imponente edificio che per tutti è rimasto l'Albergo dei Poveri, dalla funzione per cui era stato creato nel 1600 da Emanuele Brignole, si divide altrettanto simmetricamente in due curve da cui partono due corsi della circonvallazione a Monte che si arrampicano ancora più su.
Non serve scegliere quale imboccare, i tre cancelli arrugginiti sono proprio in cima al rettilineo. Non ho il dubbio su quale sia quello giusto: il novello Indiana Jones estrae la brugola e la incastra nel meccanismo della serratura centrale. Un clic deciso e l'anta della barriera si muove di pochi centimetri. La luce frontale consente di vedere poco più avanti. La galleria è più ampia rispetto a quella della Cittadella ed è pure intonacata, lo svantaggio è che non si riesce a illuminare tutta. Do il comando della corsa sino a una porta di ferro socchiusa. Una volta aperta ecco un altro mondo.
Acqua scrosciante. Sassi a terra. Un rio corre verso l'abisso, nel buio.
«Chi è là?» una voce minacciosa alle spalle. Anche se me l'aspettavo, sobbalzo comunque.
Spengo la frontale e avanzo a tentoni, radente al muro. Dopo pochi secondi un urlo soffocato anticipa lo scivolone. L'energia persa è poca. Decido di procedere a quattro zampe per evitare altre cadute, ma chi è dietro di me non si fa problemi a usare l'illuminazione e in pochi secondi mi è addosso.
Sbuffo, vorrei procedere senza tutti gli ostacoli che abbiamo inserito. Mi impegno al massimo per assestare dei pugni da k.o. sulla testa della povera guardia giurata. Non posso che farmi i complimenti da sola per la fluidità della resa della lotta. La lascio agonizzante a faccia in giù e ne approfitto per rubarle pistola e torcia.
Proseguo radente al tunnel per evitare di scivolare ancora, la luce agevola i passi. Il cunicolo sembra interminabile e a poco a poco si stringe. Lo scrosciare dell'acqua diventa più forte e impedisce di sentire se ci sono altri pericoli in arrivo.
A un certo punto arrivo in una rientranza. Vado a colpo sicuro e trovo la targa con il messaggio in codice:
Sembra di essere in un sotterraneo, ma è a venti metri d'altezza. È come un castello di carte e proprio per questo solidissimo.
Digito la risposta e il pannello si stacca leggermente liberando una sorta di piede di porco.
Spengo il gioco dopo il salvataggio. Il livello è uno dei più semplici, anche se forse a me lo sembra perché conosco già tutte le soluzioni. È l'una di notte e rimuginare troppo non mi fa bene. In attesa della pista battuta da Stefano la soluzione migliore sarebbe quella di tornare nei luoghi di Underground per arrivare a capire se l'assassino vuole veramente lasciarci un messaggio, altrimenti perché sbattersi a ricreare i veri indizi? Sono sempre più convinta che solo lì si possa nascondere la chiave per individuarlo. Potrebbe aver commesso un errore proprio in quei frangenti.
Mi volto verso il comodino, dove Le tre bare sempre allo stesso segno sono un'altra testimonianza di come non sia più padrona della mia vita. Per mia scelta.
Domani devo parlarne con Dave.
Domani devo accordarmi con Giacomo.
Ho bisogno di staccare sul serio. Se ha impegni in famiglia non mi importa, piuttosto lo chiudo nel bagno aziendale. Il solletico tra le gambe mi ricorda che ho accantonato da troppo tempo certe sensazioni. È tempo di rimediare e mi concedo una preview.
La chitarra elettrica e l'urgenza di Serj Tankian mi scuotono. Comincio a pensare di cambiare sveglia. Mi sembra di essermi addormentata un minuto prima. Rinuncio a posticipare la sveglia e alla tentazione di prendere la moto per andare al lavoro. Fa particolarmente caldo già alle sette del mattino e rifaccio un'altra doccia.
Al lavoro la riunione per il Tesoro della Superba è fissata alle nove e mezza. Stavolta gli ascoltatori sono Riccardo e Federico: ogni responsabile di settore aggiorna gli altri dettagliando meglio quello che è già scritto nel Game Design Document. Ieri sono riuscita a recuperare un po', ma rispetto al cronoprogramma sono leggermente indietro. «Scusate, con la fisioterapia di mezzo ho meno ore da dedicargli» mi giustifico. A proposito, non devo bucare il nuovo appuntamento di domani mattina. Se riuscissi a incastrare tutto con Dave sarebbe l'ideale.
Usciamo dalla sala riunioni e devio verso lo spazio caffè prendendolo per un braccio. Infilo i soldi per entrambi e mentre la macchinetta esegue l'ordine, mi lancio: «Domani è un giorno che resterà nella memoria, a suo modo, non vorrai mica perdertelo?» Dave mi guarda stranito. Non può non ricordarselo. Ne stanno parlando tutti.
«Buttano giù quello che resta del Ponte Morandi». Gli faccio sì con la testa per invitarlo a imitarmi.
«E quindi?»
«E quindi, visto che sarà alle nove, che ne dici di prenderti un'ora di ferie per andare a guardare dal vivo? Io poi andrò a fare fisioterapia e rientro nel primo pomeriggio». Lo guardo speranzosa, un cane che attende solo il bocconcino goloso.
«Abbiamo appena detto che siamo in ritardo...» se conosco ancora bene quel tono manca poco prima che ceda.
«Conosco un posto diverso dalla collina di Coronata, dove invece si raduneranno tutti. È un appuntamento con la storia, con la s minuscola purtroppo. Se penso che lo abbiamo percorso così tante volte e potevamo esserci noi là sopra il 14 agosto quando ne è crollato un pezzo... Vorrei imprimere nella mente l'ultimo momento del Ponte Morandi».
Il mio tono si è fatto involontariamente accorato. Alla fine ho detto solo la verità. A suo modo quel ponte dalla conformazione così particolare ha fatto parte della mia vita da quando ho memoria.
«Va bene, ma oggi allora andiamo avanti un po' di più».
«Affare fatto». Gli stringo la mano.
«Però dobbiamo avvisare Stefano che stasera non andiamo da lui per la solita scuola. Sai che ci tiene» mi ricorda.
«Ti prego pensaci tu».
L'entusiasmo per aver convinto Dave mi spinge a cercare Giacomo. Voglio chiudere la partita in bellezza, tipo una fatality di Mortal Kombat, ma piacevole anche per la mia vittima.
È in piedi e sta confabulando con Pietro. Mi avvicino e sento che si stanno scambiando opinioni su un certo tipo di suoni da aggiungere all'ultimo prodotto della sua creatività. Attendo con pazienza pur bruciando dentro e qualcosa nel mio sguardo glielo fa intuire perché ormai è distratto.
«Qui metterei dei violini, magari un po' distorti in digitale per aumentare ancora la tensione stile Psycho senza però imitare» propone Pietro, ma Giacomo ormai ha occhi solo per me.
«Ok, ok, mi fido ciecamente». Si allontana da lui e si avvicina a me, con un sorriso curioso.
«Stasera, a casa mia o a casa tua».
«Noto una certa urgenza». La sua voce si fa vellutata.
«Posso persino cucinare qualcosa, prima. O forse meglio dopo».
«Meglio dopo, direi. Alle otto va bene?»
«Otto e mezza».
Conto di uscire da qui poco dopo le sette, catapultarmi in stazione e avere anche il tempo per farmi una doccia dopo essere passata dal supermercato vicino a casa. Forse sono troppo ottimista, ma ho promesso a Dave di portarci avanti col lavoro e non posso rischiare che domani mi dia buca.
Giacomo suona alle otto e trentacinque e mi trova avvolta in un asciugamano che lascio cadere ancor prima che chiuda completamente la porta alle sue spalle.
*
Il telefono mi sveglia più tardi del solito, ignora che io mi sia addormentata all'una passata. Giacomo non si è fermato a dormire visto che io non sarei andata al lavoro stamattina e lui abita a pochissima distanza dalla Gold Games. Mi sono ben guardata dal dirgli del Morandi e di Dave. Per l'azienda sono a fare fisioterapia.
Mi faccio coraggio, un po' indolenzita per la piacevole attività della sera prima.
Prendo il telefono e scrivo a Dave: "Passo sotto casa tua tra mezz'ora. Vengo con la moto, ti porto poi al Porto Antico".
Risponde dopo pochi secondi: "Anche tassista, servizio completo oggi".
Alle otto e un quarto sono sotto il suo portone, con un piccolo zaino sulle spalle e a cavallo della moto parcheggiata in divieto di sosta e di fermata, in buona compagnia delle auto che ormai stazionano lì stabilmente. Si affaccia dal piccolo balcone illuminato dal primo sole che fa risaltare il color verdolino della facciata e mi fa un rapido gesto di saluto con la mano.
Le signore del quartiere stanno già scendendo in spiaggia e la passeggiata di Pegli è già animata.
Dave arriva con il casco già indossato, gli faccio spazio per salire e partiamo.
«Non mi ricordavo più quanto facesse male al sedere. Dovresti convertirti allo scooter» si lamenta quando scende dopo neanche venti minuti di viaggio.
«Piuttosto vado a piedi per sempre».
Il ponte Morandi per noi ponentini arrivava dopo aver percorso la galleria sotto la collina di Coronata. Una leggera curva e il rettilineo del viadotto che terminava con un'altra curva, più impegnativa, spesso teatro di ribaltamenti di tir. Quante volte ho maledetto le code provocate da quegli incidenti dovuti alla sottovalutazione dei camionisti. Da lì si poteva procedere o per Genova Ovest, l'accesso al centro città, una maledetta uscita sulla corsia di sorpasso che mi faceva raddoppiare l'attenzione visti gli improvvisi cambi di direzione delle auto, o proseguire, attraverso l'elicoidale, verso il Levante ligure o direzione Milano. Sapevo che la collina di Coronata sarebbe stata gettonatissima: controllo il telefono per avere aggiornamenti sull'evoluzione delle tappe che precedono l'esplosione e vedo fotografie con un nugolo di persone già sistemate sulla piazza della chiesa. Sul rilievo opposto, al Belvedere di Sampierdarena, c'è meno confusione. Dave si guarda attorno, ma non sa che non è da qui che vedremo la demolizione.
«Andiamo» lo invito a seguirmi.
Imbocchiamo una vecchia creuza in salita verso Forte Crocetta che non vede manutenzione da troppo tempo. Dopo circa dieci minuti sbuffa: «Non ti avrei detto di sì, se avessi saputo che sarebbe stata un'escursione».
«Mi ringrazierai».
Saliamo ancora per un paio di minuti di buon passo. Poi, finalmente, vedo il varco.
«Ehi!»
È sorpreso quando mi infilo nel bosco sottostante. Un piccolo sentiero mi fa da guida anche se la vegetazione è particolarmente fitta.
«Potevi avvisarmi» indica i suoi bermuda.
«Siamo arrivati». Mi volto verso l'apertura tra gli alberi proprio di fronte a noi. Le due pile rimaste in piedi sono parecchio vicine. Rispetto all'immagine ormai frequente dei monconi c'è una differenza: parecchie pezze rosse spiccano sul cemento grigio, l'esplosivo per la demolizione controllata che permetterà al ponte di afflosciarsi senza coinvolgere gli edifici vicini.
Tiro fuori un telo da mare dallo zainetto e lo stendo a terra, abbattendo un po' di erbacce. Intanto penso a come intavolare il discorso e a portarlo dalla mia parte.
L'espressione contrariata ha già lasciato spazio alla calamita che ha attirato anche me: quel che resta del ponte. Si siede e guarda l'ora: «Sono le nove meno dieci, tra un po' dovremmo esserci».
«Già, dovrebbero prima suonare tre sirene e poi... boom».
Non c'è molto vento, per fortuna, le polveri dovrebbero restare circoscritte alla zona della demolizione. Decine di zampilli di acqua stanno già bagnando il terreno sottostante e attendono di fare il loro dovere quando arriverà il grosso. Ho letto nei giorni scorsi che delle vasche piene d'acqua sono state montate sugli impalcati rimasti per mitigare l'espansione dei frammenti nelle zone abitate.
«Non credi che se ne vada anche un pezzo di noi dopo oggi?» chiede a mezza voce.
«Sicuramente... e se penso a quante volte ci sono passata sopra con il pensiero che potesse crollare quando si sentivano le vibrazioni mi sento una miracolata rispetto a quei quarantatré morti».
«Mi sono domandato tante volte se hanno fatto in tempo ad accorgersene».
«Spero di no, per loro. Credo non sia bello rendersi conto di stare per fare una morte violenta».
«Cinque secondi, cinque secondi per pensarci e poi buio». Batte una volta le mani tra loro, facendomi sobbalzare. Mi ha dato un gancio involontario.
«E secondo te Pastorino si sarà accorto di stare per morire?».
Fa un respiro più profondo.
«Gloria, provo a dirtelo in maniera meno incazzata dell'altra volta, magari così mi dai retta. Sei ossessionata da questa storia. Non è normale. Non è il tuo lavoro trovare assassini. Non puoi metterti in pericolo di nuovo dopo quello che è successo pochi mesi fa con Alberto».
Il tono è conciliante, glielo riconosco. Non so se faccio bene a dirgli ciò che ho intenzione di fare, ma ho fatto una promessa a me stessa.
«Lo so. Proprio per evitare di mettermi in pericolo da sola ho coinvolto voi praticamente subito».
Ride e si mette le mani tra i capelli. «Affondo io, affondate tutti? Bell'amica che sei!».
«Vorrei proseguire con le visite ai luoghi di Underground. È l'unico modo che abbiamo per trovare l'assassino. È quella l'unica chiave che ci porterà dritto a lui, mancano pochi livelli» lo spiattello così, senza diplomazia. Non sono capace di girare attorno alle cose. «Ho ragione e non puoi negarlo. Arriverò alla fine, magari è tutto un bluff e quello mica si farà vedere all'ultimo livello. Prometto che ci andremo con la polizia, se i messaggi continueranno anche nei luoghi successivi. Mi farò difendere da Deborah per tutti i reati che avrò commesso».
«Il brutto, con te, è che non c'è margine di discussione. Perché se io ti dicessi di no, che stai facendo una cazzata, tu andresti avanti lo stesso».
«Hai ragione, ma c'è come un pungolo che mi impedisce di stare seduta comoda da quando ho scoperto il messaggio sulla scena del delitto. Quasi come te da passeggero sulla Ninja».
«E quindi? Vuoi la mia benedizione? Perché così ti sei lavata la coscienza dal tenere il segreto solo per te?». Non c'è rabbia nella sua voce e questo fatto mi destabilizza. Non ero preparata.
La prima sirena squarcia il sottofondo riportando la nostra attenzione sul ponte.
La seconda arriva poco dopo.
«E Serena ti supporterà anche stavolta?»
«Veramente sei il primo a cui lo dico». Mi volto verso di lui ed è colpito perché ha alzato la testa a guardare il cielo, pensieroso.
La terza sirena interrompe il silenzio calato tra noi.
«A volte mi domando perché ho voluto proporti alla Gold Games dopo che ti sei comportata come una stronza senza cuore nei miei confronti» sospira e torna a guardarmi con un mezzo sorriso «forse perché conosci tutti i miei punti deboli, ormai e perché ci divertiamo al lavoro. Credo sia meglio esserti amico che nemico, alla fine, visto quanto sei impulsiva e testarda. Il rischio però, sappilo, è che tu corra sulla neve in salita senza preoccuparti della valanga che potresti provocare e che rischia di travolgerci tutti».
Ha ragione e mi mette davanti allo specchio che spesso rifiuto di guardare.
«Lo so e mi dispiace. Mentirei se ti dicessi che ci sto lavorando, anche se ho fatto qualche passo avanti».
«In fondo è quello che mi-»
Il boato arriva un attimo dopo la visione di bianchi pinnacoli che si innalzano da tutte le parti del ponte. Sembra un'ultima scossa di dignità di quest'opera ardita e, da quanto stiamo iniziando a capire, abbandonata al suo destino senza le dovute manutenzioni. Il rumore è fortissimo. La terra sotto di noi è scossa da una vibrazione. Sei secondi per il collasso di un pezzo di storia della città. Neanche una frase di commiato mi è venuta in mente, sono stordita dall'esplosione.
Guardo l'ora: le nove e trentasette.
Dave è rimasto senza parole come me. Restiamo lì, fermi, per non so quanto tempo. Non ricordo neanche più quello che stava dicendo. Le polveri viaggiano, nonostante tutte le precauzioni e l'aria si fa meno limpida, ma non c'è l'effetto nube irrespirabile.
Forse è arrivato il momento di fare un ctrl+canc+alt anche per noi.
«Già che ci siamo volevo chiederti scusa per come mi sono comportata alla festa per Underground. Non bevevo così tanto da tempo e non avevo il controllo delle mie azioni».
«In effetti non ero più abituato a vederti collassare come una volta».
Sembra talmente tranquillo da insospettirmi. «Beh, ma ciò non significa che io possa prendermi delle libertà nei tuoi confronti anche se abbiamo avuto un passato insieme...». Sento improvvisamente caldo alle guance.
«Beh, vomitarmi sulle scarpe in effetti è stato un bel modo per ricordare i nostri trascorsi» sghignazza e si alza in piedi e io non so come andare avanti perché tutto questo non coincide con quello che mi aveva raccontato Stefano. Mi affretto a ritrovare anche io la posizione eretta e a riprendermi il telo.
«Stai dicendo che non ho compiuto azioni deplorevoli come mi è stato riferito, tipo tentare un approccio...» mimo una specie di bacio con la bocca rendendomi ridicola, in totale imbarazzo.
Mi guarda storto e con un ghigno di derisione. «Ti piacerebbe! Invece hai dato tutta te stessa sul pavimento del dehors e anche un po' verso il parcheggio della Marina. Ma chi te l'ha detto?»
L'imbarazzo viene sostituito da una voglia di farla pagare a Stefano come raramente mi è capitato.
«Uno che subirà tutta la mia ira non appena avrò l'occasione di vendicarmi».
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