32. Punto di partenza
Prima di lasciarvi alla lettura devo fare davvero mea culpa. Vi chiedo immensamente scusa. Non aggiorno da due mesi. Dovete sapere che ho preso la decisione di autopubblicare Scintilla Inaspettata e ad agosto ho deciso di fare la quinta revisione prima di consegnarla all'editor (se vi interessa seguirmi in questa avventura sappiate che su Instagram, su TikTok e sul mio sito sto raccontando tutto il processo. Trovate tutti i riferimenti nella mia bio). Sono uscita svuotata da questa faticaccia e, nel frattempo, la vita fuori di qui richiedeva un impegno straordinario: da maggio faccio la volontaria in una struttura per bambini temporaneamente allontanati dalle famiglie e il mio tempo libero si è ulteriormente ristretto. Sono felicissima di questa esperienza, ma la mezza giornata che di solito potevo dedicare nel fine settimana a Omicidio Virtuale è sfumata. In più è la stagione delle conserve e delle marmellate e dovete sapere che avendo l'orto, arriva tutto insieme, per cui per tre settimane di fila, a settembre, le mie serate erano rivolte a non far andare a male uva, pomodori, eccetera. Una faticaccia sino alle undici di sera, magari dopo dieci ore di lavoro. Lavoro, ecco: è ricominciato il campionato, per cui, da giornalista sportiva, l'altra giornata del fine settimana sparisce dalle opzioni "tempo libero". E tenete conto che dal lunedì al venerdì mica faccio festa! Tutto questo per giustificarmi un po'. Spero, adesso, di tornare costante. Manca poco alla fine. Abbiate pietà per errori/refusi. Segnalatemeli, grazie.
Kaori
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Non mi fa bene scrivere videogiochi mentre con la testa sto pensando a cosa cercare in biblioteca a pranzo. Compio diversi errori banali sui menu usando l'engine perché quello che produco non funziona al primo colpo.
Ogni tanto Dave si gira verso di me quando mi sente imprecare sottovoce, ma ha la decenza di non intervenire. Il suo sospirare è una sottolineatura di ciò che pensa.
Nella pausa caffè scrivo a Serena: "Puoi controllare se l'ex Albergo Piemontese è effettivamente privo di telecamere puntate sull'ingresso? Devo capire se può essere un'alternativa alle nostre supposizioni su come Pastorino sia entrato nel Diurno".
Non impiega molto a rispondere, giusto il tempo di buttare nel cestino il bicchiere vuoto.
"Sono abbastanza sicura che su quel lato di strada non ci sia una copertura, ma faccio un ulteriore controllo appena riesco. Bacio".
All'una in punto quasi rovescio la sedia quando mi alzo. Dave ormai non ha neanche più la forza di protestare. Scatto a testa bassa nel corridoio per guadagnare l'uscita senza incrociare lo sguardo di nessuno in modo da non dare nessun tipo di aggancio per una conversazione.
Solo quando varco l'ingresso della Berio cerco di darmi un contegno, sono pur sempre nella più grande biblioteca di Genova. Nonostante abbia la maglietta ormai appiccicata alla schiena sudata e i capelli fradici.
Sono le 13:11. Attraverso il tunnel trasparente dell'ingresso, in cui la luce del giorno è l'illuminazione naturale. Ignoro la deviazione per il giardino di quello che era il seminario arcivescovile, da cui provengono un po' di voci, e punto dritta verso il bancone dell'accoglienza.
Purtroppo c'è uno studente prima di me che sta chiedendo qualcosa. Ha uno zainetto in spalla. Dall'abbigliamento, bermuda e polo, non riesco a capire di che facoltà sia. Era uno dei miei giochi preferiti quando frequentavo le feste universitarie. Non sono vicina a sufficienza per sentire cosa dice e per guardarlo in faccia. Fremo perché ho meno di un'ora di tempo prima di tornare alla Gold Games.
La dipendente della biblioteca, una signora magrolina e alta non più di un metro e sessanta, si allontana dal bancone.
13:16.
La tizia torna con un libro, che consegna al ragazzo.
13:17.
Le operazioni si concludono e lui se ne va.
«Mi scusi, dovrei fare una ricerca su un archivio di quotidiani genovesi, se possibile».
«Ha prenotato?»
No, cazzo. Vorrei risponderle così, ma mi autocensuro. «Non lo sapevo, pensavo bastasse venire qui...»
«Sul sito c'è scritto di prenotare, perché la postazione dei microfilm non è sempre disponibile».
«Ma se non ci fosse nessuno potrei usufruirne?»
Scuote la testa, chissà quante volte altri hanno provato a convincerla. «Può andare al secondo piano e accordarsi con la mia collega».
Non me lo faccio ripetere.
13:20.
Prendo le scale e mi catapulto nella sezione Periodici e raccolta locale. Dietro il bancone in legno c'è una cartina antica della Liguria in bianco e nero con una serie di scritte minute che non riesco a leggere pur essendo a pochi metri.
Ci sono un paio di persone ai tavoli sul fondo della sala, illuminata dalla luce del sole e caratterizzata da scaffalature in ferro dipinte di blu e scrivanie in laminato di formica che ospitano computer moderni e uno che sembra uscito da un museo dell'informatica, con lo schermo quasi incorporato nella struttura che comprende anche la tastiera, tutto molto pesante e spesso. Forse sono fortunata.
«Salve» alzo un braccio per farmi notare da una donna più giovane rispetto a quella dell'accoglienza, che sta sfogliando, neanche a dirlo, un libro. Avrà più o meno la mia età.
«Buongiorno». Posa il volume rovesciato per cui non soddisfa la curiosità di sapere il titolo e dà un'occhiata alla mia mano che sta tamburellando il bancone.
«La sua collega mi ha spiegato che bisogna prenotare, ma volevo chiedere se potevo comunque consultare qualche giornale genovese degli anni Settanta».
«Non ora. I materiali dell'emeroteca sono prelevabili a orari prestabiliti e oggi alle 14:30 ho la postazione riservata, mentre alle 16:30 ci sarebbe disponibilità».
Il sorriso con cui ha accompagnato la spiegazione si spegne probabilmente vedendo la mia faccia delusa.
«Di cosa ha bisogno? Di solito queste ricerche richiedono tempo e avere fretta non aiuta».
Cara mia, se sapessi che mi serve per provare a risolvere un caso di omicidio avresti fretta anche tu.
«Vorrei trovare delle notizie su un luogo di Genova che è stato chiuso tanto tempo fa, negli anni Settanta. Magari sui giornali posso trovare qualcosa». Forse può aiutarmi ugualmente.
«Qui può consultare il Corriere Mercantile, La Gazzetta del lunedì, Il Lavoro. Il materiale è microfilmato, leggibile con quella macchina», indica la specie di computer vecchissimo «può visualizzare la singola pagina come se si trattasse di una diapositiva. Le diverse annate però vanno sfogliate. Non è possibile una ricerca per parola chiave».
Eccolo qui, il diretto sulla faccia. In palestra avrei sentito meno male. Nella mia immensa ignoranza pensavo che esistesse un archivio navigabile. Invece sono ferma all'età della pietra del digitale.
Non ho idea di quando il Diurno abbia chiuso. Volevo cercare la notizia sui giornali per avere delle informazioni e delle foto utili a capire quali erano gli ingressi all'epoca. So solo che non ha superato gli anni Settanta, trovare il giorno è un'impresa titanica. Dovrei chiedere a qualcuno che si ricorda quella vicenda. La biblioteca non è il posto giusto, almeno per ora.
«Signorina?»
Sono andata in tilt come un vecchio flipper. Devo ripartire lanciando una nuova pallina per un tentativo diverso da questo. Niente eternal life a salvarmi.
«Grazie, ma ho capito che prima devo fare altre ricerche. Casomai telefonerò più avanti».
«A disposizione».
Temo non ci rivedremo mai più.
Ho saltato il pranzo inutilmente, mi fermo al bar della Biblioteca dove davvero si respira ancora l'ambiente universitario in cui la giornata è scandita da lezioni, studio, serate alcoliche interminabili, nottate in bianco durante le sessioni. Una bolla temporale che ricordo con un po' di nostalgia. Un gruppetto di ragazze sta parlando di prendere un aperitivo al bar degli asinelli prima di andare alla proiezione di un film in lingua originale.
Le ascolto volentieri mentre addento un tramezzino tonno, insalata e maionese, in onore dei vecchi tempi.
Alle due meno un quarto sono già alla Gold Games e maledico non avere la possibilità di mostrare agli altri il mio umore come i Sims. In questo momento sarebbe rosso.
Dave rientra dopo di me.
«Hai fatto presto».
La sua constatazione non emette giudizi. Ormai mi conosce e sa quando deve usare i guanti.
«Buco nell'acqua».
Non ho troppa voglia di spiegargli.
«Deb ha sentito il suo vecchio amico».
Ora ha la mia attenzione.
«Non c'è molto da dire, però lui conferma che negli ultimi due anni si era come isolato. Da quando aveva cambiato casa andando a Crevari non frequentava più la compagnia del paese. Conferma che si era appassionato all'urbex, nella versione più illegale, diciamo, ma non sa dire se frequentasse un gruppo o se fosse un solitario. I suoi genitori pare fossero un po' preoccupati perché spariva senza dare notizie a volte. Infatti se non fosse che era atteso a pranzo probabilmente lo avrebbero cercato dopo qualche giorno».
Dave sospira.
«Non è di grande aiuto. Comunque si incontreranno per un caffè in questi giorni per parlare ancora un po'. Lui ha promesso di fare due chiacchiere con altri ex conoscenti».
Ripercorro le poche notizie che avevamo letto sui giornali. Ci sono tanti punti oscuri anche sulla vita privata: «Aveva una ragazza? Ufficiale mi pare di no, altrimenti ne avremmo letto sui media. Però è possibile che alla sua età non frequentasse almeno qualcuna? Forse dovremmo andare a chiedere ai colleghi del supermercato dove lavorava».
«Mica sono tutti come te, essere single e non andare a letto con nessuno è un'opzione non disonorevole».
«Sarà...»
Ci rimettiamo al lavoro. Anche quello di Deborah è un buco nell'acqua. Ci resta solo Stefano con il suo sito-esca.
Siamo solo a martedì e sono già distrutta.
Ci pensa l'assolo che dà il via a Raining Blood degli Slayer a scuotermi. È la suoneria dedicata ai numeri sconosciuti. È uno 010, quindi non credo un call center.
«Pronto?»
«Buongiorno, è la segreteria del dottor Milani. Non è venuta all'appuntamento. Volevo sapere se stava bene e se potevamo riprogrammarlo a breve».
Cazzo! Il fisioterapista. Con la festa di San Giovanni di mezzo avevamo cambiato giorno.
«Mi scusi, ho avuto un problema in famiglia improvviso e non sono riuscita ad avvisare».
«Nessun problema, anche se le chiedo di avvisare la prossima volta».
È così gentile perché sgancio ottanta euro a seduta, probabilmente.
L'opzione con la Asl prevedeva un'attesa di oltre un mese rendendo inutile lo scopo della fisioterapia.
Giacomo passa a metà pomeriggio per la pausa caffè. Per essere un "collega con benefici" ci vediamo troppo poco, mi rendo conto. Non mi ha mandato a quel paese solo perché lavoriamo nello stesso posto, temo. Ogni volta sembra che io lo faccia apposta a inventare una scusa per non vederlo, ma non ha idea del perché i nostri appuntamenti siano così rari.
«Questo weekend potrei avere qualche problema di organizzazione degli impegni, ma ti saprò dire meglio tra qualche giorno, sempre che ti vada di vederci».
Il suo esordio mi sorprende da un lato, dall'altro era prevedibile. Siamo soli, per cui oso un contatto più intimo. Mi avvicino sino a far sfiorare i nostri corpi e gli sfioro il lobo con la lingua. «Ti va bene come risposta?»
Fa una risatina nervosa. In fondo è un timido.
«Anche per me è un periodo complicato per questioni famigliari, arriveranno tempi migliori da passare insieme».
Invece che rientrare alla mia postazione vado a far visita a Stefano.
Ha le cuffie alle orecchie, per cui non si è accorto di me.
Afferro con rapidità l'arco che le tiene unite sopra la sua testa e tiro verso l'alto.
Lui fa uno scatto sulla sedia.
Mi chino per confabulare senza farmi sentire dal resto della sala.
«Dalla biblioteca sarà difficile trovare informazioni, Deborah ha parlato con qualcuno che lo conosceva, ma anche lei non ha scoperto molto. Stasera riusciamo a lavorare su quei contatti che hai trovato tramite il sito fasullo?»
Annuisce, ancora spaventato dallo scherzo.
«Venite a casa mia, stavolta» propongo.
«No» si oppone con decisione, sorprendendomi.
«Meglio casa mia, per tutto». La sua vaghezza mi fa comprendere al volo le motivazioni.
Fissiamo un appuntamento alle 21 in via Fillak.
Siamo solo io e Serena. Ho promesso a Dave un aggiornamento l'indomani.
La mamma di Stefano ci vede arrivare insieme e abbozza un sorriso tiratissimo. Sospetta che i giochi di suo figlio siano cambiati. Sarebbe un cambiamento in meglio, a mio parere, ma non credo che lei sia della stessa idea.
«La prossima volta potremmo osare con l'abbigliamento, così le facciamo perdere la maschera che indossa da anni» propongo con un sussurro.
Lei ridacchia un «povera donna» a metà tra auspicio e comprensione.
La scena che si presenta ai nostri occhi nella stanza blu di Stefano è inattesa. Il mio collega sta camminando avanti e indietro davanti alla scrivania. Le mani intrecciate dietro la schiena neanche fosse un anziano a guardare cantieri.
«Ste, cosa è successo?»
La sua agitazione ha un effetto osmotico immediato.
Lui continua nella sua passeggiata a testa bassa. Solo dopo un minuto buono si ferma e ci guarda.
«Li ho agganciati. Mi hanno scritto. Sono stati nel Diurno». Destro, sinistro e ancora destro. Stavolta i colpi hanno l'effetto di una boccata d'aria che potrebbe diventare un vento impetuoso.
«Calma» interviene Serena. «Spiegaci tutto dall'inizio».
Stefano si siede e si appoggia completamente allo schienale.
«Vi avevo detto che avevo avuto già qualche contatto. Basta capire come entrare. La comunità è ridotta e c'è curiosità nello scoprire luoghi nu-nuovi» si impunta e prende un respiro.
«Però di solito i segreti non si condividono, ma». Deglutisce.
«Questi due hanno una missione». Ci guarda mentre si sistema gli occhiali sul naso e armeggia con mouse e tastiera.
Apre un sito dal world wide web accessibile a chiunque. Si chiama borderlands.net. La prima foto è in bianco e nero, la prima di una gallery che ritrae gli spazi di quello che sembra un ex ospedale: ci sono ancora i letti in ferro con i materassi sfondati, abiti sparsi sul pavimento pieno di detriti, scrivanie con cartacce ormai illeggibili ancora sparse sul ripiano e poi pareti scrostate che danno un tocco ancora più lugubre. Guardando meglio vedo tante, troppe sbarre. La didascalia rivela: ex ospedale psichiatrico di Cogoleto.
Stefano scorre rapidamente altre immagini e riconosco non solo il Diurno, ma anche alcuni luoghi che abbiamo usato per costruire Underground. Noto però che solo alcune gallerie fotografiche riportano il nome del luogo.
«Questo è il sito pubblico, ma anche loro hanno una parte nascosta».
Stavolta apre Tor Browser e digita un indirizzo a colpo sicuro. Non ci sono fotografie accattivanti, ma solo stringhe di quello che sembra un database.
«Un censimento di luoghi abbandonati, non solo sotterranei. Hanno lo scopo di ampliarlo, per questo ci hanno contattato. Hanno visto cose interessanti sul nostro sito, anche se non sono nostre. Sono stati prudenti, ma non abbastanza. Li ho beccati e sono genovesi».
Io e Serena abbiamo la stessa faccia stupefatta. Per la prima volta, forse, abbiamo un punto di partenza.
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