31. Un passo alla volta

Il fatto che Stefano abbia detto "Siete arrivati" mi fa sospettare che sia stato lui ad aver dato tutte le specifiche del nostro appuntamento alla coppia, ma alla fine che importa? Ormai sono sul ring di questa royal rumble e devo combattere, mica fare la schizzinosa sugli alleati, anche perché l'avversario, o gli avversari, hanno tutti la maschera alla Rey Mysterio.

I due si accomodano, evidentemente si sono parlati, e mentre Deborah mantiene la sua composta serietà, Dave si stravacca sulla sedia e mi guarda: stringe gli occhi senza perdere il sorriso lanciandomi il muto messaggio che sa di darmi fastidio in questo momento. Non avrà la soddisfazione della verità, così anche io accenno una risata a denti stretti.

«Bene». È Serena a toglierci dall'impiccio. Batte con la mano sulla cartina. «Stavo mostrando lo schema delle telecamere di sorveglianza pubbliche e private a copertura di tutta la zona di piazza Acquaverde, quindi davanti alla Stazione, ma anche davanti all'Hotel Savoia e davanti al B&B hotel dal lato opposto della strada per capire come l'assassino sia entrato e uscito dal Diurno. Abbiamo escluso a priori la scala interna all'Hotel Savoia». Fa una pausa e sposta l'attenzione sui nuovi arrivati. «Se ci sono domande sono a disposizione, eh».
Riprende da dove si era fermata: «Abbiamo un punto quasi cieco proprio nei pressi dell'altro ingresso che conosciamo, quello in salita San Giovanni, ma credo che se Pastorino fosse passato salendo dall'imbocco di via Prè, o scendendo da sopra, quindi da via Balbi, dove invece le telecamere ci sono, lo avrebbero visto. Anche se non è chiaro, riassumo per i nuovi arrivati, quando sia stato ucciso di preciso. C'è da dire che purtroppo non siamo a conoscenza di tutte le informazioni in possesso degli investigatori».

Deborah guarda ammirata la stampa sul tavolo.
Dave si tocca il mento. Si è rasato. L'ho punto sul vivo, si vede.

«Per cui penso che possa esserci un'altra entrata che sia fuori dagli occhi elettronici. Potrebbe essere in questa zona». Il suo indice scorre verso l'ingresso laterale della stazione, in via Andrea Doria, uno degli affluenti a piazza Acquaverde dove in rapida successione si trovano kebabbari, hotel, money transfer, negozi all'ingrosso di abbigliamento cinese dove si riforniscono gli ambulanti. «Qui c'è una copertura a macchia di leopardo e puntata sull'accesso a Principe. La telecamera smart più in basso, nei Giardini dei Caduti dei Lager Nazisti, copre parecchio, ma non arriva sino in cima alla via».

Mentalmente ripercorro la successione dei negozi presenti. Che ci sia un accesso negli hotel attivi sulla strada? Sono due se la mia memoria fotografica non ha perso colpi. Mentre dall'altro lato ci sono solo uffici delle ferrovie e cancellate chiuse. Non penso che il negozio dei cinesi possa contenere una porta segreta, è troppo in basso rispetto alla stazione.
«Domani in pausa pranzo vado a dare una controllata alla Berio per cercare qualche informazione sugli accessi al Diurno. In biblioteca ci sarà qualche pubblicazione o articolo di giornale sull'argomento, no?»
La mia proposta incontra il favore di tutti.

Alessandro in persona ci porta da bere. Vede la mappa e scuote la testa. Posa volontariamente i bicchieri sulla cartina. «Sbaglio o c'è della cospirazione? Devo preoccuparmi? Volete darmi le vostre ultime volontà in caso di dipartita? Le chiavi di casa? La gestione delle password social?» Il mio migliore amico scherza e mi fa sorridere, ma Deborah si adombra. In effetti siamo qui per Pastorino, che le password non ha avuto modo di dirle a nessuno. Chissà se quando ha deciso di andare là sotto aveva messo in conto di rischiare qualcosa?
«Va' va' ti cercano al bancone» lo liquido.

«Possibile che non sia uscito nulla dal suo giro di amici? Dai colleghi del supermercato? Sappiamo che faceva urbex, ma anche lì non hanno scoperto granché, o almeno, sui giornali non è uscito molto» esterno ad alta voce il ragionamento guardando Deborah e lei annuisce pensierosa.

«Potrei provare a chiedere qualcosa a chi avevo conosciuto della sua compagnia quando ci frequentavamo» dice l'avvocato. Si accende una sigaretta. È la prima volta che la vedo fumare.
Non perde tempo perché prende il telefono e scorre la rubrica e inizia a digitare messaggi.

«Io vorrei tornare a fare due chiacchiere al bar di Masone dove ero stata per caso quando ancora risultava scomparso. Il barista e uno degli avventori storici conoscono la famiglia, magari ci possono dare qualche informazione... Pastorino si era fatto diversi piercing nel corso degli ultimi anni, può essere anche che siano cambiate le sue abitudini...»

Un lieve colpo di tosse alla mia destra si insinua mentre lascio decantare queste informazioni. Stefano chiede attenzione.
Si gratta la fronte e si sistema gli occhiali sul naso mentre continua a fissare la cartina.
«Ho creato un sito fake».
Guardo gli altri alla ricerca di una sponda e tutti sembrano non aver capito, come me, per quale motivo. Le facce sono dei punti interrogativi.
«E?» Dave è il primo a incalzarlo.
Stefano non parla, ma estrae un mini laptop dallo zainetto che solo ora noto ai suoi piedi. Digita qualcosa e poi appoggia il device coprendo piazza Acquaverde al centro della mappa. Tutti ci protendiamo verso lo schermo. Il rumore delle sedie che si spostano per un attimo sovrasta il tranquillo brusio agli altri tavoli.

L'indirizzo del sito termina con il dominio onion, per cui siamo dentro il dark web: siti non indicizzati che non si possono trovare tramite google. L'icona a cipolla di Tor Browser è ben visibile. Di sicuro Stefano sta usando anche una Vpn per rendere il tutto ancora più anonimo.
Genoa Underground, scritto in rosso con un font quasi horror su sfondo nero, campeggia sotto la barra degli indirizzi.
Ancora più giù una foto di una casa che sembra abbandonata da anni e una figura di spalle che sta entrando dalla porta.
Sorride tronfio come capita solo quando è davanti al computer.
«Ste, forse è meglio se ci spieghi. Non siamo tutti membri del Mensa» commenta Serena.

Il mio collega alza gli occhi al cielo e torna a guardare il sito. Fa scorrere la barra verticale e ci troviamo di fronte a un database di immagini di luoghi abbandonati. C'è anche il Diurno tra loro, si riconosce per la tipologia di arredamento.
La grafica lascia a desiderare, come spesso accade nel dark web non serve essere troppo accattivanti per quello che si deve mostrare.
«Ho preso in prestito un po' di foto sperando che chi le ha scattate si faccia vivo, ma anche per crearci un'identità da esploratori di questi posti ed essere credibili quando verranno a cercare informazioni sul proprietario del sito».

Come sempre Stefano è non uno, ma dieci passi avanti a tutti.
La perplessità è seduta in mezzo a noi.
«Verranno chi?» mi esce spontaneo. Mi sembra di avere a che fare con un linguaggio di programmazione sconosciuto.
«Que- Quelli che fanno urbex qui a Genova. Ho trovato un po' di persone».

Allunga le braccia, muove le dita rapidamente sui tasti e ci mostra un'altra schermata. Stavolta c'è un sito tradizionale esplorarezena.com che sembra una sorta di vetrina di quello appena visto. Molto meno dettagliato, ma concentrato sull'esplorazione della Genova sotterranea attraverso i luoghi classici che si possono raggiungere senza violare nessuna proprietà, come le batterie di Monte Moro che servivano come bunker per chi doveva difendere la città dalle incursioni navali durante la Seconda Guerra Mondiale. Oggi ci si può entrare senza problemi, ma tra graffiti e parti lasciate andare in malora occorre sempre fare attenzione.

Stefano ci mostra tutta la home e in fondo, in piccolo, c'è il logo della cipolla: un messaggio per i più attenti e interessati accanto alla scritta contattami che porta a un piccolo form da compilare.
Ora ride felice come un bambino e batte le mani: «Quella è una porta d'ingresso per me, in realtà. Riceveranno il link al sito di prima e saranno nostri!»

«Hai fatto tutto questo da quando ci siamo lasciati al lavoro?» chiede Dave.
«N-No!» alza le mani e le scuote con vigore.
«Dopo che Serena e Gloria sono venute a casa mia. Ho già lanciato degli ami e qualcuno ha risposto».
«Se vuoi far tutto tu dillo, eh?» scherza Serena.
Stefano si adombra. Non è in grado di filtrare l'evidente ironia della mia amica.
Io e Dave ci scambiamo un occhiata.
«Ste, è una battuta. Sei stato geniale come al solito» interviene lui.
«Ho messo anche le immagini ispirate a Underground. Abbiamo due contatti che sono interessati alle nostre foto e a condividere informazioni. Sono due genovesi che conoscono alcuni posti. Uno abita a Mele, l'altro a Castelletto. Per ora sto sulle mie, come dovrebbe essere».

«Abbiamo dei nomi?» domanda Deborah.
«No. Ancora per poco».
«Sarebbe interessante infiltrarsi con questa gente». La mia frase fa annuire Serena e mettere le mani tra i capelli a Dave.
Batto i palmi, meglio non sovraccaricare il database del mio amico ritrovato. «Bene, direi che abbiamo materiale su cui lavorare. Ci possiamo aggiornare domani sera, che dite? Anche online, se preferite».

Restiamo a chiacchierare ancora un po' godendoci quella poca brezza che risale dal mare.
C'è qualche equipaggio estero, sono pochi rispetto all'inverno, come le barche attraccate del resto. D'estate sono tutti in giro coi clienti facoltosi per delle mini-crociere nel Mediterraneo. I ragazzi ridono forte nella birreria accanto al locale di Alessandro.  Dave torna il solito pagliaccio:
«A questi biondoni basta una pinta per andare fuori di testa. Sarà per quello che Gloria ha gioco facile con loro».
«Non è colpa mia se c'è il detto della donna in ogni porto per un marinaio. Alla fine meglio tanti marinai per una donna, no?»
RIdono tutti tranne Stefano, che come sempre si chiude in se stesso non appena il tema esula dal suo campo preferito.
Invece che stare a dire sciocchezze dovrei scrivere a Giacomo per concordare una serata io e lui, ma con le indagini di mezzo diventa tutto più complicato.

«Vado a casa, sono stanca». Mi alzo sorprendendo un po' tutti e saluto la compagnia. Mentre pago il giro, Alessandro torna su ciò che ha visto: «Stavolta hai a che fare con dei connazionali, almeno? Guarda che di qui ogni tanto passa qualche poliziotto che lavora in aeroporto, se hai bisogno di qualche favore posso fare da intermediario».
Non voglio coinvolgere anche lui.
«Stai tranquillo».
«Tranquillissimo. Come vuoi tu».

La mattina mi sveglio con mezz'ora di anticipo. Prima di entrare in sede voglio controllare con la giusta attenzione i dintorni di piazza Acquaverde.
Invece di prendere il solito imbocco sotterraneo che mi fa guadagnare tempo per raggiungere  il Porto Antico, risalgo sino all'entrata principale. La piazza, assolata, è già piena di gente tra pendolari e qualche turista che si fa fotografare davanti alla statua di Cristoforo Colombo, mentre nelle panchine dei giardinetti un senza tetto si sta già scolando un cartone di Tavernello.

Non credo che dalla stazione ci siano ingressi accessibili al Diurno, ma lo controllerò in biblioteca. Mi concentro su via Andrea Doria, visto che Serena sospetta che possano esserci degli accessi a noi ignoti proprio lì. Imbocco il sottopassaggio pedonale che mi porta sull'altro lato della piazza, vicino all'hotel B & B e all'ufficio postale. L'odore di urina punge le narici: più che un sottopasso è un pisciatoio e il caldo non aiuta.
Passo in rassegna i vari negozi facendo attenzione a non inciampare sul marciapiede dai blocchi di pietra sconnessi. Sbircio dentro quelli già aperti, ma non mi sembra di vedere nessuna apertura sospetta. I due hotel sono uno di seguito all'altro.
La faccia tosta non mi manca, potrei entrare e chiedere, ma è chiaro che sarebbe molto sospetto e credo che la polizia abbia comunque battuto anche questa pista. Gli hotel hanno una telecamera con una sorveglianza minima sulle rispettive entrate, per cui li escluderei. Arrivo proprio davanti all'uscita laterale della stazione. Aspetto il rosso per le auto e attraverso per dare un'occhiata. Le telecamere sono puntate su questo accesso, ma non sull'altro lato della strada, dove sono appena passata. Proprio l'assenza di telecamere in un vicoletto del centro storico ha impedito di arrestare un uomo che aveva ucciso la fidanzata perché mancava il video di lui che la uccideva dopo aver girato l'angolo insieme a lei. L'uomo è rimasto in libertà e ha poi ammazzato anche un'altra fidanzata.
Mi volto e quello che ho sempre avuto sotto gli occhi all'improvviso mi fa drizzare i capelli sulla nuca.
La scritta Hotel, in diagonale perché ormai priva di uno dei sostegni, è un faro anche se i neon funzionanti sono ormai un lontano ricordo. Tapparelle da un lato e persiane dall'altro, tutte chiuse da chissà quanti anni. La porta  è ormai tappezzata da manifestini abusivi di concerti e manifestazioni di centri sociali. La serratura, semplice, la si vede anche a una decina di metri. L'ormai defunto Albergo Piemontese potrebbe essere la chiave per iniziare ad aprire il primo scrigno del forziere che è diventato l'omicidio Pastorino.

Ed eccolo qui (foto della sottoscritta)


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