30. Patto di non belligeranza
A mezzanotte sono a casa, con dolori dappertutto. Gli occhi hanno faticato a stare aperti durante gli ultimi trenta chilometri. Mi sono costretta a pensare ai modi, o meglio, alle posizioni, in cui posso recuperare la serata saltata con Giacomo per restare vigile.
I System of a down suonano alle sette e mezza e Chop Suey! va avanti per un bel po' prima che io riesca a trovare la forza per metterli a tacere.
Mi trascino al lavoro più sfatta di uno zombie di Resident Evil, maledicendo il fatto che le multinazionali se ne fregano delle feste patronali locali. Almeno, però, in questo 24 giugno, il treno per andare verso il centro di Genova è semi-vuoto, salvo qualche mattiniero che vuole occupare la riva in una delle poche spiagge libere della Liguria.
La sagoma di Dave alla scrivania ha l'effetto di una secchiata d'acqua: mi sveglia all'istante.
All'improvviso non so bene come comportarmi, salutarlo come se niente fosse? Arretro in stile moonwalk e mi rifugio nell'altro open space, quello dove stanno Stefano e Giacomo. Il mio bed interest non è ancora arrivato, mentre il nuovo "socio" da due giorni a questa parte è già con le sue cuffie sulle orecchie.
Che cosa sto facendo? Perché cercare la sponda di Stefano? Di sicuro non saprei bene come chiedergli di aiutarmi. Del resto è solo Dave, da quando ho paura di interagire con lui?
Mi volto fulminea per tornare indietro e sbatto contro Riccardo. La sua faccia scontra la mia spalla nuda e il rumore è secco.
«Porca...» si autocensura. Coprirsi il naso con entrambe le mani ha avuto un doppio effetto: tamponare il dolore ed evitare che dalla sua bocca uscissero improperi. Non è che gli ho rotto qualcosa?
I pochi che sono già al lavoro alzano gli occhi per un momento, poi ritengono la scena poco interessante per i loro standard e spengono i riflettori su di noi. Stefano non si è mosso.
«Cavolo, Ric; scusa, non ti avevo visto» gli dico la verità.
«Me ne sono accorto...».
«Fa' vedere».
Apre le mani piano piano e per fortuna non c'è sangue su di esse. Il naso è arrossato, ma non ha cambiato forma. Forse l'ho sfangata.
Perdo colpi: solo ora noto che si è fatto ricrescere la barba. Gli dona quel tocco nordico che lo ha nuovamente trasformato da uno hobbit al vichingo nano quale è.
«Allora?» mi richiama all'ordine.
«Tutto a posto, non sembra rotto. Magari vado a prendere del ghiaccio al bar qui sotto, così ti farà meno male».
«Tranquilla, vado a sciacquarmi con l'acqua fredda in bagno».
«Ok, se hai bisogno di qualcosa sono qui, o meglio... alla mia postazione».
Attendo che sparisca dalla visuale per tornare alla scrivania. Il trambusto di prima ha provocato l'effetto di tranquillizzare i miei tumulti interiori e mi accomodo sulla sedia Omp con nonchalance.
«Ciao» esordisco senza troppa enfasi né noncuranza.
Due metri di distanza non mi sono mai sembrati così ampi.
Lo guardo di sbieco. Non si è rasato da almeno un paio di giorni: Dave non è peloso e vedergli sul viso il segno della ricrescita è rarissimo.
«Ciao» il tono è più distratto. Non si volta.
Per fortuna oggi non devo lavorare sul videogioco in comune.
Il suo telefono tintinna per qualche notifica rompendo il silenzio che si è creato dopo quel saluto che non ha neanche scalfito il firewall che ha eretto.
«Devo capire come cavolo fai a manipolare così bene la gente, perché la mia fidanzata è così dispiaciuta della nostra lite da spingermi a perdonare il tuo ennesimo colpo di testa. Mi sta chiedendo se abbiamo fatto pace».
La sua voce mi fa saltare sulla sedia, abbiamo passato almeno un'ora in silenzio.
Vorrei rispondere con una battuta tagliente. Mi mordo la lingua.
Non credo che Deborah gli abbia raccontato cosa ci siamo dette e voglio mantenere il suo segreto. Dave continua a restare concentrato sullo schermo. Forse vede in me una novella Medusa? Non mi ha ancora rivolto uno sguardo, stamattina!
«Restare arrabbiati non fa bene alla salute, è solo preoccupata per te. Almeno, immagino sia così».
Non risponde.
«Dave, anche a me dispiace molto questa situazione. Però è andata, ormai. Non si può tornare indietro. Per cui andiamo avanti. Non dico di riprendere subito come prima, ma fare qualche passo in quella direzione sì. O ne risentirà anche il nostro lavoro».
Non gli dico che ha fatto una scena da primadonna e soprattutto non gli dico che non mi sono ancora staccata da questa indagine parallela per non destabilizzare Stefano.
Il ding del mio telefono mi mostra l'anteprima di un messaggio di Serena: "Ho la mappa della videosorveglianza" leggo e resisto a non scorrere il dito per capire se ha scritto di più in rispetto della conversazione che Dave ha deciso di intavolare proprio adesso.
«Potremmo pranzare con Stefano, oggi. Che ne dici? Hai visto quanto sta soffrendo di questa situazione? Sembra aver dimenticato tutti i passi avanti fatti grazie alle lezioni del giovedì».
Per la prima volta si gira verso di me e resta in silenzio almeno cinque secondi. Non abbasso gli occhi e con le sopracciglia gli rivolgo un muto invito a parlare.
«Va bene» sbuffa.
Sorrido, ma lui non mi vede perché si è già voltato.
Mi alzo e trotto verso la postazione di Stefano per avvisarlo.
Gli tolgo le cuffie a sorpresa, da dietro e lui tira un urletto spaventato. Dai padiglioni esce musica classica. La platea di colleghi si concentra su di noi solo per pochi istanti. Stavolta c'è anche Giacomo. Ho la coda di paglia e devo dirgli qualcosa. Ora.
«Pranziamo insieme oggi. Io, te e Dave. Contento?»
«S-Sì». Stefano allunga una mano e con calma si riprende il maltolto.
Invece che tornare sui miei passi vado dal mio bel collega.
«Caffè?»
Mi sorride e si alza.
Alla macchinetta si informa sulla mia domenica e gli racconto per sommi capi tutto quanto.
Tra noi aleggia lo spettro di ciò che non è stato sabato notte e lo anticipo: «Il nostro programma è solo rinviato. Stasera non posso, ma nei prossimi giorni penso di sì».
«Anche io ho un po' di impegni in settimana, potremmo fare il prossimo weekend. Tutto il weekend. Che ne dici?»
Trascorrere due giorni interi con lui? Non l'avevo programmato. Non sarà troppo? O vuole fare un passo avanti nella nostra relazione? Però due giorni a letto con lui li passerei pure... ma non so se intende quello.
«Ferma. Ferma». Mi prende le spalle tra le mani costringendomi a stoppare il mio processore.
«Non intendo portarti da nessuna parte, non intendo formalizzare nulla, solo recuperare». L'intonazione si fa eloquente e mi rilasso. Non c'è nessuno nella saletta. Mi avvicino al suo orecchio e sussurro: «Il weekend perfetto» e gli sfioro il lobo con la punta della lingua. Mi volto e scappo via.
La seconda parte della mattinata scorre via liscia e all'una in punto Stefano si presenta nel nostro open space con un sorriso che non gli vedevo da settimane.
C'è meno gente del solito in giro: un lunedì di festa per Genova significa giornata al mare per tanti. C'è l'imbarazzo della scelta per i tavolini all'aperto e ci sistemiamo in uno dei più ombreggiati.
Dave tace, più del solito. Pensare che sia tutto facile è un grave errore.
«Allora, Ste» esordisco, «giovedì torniamo da te? L'ultima lezione è stata interessantissima».
Lui annuisce, ma sembra distratto. «Come mai non hai ancora risposto a Serena? Ci vediamo stasera per analizzare la videosorveglianza attorno al Diurno?»
Avesse rovesciato il tavolino con sopra tutti i bicchieri che ci hanno appena portato avrebbe provocato meno distruzione, probabilmente.
Il programma di ripristino appena lanciato per recuperare il rapporto tra me e Dave è destinato a crollare. La modalità provvisoria non funzionerà mai.
Non ho più aperto quell'anteprima di messaggio, non ho fatto caso al fatto che Serena abbia scritto a entrambi.
Ora mi interessa solo di Dave che scuote la testa e ride in modo sarcastico.
Fulmino Stefano con un'occhiata e mi alzo in piedi.
«Ora ti prendi le tue responsabilità e gli spieghi tutto dall'inizio alla fine, perché io non ce la faccio a ricominciare daccapo. Vado a fare un giro, mangiate pure da soli, mi è passato l'appetito».
Per la prima volta lascio i miei colleghi e forse ex amici ammutoliti, entrambi nello stesso modo.
Fa caldo. Maledico la scelta di un'uscita temporanea di scena proprio a quest'ora. Ho fame eccome, ma dire di essere nauseata ci stava bene in quel momento.
Vado a sedermi sotto uno degli alberi di gelso che danno ristoro e ombra nell'area più frequentata dai turisti e allo stesso tempo assolata del centro cittadino. Le macchie viola a terra suggeriscono che l'albero sta fruttificando e imito un ragazzino africano che sta raccogliendo le more in piedi sulle panchine tonde attorno all'aiuola. L'effetto sul mio stomaco è immediato, ma non riesco a saziarmi.
È passata mezz'ora, spero che Stefano sia riuscito a spiegare tutto a Dave. In fondo è colpa sua se siamo ancora invischiati in questa roba.
Torno senza fretta al tavolino. Sono ancora seduti. Dave ora è proteso verso Stefano, che sta aprendo e chiudendo la bocca guardando per terra. Forse sono stata troppo dura.
«Caffè?» fingo di essere la cameriera e la faccia dei due è forse ancora più attonita di prima.
Mi siedo e li guardo alternativamente.
«Stefano, sei riuscito a spiegare tutto?»
Annuisce.
Mi fisso su Dave e il nostro dialogo silenzioso è di particolare intensità. Nessuno cede. È lui a parlare per primo.
«Ho capito e non ho bisogno di ulteriori spiegazioni. Fate pure come credete. Non condivido nulla, però non posso neanche obbligarvi a cambiare idea anche se per me è una cazzata. Dall'altro lato penso che se l'assassino venisse finalmente scoperto, anche Deborah forse avrebbe pace». Prende il bicchiere e svuota l'acqua rimasta.
«Per cui fate un po' come vi pare».
Non sorride, non è ancora il solito Dave. Mi basta, per ora.
Rientriamo verso l'ufficio. Stefano ci precede e Davide rallenta il passo. Si avvicina alla ringhiera che separa la banchina dagli yacht ormeggiati e io lo imito, in attesa.
«Lo sai che lo sfogo è perché mi preoccupo, vero? Non ho dimenticato quello che è successo qualche mese fa. Tu invece mi pare di sì e tutto questo mi spaventa. Non siamo in un videogioco. Il sentirti superiore al pericolo porterà solo guai».
Dave mi è stato vicino anche nei giorni successivi all'avventura di Alberto e questo non lo dimenticherò mai, oltre che avermi salvato il culo nell'aggressione sul pianerottolo.
«Stavolta volevo davvero avvisare la polizia... però Stefano non ha tutti i torti e se riuscissimo ad andare un po' avanti con le indagini senza troppo casino, forse sarebbe un vantaggio per tutti». Mi butto. «Ho parlato con Deborah e mi ha raccontato di Pastorino».
Cambia posizione e afferra il tubo orizzontale con la mano destra. Stringe.
«Non ti rivelerò nulla perché le devo il rispetto della confidenza che mi ha fatto. Se prima l'ho fatto per te, cercare di trovarlo quando ancora era ufficialmente scomparso, perché intuivi che non fosse felice, adesso posso dire che la giustizia la cerco un po' anche per lei».
Respira profondamente. Il suo petto si espande e si contrae a vista d'occhio.
«Forse può aiutarci a intuire che tipo fosse Roberto Pastorino, ma non intendo coinvolgerla se non vuole. Ha guadagnato un sacco di punti, sai».
Si volta e mi guarda interrogativo.
«Ho fatto una gaffe e ora sa che abbiamo scopato. Tutto a posto, non se l'è presa! Alla fine le ex diventano ingombranti se non si ha la personalità per gestirle» gli batto una mano sulla spalla e per la terza volta nel giro di un'ora la sua faccia assume un'espressione esterrefatta.
«Glo, ma che caz-»
Lo squillo del telefono ci interrompe.
È Serena.
Dave sbircia il display. Ormai non ho più segreti e rispondo.
«Perdonami, ma non sono riuscita ancora a scriverti. Stasera possiamo vederci? Che ne dici se andassimo all'Onda Blu? Almeno stiamo al fresco».
«Va bene, facciamo dopo cena?»
«Perfetto».
Infilo lo smartphone in tasca e lo guardo. Lui ormai non ha più forza di opporsi.
Lo prendo sotto braccio.
«Beh? E comunque se vuoi che Deborah non ti lasci, tagliati questi peletti inguardabili che non puoi chiamare barba».
Sguscio via prima che lo scappellotto mi arrivi sulla nuca.
Alle nove sto passeggiando sulla banchina della Marina di Sestri in attesa di Serena e Stefano. È andata a prenderlo lei ed è un grande passo avanti.
Sono già in ritardo di un quarto d'ora e non riesco a immaginare quanto tutto questo lo starà destabilizzando.
Alessandro è impegnato con i clienti e non ha tempo per me. Da troppo non parlo con il mio migliore amico.
Mi siedo al solito tavolino defilato, tra due ulivi. Alle nove e un quarto l'inconfondibile andatura dinoccolata di Stefano è più rapida del solito. Dietro di lui avanza a grandi passi un'ombra illuminata da un tizzone ardente in movimento.
«Sc-Scusa per il ritardo». Il mio collega ha il fiatone.
«Colpa mia!» Serena alza le mani, «come puoi immaginare».
Si siedono e io vado al bancone a ordinare il primo giro: una birra per la bionda, un'acqua tonica per Stefano e un analcolico per me.
Quando torno, una stampa dell'area attorno alla Stazione Principe è comparsa sul tavolino e lo occupa quasi totalmente. È una vista dal satellite con diversi segni aggiunti da Serena.
Vista dall'alto piazza Acquaverde è una specie di doppio semicerchio asimmetrico, tagliato dalla strada dove passano bus e auto e che termina proprio lì con un triangolo nell'angolo in basso a destra rispetto alla nostra vista. La statua di Colombo e gli alberi dei giardini impediscono la percezione della rotondità quando si attraversa a piedi.
L'area della piazza è delimitata da un cerchio rosso. In alto a destra la sagoma del Grand Hotel Savoia, che Serena ha evidenziato con delle linee rosse a imbuto.
«Ho segnato le zone di competenza delle varie telecamere, pubbliche e private. L'hotel ha un proprio sistema di videosorveglianza» la mia amica dà voce ai miei pensieri.
Con il dito scorre sulla mappa e finisce sopra una croce, vicina a un altro imbuto: l'Hotel B&B ha inaugurato da poco e ha anche lui un proprio sistema. Non arriva, però, in cima a salita San Giovanni, che rimane più bassa rispetto al piano strada, dove sappiamo esserci un altro degli ingressi al Diurno. Il cerchio della videosorveglianza pubblica in cima a via Balbi, la strada in salita che porta dal centro città a piazza Acquaverde, non copre completamente l'imbuto del B&B.
Ecco un punto cieco. «L'assassino è stato molto fortunato. Immagino che potrebbe essere entrato e uscito da lì». Serena tentenna. «Però non riesco a capire come mai Pastorino non sia stato visto nelle telecamere attorno alla piazza. Anche se magari questa informazione potrebbe semplicemente non essere stata divulgata. Di solito si analizzano le registrazioni di tutta la zona».
Mi fuma già la testa. Troppe variabili e nessuna risposta certa.
«O forse...» rifletto ad alta voce, «esistono degli altri ingressi che non conosciamo e non sono così intuitivi».
Stefano annuisce e si tocca il mento con le mani.
«Cos'è che non conosciamo?»
Impiego un secondo di troppo a capire che non è lui ad aver parlato.
Due mani parecchio familiari mi battono sulle spalle e mi bloccano sulla sedia.
Allo stupore di Serena si contrappone la felicità di Stefano: «Davide, Deborah, siete arrivati!»
Ruoto il viso sull'asse longitudinale e visto dal basso l'ampio sorriso di Dave sembra una strana smorfia di tristezza.
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