25. Deborah
I neuroni vanno più veloci della fibra ottica, e la faccia arrabbiata di Dave si materializza sul vetro della finestra che sto guardando.
«Oh, Deb... non pensavo fossi tu. Cancella dalla memoria ciò che ho appena detto».
Resta in silenzio, il suo respiro fruscia nel mio orecchio.
«Ci sei?»
«Sì, scusa. È che non so bene da dove cominciare. Pensavo che chiamare te fosse una buona idea».
«Ok, sono qui. Dimmi tutto».
«Avete litigato, vero?»
Mi siedo. L'avvocato non va certo per il sottile. E ora cosa le dico? Decido di rispondere alla pari.
«Sì».
Sbuffa. «Certo che tra tutti e due siete speciali a non scucirvi, eh? Faccio più fatica che in tribunale».
Non riesco a non ridere pensando a Dave che fa il reticente. Alla sua espressione ostinata con la doppia ruga centrale tra le sopracciglia e le labbra arricciate.
«Non ti ha detto perché?» rischio tutto.
«No. Però non posso vederlo così. Prendersi ferie per un litigio non è normale... anche se siete vicini di scrivania» .
Già. Deborah però non sa quanto l'ho fatta grossa.
«Hai ragione, magari era già nervoso di suo e ha preferito così. Spero gli passi». Questa conversazione sta diventando surreale e tra poco ho una missione da compiere.
«Siccome mi dispiace vederlo stare così male, ti chiedo se puoi provare a fare pace. A fare il primo passo. Davide non è una persona che cova rancore. Lo sai anche tu. Non so di chi sia la colpa, ma a volte tra amici basta fare il primo passo e tutto si risolve».
L'ottimismo di Deborah è quasi stucchevole. Capisco perché vada d'accordo con Dave.
«Il litigio è colpa mia, per una cosa che ho fatto...» mi scucio un po' per farle capire che non sarà così semplice.
Sbuffa di nuovo e a me balena un'idea che sino a un secondo fa non era neanche nei meandri più reconditi del mio cervello.
«Tu sei un avvocato e quindi tenuta al segreto professionale...» mi sfugge.
«Non dirmi che hai compiuto un reato». Il suo tono è tra l'allarmato e l'incazzato.
«Vuoi che Dave torni il solito?»
«Beh...»
Non la lascio finire. «Prendiamo un caffè insieme, domani. Ti spiego tutto. Alle sei?»
«Ok, ma...»
«Benissimo! A domani! Al Murena. Ti porto pure in un posto figo vicino a dove lavori».
Chiudo la comunicazione senza neanche salutare e mi preparo per la missione.
Serena per una volta è puntualissima.
Nell'azzurro chiaro dei suoi occhi leggo l'eccitazione del proibito.
«Dove andiamo?» tamburella le dita sul volante.
«Cep».
Sono quasi certa di trovare ciò che mi serve in quello che è uno dei quartieri popolari più celebri di Genova. Non sapevo cosa volesse dire l'acronimo sino a poco tempo fa, quando alla Gold Games è arrivata una stagista in segreteria proveniente da lì. È stata proprio lei a lamentarsi di un muraglione pericolante e ad accendermi la lampadina. Il Coordinamento di Edilizia Popolare del Ponente genovese fa al caso mio. Il fatto che lì di solito la gente non si impicci nelle cose altrui per quieto vivere, mi mette al riparo da possibili grattacapi.
Serena guida come sempre alla velocità di crociera dei quaranta all'ora, ignorando chi, imbufalito, le sta attaccato al culo della macchina per sorpassarla alla prima occasione. Prima dell'imbocco per il casello di Pra' prende una strada in leggera salita e si inerpica su.
Via Martiri del Turchino è una strada tortuosa che sale sulla collina alle spalle di Pra'. Se non abiti lì non capita mai di passarci. I lampioni illuminano la strada che porta ai casermoni costruiti in fretta e furia negli anni del boom economico, per accogliere gli immigrati che arrivavano dal Sud Italia. Negli anni Ottanta era una sorta di Bronx, l'eco della sua fama è arrivata pure a me: i bus venivano scortati dalla polizia per quanto fosse pericoloso. Oggi no, anche grazie alla volontà di alcuni abitanti che hanno creato un Consorzio con attività sportive, culturali e di intrattenimento.
Non siamo ancora arrivate e i palazzi sono un muro di lucine in lontananza. L'auto costeggia vegetazione lasciata prosperare: rovi, edera, canne di bambù e acacie sembrano le specie destinate a prosperare nella lotta della natura in cui ogni pianta cerca di prevaricare sulle altre per sopravvivere.
Saliamo ancora, e il muraglione al lato strada passa da pietra a cemento.
In alcune anse della strada rifiuti abbandonati abusivamente: conto una lavatrice, due sedie a rotelle sbilenche, un frigo e svariati sacchi di zetto. Dopo l'ennesima curva i fari illuminano ciò che cerco.
«Stop! Ci siamo».
Si ferma all'istante, occupando tutta la carreggiata. Anche se qui nessuno si fa troppe domande, ci sono sempre i cittadini attivi che stanno cercando di rendere questo posto vivibile e non voglio dare troppo nell'occhio.
«Vai più avanti e fai inversione appena puoi. Ci vediamo dall'altro lato della strada».
Scendo e attraverso di corsa. Non c'è un'anima, a parte noi.
Quattro transenne metalliche a strisce bianche e rosse delimitano lo spazio interdetto a causa di una piccola frana che ha portato sulla strada terra e parti di vegetazione.
Me ne basta una.
Prendo quella che mi sembra più solida e sistemo le altre tre in modo da non mettere a rischio nessuno.
Serena è già qui.
La transenna, piegata, sta a malapena inclinata nello spazio tra i sedili.
«La prossima volta compro un suv» commenta.
Rientriamo e le indico il garage. L'oggetto che abbiamo preso in prestito finisce vicino alla Ninja.
Mi pulisco le mani sui jeans. Manca ancora qualcosa.
«Ci servirà anche un piede di porco, un gancio, per sollevare quel coperchio di ghisa»
«E anche tanta forza. Qui non posso aiutarti, ma credo che in qualsiasi negozio per edilizia si possa trovare qualcosa».
«Sì, dom- dopodomani vado a vedere e se trovo ciò che fa al caso nostro». Ho l'appuntamento con Deborah, domani, ma condividerò l'informazione con Serena a cose fatte.
«Quando devo tenermi libera, dunque?»
«Penso proprio dopodomani. Anche se essendo venerdì forse ci sarà troppa gente in giro...»
Alza l'indice con lo sguardo vispo. «Non agirei proprio di notte, ma prima dell'ora di cena. I miei contatti dicono sempre che poi basta mostrarsi professionali e sicuri e nessuno si farà troppe domande».
«Peccato che piazza Fontane Marose sia a due passi dalla sede del Comune e da lì passano spesso i vigili».
«Possiamo sempre spacciarci per qualche associazione di esplorazione sotterranea che deve intervenire d'urgenza per un problema, no?»
Ci guardiamo negli occhi, ognuna sembra cercare sicurezza nell'altra.
«Due donne? Ci vorrebbe almeno un uomo, temo. In ogni caso ti aggiorno venerdì pomeriggio sugli acquisti».
Mi saluta con un doppio bacio sulla guancia.
La mezzanotte è passata da un pezzo e la stanchezza prende il sopravvento.
Non appena tocco il letto sprofondo nell'oblio.
L'assenza di Dave è più scomoda della sua presenza. Me ne rendo conto quando mi giro per chiedergli un consiglio sulla grafica a cui sto lavorando, o quando vorrei uno degli snack che tiene nel cassetto per le emergenze. O ancora quando elaboro una delle solite punizioni imbarazzanti che ogni tanto ci obblighiamo a eseguire reciprocamente.
Lo schermo mi restituisce il riflesso di Stefano a mezzogiorno e mezza in punto e mi rendo conto in questo istante che ho dato appuntamento a Deborah nel giorno in cui sarei dovuta andare a casa sua per riprendere le lezioni.
Ruoto la sedia e prendo un grande respiro.
«Metropolitana?» La sua attenzione è catalizzata dallo spazio vuoto sotto la scrivania dove di solito lascio il casco le poche volte che vengo in moto.
«Ste, se per te non è un problema verrei dopo cena». A volte mi sorprendo per quanto rapida sono nel trovare soluzioni.
Fa una smorfia impercettibile e se ne va senza dirmi nulla. Quanti passi indietro abbiamo fatto in questi ultimi giorni?
Mi metto le mani nei capelli, scompigliando quel poco che riesco ad afferrare.
Dave saprebbe come prenderlo.
Non passa un minuto e la figura che occupa lo schermo è quella di Giacomo.
Ruoto di nuovo la sedia. Il suo sorriso si spegne quando mi guarda in faccia.
«Non è un buon momento?»
Non lo è mai in questo periodo.
«Ma no, è che sono sempre impegnata negli ultimi giorni e non riesco a darti l'attenzione che vorrei».
Mi dispiace perché sono stata bene con lui.
«Pranziamo insieme?»
Accetto perché ho bisogno di distrarmi un po'.
E in effetti ci riesco, Giacomo ha capito che lui non c'entra davvero con le ombre che mi passano per la testa e non mi chiede quando ci rivediamo, né mi mostra l'insicurezza di ieri. Si fida di me, evidentemente. Chiacchieriamo un po' di lavoro, un po' commentiamo i turisti che bevono il cappuccino a pranzo, con quasi trenta gradi all'ombra.
Sono io a impormi di dedicargli parte del fine settimana.
«Sabato sera, se sei libero, puoi tornare da me. Senza gin, però. Sarò sincera con te. Il gin tonic non mi fa impazzire».
Ride. «Ho capito allora perché avevi fretta l'altra sera. Da un lato benedetto sia il gin, dall'altro potevi dirmelo».
«Alla fine è andata bene, no? Meglio così».
Apprezzo che non esterni gesti affettuosi neanche quando siamo qui.
Anche grazie a lui il mio pomeriggio scorre più leggero.
Alle sei sono sulla strada per il bar Murena. Deborah è già lì davanti. Indossa un tailleur color glicine con la gonna al ginocchio, la giacca a cavallo del braccio. La camicia grigio perla lievemente più scura sotto le ascelle. Anche lei è umana. I miei jeans strappati e la maglietta ormai slabbrata sulle maniche non le faranno fare una gran figura.
Le faccio cenno di scegliere dove sedersi e decide di stare nel dehors sotto i portici di via XX Settembre. L'ideale per parlare senza che nessuno riesca ad ascoltarti tra il vociare del costante flusso di persone in una delle vie principali di Genova e il rumore dei bus che risalgono la strada.
«Ho inventato una scusa con Davide per non incontrarlo a quest'ora. Spero che ne valga la pena». Appoggia un Iphone XS sul tavolino e lo mette in modalità aereo.
Ordiniamo due alcolici alla frutta.
«Eccomi, sono tutta orecchi».
Tamburella le unghie laccate con lo stesso colore del tailleur sul tavolo di vetro. Spero che la tanto chiacchierata solidarietà femminile esista davvero, spero che Deborah sia un buon avvocato, ma soprattutto spero che sapere che sono alle calcagna dell'assassino di Roberto Pastorino le faccia scattare un interruttore interno che possa servire alla causa e placare Dave.
«Ho compiuto un reato, sì. E nel caso venisse scoperto sappi che sarai tu a difendermi». L'esordio fa interrompere quel tac tac a cui mi ero ormai abituata. Dire che la assumo come avvocato mi mette al riparo da una denuncia?
«L'ho fatto per Dave, che era preoccupato per te».
Il suo volto non resta impassibile e la sorpresa affiora sulla bocca che si apre leggermente e negli occhi nocciola che si fanno più tondi.
«Non sape-»
La interrompo con il gesto della mano.
«Non potevi sapere nulla. Si era confidato con me all'epoca e io poi ho proseguito di mia iniziativa con un'indagine che mi sta portando in una posizione difficile».
«Indagine?» Ora sul suo viso armonioso compare una ruga in mezzo alle sopracciglia.
«Spero di non rinvangare situazione per te ancora difficili da superare, ma è necessario. Sto indagando sulla morte del tuo ex Roberto Pastorino e ho trovato un indizio».
Il cameriere decide di portare i nostri cocktail proprio in questo momento e Deborah potrebbe davvero essere un'ottima giocatrice di poker visto il sorriso cordiale che fa al lavorante mentre lo ringrazia.
Un secondo dopo il suo sguardo mi gela. «E che cosa hai scoperto? La polizia è in un vicolo cieco. È collegato al reato che avresti compiuto?»
Annuisco. In attesa che mi dia il via libera a essere coinvolta in questo casino.
Guarda il telefono istintivamente, nessuno può averla cercata.
«Non so se faccio bene a dirti di raccontarmi tutto. Però tu sai che Roberto è stato per me qualcosa di più di un amico e rinchiudere in carcere il responsabile della sua morte credo sia la priorità».
Mi butto e cerco di essere il più sintetica possibile.
«L'omicida ha sicuramente giocato a uno dei nostri videogiochi, ha messo sulla scena del crimine alcuni oggetti ad arte. Sono andata a vedere anche in quello che sarebbe il livello successivo, un rifugio antiaereo a Campi, e ho trovato un oggetto inequivocabilmente collegato al nostro videogame. Per cui credo che voglia sfidare la polizia a trovarlo o qualcosa del genere. Solo che la polizia non si è accorta del messaggio. Solo io e Stefano lo sappiamo, in azienda. L'ho anche confidato a Serena e a Dave l'ho detto solo quando ormai ne ero sicura. Non volevo tenerlo all'oscuro visto che all'inizio volevo giocare a ritrovare Roberto quando ancora era solo una persona scomparsa».
Deborah cambia posizione sul divanetto più volte mentre spiattello tutto. Gli occhi si fanno più lucidi, ma resiste.
Lascia trascorrere qualche secondo e si ricompone, tornando professionale.
«Come hai fatto a vedere le foto di dove è stato ucciso?»
Lo sapevo che Dave non avrebbe potuto scegliere una stupida.
«Questo è il primo reato. Ho violato la chat di qualcuno che si interfacciava con la polizia».
Alza un sopracciglio, sorpresa. Non voglio dirle di Stefano. «E il secondo?»
«Ho aperto con una chiave duplicata con stampante 3D un sito privato chiuso al pubblico».
Probabilmente è abituata a confessioni più pesanti dai suoi clienti, perché non si scompone.
Mi guarda con una nuova luce negli occhi. La sua attenzione torna di nuovo al telefono per un attimo, lo accarezza con le dita.
«Roby è stato il mio primo vero amore».
Mi aspettavo tutto ma non questa frase, dopo aver condiviso parte del fardello.
«Una ragazzina cresciuta nella bambagia, in uno dei quartieri bene di Genova, che incontra un ragazzo diverso da tutti quelli con cui aveva avuto a che fare prima. Era uno dei pochi a venire vestito molto casual a lezione, era sicuro di sé nella consapevolezza della sua originalità. Sfidava le convenzioni a testa alta, parlava di cose che non avevo mai sentito».
Mi trovo ad annuire, solidale.
«Quando però mi sono trovata nel suo mondo non sono riuscita a calarmici sino in fondo. I miei genitori vedevano la nostra storia come qualcosa di pericoloso per il mio futuro. Figuriamoci... non era ricco di famiglia, era un campagnolo venuto dalla valle Stura. Mi portava a fare delle grandi passeggiate nei boschi invece che studiare. Quando gli domandavo perché avesse scelto Giurisprudenza mi rispondeva che voleva studiare per cambiare le leggi di questo Paese in meglio. Era un idealista, romantico». Chissà se è per quegli ideali che è morto? Ora ho la possibilità di approfondire qualcosa sulla vittima, finalmente.
Si perde nel ricordo e non intervengo perché intuisco che forse, queste cose, non le aveva mai dette a nessuno e potrebbero rappresentare un modo per superare definitivamente il lutto o quella storia passata.
«L'ho lasciato perché eravamo due mondi troppo diversi. Per far piacere ai miei genitori. Perché un buon partito è meglio di uno che non sa offrirti stabilità economica... tutte cavolate. Gli uomini con cui sono stata dopo avevano di sicuro soldi e reputazione, ma non mi hanno fatta felice. Roberto è rimasto un grande rimpianto e in questi mesi mi sono domandata "se fossimo rimasti insieme sarebbe morto là sotto?"»
Ora non fa nulla per nascondere la commozione e una lacrima le scende sulla guancia destra.
Le afferro le mani e gliele stringo forte.
«Non avresti incontrato Dave e lui si merita una ragazza in gamba come te. Non farlo soffrire come ho fatto io».
Ho fatto una gaffe grossa come la palla che insegue Crash Bandicoot.
Ritiro le mani e mi alzo, senza guardarla. «Vado a pagare».
Non sono mai stata così felice di andare alla cassa a farmi spennare come in questo momento.
Al mio ritorno è già in piedi.
«Scusa se ti saluto di fretta, ma devo proprio andare». Alzo il braccio indietreggiando.
«Lo immaginavo che tu e Dave avevate avuto una storia...» sorride, ma non di amarezza o sarcasmo.
«Mi sembravate troppo arrabbiato lui e troppo impegnata tu».
La ragazza è proprio intelligente. Devo complimentarmi con il mio amico, se mai deciderà di tornare al lavoro e ad avere un rapporto normale con me.
«Parlerò con lui, gli dirò che so tutto e che dovete fare pace. Non sono una che fa la gelosa con gli ex se non ci sono motivi e non vedo in te una competitor».
È una in gamba, Deborah.
Sono quasi le otto, ho praticamente già cenato, per cui nulla mi vieta di andare direttamente a casa di Stefano.
Scendo in metropolitana in piazza De Ferrari e attendo tre minuti prima che arrivi il convoglio. In meno di dieci minuti sarò in val Polcevera, l'unica zona a cui serve davvero il collegamento, per ora, di queste otto fermate.
Apro il telefono durante il viaggio e la tentazione di sbirciare sul forum dei gamer dopo la mia risposta ha la meglio.
L'icona di un nuovo messaggio compare non appena mi collego. Clicco sul post originario e sotto alla mia risposta "Il registratore è tra le mie mani". DadOfTheDead ha risposto di nuovo: "Coraggiosa. Vediamo cosa troverai nel prossimo livello".
Mi guardo attorno come se lo avesse detto qualcuno a bordo. La frase vuol dire tutto e niente, ma il fatto che abbia risposto facendo riferimento alla cisterna mi dice che là sotto ci sarà davvero qualcosa per me.
Devo parlarne con Stefano. Devo capire chi si nasconde dietro questo nickname.
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Chiedo ancora scusa per il ritardo di una settimana. Sarà un periodo più difficile del previsto, ma vedrò di mantenere lo stesso ritmo iniziale.
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