24. Ferie forzate

Lo ha fatto davvero.

Quando torno alla Gold Games la postazione di Dave è vuota. Sapevo che sarebbe andata male la confessione sulle mie indagini, ma non pensavo così tanto.
Spero in qualche modo di riuscire a medicarla. Almeno, però, non devo più nascondermi.
Mando un messaggio a Serena prima di ricominciare a lavorare: "Ho detto tutto a Dave, l'ha presa malissimo".
Risponde subito: "Dai, magari gli passa. Sapere troppo tutto insieme non è mai piacevole".
"Sarà... ma stavolta l'ho visto veramente arrabbiato e deluso. Non ha reagito così neanche quando l'ho mollato".
"Lascialo sbollire, magari avrai occasione di chiarire ulteriormente nei prossimi giorni".
Non ne sono convinta, ma non condivido ciò che penso con la mia amica. Il lavoro mi distrae poco e allo scattare delle sei esco senza aver interagito con nessuno per ore. Il vantaggio di lavorare in un covo di informatici è che se ti isoli nessuno pensa che lo fai per un motivo diverso dal programmare.

Non ho voglia di andare a casa e un passo dopo l'altro arrivo in piazza Caricamento. Senza esitazione mi infilo nel centro storico superando un capannello di persone in attesa di calamari e acciughe fritte nel chioschetto che separa i due mondi. Supero piazza Banchi ignorando le bancarelle dei libri usati. Roberto, vestito con un gilet di pelle anche con questo caldo, mi fa un cenno di saluto, ma stavolta non mi fermo a fare acquisti.
Il sassofono di un musicista di strada mi accompagna e mi concentro sulle note per resistere alla solita tentazione di acquistare una coppa di gelato alla panera con aggiunta di panna dalla cremeria Buonafede.
Quando imbocco via Luccoli, il via vai dei turisti si fa più rado e le vetrine dei negozi sui due lati fungono da distrazione verso la mia meta. Rallento davanti alla merceria. Da quanto tempo non mi compro un paio di mutande? Non è il momento.

La salita si fa più ripida e riemergo dalla città vecchia. Piazza Fontane Marose mi accoglie come sempre mostrando le facciate splendide dei suoi palazzi, tutti dai colori diversi: anche stavolta mi concentro sul mio preferito, quello in marmo del Banco di Sardegna, a righe bianche e nere con le colonne alle finestre e le statue che si affacciano dalle nicchie della facciata. Una meraviglia architettonica che mi calamita ogni volta.
Devo smettere di guardarlo, perché la destinazione è proprio dalla parte opposta della piazza.
Attraverso la strada e costeggio un altro edificio sempre molto fotografato, dalle persiane grigie al piano terra e beige in tutto il resto del palazzo che è sede, tra l'altro, di una casa d'aste.
Percorro tutto il prospetto principale con il batticuore, sino all'angolo al confine della viuzza di collegamento con piazza Portello.
Lì mi fermo e mi volto.

Le tre lapidi sono proprio lì, in ombra, nascoste rispetto alla magnificenza della piazza.
Le scritte sono in latino e hanno tre font diversi. Non conosco la lingua, ma qualcosa comprendo ugualmente nonostante la targa più in alto sia scritta con caratteri molto stretti tra loro. Siamo nel 1206 e viene descritta la costruzione di una fontana: "fontis marosae antiquitus appallatae". Appallatae immagino significhi chiamata. La seconda è quella che mi interessa: 1427 chi fece pulire la cisterna d'acqua qui sotto ci teneva a essere ricordato nel tempo: Leonardo dei Campioni, Aragone Giustiniano, Giovanni de Marini e Giovanni Scaglia. Se l'avessimo affidato a un file probabilmente oggi il formato non sarebbe più leggibile.
Riapro il mio archivio mentale personale e unzippo le informazioni che ricordo dal Game design document di Riccardo: la cisterna raccoglie le acque di un rivo, il Sant'Anna, che alimentavano la fontana della piazza e poi scende ancora oggi verso il mare passando sotto la zona di Soziglia. Il livello successivo si svolge qui sotto. Mi guardo i piedi e arretro un passo. Ero proprio sul tombino che rappresenta l'accesso a ciò che cerco.

Rialzo lo sguardo e rileggo l'ultima iscrizione sul marmo. Si vede che è passato del tempo: i caratteri sono più distanziati e anche la grafia è simile alla nostra. Intuisco che si parla di restauri nel 1559 e la fontana ora ha tre archi. Fontana che non ho idea di quando sia stata demolita, visto che non esiste più.

Immagino un'altra lapide, virtuale, in cui Gloria Ferrari viene ringraziata per aver scoperto un feroce assassino.
Scrollo la testa.
Più facile che compaia un'iscrizione alla memoria se non mi do una regolata.
Ancora un livello. Fotografare l'indizio, nel caso ci fosse, e poi basta; largo alla polizia.
Le parole di Dave, però, riecheggiano. Un megafono vicino al mio orecchio. E la voglia di dimostrargli che non ho bisogno di nessuno, che so benissimo cavarmela da sola e che questa storia io sono in grado di risolverla mi dà una scossa neanche avessi visto per la prima volta Tekken sulla Playstation nel 1995: il momento esatto in cui capisci che da quel momento non sarebbe stato più possibile tornare indietro, che l'evoluzione delle cose sarebbe stata inevitabilmente in una sola direzione, il 3D.

Non ho voglia di tornare a casa. Apro WhatsApp e sbircio l'ultimo accesso di Dave: le 16:55. Avrà scritto a Deborah per avvisarla che sarebbe andato a prenderla. Vorrei scrivergli, ma è troppo presto. Domani al lavoro spero di riuscire a parlargli per chiarire e scusarmi.

Ho bisogno di sfogarmi.
La gamba mi dà un po' fastidio, del resto ho camminato parecchio. Ignoro i segnali e proseguo nella mia passeggiata scendendo fino a via Gramsci. Il sole non è ancora tramontato, per cui la fermata è ancora frequentabile senza sentirsi di troppo rispetto agli spacciatori africani che attendono clienti e chiacchierano rumorosamente intorno al distributore di bevande h24.
L'1 arriva dopo sette minuti. Devo attendere qualche fermata prima di riuscire a sedermi. Il viaggio è lungo sino a Cornigliano, ma almeno non devo cambiare autobus.

Quando apro la porticina ed entro nello spazio più ampio, il rumore dei pugni sui sacchi scema e diverse teste mi osservano con curiosità. Gian mi viene incontro allargando le braccia. È burbero solo a parole e quando sono coi guantoni. Mi stringe forte.
«Allora? Hai avuto il via libera per tornare?»
«Veramente non ho ancora chiesto al fisioterapista, ma è stata una brutta giornata e pensavo di poter almeno dare due colpi alla pera veloce anche se non ho nemmeno il cambio dei vestiti».
Si sfrega il mento con la sua manona, guardandomi sospettoso.
«Sicura che domani qui fuori non ci troviamo il tuo medico che vuole farci il culo?»
«Sicurissima». Sostengo il suo sguardo.
Mi recupera persino una canotta e un paio di calzoncini. Guarda le sneaker e fa una smorfia, ma non si pronuncia.

Mi piazzo davanti all'accessorio principe per allenare la rapidità dei colpi. Sguardo fisso in alto, sulla pelle scura immagino ci sia la faccia di Dave che mi guarda sprezzante e inizio a colpire, prima con lentezza, attendendo che l'attrezzo oscilli tre volte prima di andarci con le nocche dell'altra mano, e poi sempre più veloce.
«La supereroina che sprezza il pericolo, eh?»
Non mi alleno da un mese e mezzo e dopo due minuti ho già le braccia che urlano, ma stringo i denti. Il movimento non è fluido come al solito perché non lo accompagno con le gambe.
La pera sbatte sempre più forte contro il sostegno.
«Quella che poi va a piagnucolare, mhh?»
I miei pugni diventano più radi e potenti e per poco evito che il ritorno mi finisca sulla testa.
«Smetti di pensare che lì davanti ci sia chi ti ha fatto arrabbiare». La voce di Gian alle spalle è placida, ma ferma. «Disciplina. Il pugilato è disciplina. Quella roba lì non lo è».
Ha ragione.
Faccio un grande respiro e torno in me.
Mi sono lasciata trascinare.
Riesco ad andare avanti dieci minuti, poi i miei arti superiori rifiutano di obbedire ai miei ordini come se il joypad si fosse staccato dalla presa.

Mi è comunque bastato per tornare padrona di me stessa.

Torno a casa in autobus e mi fermo a prendere una pizza da asporto. Non ho voglia di cucinare. Anche solo piegare le braccia per tenere il cartone tra le mani mi riesce difficile. Un dolore che però è quasi piacevole. Non come quello che ho nel petto.

Non ceno come si deve da giorni e stasera quasi sono sorpresa quando ingoio l'ultimo pezzo di Margherita.
Sono le dieci di sera e io sono talmente stanca che l'unico desiderio sarebbe andare a dormire. Invece almeno una doccia devo farla.
Sotto il getto ripenso alla mia folle idea di giocare all'investigatrice, di nasconderlo all'amico per cui ho iniziato tutto questo, tra senso di colpa per come mi comporto nei suoi confronti e perché inizialmente non avevo a che fare con un omicidio, ma con una persona scomparsa.

Mi tampono in modo grossolano, l'acqua fresca sulla pelle mi fa piacere. Vado in camera, apro la finestra tenendo chiuse le persiane e mi sdraio al buio, nuda.

Il suono penetrante di un allarme mi sveglia di soprassalto.
Arriva da giù, in strada, probabilmente un'auto.
Mi sono addormentata e non ho idea di che ora sia.
Ho i brividi anche se fa caldo.
Sono sicura che l'assassino dorme sonni tranquilli dopo tutto questo tempo. Perché io invece devo scattare come una molla in questo modo? È lui che dovrebbe sentirsi braccato e invece me lo figuro sotto il lenzuolino, magari con il condizionatore acceso.
Mi alzo e vado alla ricerca del laptop. Non ricordo neanche dove l'ho lasciato l'ultima volta.
Lo trovo sul divano del soggiorno. L'orologio segna le 3:57.
Apro il forum e rispondo direttamente a quel messaggio "Ok, giochiamo".
È l'unico appiglio a cui posso aggrapparmi.
"La partita è iniziata. Il registratore è tra le mie mani".
Spengo tutto e torno a dormire.

Il giorno dopo la postazione di Dave resta vuota.
Non è venuto neanche oggi.
Mi sono sforzata di essere pure carina con la nostra responsabile del personale per scucire qualche informazione e mi ha detto che Davide si è preso ferie sino a lunedì prossimo per un improvviso impegno famigliare.
Un WhatsApp di Giacomo attira la mia attenzione. "Stasera aperitivo?" Nell'anteprima c'è già tutto. La promessa di una serata piacevole. Non ne ho voglia e lui non ne ha colpa. Non entro nella chat per prendere tempo.

Nel corridoio incrocio Stefano e la consapevolezza che domani io e Dave non possiamo andare da lui mi investe tutta insieme.
«Ste», lo fermo parandomi davanti a lui.
Il suo metro e novantatré è notevole, quando troneggia su di me. Venti centimetri si fanno sentire.
«Io e Dave abbiamo litigato, ieri. Per la questione della mia indagine e lui non l'ha presa bene. Talmente male che si è messo in ferie e quindi credo che domani non verremo da te. Cioè, se vuoi io vengo lo stesso. Ho voluto dirgli tutto e tu non sai gli ultimi sviluppi... nella cittadella ho trovato davvero un registratore con una voce computerizzata».
Si mette un dito davanti alla bocca. «Ok».
Non mi sembra di aver capito. «Ok, cosa?»
Punta l'indice verso di me e mi sorpassa. Non è giornata evidentemente.
«Va bene, solita ora?» urlo.
Non risponde.

A metà mattinata Giacomo arriva da me. «Caffè?»
Il suo bel sorriso è più incerto rispetto ai giorni scorsi. Non ci voleva.
«Sono un po' incasinata, ma ok». Glielo devo.
Davanti alla macchinetta emerge la sua insicurezza.
«Ti ho scritto, ma non hai letto. Però ho visto che hai risposto alla chat aziendale e quindi non so se mi stai evitando perché in realtà ti sei già stufata o per altro».
Il fatto che pensi così di me perché non gli ho risposto per due ore mi fa scendere un po' la stima che avevo per lui, non appiccicoso e consapevole del tipo di rapporto che stiamo instaurando. Dall'altro lato posso capire che il pregiudizio che tanti hanno su di me possa aver attecchito anche in lui, nonostante sia stato molto chiaro l'altra sera.
«Non sono giorni facili a livello extralavorativo e non sono molto dell'umore, quindi rinvierei al fine settimana se ti va. Tu non c'entri niente. Questioni famigliari». Faccio una finta espressione contrita.
«Oh, ok. Spero si risolva tutto». Il sorriso non è ampio per ovvi motivi, ma nei suoi occhi c'è una luce diversa, più serena.
Stasera in realtà ho qualcosa da fare. Ho bisogno del buio per realizzarla per evitare di dare troppo nell'occhio e avere troppa gente attorno.
Scrivo a Serena il mio piano: "Stasera mi servirebbe la tua auto".
Risponde dopo dieci minuti: "Devi andare in camporella? Hai nostalgia di quando non avevi una casa?"
La sua battuta stempera tutta la tensione. RIlascio le spalle.
"Ahahha, no. Devo prendere in prestito una transenna di quelle abbandonate da settimane su qualche buca in città"
"Per fare cosa? E non sto pensando a un gioco erotico".
"Per rendere più credibile l'apertura del tombino che mi porterà sotto piazza Fontane Marose"
"Sei diabolica, potrei segnalarti ai miei datori di lavoro".
"Preferirei di no, fare la programmatrice mi piace".
"Ok, ok... giura che questa è l'ultima follia che facciamo insieme su questo caso".
"Giurin giuretta".
"A che ora passo a prenderti a casa?"
"Alle undici? Ok che è giugno e la gente esce la sera, ma intendo andare in un posto poco frequentato".
"Aggiudicato, a dopo!"

Sono le nove e ho già cenato. Mancano ancora due ore all'appuntamento con Serena e io sono già agitata. Cammino avanti e indietro per il corridoio per diversi minuti e alla fine sposto I delitti della Rue Morgue e faccio scendera la scala con l'interruttore.
Apro Underground e proseguo la partita di Dave da sola. Questa volta si tratta di scendere in un tombino di qualche metro. Il cunicolo è stretto, ma alto e consente a un uomo di camminare in posizione eretta.
La torcia illumina un bivio a 180°: a destra una sorta di apertura scavata nella roccia, a sinistra un cunicolo di cui non si vede la fine. Il suono di acqua che scorre è ben presente.
Devo controllare tutto per non farmi sfuggire niente quando deciderò di scendere là sotto.
Mi affaccio dall'apertura e illumino quella che nelle lapidi è chiamata la cisterna: una pozza d'acqua di cui non si vede il fondo. Un movimento improvviso mi fa sobbalzare. Mi do della stupida perché lo so che ci abbiamo messo due anguille come vuole la leggenda. Sulla superficie galleggia una sorta di piccolo gommone.
Giro dall'altro lato e percorro il cunicolo che dopo pochi metri si interseca con il Rio Sant'Anna. Il terreno su cui si cammina diventa precario e l'Indiana Jones perde qualche punto vita scivolando a terra.
Il rio scorre sotto il centro storico e bisogna capire a quale tombino fermarsi per poter entrare direttamente dentro la banca.
Mentre cerco di accelerare le operazioni spero che il mio rivale non voglia farmi davvero andare sino in fondo, visto che a quanto pare quell'apertura è ben sorvegliata. Vado dritta al tombino giusto per accelerare le operazioni e il personaggio scopre così che serve una particolare chiave esagonale per aprirlo.
Torno indietro e, con la consapevolezza di ciò che troverò, mi tuffo in acqua nella cisterna per raggiungere il piccolo gommone nero, praticamente mimetizzato visto il buio del posto. Il freddo dell'acqua fa perdere vita a ogni secondo, ma sono abbastanza veloce per poter acchiappare una brugola.
Reagisco subito all'attacco delle anguille ai piedi dell'archeologo e ritorno al tombino da aprire.
Bagnato dalla testa ai piedi il personaggio si trova nel bel mezzo di un caveau pieno di cassette di sicurezza disposte su due piani. Al centro un tavolo di legno con un foglio. L'allarme scatta non appena fa un passo. Recupera il foglio con un indirizzo giusto in tempo prima che chi sta aprendo l'enorme cassaforte rettangolare entri nella stanza. Lo faccio tornare di sotto richiudendo il tombino. Sapere già cosa fare è stato determinante per evitare lo scontro a fuoco con i poliziotti.
Può bastare per stasera.

Sono le dieci e mezza e finalmente posso prepararmi per uscire.
Scendo di sotto e quando apro l'armadio squilla il telefono. Di sicuro Serena mi dirà che ritarda. Lo tiro fuori dalla tasca dei pantaloncini e senza neanche guardare.
«Ehilà, io sono quasi pronta per la nostra missione segreta. Non dirmi che tu sei ancora in alto mare».
Dall'altro lato sento silenzio e un respiro.
«Sere?»
«Sono Deborah».




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