21. Giochiamo
Domenica 16 giugno 2019
Mai decidere all'ultimo di andare al mare senza portarsi l'ombrellone e soprattutto parlare, parlare e ancora parlare dimenticandosi di rimettere la crema solare.
Ho passato la nottata a pancia in giù perché le spalle mi bruciavano troppo.
Così questa domenica la devo trascorrere a casa. Non mi va neanche di mettere la tuta per andare a fare un giro in moto. Domattina inizio la riabilitazione e spero che mi dicano quando potrò tornare a tirare qualche pugno al sacco.
Stasera Dave viene a giocare a Underground, mi ha mandato un messaggio di conferma proprio ieri.
Trascorrere la giornata in mansarda non è il massimo. Il tetto scalda. Per cui porto il laptop nel soggiorno e torno a occuparmi di Roberto Pastorino. Ho tantissimi buchi da colmare sia su di lui, sia sui suoi amici. L'aiuto di Stefano sarebbe stato molto utile, ma spero di riportarlo dalla mia parte dopo essere tornata alle lezioni del giovedì.
Cerco su Facebook quel Lo Pan, ma il profilo non esiste più. Coscienza sporca? Paura di essere individuato come persona informata su Pastorino? Chissà... Spero davvero che Stefano possa tornare ad aiutarmi in questa direzione.
Provo a fare qualche ricerca usando i google dorks, non essendo brava come il mio amico e collega sul deep e dark web; mi limito a mettere in pratica quello che ci ha insegnato per trovare qualche segreto cercando ciò che non è indicizzato.
Provo a fare una ricerca, esclusivamente dentro Facebook e ai jpg, collegata all'urbex e all'Aquila, visto che Stefano mi aveva dato questa informazione, per capire se riesco a risalire a ciò che ha trovato lui. Del resto Facebook lo collego a quel commento sibillino prima che si scoprisse che Pastorino era morto, chissà che non si riesca a trovare comunque qualcosa. Pastorino avrà ben avuto degli amici nell'ambiente, immagino.
Google mi riporta una lista non troppo lunga tra gruppi, pagine, profili personali con foto pubbliche. Spulcio tra i risultati per scovare qualche indizio. Gli unici riferimenti espliciti sono i nomi di tre o quattro fotografi professionisti che hanno sul loro sito diverse immagini di esplorazione di luoghi abbandonati in tutta Italia.
Amplio le ricerche e finisco sulla pagina di un gruppo genovese che ha una ricca galleria di posti sotto terra di cui ignoro l'esistenza: si va da un bunker Nato di cui non viene diffusa la localizzazione, pur specificando che non è in Liguria, con ancora resti di apparecchiature di controllo, cartine del mondo e qualche sedia intatta in una sala riunioni in rovina, a cunicoli stretti e colmi d'acqua dai colori ferrosi. Mi colpisce la gallery di una villa di Portofino che dalla descrizione sembra proprio quella che è ormai marchiata come maledetta, dove morì una famosa contessa, precipitata dalla scogliera in circostanze misteriose. L'abbandono della parte esterna, con la piscina ormai ridotta a una tinozza che raccoglie pioggia e foglie marce, le persiane scrostate e le tende ormai a brandelli, contrasta con la bellezza degli affreschi liberty all'interno: impiego qualche secondo per capire che le foglie su una delle pareti non appartengono a una pianta cresciuta in qualche fessura, ma all'effetto ottico voluto dall'artista quando le ha dipinte. La villa non ha più mobilio, ma conserva il suo fascino grazie agli stucchi, alle pitture ancora intatte, ai marmi dei camini e delle vasche da bagno.
Sbuffo. Il problema è che in queste foto non compaiono gli autori e le uniche immagini che ritraggono qualcuno lo mostrano con una maschera di sicurezza per evitare di respirare qualche sostanza nociva. Nessun nome, nessun modo per riconoscere chi ci sia dietro la pagina chiamata Genova abbandonata.
Stufa di inanellare insuccessi, provo a cercare i profili Facebook dei genitori di Pastorino. Dopo la morte i nomi erano stati diffusi e magari sono fortunata. Indagare su chi fosse la vittima alla fine era un appunto mentale che mi ero presa e che non ho mai avuto tempo di approfondire.
Giovanni Pastorino ed Elena Pizzorno li trovo dopo un paio di tentativi scartando gli omonimi improbabili per età e localizzazione. Non postano nulla dal giorno del funerale, quando hanno ringraziato per il sostegno i loro concittadini. Andando a ritroso vedo che comunque non erano molto attenti alla privacy. Prima della condivisione del volantino di scomparsa, Elena postava qualche buongiorno con il cielo rosa sopra i tetti masonesi. Come foto profilo ha una rosa bianca.
Giovanni ha trasmesso al figlio il naso pronunciato e l'abitudine di portare la barba, oltre alla forma del viso spigolosa. Pur non essendo loro amica, trovo diverse foto accessibili. In questo caso si tratta di qualche immagine di gruppo con quelli che sembrano coetanei attorno a un tavolo e panorami bucolici dell'entroterra ligure. Nessuna fotografia col figlio. Forse la cosa migliore sarebbe tornare in quel bar di Masone e scucire qualche informazione in più. Nei paesi piccoli il concetto di riservatezza non esiste.
Torno sul forum per vedere se c'è qualche altro messaggio di risposta al mio e in effetti quelli non letti risultano tre.
Il primo arriva da KnuckleDust: "Mmh quelle tinte non c'entrano nulla, sono già più avanti". SandySun, con il volto di Lunafreya Nox Fleuret di Final Fantasy XV, risponde al commento sul daltonismo: "Non può essere daltonica, Miao Yin è una donna. Qui hai proprio preso una cantonata, a meno che il nick non sia in realtà di un uomo".
Sto per rispondere che pur essendo molto raro, anche le donne possono essere daltoniche se hanno entrambi i genitori che soffrono di questa condizione, ma la mia attenzione viene catalizzata dall'ultimo commento postato proprio poco fa da un certo DadOfTheDead: "Ok, giochiamo".
Mi stofino gli occhi per capire se ho letto bene. Clicco sul nickname e scopro subito che l'utente è al suo primo post e soprattutto che ha dato scarne informazioni su di sé. Il cuore accelera e lo sento presente nel petto. Che sia lui? Mi passo le mani tra i capelli. Non so cosa fare. Devo chiamare Serena.
Risponde al quinto squillo. «Sono andata a comprarmi il doposole più caro del supermercato per limitare i danni delle ustioni di ieri».
«Forse ho intercettato l'assassino». La gelo così, senza girarci troppo intorno.
«Ok, se me l'avessi detto un paio d'ore fa non avrei neanche comprato il doposole».
Le racconto rapidamente quella risposta e lei mette un freno alle mie elucubrazioni: «Non è detto che sia un'ammissione di colpevolezza. Tu hai scritto "giochiamo?" e qualcuno ha risposto, magari senza badare troppo al tuo messaggio. I livelli di comprensione del testo oggi hanno raggiunto il sotto zero. Però cerchiamo di non chiudere questo possibile spiraglio. Pensiamo a un'interazione che non sia troppo sgamabile».
Restiamo in silenzio qualche secondo.
«Che ne dici se scrivessi "Va bene, vediamo cosa succede al prossimo livello?"» propongo.
«Mi sembra una buona idea».
«Andata».
Scrivo la risposta mentre siamo ancora al telefono.
«Ora però non starmi tutto il pomeriggio attaccata al computer per vedere se risponde».
«Mi conosci troppo bene. Leggerò qualcosa prima che arrivi Dave a casa a giocare a Underground».
Ci salutiamo e riprendo in mano Le tre bare. L'indagine di Gideon Fell l'avevo abbandonata da un po' ma basta poco per accalappiarmi di nuovo: non solo non c'è nessun indizio su come l'assassino possa essere uscito dallo studio del dottor Grimaud, la vittima, ma le cose si complicano con la descrizione di un altro omicidio collegato al primo, seppur sembri impossibile perché avvenuto proprio una ventina di minuti dopo.
Il pomeriggio scorre via veloce e quando arrivo alla lezione che Gideon Fell fa sulla classificazione degli assassinii della camera chiusa comprendo che ancora non ho ben capito come sia andata là nel Diurno. Si può classificare come un delitto del genere? Forse documentarmi sui vari ingressi non sarebbe male. Rileggo più volte quella parte:
Per principio sono escluse soluzioni che prevedano il ricorso ad elementi soprannaturali nonché a banalità quali passaggi segreti, pareti scorrevoli e così via.
Uno. Non è un assassinio ma una serie di coincidenze che finiscono in un incidente. C'è il delitto commesso in una stanza ermeticamente sigillata e dalla quale nessun assassino è mai uscito perché non c'era nessuno.
Due. È un delitto, ma la vittima è costretta ad uccidersi o a soccombere accidentalmente.
Tre. È delitto per mezzo di un congegno meccanico installato nella stanza e nascosto in qualunque mobile dall'aspetto innocente (arma nascosta nel ricevitore del telefono, una pendola, una scacchiera elettrificata...).
Quarto. Un suicidio con l'intenzione di farlo apparire un omicidio (uomo che si accoltella con un ghiacciolo e il ghiaccio si scioglie...).
Cinque. È un delitto che trae la sua difficoltà dalla illusione ottica e dalla personificazione.
Sei. È un delitto che, per quanto commesso da qualcuno sul momento fuori dalla stanza, sembra commesso da qualcuno che doveva essere stato dentro la stanza.
Sette. Questo è un delitto che dipende da un effetto esattamente opposto a quello del numero cinque. Cioè si presume che la vittima sia morta molto prima di quello che è in realtà.
Credo che nel caso di Pastorino possano essere escluse la uno, la due, la tre e la quattro. Sulla cinque non capisco cosa intenda con personificazione, però la sei e la sette mi danno da pensare. In effetti Pastorino è stato trovato qualche giorno dopo la scomparsa, da quello che ho letto, e non è mai stata determinata l'ora esatta della morte.
Il suono del campanello mi fa scattare. Guardo l'ora: le 20:30. Dave è arrivato e io non ho neppure cenato.
Il mio amico stavolta mi ha portato una Coca Cola, sghignazzando e facendo riferimento a una festa delle medie.
Io ordino un hamburger a domicilio.
Ci trasferiamo nella stanza segreta e ricominciamo a giocare.
Dave apre il lucchetto della porta del rifugio antiaereo di Campi e non posso non pensare alle chiavi riprodotte con la stampante 3D nel cassetto del mio comodino. È notte e il nostro personaggio ha una grossa torcia tra le mani, oltre che una lampada frontale sul caschetto di sicurezza.
Percorre un tunnel che si sviluppa in lunghezza dopo una specie di Z.
«Perché non l'avete fatto dritto?»
«Abbiamo riprodotto fedelmente quei tunnel. Le curve a novanta gradi sono i muri anti-soffio che impedivano allo spostamento d'aria di un'eventuale bomba di fare danni a chi era dentro al rifugio».
I passi sono attutiti dalla pavimentazione piena di terra e polvere. Le pareti sono di mattoni a vista in questa prima parte di percorso e l'unico suono è quello degli archi riprodotti con la tastiera di Pietro che dà al tutto la solita sensazione di apprensione.
«Mi assicuri che non si trasforma in uno sparatutto contro gli zombie, vero?» mi chiede preoccupato Dave.
«No. Stai tranquillo. Devi guardarti da altro».
Arriviamo dal primo portellone in ferro ormai arrugginito. Non ha maniglie, né serratura ed è aperto. Dave ignora il meccanismo di chiusura dal di dentro ed entra. Resisto a non dargli indicazioni.
La musica riduce il volume e ora i suoni sono principalmente quelli del luogo.
Il cunicolo adesso è più largo, l'arco superiore ricorda più un tondo che un ovale. Le pareti sono grigie per la calce e in alcune zone si vedono chiaramente delle formazioni calcaree che iniziano a formare delle stalattiti sottili. Il personaggio alza la visuale e un grosso tubo d'aerazione incombe sulla testa. I sostegni sono arrugginiti.
«Questo non mi sembra molto sicuro».
Si sposta appena in tempo: una parte della struttura crolla a terra improvvisamente.
«Non so se il suo è culo o classe, Fantozzi» rielaboro la citazione cinematografica per fargli i complimenti.
«Sono già sudato e abbiamo appena cominciato».
L'esplorazione procede avanzando nel buio, con il cono di luce che illumina solo pochi metri davanti a noi.
Proprio sopra un pezzo di tubo già crollato da tempo Dave nota diversi oggetti: una sveglia, un piatto sbeccato, qualche bottone, un pezzo di vetro molto spesso, una lampadina, una lima, un cuneo di legno, una spugna. Il personaggio li raccoglie tutti.
Procediamo e arriviamo a un bivio.
«E ora?»
Fingo di non sapere cosa lo aspetta. Lui sceglie di andare a sinistra e dopo qualche passo ci troviamo negli orinatoi. Cinque porte alla destra del giocatore, quattro aperte e una chiusa.
Le turche hanno la ceramica ormai scurita dall'assenza di pulizia, Dave compie una sommaria esplorazione e arriva davanti all'ultima porta.
Si volta verso di me per carpire qualche suggerimento, ma sono allenata alla poker face.
Apre la porta e viene investito da una fiumana di ratti. Alcuni lo mordono, facendogli perdere vitalità.
«Cazzo!»
Sta per tirare fuori la pistola. Stavolta parlo.
«Hai qualcosa nello zaino che può essere più utile di proiettili sparati in un luogo così stretto e contro bersagli piccoli e rapidi».
Apre il menù degli oggetti e li passa in rassegna.
«Uff... cosa servirà? A esclusione direi no i bottoni, no il piatto, forse col vetro possiamo difenderci?»
Prova a equipaggiarsi così, ma ottiene solo altri morsi. La sua forza vitale è quasi esaurita. Torna sul menù.
«Forse la spugna? Magari è avvelenata».
La getta nel mucchio e i topi vengono attirati come una calamita. Qualcuno inizia già a morire dopo i primi morsi.
Dave ne approfitta per filarsela.
Torna sui suoi passi e rientra nel tunnel principale. Attraversiamo alcuni spazi in cui compaiono delle scritte eloquenti: "Non fumate. A molti vostri compagni l'aria viziata dal fumo provoca malessere. Date prova di educazione". "Avanzate rapidamente, non pensate solo a voi stessi i vostri compagni sono ancora in pericolo all'esterno".
«Non oso pensare a come si sentisse questa gente lì sotto» mormora Dave e anche a me risulta difficile mettermi nei panni di chi ha vissuto quei momenti più di settant'anni fa.
Un tonfo e un suono ritmato sospetto lo fa sobbalzare.
«C'è qualcuno qui sotto? Sembrano passi».
«Lasciare tutti gli ingressi aperti non è stata una buona idea. Buona fortuna».
Driiiiiinnnn
La sveglia che ha raccolto ha un tempismo perfetto e suona proprio in questo momento.
Dave dà l'ordine al suo personaggio di correre, ma la sua vitalità è così bassa che non gli consente di andare forte quanto vorrebbe.
«Chi c'è?» Una voce maschile e minacciosa rompe il silenzio.
Dave decide di non guardarsi indietro e procede in avanti sperando di seminare chi lo sta cercando.
Sul fondo comincia a intravedersi una specie di grata rotante, l'enorme tornello che serviva a smistare le persone che si affrettavano a entrare, in modo che non si schiacciassero l'una sull'altra. Il rumore dei passi si avvicina.
«Fermo!»
Dave si volta giusto in tempo per scorgere quella che sembra abbigliata di blu notte come una guardia giurata. Ignora l'alt e si catapulta sul tornello, lo fa girare e poi ha un'idea. Apre il menù, estrae il cuneo e lo piazza in modo che il meccanismo si inceppi.
Il rumore di uno sparo lo fa saltare sul divano, ma per fortuna non è stato colpito.
L'inseguitore batte contro il metallo, ma pare bloccato.
Il mio amico, con la torcia, illumina l'unica via che gli resta: una scala completamente glassata dal calcare. La luce la fa brillare come se fosse tempestata di pietre preziose.
«Quasi un peccato salirci sopra», commenta.
Fa un passo e scivola. Il suo personaggio rischia di morire sul serio, la sua forza vitale è ridotta al lumicino.
Si appoggia al muro e procede sino in cima. Sopra l'ultimo scalino c'è un parallelepipedo scuro.
Avvicinandosi scopre più dettagli.
«Un registratore?»
Lo esamina e scopre che dentro c'è un'audiocassetta, come quelle che usavano negli anni Ottanta.
Senza esitare preme play.
Dopo qualche secondo di attesa ecco una voce di uomo: «Ho scoperto un passaggio per arrivare dentro una banca e non ci crederai. Ci si arriva da sottoterra. Questa è la chiave: Nell'anno della Natività del Signore 1427 Leonardo dei Campioni, Aragone Giustiniano, Giovanni de Marini e Giovanni Scaglia, venerandi padri del comune e conservatori del porto e del molo, un tempo, piena dal mese di dicembre, fecero evacuare e pulire dalla melma questa presente fonte marosa di cui la profondità è di 652 palmi genovesi».
La registrazione si interrompe. Ecco l'aggancio con il livello successivo. Ora non ci resta che uscire.
Il personaggio mette in saccoccia il registratore ed esplora ciò che resta. La via è chiusa. Il tunnel è terminato qui. Di tornare indietro non se ne parla. Guarda in alto e scopre una grata che dà verso l'esterno.
«Credo sia il momento di usare la lima» esclama Dave.
Mentre il suo Indiana Jones trova la sua via di uscita maturo la mia decisione: domani sera andrò io là sotto.
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