20. Il giorno dopo
Sabato 15 giugno 2019
Apro gli occhi e l'odore di sesso invade le narici anche se i sensi sono ancora ovattati.
La luce che entra dalle persiane e colpisce la sedia maggiordomo mi dice "mattina avanzata".
Giacomo è nudo e dorme su un fianco con la faccia rivolta verso di me. Il lenzuolo è in fondo al letto.
La nottata è andata sin troppo bene, siamo stati anche bravi a non affaticare la mia gamba: il ragazzo ci sa fare e l'intesa al primo colpo non è mica scontata.
Pensavo a una one night stand, ma forse ogni tanto non sarebbe male riproporgli un aperitivo.
Guardo l'ora sul comodino e quel dieci illuminato urla "affrettati".
Devo svegliarlo. Ho un appuntamento con Serena.
Mi alzo dal letto e vado ad aprire le persiane sperando che non ci sia nessuno dei vicini di fronte che si scandalizzi a vedere una novella Eva sporgersi per agganciare al muro le ante.
«Buongiorno». Si stiracchia e si copre gli occhi con la mano.
Trovo le mattine dopo sempre un po' imbarazzanti perché spesso il partner non sa bene come comportarsi, per cui prendo in mano la situazione e no, non riguarda l'erezione mattutina di Giacomo. «Ben svegliato. Non voglio metterti fretta, ma mi ero scordata di avere un impegno in centro alle undici. Mettiamola così, ti posso anche riaccompagnare a casa. Se vuoi fare una doccia io do una sistemata veloce a questo casino». Con un gesto del braccio indico i nostri vestiti sparsi a terra e i preservativi usati sul comodino. Glielo dico sorridendo per non ferirlo. Lo so di essere troppo brusca, a volte.
«Non c'è problema, mi lavo a casa se hai fretta». Si tira su con un colpo di reni.
«Io una doccia invece me la farei subito».
Filo in bagno e in cinque minuti mi rinfresco. Avere i capelli corti ha il vantaggio che l'asciugatura è un optional in ogni stagione, a giugno ancor di più.
Torno in camera e raccolgo quanto abbiamo seminato durante la nottata.
Giacomo è in cucina. In qualche modo ha trovato la moka e il caffè e ha acceso il gas.
Apro lo sportello dove tengo i biscotti, ma nel barattolo ne sono rimasti due.
«Prendiamo 'sto caffè, ma poi ti offro colazione al bar qui vicino». Me la cavo così e lui sembra non saper bene cosa dire.
Sospiro e mi avvicino, gli passo una mano sulla guancia appena ruvida per la barba in ricrescita e gli stampo un bacio sulla bocca. È sorpreso.
«Stanotte è andata benissimo, non ti sto cacciando di casa perché non mi sei piaciuto. Questo impegno è uscito dopo che ci siamo dati appuntamento e riguarda la mia migliore amica. Per cui non farti paranoie, mi piacerebbe che ci vedessimo per altri aperitivi». Ammicco.
Lui mi guarda scuotendo la testa e sorride.
«Sai che girano voci su di te? Che sei strana, che sei una mangiauomini... avevo quasi paura ieri sera. Però è la prima volta che non mi sento in colpa per una scopata, anzi, per una scopata tra colleghi e tutte le implicazioni che di solito porta».
La caffettiera si fa sentire. Mi occupo di spegnere il gas e servire.
«Sono quasi sicura che non hanno usato la parola mangiauomini. Per questo eri sempre intimidito in ufficio? L'importante è mettere in chiaro le cose sin dall'inizio» gli spiego mentre sorseggio il liquido, «il problema è che di solito uno dei due poi aspira a qualcosa di più e il patto iniziale viene tradito. Si crea un bug che non porta vantaggi a nessuno».
«Hai ragione sul termine usato, ma quell'altro non mi piace. Mi pare di capire che quello che si fa dei film, romantici in questo caso, sia sempre il lui della situazione... » sorride e si porta alla bocca la tazzina.
«Non avrei questa fama» ammetto. Giacomo mi sta sorprendendo in modo inedito.
«E il fatto di sapere che ce l'hai questa fama come ti fa sentire?» I suoi occhi nocciola si accendono.
Alzo le spalle e sento che posso essere sincera.
«Non me n'è mai fregato niente dell'opinione della gente. Come avrai notato non ti ho neanche chiesto chi ti ha detto quella roba di me. Ho fatto informatica all'università, del resto. Anzi, è meglio che lo pensino. Così non devo neanche giustificarmi della mia condotta poco consona a quello che è il modello base di una donna. Quello ideato da loro».
Posa la tazzina sul lavandino e si avvicina, felino. «A me 'sta bene questo nuovo prototipo».
Non mi disturba essere avvinghiata ai fianchi, né il bacio al sapore di caffè. Mi distacco dopo averlo assaggiato solo perché non voglio far aspettare Serena.
Lo porto in uno dei bar sulla passeggiata di Pegli per mangiare qualcosa. La spiaggia è già piena di bagnanti, gente di qui che non ha voglia di mettersi in coda e in concorrenza con milanesi e torinesi per le località più rinomate. Se penso che sino a qualche anno fa non si poteva fare il bagno per le acque inquinate è un bel passo avanti.
Alle 10:45 saliamo in sella.
«Ora che ci siamo conosciuti anche in modo biblico puoi dirmelo che avevi paura di venire in moto con me» scherzo.
«Si vedeva così tanto?» confessa protetto dal casco.
«Decisamente. Avevi paura della mia guida o non sei abituato in generale?» Non aspetto la risposta e metto in moto. Il rombo della Ninja gli fa fare uno scatto involontario verso di me.
«Non vado d'accordo con le due ruote» mi urla nell'orecchio, «non sono mai stato abituato».
In un quarto d'ora arriviamo a destinazione. Parcheggio vicino a piazza Caricamento, sotto la sopraelevata che fa ombra alla sella. Il mio passeggero si è comportato meglio in questo viaggio di ritorno: molto più rilassato e in sintonia con i miei movimenti. Sarà merito della nostra nottata insieme?
«Ci vediamo lunedì?» Gli faccio una domanda retorica e non so neanche perché, mentre mi restituisce il casco.
«Certo, in quella gabbia di matti».
Non si avvicina per baciarmi e lo apprezzo. Alza solo il braccio per salutare mentre si allontana per dirigersi verso via San Lorenzo.
Mi affretto verso la piazzetta che mi consente di tagliare un pezzo di strada e raggiungere via San Luca attraverso una scala di pietra. In pochi secondi passo dagli spazi larghi e assolati all'ombra e all'odore forte di umanità dei vicoli. Le stradine sono i cavi di fibra che collegano case alti sei o sette piani. Il vento difficilmente arriva qui.
C'è gente, soprattutto turisti che vogliono vivere l'esperienza di passeggiare nei caruggi ma il loro percorso segue la via principale. Nelle viuzze più strette si stagliano le ombre delle prostitute che attendono i clienti per portarli nei bassi, alcove d'amore mercenario.
Svolto in via della Maddalena e dopo pochi passi sono davanti al luogo dell'appuntamento. Serena non c'è ancora e neanche la sua amica. In vetrina ci sono varie realizzazioni frutto della stampa 3D: vasi per fiori, giocattoli umanoidi, braccialetti, porta cellulare.
Anche l'insegna "Maddalena Lab" sembra creata così, con le lettere stampate in arancione.
Alle 10:15 Serena, con sigaretta in bocca, arriva insieme a una ragazza bassina e tarchiata, con una testata di capelli ricci neri.
«Ciao» sorrido verso la mia amica, non sapendo come approcciarmi vista la telefonata turbolenta del giorno prima.
«Scusa il ritardo. Sono passata a prendere Roberta» soffia insieme al fumo.
Né troppo espansiva né troppo chiusa.
Mi adeguo.
«Piacere, Gloria» allungo la mano e Roberta la stringe saldamente sorridendomi.
«Venite», dalla tasca delle bermuda estrae un mazzo di chiavi e ci fa entrare.
L'ambiente è semplice: pareti bianche, quattro scrivanie messe una di fronte all'altra per creare un tavolo più ampio, qualche monitor a cui agganciare i portatili e, nell'angolo più lontano, c'è lei: quella che sembra una specie di scatola senza pareti e con i bordi in metallo. Al centro, sul lato orizzontale, c'è una piattaforma piana e sulla parte superiore una barra che sostiene un blocco da cui fuoriesce un ugello perpendicolare al piano.
Si siede davanti all'unico computer fisso presente nella sala. «Eccoci qui, Serena mi ha detto che avevi bisogno di un favore e siccome io gliene devo tanti sono pronta ad aiutarti».
Guardo la mia amica, che annuisce invitandomi a parlare.
«Avrei bisogno di riprodurre una chiave da una foto che ho scattato con il cellulare».
Resto zitta e la guardo, cercando di cogliere qualche espressione involontaria.
Lei non fa una piega.
«Ok, non voglio sapere a cosa vi serve» alza le mani, «ma di Serena mi fido. Spero però che non sia una chiave troppo complessa e soprattutto che le foto siano belle nitide e abbiano qualche riferimento per le dimensioni. È una delle stampe in cui non si può sbagliare nulla. Serve anche mano ferma». Non riesco a capire a cosa si riferisca, ma non faccio domande.
«Ho usato il mio pollice per la scala». Le consegno una chiavetta usb con le immagini.
Apre sul monitor i file e avvicina il viso allo schermo. Stringendo gli occhi. «Non male. Farei due o tre copie con qualche piccola modifica sullo spessore della chiave, perché spesso non si capisce molto da una foto. Avresti dovuto fare anche uno scatto della serratura».
Mi misura il dito con un metro rigido e riporta tutto su un software di modellazione. Con grande precisione traccia i contorni dell'oggetto usando uno zoom e il programma compie la "magia": la chiave è diventata un master da dare in pasto all'altro applicativo che poi dialogherà con la stampante.
«Non abbiamo il materiale ideale per la stampa di una chiave, ma spero che vada bene lo stesso. Mi auguro che la profondità della scanalatura sia corretta, per fortuna è piuttosto semplice come forma. Per curiosità, serve per una porta o che altro?».
Non so cosa rispondere perché non mi sono mai posta la domanda, ma forse posso provare a capirlo. Il mio cervello fa due più due e mi sorprendo di quanto sia stata sciocca.
Afferro l'avambraccio di Serena, accanto a me e lo stringo sotto al tavolo. «Posso darti questa informazione e anche la foto della serratura, forse. Dammi un minuto».
Esco nel vicolo e prendo il telefono. Serena mi segue.
«Conosco questo atteggiamento». La voce è di nuovo amichevole. Ne approfitta per accendersi un'altra sigaretta.
Mi collego al cloud dell'ufficio e alla sezione dedicata a Underground. Ogni livello ha il suo materiale fotografico e spero che abbiano pensato a scattare immagini anche all'ingresso della cittadella di Campi.
Clicco sulla cartella dedicata al rifugio antiaereo della val Polcevera e inizio a scorrere la sezione foto. Le prime sono proprio dedicate all'ingresso e finalmente trovo quello che cerco: una pesante porta di metallo grigia e il tondo della serratura che compare sulla parte destra rispetto a chi guarda.
«Ecco qui» le mostro, fiera, ciò che ho trovato.
Mi strizza l'occhio. «Però sappi che sono sempre preoccupata per te e i tuoi colpi di testa che rischiano di metterti in pericolo».
Rientriamo e condivido la foto con Roberta, che riprende il modello e lo unisce al foro della serratura per capirne lo spessore. Fa qualche modifica e lo esporta di nuovo sul programma in grado di comunicare con la stampante. Imposta diversi parametri e poi dà l'invio.
Dopo pochi secondi l'apparecchio inizia a muoversi e ci avviciniamo per curiosare. L'odore di plastica sale alle narici. Dall'ugello esce un filo che riproduce a strati la chiave. Si tramuta in un solido di colore azzurro e a poco a poco la copia prende forma. Ne escono quattro in serie e comincio a capire perché Roberta ha accennato alla mano ferma. Dovremo in qualche modo estrarle dalla formina che le circonda.
L'amica di Serena ne stampa altre, mentre proviamo a non fare danni con quelle precedenti. Alla fine ho otto esemplari tra le mani.
«Ti conviene portarti dietro un coltellino e una lima, quando dovrai provarle. Difficile che entrino al primo colpo. Spero di esserti stata utile e fammi sapere se hanno fatto il loro dovere. Potrei specializzarmi in questa nuova applicazione della stampa 3D». Roberta spegne le apparecchiature e ci apprestiamo a uscire.
«Grazie, grazie davvero. Non mancherò di aggiornarti. Sei stata gentilissima e io intendo sdebitarmi appena possibile».
«Passami a trovare quando capiti da queste parti, un caffè per il disturbo va benissimo. Ora vado a fare un po' di spesa». Con un gesto della mano mi tranquillizza.
Serena la abbraccia forte e le due si dicono qualcosa all'orecchio.
Le nostre strade si dividono. Io e la bionda torniamo verso piazza Caricamento.
«Come l'hai conosciuta?» Sono curiosa.
«Abbiamo lavorato nella stessa azienda per cinque o sei mesi. Eravamo le uniche due donne del reparto e siamo diventate amiche frequentandoci per un po' anche fuori da là. Le ho presentato la sua attuale compagna».
Serena ha parcheggiato impunemente sull'area taxi e apre i finestrini della sua Smart per lasciare sfogare il calore all'interno dell'abitacolo.
«E ora? Quando andiamo a provarle?»
Il fatto che usi il noi mi scalda il cuore. Sono stata una sciocca a non condividere il mio piano di scrivere sul forum.
«Domani sera Dave dovrebbe venire a casa mia e affronteremo proprio quel livello. Vorrei imprimermi nella memoria tutti i dettagli per capire se dentro alla Cittadella il nostro uomo ha lasciato qualche indizio».
«Quindi da lunedì?»
«Direi di sì e direi anche di provarci di sera. Da quello che ho capito il cancello è dietro a una specie di circolo parrocchiale dove giocano i ragazzini della zona».
Penso al forum e tento di resistere all'impulso di controllare se sotto il mio post ci sono state altre risposte.
La nottata con Giacomo mi ha rilassata e anche oggi non voglio pensare al caso Pastorino.
La mia amica mi legge nel pensiero: «E tu non hai da raccontarmi qualcosa?» Si sfrega le mani.
Sospiro. Sì, parecchie cose.
«Eh già... mare?»
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