18. I dettagli fanno la differenza
Due chiavi identiche, inserite in altrettanti anelli metallici agganciati a due portachiavi minimal anch'essi gemelli: un quadrato con stampato un simbolo che ho già visto in questa stanza. Una C e due S intrecciate. Oro su sfondo nero. Un pezzo di carta appiccicato con lo scotch conferma che quelle dovrebbero essere il mio passepartout per accedere alla cittadella sotterranea di Campi.
Battaglia sta parlando al telefono con qualcuno gironzolando in giardino e non ho molto tempo. Non voglio rubare nulla. Afferro una delle due chiavi e la sistemo sulla scrivania più vicina. La superficie bianca fa spiccare il grigio metallico dell'oggetto. Afferro il telefono, appoggio il pollice accanto alla chiave, sistemata parallela e in verticale e scatto una serie di fotografie.
La voce del presidente del Centro Studi Sotterranei si avvicina e mi affretto a rimettere tutto a posto. Mi sono appena allontanata di qualche passo dalla cassettiera quando l'uomo torna nella stanza.
«Scusami, ma era importante. Stiamo organizzando un convegno internazionale qui a Genova per il mese prossimo. Arriveranno parecchi colleghi da tutto il mondo».
Negli occhi ritrovo quella luce che avevo colto in Alberto, quando a Boccadasse mi parlò del suo lavoro.
«Mi pare di aver colto un certo astio nei confronti di coloro che fanno urbex, prima della telefonata» lo riporto sul sentiero che volevo fargli percorrere prima dell'interruzione.
«Tu fai videogame, no?» risponde, cambiando tono e diventando molto serio, «pensa se ci fossero persone che si mettono a creare giochi rubando qualcosa che ti appartiene oppure addirittura introducendosi senza permesso nei tuoi programmi. Non me ne intendo, ma provo a cercare di fare un paragone a te comprensibile».
Non so se ho capito quello che vuole dirmi. «Sarei parecchio incazzata se qualcuno saccheggiasse il mio lavoro».
«Magari se avesse chiesto una mano, tu gliel'avresti data comunque. Così accade a coloro che non chiedono autorizzazione e magari si trovano dentro a case di proprietà di persone impossibilitate a rientrare in quelle dimore. C'è chi ha fatto urbex nelle abitazioni terremotate all'Aquila. Puoi immaginare cosa significhi per coloro che tra quelle mura non sono potuti ancora tornare, trovare magari delle fotografie sui social dei loro appartamenti».
La voce di Battaglia si abbassa di un tono e mi rende di nuovo inquieta.
«A Genova sono in tanti?» cerco di scacciare il brivido di tensione appena affiorato.
«Qualcuno. C'è anche chi è particolarmente attivo su Instagram e Facebook».
Inclina la testa e mi fissa.
Oso l'ultima domanda: «Ti sei fatto un'idea su chi possa avere ucciso quel ragazzo?»
Stringe gli occhi impercettibilmente e poi scuote la testa.
«Potrebbe anche essere stato colpito da qualche oggetto caduto all'improvviso durante l'esplorazione. In quel posto c'è parecchio materiale pericolante».
L'affermazione mi sorprende e mi fa scattare un altro allarme in testa. Battaglia è stato là sotto.
«Oppure ha trovato casualmente qualcuno che stava saccheggiando...» alza le spalle come se non gliene importasse granché di ciò che mi ha appena detto e batte la mano sulla scrivania.
«Allora, ti bastano i video?»
La mia faccia attonita lo fa ridere.
«Per rimediare al problema sul tuo videogame» aggiunge.
«Ah! Sì, sì certo» rispondo talmente in fretta che la sua faccia torna seria per un attimo prima di aprirsi in un nuovo sorriso.
«Sembra che alla fine tu ti sia dimenticata perché sei venuta qui».
Che mi abbia scoperta? Le serate giocando a poker con gli amici mi vengono in aiuto.
«Hai ragione, questo posto è talmente affascinante che mi sono appassionata». Non è un vero bluff, ma spero di essere stata convincente.
«Vieni a una delle nostre visite, allora. Se mi lasci l'e-mail ti faccio inviare il calendario alla fine dell'estate».
Gli detto il mio account lavorativo, preferisco non dargli il contatto personale. Non mi fido sino in fondo di quest'uomo.
Ci stringiamo la mano e lui la trattiene un secondo più del dovuto.
Quando torno in strada dopo aver ripercorso le scale esterne, tiro un sospiro di sollievo.
Scrivo subito dei miei progressi a Serena.
"Sono stata al Centro Studi Sotterranei e ho parlato col presidente, l'ho sollecitato anche su ciò che ci sta impegnando in questi giorni e lui non mi convince del tutto. Però non mi sembra neanche capace di compiere atti irreparabili. Non ho la chiave, ma mi sono arrangiata. Ora dobbiamo solo trovare chi sa riprodurla da una foto usando una stampante 3D".
Invio il messaggio con la foto più nitida allegata.
Non faccio in tempo a inviare che la notifica di risposta con una serie di emoticon che alternano stupore e sorrisi compare sotto al mio messaggio.
Serena sta ancora scrivendo.
"C'è un laboratorio nel centro storico dove creano un sacco di oggetti. Ci lavora una mia ex compagna di università, potremmo andare da lei domani a fine giornata. La chiamo per sapere se sono aperti".
Maledico la mia fretta nell'invito a Giacomo e faccio partire la telefonata.
«Non farlo!» la imploro quando risponde al primo squillo.
«Perché?» chiede quasi titubante.
«Ho dato appuntamento a Giacomo a casa mia».
«Finalmente mi dai retta!» è più eccitata di me.
Alla fine avrei preferito andare a farmi fare la copia della chiave. Non battere chiodo da qualche mese mi deve aver rammollita.
«Per cui potremmo andarci dopodomani, che ne dici?»
«Magari il tuo bello vuole fare il bis!» mi sfotte.
Non rinuncerei per due giorni di fila a questa indagine parallela.
«Chiamala e fissa un appuntamento tra due giorni. Dopo le cinque va bene».
«Dopodomani è sabato, comunque. Spero siano aperti. Ti aggiorno».
Riattacco e passo alla mossa successiva.
Apro Signal e scrivo a Stefano.
"Ho bisogno di parlarti".
La funicolare è appena partita quando mi risponde.
"Se è urgente vieni a casa".
"Arrivo".
Suono al suo citofono in via Fillak circa un'ora dopo.
Sua madre non viene ad accogliermi alla porta e non ci sono neanche le pattine all'ingresso. Guardo l'ora e il G-Shock segna le otto e cinque. Non ho pensato per un minuto al fatto che potessi disturbare una cena. Il silenzio però mi insospettisce.
«C'è qualcuno?» dico a voce un filo più alta del solito.
L'ingresso enorme e privo di finestre è buio.
Stefano appare silenzioso sotto l'arco che segna il confine col corridoio, ha le cuffie alle orecchie. Mi fa un cenno con la testa e torna verso camera sua.
«Ehi, ma tua madre non c'è?» chiedo andandogli dietro a piedi nudi. Le scarpe abbandonate accanto alla porta, come d'abitudine.
È già seduto alla sua postazione e fissa lo schermo.
«No».
Che non fosse serata l'avevo già intuito appena messo il naso in casa. Di solito il lavoro ai fianchi con Dave riesce sempre a stemperare queste sue spigolosità che ogni tanto riaffiorano in superficie.
«È la prima volta che succede da quando frequentiamo casa tua».
Mi fulmina con lo sguardo e io non riesco proprio a capire cos'abbia.
«Frequentavate».
Indica il calendario sulla scrivania e un circoletto rosso attorno al 13 giugno. Giovedì 13 giugno. Sul 12 una sottolineatura e la lettera G.
«Le nostre serate» mormoro.
«Non vi è neanche venuto in mente».
Presa com'ero da me stessa e dalle mie assurde velleità da detective ho dimenticato che il giovedì è stato dedicato alla nostra formazione su attacco e difesa cyber per mesi, fino a quando non mi sono rotta il perone.
Il circoletto rosso non c'era il 6 giugno e quella linea su ieri è evidentemente un promemoria per la rimozione del mio tutore e il ritorno alla mobilità abituale che mi avrebbe consentito di raggiungere a casa sua senza problemi.
«Hai ragione. Scusami».
Batte qualcosa sui tasti senza rispondere e io resto in silenzio, in attesa di qualcosa.
«Mia madre si è iscritta a un corso di lavoro a maglia».
Riprende a scrivere.
«Ah, figo».
«Vuole farmi i maglioni per l'inverno». Non sembra contento, per cui taccio.
Non sono mai stata così in imbarazzo davanti a lui, maledico me stessa per essere venuta.
«Giovedì riprogrammiamo?» provo a rimediare.
«Ho provato a mandare qualche messaggio su forum specifici di urbex genovesi. Mi sono iscritto col nome Jack Burton per restare nello stesso film di quel Lo Pan. Ho avuto qualche risposta, ma ho bisogno di ancora un po' di tempo perché si fidino di me. Ho condiviso qualche foto rubata per far capire che sono come loro».
Non mi guarda mentre racconta, continua a digitare con le dita che volano rapide sulla tastiera.
Nonostante l'abbia deluso, Stefano mi aggiorna sulle ricerche e mi sento ancora più stupida e ingrata. Una vera amica avrebbe dimenticato quanto quelle lezioni siano diventate importanti anche per lui e soprattutto quanto la routine sia rassicurante.
«Io sono stata al Centro Studi Sotterranei e ho fotografato la chiave d'ingresso alla cittadella di Campi per provare a farne una copia con la stampante 3D. Il presidente mi ha confermato che Pastorino era noto per violare proprietà privata con le sue esplorazioni. Non mi sembra uno che possa uccidere qualcuno, ma ho cercato di stimolarlo sull'omicidio e lui mi ha prospettato due ipotesi: un colpo fortuito da un oggetto arrivatogli addosso all'improvviso, oppure l'incontro con qualcuno che voleva saccheggiare il posto».
Pronuncio l'ultima frase e mi rendo conto che potrebbe anche essere successo il contrario.
Afferro l'avambraccio sottile di Stefano, che si blocca all'istante. Stringo forte.
«Ste, e se fosse stato Pastorino il saccheggiatore? Del resto non sappiamo granché su di lui».
I suoi occhi da severi si fanno imploranti. Stacco la mano. Gli ho lasciato un segno rosso sulla pelle, esposta dalla scarsa peluria.
Nella ricerca dell'assassino ho dimenticato una cosa fondamentale: capire chi è davvero la vittima.
«Potresti provare a sondare questi aspetti che, da quello che ho capito parlando con quello del Centro Studi, non sono molto apprezzati da chi ha questo hobby».
Non mi dice di sì, non mi dice di no.
Capisco che è il momento di andarmene. Forse ho perso anche un alleato importante in questa follia in cui mi sono buttata.
«Salutami tua madre. Ci vediamo domani».
Rientro a casa senza appetito. Il piede e la caviglia mi fanno male. Ho sollecitato troppo la gamba. Apro il frigo e tra una ricotta scaduta e mezzo salame stantio, scelgo la prima.
Mi inchiodo sulla fronte l'appunto mentale di parlare a Dave della nostra dimenticanza e degli effetti su Stefano.
Non ho sonno, eppure sono stanchissima. Faccio scendere la scala dal soffitto e vado a sdraiarmi sul divano. Il giallo Le tre Bare è ancora lì. In effetti anche l'omicidio nel Diurno sembra un enigma della camera chiusa, nonostante oggi la tecnologia sia molto più avanzata rispetto a quasi cento anni fa. Ci sono ancora troppe incognite in questa indagine, non è un caso che anche la polizia brancoli nel buio.
Io ho solo un unico vantaggio: so che l'assassino ha giocato a Underground.
Per questo devo accelerare su questo aspetto, soprattutto dopo che probabilmente non potrò più contare sull'aiuto di Stefano.
Accendo il laptop e mi collego ai principali forum collegati al nostro titolo. Mi iscrivo con il nome di Miao Yin, per restare in tema Grosso Guaio a Chinatown, del resto ho gli occhi verdi come lei.
Apro un topic nuovo, ma penso a lungo a come intitolarlo. Se l'assassino si nasconde tra i giocatori accaniti deve subito capire che mi sto rivolgendo a lui.
Ripesco lo screenshot che la mia memoria ha fatto all'immagine della scena del crimine autodistrutta dopo pochi minuti nella chat con Stefano.
So che posso tirare fuori qualcosa da lì. So che è impossibile che ciò che l'assassino ha riprodotto dal vivo sia identico a quello che abbiamo rappresentato nel gioco.
Chiudo gli occhi. Il mio zoom si sofferma sui pezzi di legno spezzati e sistemati alla rinfusa, sulla posizione del braccio sinistro di Pastorino piegato quasi a novanta gradi, molto simile al nostro cadavere virtuale. Sullo smalto rosso, proprio vicino alla mano. Li riapro di scatto, i battiti accelerati in un nanosecondo.
Devo aprire il gioco.
Devo avere la conferma.
In pochi minuti sono di nuovo là sotto, nel Diurno e ciò che vedo mi fa esultare come se avessi appena vinto i Mondiali di eSport.
La pagina del catalogo delle tinte nel gioco accanto alla vittima è aperta sulle sfumature di biondo, nell'omicidio di Pastorino su quelle di rosso-castano.
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