16.Piani paralleli
«Non posso».
«Non voglio».
Stefano, con coraggio, ha trovato modo di opporsi.
Stavolta sono io a restarci male.
«Tutto quel discorso sull'essere una squadra, allora? Lo buttiamo nella rumenta?»
«N-no». Si sistema gli occhiali sul naso.
Il cameriere arriva a portare l'ordinazione, dandogli il tempo di elaborare una risposta più articolata.
«Non voglio essere impegnato fisicamente su questa storia».
Svuoto il bicchiere di tè freddo e provo a trovare la parte mezza piena.
«Nel senso che virtualmente vuoi ancora aiutarmi?»
Annuisce.
Alzo il braccio per richiamare di nuovo il cameriere. Il ragazzetto mi vede e arriva con in mano dei piattini che sta portando a un altro tavolo colmi di pizzette e focaccia.
«Puoi portare qualcosa da mangiare anche a noi?»
La sua occhiata sul tavolo che ospita una lattina di tè freddo, vuota e una Cola Cola mi suggerisce il suo pensiero.
«Di' ad Ale che è per noi. Portaci altri due di questi, anche».
Non sembra molto convinto e si allontana.
«Il cliente ha sempre ragione, no?» strizzo l'occhio a Stefano, che ha le spalle curve e la testa bassa, ormai rassegnato. «Per cui non hai niente in contrario se io e Serena invece proseguiamo con l'indagine?»
Introdurre Serena è forse ardito, ma non voglio tradire la fiducia che Stefano ha in me.
Alza il mento e guarda il cielo appoggiandosi allo schienale della sedia, abbandona le braccia lungo il corpo. Le sue gambe lunghissime si distendono ai lati della mia seduta.
«No, va bene. Non una parola su quello che faccio».
«E cosa vuoi fare?» Questa è la vera domanda. Stefano è imprevedibile e in effetti non ho idea di cosa stia elaborando il suo cervello fuori dal comune.
«Proverò a estrarre più informazioni possibili sulla passione di Pastorino per le esplorazioni illegali e poi lancerò qualche esca per quel Lo Pan che ti interessava tanto. Continuerò a dare un'occhiata a quella chat».
Alessandro in persona viene a portarci due piattini di cibo.
«Se non avessi finanziato metà del mio locale con le tue bevute, col cavolo che te l'avrei portate per un tè freddo e una Coca Cola» ride. Posa i piatti e ci scruta guardandoci alternativamente.
«Avete l'aria da cospiratori e tutto questo evoca brutti ricordi». Si sofferma su di me per un secondo e poi torna dentro.
Stefano torna padrone del suo corpo e annuisce al riferimento del mio migliore amico all'avventura Alberto, ma non è proprio il momento di ripensare a quella roba.
«Se non ce la sta facendo la polizia non credo che potremmo riuscire noi» dice.
Ha ragione, ma noi siamo più liberi. Forse la gente è meno accorta se non si rende conto di essere sotto esame. Il problema è che non so ancora da dove iniziare e l'unica pista che sono sicura non sia stata battuta è proprio quella di seguire il nostro videogioco per capire se la persona con cui abbiamo a che fare è proprio un fissato con Underground.
Divoriamo carboidrati in pochi minuti e senza dirci altro ci separiamo.
Risalgo sulla Ninja e la dirigo verso Est, per andare a prendere l'autostrada a Sampierdarena. La fortuna mi fa prendere un'onda verde che mi evita il continuo appoggio del piede a terra. Ci fosse il casello dell'Aeroporto aperto per chi deve andare a Levante sarebbe stato tutto più facile, invece devo arrivare a Sampierdarena, bypassando quella ferita che si vede attraversando il torrente Polcevera sull'Aurelia. Tra qualche giorno i monconi rimasti del ponte Morandi, crollato l'anno scorso in un piovoso 14 agosto, saranno fatti esplodere e tutto ciò mi rimescola lo stomaco ogni volta che ci penso quasi come una partita di gaming con gli oculus.
Scrollo la testa dentro al casco e accelero. Il sole non ha ancora colorato il cielo di arancione. Solo le giornate più lunghe dell'anno, le mie preferite. La sbarra del casello si alza senza che io debba rallentare troppo e imbocco la A7 verso Nord. Resto in corsia di sorpasso per superare i camion che a tutte le ore percorrono tutte le direttrici da e verso Genova.
In pochi minuti arrivo allo svincolo di Bolzaneto e mi concentro. Ogni volta rischio di sbagliare nell'intreccio di strade sospese che mettono in difficoltà anche i navigatori. Il cartello blu che indica Campomorone risolve i miei dubbi e in un quarto d'ora attraverso la val Verde superando la strada principale del Comune che confina con Genova per poi svoltare in una piccola strada laterale proprio accanto a un rio minore. Bastano poche centinaia di metri per essere catapultati dalla città alla campagna, dove Serena ha deciso di vivere.
Parcheggio davanti alla casetta indipendente che avrebbe bisogno di un'intonacata e mi avvicino alla porta-portone. Non suono neanche, faccio ciao alla microcamera sistemata vicino alla luce e poco dopo la mia amica viene ad aprire.
«Adoro questo sistema» le confesso mentre al primo passo che faccio vengo accolta dalla sua gatta. Mi chino a stropicciarle il muso marroncino, con grande gioia della micia, che inizia subito a fare le fusa.
«L'altra sera il sistema mi ha allertata, ma non era un malintenzionato: un cinghiale grosso come un maiale ha pensato bene di farsi un giro qui davanti. Solo che erano le due di notte».
«Stavi dormendo? Immagino la fifa».
«Ancora no, ma è stata comunque una bella botta di adrenalina, visto che l'alert arriva solo in caso di movimenti di corpi grandi tipo uomo. Devo ricordarmi di far imparare all'intelligenza artificiale che va valutata anche l'altezza del possibile intruso».
Ci spostiamo nel grande soggiorno, attorno al tavolo di legno massello. Serena ha già sistemato un quadernone compilato con tutte le nostre elucubrazioni e le informazioni raccolte in giro, tra cui diversi ritagli di giornale.
«Alla fine due tecnologiche come noi preferiscono l'analogico» commento guardandolo.
Nocciola salta sul tavolo e annusa la carta, ma perde subito interesse e si avvicina per fare il pieno di carezze.
«Uno smalto rosso Layla vicino alla mano, un catalogo di tinte rosso-castane aperto proprio accanto alla faccia. L'assassino ha riprodotto la scena del nostro videogioco. Non ci sono dubbi. Ho visto una foto rubata dalla scena del delitto». Ignoro le sue espressioni di stupore e preoccupazione e aggiungo cosa mi ha detto Stefano: «Lo smartphone di Pastorino è rimasto a casa e sia quello sia il computer non sono ancora stati violati dalla polizia».
Appoggia il mento sulle mani, pensierosa.
«A quanto pare nessuno ha fatto due più due sul collegamento con Underground perché probabilmente nessuno se n'è accorto. I poliziotti non giocano ai nostri videogiochi. Sui giornali i dettagli degli oggetti sistemati vicino al corpo non sono mai usciti, immagino siano stati ritenuti da tutti coerenti con il disordine del luogo. Non sanno che dalle foto che abbiamo noi, scattate durante i sopralluoghi, il loro posto era in altre stanze».
Lascio sedimentare le rivelazioni concentrandomi sulla morbidezza del pelo della gatta.
«Ora però noi non possiamo andare alla polizia a dire "scusate, forse c'è un pazzo che ha pensato bene di imitare il nostro videogioco" perché ci chiederebbero subito come siamo venuti a conoscenza di ciò che in realtà non potremmo sapere. Per cui mentre Stefano continuerà a indagare online, anche su Lo Pan, io pensavo di andare a fare un giro reale al prossimo livello virtuale per capire se l'assassino ci ha preso gusto e vuole lasciarci altri indizi».
La faccia della mia amica è un misto di ammirazione e stupore. «E se mai dovessi avere ragione cosa faremo?»
A questo non avevo ancora pensato e mi sfugge un «boh» che la fa scoppiare a ridere.
«Non saresti Gloria Ferrari se avessi un piano definito».
Punta nell'orgoglio mi riprendo subito. «Ci penseremo dopo. Se si fanno piccoli passi alla volta alla fine il percorso lo si completa comunque e magari si evitano le buche che non si vedrebbero se si andasse di corsa».
Questa pillola filosofica la fa di nuovo sbellicare dalle risate. «Quindi quale sarebbe il prossimo livello?»
«Il rifugio antiaereo privato più grande del Nord Italia, una cittadella sotto il quartiere di Campi, un chilometro e mezzo di gallerie costruito dalla Società Italiana Acciaierie Cornigliano a protezione dei suoi quattromilacinquecento operai e dei macchinari» rispondo a pappagallo, ben istruita dalle informazioni che Riccardo ci aveva dato nel Game design document.
«E come ci entriamo? Sarà ben chiuso». La domanda di Serena mette di nuovo a fuoco la mia scarsa attitudine alla pianificazione. In effetti non vorrei compiere un reato per assicurare alla giustizia chi se n'è macchiato di uno gravissimo.
Mi concentro sul pelo morbido di Nocciola, che è ormai abbandonata a pancia in su, preda consapevole delle mie mani. Il suo ron ron è l'unico suono in questo momento.
Ripercorro a memoria le riunioni fatte quando il gioco non era ancora stato programmato e un riflettore si accende sul volto del vichingo nano quando pronuncia questa frase: «Ci siamo accordati con il Centro Studi Sotterranei per i primi sopralluoghi. Saranno loro a guidarci all'interno dei vari cunicoli che potrebbero diventare l'ambientazione. Poi faremo una selezione».
Faccio schioccare le dita e la gatta si spaventa, torna in piedi e fugge dal tavolo, con le orecchie più basse del solito.
Mi sembra tutto troppo facile, ma non mi viene in mente altro.
«Potrei andare a far visita a quelli che hanno supportato la Gold Games nei sopralluoghi per l'ambientazione e chiedere con una scusa collegata al videogioco di vedere la cittadella di Campi».
Serena sembra convinta, annuisce.
Tiro fuori il telefono dalla tasca e provo a cercare il sito di questo Centro. Esce una pagina Facebook con una e-mail e il numero di un cellulare. Mostro lo schermo alla mia amica.
«Domani proverò a telefonare, del resto sono la programmatrice quindi non dovrebbe suonare troppo sospetto. Hanno già fatto i sopralluoghi per trasferire nel metaverso il tutto, ma posso sempre dire che ho bisogno di un'ulteriore visita perché non mi è chiaro qualcosa».
«Va bene. Per il resto come va la gamba? Sei venuta in moto, quindi immagino bene».
«Sì, un po' di fastidio sopportabile. Stamattina non avevo scelta, tra incidenti e ritardi dei treni».
Trascorriamo la serata a chiacchierare di gialli, di sciocchezze, ma anche di Giacomo.
Quando le dico che mi ha proposto di nuovo l'aperitivo e io gli ho risposto di venire a casa mia, mugola di approvazione battendo le mani.
«E quando hai intenzione di invitarlo?»
«Vorrei domani o dopodomani, ma non sono sicura che la mia gamba sia completamente guarita per muovermi in totale libertà». Le faccio l'occhiolino.
«A volte è bello lasciarsi andare alla mercé del lui di turno».
Diamo già per scontato ciò che non lo è.
«Prima di pensare a mio bel collega, però, voglio fissare l'appuntamento con questi del Centro Studi Sotterranei».
«Giusto anteporre il dovere al piacere» commenta lei con tono che vuole essere saggio.
Solo quando ci alziamo mi sorge il sospetto che la passione dell'esplorazione di luoghi sotterranei e la conoscenza del nostro videogame è un incrocio molto pericoloso alla luce di ciò che è successo.
Forse il Centro Studi Sotterranei potrebbe essere la tana in cui si nasconde anche l'assassino? Nella testa si forma un grafico di insiemistica: un cerchio ampio con tutti i gamer che hanno giocato ad Underground nei primi quattro-cinque giorni di uscita e un cerchio, più piccolo, di coloro che sanno muoversi nei cunicoli sotto Genova e che avrebbero potuto accedere in qualche modo al Diurno. Di sicuro i membri del Centro Studi fanno parte dei pochi che si trovano nell'intersezione: e la mia mente li indica come i primi, realistici, sospettati.
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