14. Conferma

Martedì 11 giugno 2019

L'indomani trascorre pigro dal punto di vista delle novità. Stefano lo vedo mentre usciamo in pausa pranzo, si avvicina e sottovoce mi aggiorna.

«Ho iniziato a lavorare su ciò che sappiamo. Spero di darti qualche notizia nei prossimi giorni». Si zittisce all'improvviso quando Dave arriva alle mie spalle, su questo ha fatto decisamente progressi.

«Non me la raccontate giusta, voi due» strizza l'occhio platealmente mentre mi dà di gomito. «Giovedì ricominciamo?»

Le nostre lezioni si sono interrotte a causa della mia frattura. Ero troppo depressa per spostarmi con un taxi e Stefano non ha voluto sentire ragioni sul cambiare la sede della scuola a casa mia.

«Direi di sì. Domani dico ciao-ciao al tutore, si spera». Alzo la gamba e la faccio oscillare più del dovuto, stringo i denti in un sorriso tirato.

«Dobbiamo anche fare quella famosa partita ad Underground che mi avevi promesso, io non ci ho ancora giocato per aspettarti».
Il riferimento al gioco mi dà una stilettata peggio di quella appena sopportata sia perché gli sto nascondendo qualcosa, sia perché la sua amicizia è veramente quanto di più prezioso possa desiderare una come me.

«Hai ragione! Stasera?» butto lì.
«Aggiudicato. Deb va in palestra e finisce tardi. Non ci vediamo». Lo scruto con attenzione, ma non vedo segni che mi facciano capire se la loro relazione sia tornata come prima della morte di Pastorino. Indagherò.

«Porto su due pizze. Solita per te?»
Annuisco. «Alle otto?»

Esattamente sette ore dopo Dave suona due volte il campanello in rapida successione.
Ha portato due birre quasi grandi come il cartone della pizza e il ricordo dell'ultima volta che ho bevuto con lui presente mi fa ribaltare lo stomaco senza aver toccato alcol.
«Io vado di Coca Cola, stasera, ho un po' di bruciore di stomaco» mento.
«Sicura che la frattura non ti sia arrivata anche al cervello?» sghignazza. Alza le spalle e va nel frigo a prendermi una lattina. «Sono a piedi, vorrà dire che farò gli straordinari».
Divoriamo la mia salsiccia e la sua quattro formaggi e ci spostiamo di sopra.

Dopo aver acceso la console spengo la luce.

Stavolta non opto per il gioco collaborativo online, ma organizziamo la partita solo per noi due. Anzi per lui.
Gli metto in mano il joypad per lasciargli il comando.
«Fai una partita singola, io so troppe cose. Ci divertiamo comunque». Gli consiglio la professione del profanatore di tombe e non commento quando cerca di riprodurre se stesso con precisione.

«Come ci chiamiamo?» chiede.
«Hai costruito la tua copia, Dave come minimo. Il cognome sceglilo tu».

Al primo Driiin del filmato iniziale ha un lieve scatto sul divano.
«Cominciamo bene...» mormora mentre tenta una risata per fingersi più tranquillo di quello che è.

Stavolta io sono meno tesa rispetto a ieri e mi godo il frutto del nostro lavoro. La grafica è venuta veramente realistica nel riprodurre la decadenza di un posto "da signori" di decenni fa: ai marmi alle pareti e agli specchi con ancora decorazioni floreali fatte a mano, si alternano mobilio in legno ormai gonfio dall'umidità, deformato e depredato dai saccheggiatori di questi luoghi abbandonati, parti di soffitto crollate a terra, muffe scure ai muri che si arrampicano alle pareti come radici sottili.

Quando arriviamo nella stanza del barbiere del Diurno cerco di sbirciare la sua espressione con la coda dell'occhio, ma è talmente buio che non riesco a capire se il ritrovamento del cadavere lo turba. I suoni del gioco coprono anche i nostri respiri.

All'urlo della donna che irrompe nella stanza, il mio collega scatta all'indietro.
«Non lo pensavo così thriller» commenta.

«Un pochino. C'è qualcosa di pauroso in ogni livello» lo avverto.
Il gioco è arrivato al momento in cui Stefano ha spento la console, all'analisi della scena per trovare gli indizi necessari e passare al prossimo quadro.

Il suo Indiana Jones si concentra sugli oggetti che sembrano disposti casualmente vicino al corpo e che abbiamo riprodotto fedelmente rispetto a ciò che si può trovare ancora là sotto. «Abbiamo voluto inserire cose appartenenti ad altri servizi in diverse stanze,» gli spiego «lì sotto era una specie di mini cittadella: c'era la parrucchiera per signora, decine di stanze per farsi una doccia o addirittura un bagno idromassaggio, il deposito bagagli, spazi per riposare».

Dave non si fa sfuggire nulla: la vittima ha un flacone di smalto rosso Layla tra le mani. All'altezza del volto, sul pavimento scuro, spicca un catalogo aperto con dei ciuffi di capelli di diverse tinte bionde. Più in basso, Dave si sofferma su un bloc notes con annotati a penna nomi e numeri.

«Questa roba mi sembra abbastanza inutile, però». Si volta, cercando di carpire qualche conferma dalla mia espressione. Resto bronzea.

Raccoglie tutto e amplia il suo raggio d'azione: sposta pezzi di legno che sono già sparsi quasi ovunque e si avvicina a uno dei rubinetti. Il plic, da suono di sottofondo, si fa più intenso. Nel lavabo ingrigito gocciola acqua talmente rugginosa da sembrare sangue.

Dave passa davanti al grande specchio intatto nella sala. Nel riflesso si vedono gli altri due personaggi non giocanti, in questo caso. Mi domando come potesse essere girato Pastorino quando è stato sorpreso da chi lo ha colpito, ma ho troppo pochi elementi.

«Mi sta sfuggendo qualcosa, vero?» Il tono è lievemente frustrato. Posa il joypad e beve un sorso di birra.

«Si vede che non hai la stoffa del detective. Hai guardato ovunque tranne che nel posto più importante». Gli sorrido senza deriderlo.

Appoggia di botto la bottiglia di vetro sul tavolino basso.
«Che idiota!» Batte la fronte con la mano.

Riprende il joypad e comincia a perquisire i vestiti della vittima.
In tasca trova un biglietto con su scritto il numero 12.

«Cosa significa?» Dave si volta di nuovo.

La musichetta russa di Tetris irrompe nella stanza. Il telefono del mio collega brilla con il nome Deborah sul display.

Lui posa di nuovo il joypad e risponde: «Ciao!  Già finito?»
Non riesco a sentire bene cosa stia dicendo lei, ma dall'intonazione mi sembra tutto nella norma.
«Sì, noi siamo qui nel bel mezzo dell'indagine, stavo giusto implorando Gloria di aiutarmi, visto che lei sa già tutto. Aspetta, ti metto in viva voce».
Armeggia sullo schermo e lo pone tra noi. Fruscii e voci lontane entrano nella stanza.
«Il tuo fidanzato è troppo tonto per fare l'investigatore» esordisco bonaria.
«Hai proprio ragione, di solito le cose che cerca disperatamente le ha sotto gli occhi. Gloria, come va la gamba?» Una portiera sbatte e i rumori di sottofondo sono messi a tacere.
«Meglio, domani mi tolgono il tutore e spero di poter tornare in sella».
«Ottimo. Davide, il personal trainer mi ha distrutta. Vado a casa. Devo anche finire di lavorare sull'udienza di dopodomani».
«Ok, ti scrivo quando rientro. Non stancarti troppo».
Mette giù. Forse è il momento di vestire i panni dell'investigatrice senza essere troppo invadente.

Prendo la sua bottiglia di birra e tiro un sorso.
«Passata la nausea?»
Ignoro la sua frecciatina maliziosa. «Ma... Deborah come l'ha presa che venivi a giocare ad Underground?»
Si fa serio in un secondo, ha capito al volo. «Non sa che sono venuto a giocare a questo titolo, soprattutto non conosce il dettaglio del Diurno... nel trailer si intravede uno specchio e basta».
«Oh. Quindi non l'ha ancora superata?» Non pensavo che fossero ancora a quel punto.
«Non lo so. Dopo il funerale, a cui non ha voluto andare, è come se quel ragazzo fosse stato cancellato dalla sua vita. Deb sembra tornata la solita, ma un cambiamento così rapido secondo me non è buon segno. Però non sono ancora pronto a chiederle di parlarne».
Allunga le gambe e appoggia la testa all'indietro, sulla parte orizzontale dello schienale del divano. Guarda il soffitto e sospira. «Sono stati insieme un paio di mesi, non ho voluto indagare come sia stato il loro rapporto e comunque l'unica cosa che mi ha detto lei è che negli articoli lo hanno dipinto molto diverso da quello che aveva conosciuto».
«Verrà il momento in cui magari butterà fuori tutto. O forse se lo terrà dentro per sempre. Non c'è mai una ricetta precisa, no? Ognuno di noi affronta il lutto a modo suo. Non ti consiglio di starle vicino perché so che lo fai già».

Mi sistemo nella sua stessa posizione appuntandomi mentalmente di approfondire l'aspetto della personalità di Roberto Pastorino. Forse anche quello può fornirci qualche indizio, chissà...
Ho fatto sin troppo la psicologa di coppia per i miei gusti.
Batto le mani, facendolo sobbalzare.
«Dove eravamo rimasti?»
«Al numero 12» indica con una smorfia la schermata in pausa con la mano del nostro personaggio in primo piano con il foglio stretto tra le dita.
«Secondo te perché aveva un numero in tasca? Gira un po' qui attorno, no?»
Una volta arrivato davanti al deposito bagagli ha l'illuminazione.
Scavalca il ripiano di appoggio dove venivano appoggiate le valigie per la consegna e si addentra con la torcia nel buio del retro.
Illumina qualche scaffalatura vuota prima di imbattersi in due occhi neri e lucidi. Un suono stridente fa il resto.
«Che cavolo è?» urla, quasi facendosi scappare il joypad.
Il topo squittisce e corre via.
«Mi stupisco che non siano ancora arrivate denunce in sede, questo gioco ti fa venire un colpo a ogni scena!»
Mi limito a ridere.

Prosegue nell'ispezione e trova alcune valigie old style: cuoio e fibbie dorate.
Un po' a tentoni trova finalmente quella posizionata nello scomparto 12. La apre e illumina il contenuto: due camicie, un paio di pantaloni, slip, una paio di ciabatte, un mini borsello sempre di cuoio. Dave lo apre e dentro trova una chiave e un foglio con un disegno piuttosto stilizzato fatto a pennarello nero.

«Mmh,» si lamenta «sembra una specie di casa con le gambe».
La forma in effetti ricorda quella di una casa unifamiliare disegnata da un bambino, che si appoggia su due piedi ai lati. Tre linee che però la attraversano dalla base al tetto e le pareti sono in diagonale invece che dritte. Su quello che sembra il tetto spiovente è ben evidente una ics rossa.
In basso si legge una scritta: Non pensate solo a voi stessi, altre persone sono ancora in pericolo sulla strada. Il monito di non essere egoisti mi ricorda che sto tradendo di nuovo l'amicizia di Dave, anche se a fin di bene. Dalla storia difficilmente si impara. Lo testimonia proprio quell'iscrizione. Spero di riuscire a farmi perdonare, se mai lo scoprirà.
«Immagino sia la mappa del prossimo sotterraneo che dobbiamo visitare. Direi che possiamo uscire da qui».

Terminiamo il livello e salviamo. Il gioco ci porterà nel più grande rifugio antiaereo privato del Nord Italia, ma Dave non ha più tempo. «Continuiamo martedì prossimo? Sono quasi le undici».
Annuisco e mi alzo per accompagnarlo alla porta.
«Avete fatto davvero un bel lavoro, per quello che ho visto sinora».
«Te l'avevo detto. Non mi esalto per poco, di solito».

Il bip della notifica di Signal si fa sentire quando stiamo scendendo la scala. Solo una persona può avermi scritto lì sopra e il fatto che non si sia posto il problema dell'orario mi suggerisce che abbia qualcosa di urgente da dirmi. Resisto all'impulso irrefrenabile di tirare fuori il telefono dalla tasca per guardare subito il messaggio di Stefano con Dave ancora nei paraggi.

«Tutto ok? Ti fa male la gamba quando scendi? Hai cambiato faccia».
Guardo il mio ex sbattendo le palpebre più del dovuto, quasi imbambolata.
«Un pochino, ma spero che vada a migliorare d'ora in poi. Ci vediamo più tardi al lavoro, prima passo a fare il controllo in ambulatorio per il tutore».

Chiudo la porta ed estraggo il telefono. Ho le mani gelide nonostante questa fine di giugno sia più simile ad agosto.

"Ci sono riuscito. Ora abbiamo un problema". Le parole di Stefano mi fanno salire i brividi.
Sto rileggendo per la terza volta il messaggio quando ne arriva un altro. È una fotografia.

Il telefono mi sfugge dalle mani, ma non serve che mi riavvicini allo schermo. L'immagine spicca sul parquet: un corpo su un pavimento scuro, prono, con la testa rasata che riflette la luce delle lampade alogene che illuminano la scena. Accanto a lui, all'altezza del volto, un catalogo aperto con ciuffi di capelli di diverse tinte in successione. Vicino alla mano ha uno smalto rosso Layla.



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