11. Il punto della situazione
Alle otto in punto il bzzzzz del campanello fa scattare me e Serena sulla sedia.
Il timore di rovinare il lavoro del fisioterapista passa più rapido di una corsa di Sonic e mi catapulto al citofono trascinando la gamba senza troppi problemi. Non chiedo neanche "Chi è?" e premo il pomello per l'apertura.
Stefano sale le le scale con calma, passo cadenzato a cinquanta bpm. Quando compare sul pianerottolo mi stupisco di vederlo in camicia e pantaloni in cotone.
«A saperlo mi sarei vestita meglio» commento, guardando i miei short e la maglietta mezza bucata perché sono troppo pigra per cucirla o portarla allo staccapanni.
«Ho detto a mia madre che avevo un appuntamento con te per non insospettirla».
Alzo gli occhi al cielo, ci mancava pure questa. «Ora quando tornerò per le lezioni del giovedì insieme a Dave chissà cosa penserà».
Non che me ne importi molto, però non riesco proprio a capire come lui possa gestire tutto questo con serenità. Gli faccio strada senza riuscire a star zitta. «Stefano, prima o poi dovrai superare questa fase... hai trent'anni».
«Meglio di no, per me. Meglio che non si faccia troppe domande».
Le parole del mio collega sono talmente inaspettate da essere illuminanti.
Mi volto e lui si ferma. Alza un sopracciglio.
«Mi stai dicendo che stai barattando la tua libertà, la tua maturità come uomo per un quieto vivere quando sei davanti a un monitor?»
«Sì».
Faccio uscire aria dalle narici ed entro in cucina. Serena sta bevendo una birra e fa ciao ciao scuotendo l'altra mano. Stavolta Stefano perde il suo consueto aplomb e mi guarda accigliato.
Lo so, l'ho tradito. Non gli ho mai detto che non saremmo stati soli. Il timore che non venisse era troppo alto.
«Anche lei è coinvolta nell'indagine, seguiamo questa storia dall'inizio».
Stefano si mette le mani in tasca. Male, molto male.
Guardo Serena in una comunicazione non verbale a occhi spalancati e iridi in movimento verso il frigo. Lei capisce al volo e apre lo sportello: «Coca cola?» sorriso e intonazione da spot pubblicitario.
Stefano sospira e si siede. Io gli piazzo davanti un bicchiere vuoto con un'attenzione da ristorante stellato.
«Che ne dite se ne discutessimo di sopra?» propongo.
Faccio scendere la scala a scomparsa dal soffitto a distanza di un mese e mezzo dall'ultima volta. Mi aggrappo alla mini ringhiera e salgo gradino per gradino prima con la gamba buona e poi con quella ancora in convalescenza.
Serena mi sta alle spalle con le mani quasi sul sedere per tenermi in caso di caduta.
L'odore di chiuso mi colpisce, non avevo pensato a far circolare un po' l'aria lassù. Apro il lucernario a metà, intanto la serata è calda.
Mi dedico all'armadietto delle console e preparo l'avvio di Underground. Ho bisogno del videogioco per entrare nel merito della questione.
Stefano si è seduto sul bordo del divano senza appoggiare la schiena, mentre Serena si è aperta la seconda birra. Abbasso le luci.
La melodia-guida del gioco ideata da Chopin per la prima schermata si insinua tra noi. Tasti di un pianoforte premuti uno alla volta e a distanza di almeno un secondo l'uno dall'altro, si intrecciano poco dopo a piccole percussioni e a una voce sommessa.
Prendo possesso del joypad e do il via a una nuova partita.
Il mio collega resta in attesa. Guardo Serena, che annuisce e mi invita a spiegare la nostra idea mentre mi connetto al gioco.
«Probabilmente è una follia quello che abbiamo pensato, ma se consideriamo valida la teoria secondo cui l'assassino conosce molto bene l'ambientazione, non credi che solo giocando possiamo trovare indizi importanti per capire come sia andata veramente là sotto nel Diurno?»
Stefano continua a fissarmi senza dire nulla.
«Pensavamo che attivando il gioco online potremmo anche intercettare qualche gamer genovese e magari trovare anche possibili sospetti» si inserisce la voce da contralto di Serena. Estrae dalla tasca dei jeans un foglio spiegazzato piegato in quattro e lo apre sul tavolino basso. Il colore giallo mi fa intuire che è ciò che abbiamo compilato solo qualche sera fa.
Nella penombra della stanza riesco comunque a vedere che lo schema con su scritto, a mano, tutto ciò che sappiamo sinora, è stato arricchito. Le parole sono di diverse dimensioni, al centro c'è il nome Roberto Pastorino, da cui partono due frecce che portano a due parole ben definite in stampatello: Urbex e Underground.
Sotto il nome ha aggiunto: scomparso da sabato 20 aprile, ucciso forse lo stesso giorno. Trovato morto nel Diurno martedì 22 aprile.
Cadavere prono, senza una scarpa e nella camera del barbiere. COME NEL VIDEOGIOCO ha scritto bello grosso.
La musica della selezione dei personaggi diventa quasi insostenibile messa a rapporto con l'omicidio vero: una donna singhiozza in lontananza e un costante suono metallico mi fa produrre automaticamente adrenalina a giudicare dal formicolio nelle braccia.
Serena percorre con l'indice i nostri ragionamenti di queste settimane, frutto di un monitoraggio costante degli articoli usciti sul caso, sempre più radi per la verità. Io sbrigo le operazioni di creazione del personaggio.
Si ferma sulla frase Giorno e causa della morte. «La certezza su quando sia morto non c'è. Di sicuro non è stato ucciso uno o due giorni prima del ritrovamento, a giudicare da quanto dichiarato dal medico legale. La causa del decesso è stata stabilita dall'autopsia: una frattura del lobo temporale che ha provocato un'emorragia cerebrale devastante».
Scorre sulle parole Arma del delitto e stavolta sono io a parlare, interrompendo le fasi pre-gioco: «Al momento la polizia non sa dire con cosa sia stato colpito Pastorino. Negli articoli si parla di un oggetto probabilmente in metallo, visto che sulla pelle e attorno al cadavere non risultano schegge di legno o di vetro. Però leggevo anche che la pavimentazione è piena di materiale in rovina, quindi non è per niente facile capire se sia stato spostato qualcosa».
Guardo l'altra parola che è circondata di punti di domanda: Movente. Come per dare voce ai miei dubbi Serena interviene: «Il problema è che al momento non si riesce proprio a capire perché sia stato ucciso. A quanto pare nessuno è riuscito a entrare nel suo computer e a casa hanno trovato uno smartphone senza cavarci nulla. Hanno interrogato famigliari, colleghi e amici, ma non è uscito niente di troppo sospetto. L'aspetto urbex è stato accennato, ma probabilmente ai giornalisti non hanno dato nessun dettaglio».
«A questo proposito, Stefano, mi dicevi che avevi trovato delle sue immagini in qualche meandro della rete?» Riporto il discorso su un piano a lui più congeniale.
«Sì, ci sono posti dove vengono diffuse foto di case disabitate che in realtà non sarebbero comunque legalmente violabili. Ho fatto una ricerca accurata dando in pasto una sua fotografia a un sistema che sto elaborando nel tempo libero ed è uscita una foto che lo ritrae all'interno di un appartamento nella zona dell'Aquila ancora inagibile per il terremoto».
Non chiedo neanche se l'abbia salvata in qualche modo, perché sono sicura della risposta negativa. Di Stefano mi fido ciecamente e se si è sbottonato in questo modo, significa che non ci sono dubbi.
Il fatto che Pastorino fosse un appassionato di esplorazioni ai limiti della legalità rende più plausibile la sua presenza nel Diurno. Come ci sia arrivato, però, è un altro mistero.
Poso il joypad e tocco la dicitura Luogo del delitto. Sotto abbiamo aggiunto: Come è entrato? «L'altra questione rimasta molto aperta è questa». Faccio un cerchio col dito sulla domanda. Mi rivolgo a Serena, questa roba è compito suo. La bionda annuisce ed esterna le sue perplessità: «L'unico ingresso agevole è quello dentro l'Hotel Savoia, un cinque stelle e quindi ultra sorvegliato. Dalla portineria si vede un cancello dorato che chiude l'accesso ai sotterranei. La scala va comunque pulita, per questo l'inserviente ha sentito l'odore. Una volta i "signori" che dovevano attendere il treno si spostavano lì dopo aver riconsegnato le chiavi della camera, quindi ogni albergo che dà sulla piazza della stazione aveva un accesso diretto a quegli spazi».
Si alza in piedi, sorseggiando la birra.
«So che dall'esame delle telecamere vicino al Savoia non è emerso nulla di anomalo. Il problema è che ci sono alcune zone dei dintorni non del tutto coperte, soprattutto l'altro ingresso ancora noto rimane parzialmente cieco».
«Quale ingresso?» Per la prima volta Stefano interagisce. Buon segno.
«Spesso non ci si fa caso, ma dall'altro lato della piazza c'è una doppia porta grigia all'imbocco di salita San Giovanni» aggiunge Serena, «avessi ancora il mio lavoro distaccato di qualche mese fa alla Cerber.us, potrei controllare più facilmente la videosorveglianza della zona, invece mi hanno mandata da un'altra parte».
Mi piace quando Serena entra in modalità "non rivelo per chi lavoro". Credo non abbia mai nominato ad alta voce l'intelligence per cui indirettamente svolge attività di sviluppo di tutte quelle tecnologie che consentono una raccolta di informazioni soprattutto attraverso le immagini. Il fatto che venga spedita a tempo determinato in aziende molto sensibili dal punto di vista della sicurezza del paese, la rende una nomade dal punto di vista del posto di lavoro e anche una solitaria perché non può mai condividere nulla del suo mestiere. Un'abitudine che spesso si riflette nella sua vita sentimentale, anche se non lo ammetterà mai.
«Ora che hai il quadro della situazione anche tu, Stefano, che ne pensi della nostra idea?»
Il ragazzone ci guarda da dietro le lenti ovali e scuote la testa.
«Quei tre indizi sul ritrovamento del cadavere non mi convincono. Insomma, in Italia trovare un matto che voglia giocare in stile thriller è raro e poi sarebbe stupido focalizzare in quel modo la nostra attenzione: restringe il campo».
«Però Agatha Christie diceva che "Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova"». Cerco di difendere il nostro flebile legame con l'omicidio, spinta da non so quale motivazione. In effetti Stefano ha ragione.
«Secondo te si può sapere in qualche modo quanti genovesi hanno comprato il gioco sinora? Credo che l'assassino non sia arrivato da fuori» Serena si risiede e attende la risposta del mio collega.
Lui si aggiusta con l'indice la montatura sul naso e storce la bocca. «Abbiamo solo dati aggregati su aree molto più ampie e poi non possiamo tenere conto delle vendite dei supporti fisici e soprattutto di chi decide di non registrarsi perché non gli interessa andare online».
«Per questo dobbiamo provare a giocare anche noi, entrare in confidenza con il meccanismo e trovare possibili indizi virtuali che possono diventare prove reali!» Alzo la voce e riprendo in mano il joypad. Seleziono velocemente l'aspetto del mio giocatore: un uomo calvo, con la barba folta castana come gli occhi e piercing al naso. Benedico l'evoluzione del character design che mi consente di ricreare il ritratto virtuale di Roberto Pastorino. Quando è il momento di scegliere il nome, faccio muovere la freccia sulle cinque lettere che ho scelto in accordo con Serena e che non abbiamo ancora scritto sul foglio: Lo Pan.
Mi volto soddisfatta verso un atterrito Stefano.
Sorrido.
«Iniziamo?»
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