1. L'arte della fuga
Lunedì 18 marzo 2019
Il rombo del motore è il suono ideale per concentrarsi. L'adrenalina solletica i nervi meglio di una droga.
Guardo avanti.
Fuggire senza farmi beccare è impresa quasi impossibile.
Il fatto che sia notte non è un gran vantaggio, il fanale posteriore aiuta chi mi è alle calcagna come un puntatore laser.
Un proiettile mi sfiora la spalla. Abbasso lo sguardo sul giubbotto di pelle nera sgualcito dall'impatto e comincio a zigzagare sull'asfalto. Sono stata fortunata. Adesso devo essere artefice del mio destino.
Non oso voltarmi, temo di vederli troppo vicini.
Soffio aria dalla bocca. Il tachimetro segna centosessanta all'ora.
Sono vicina a un'uscita, mancheranno due chilometri. Sorpasso un autotreno in galleria e mi piazzo davanti alla motrice adeguandomi alla velocità del mezzo pesante.
Una cabrio sfreccia a tutta velocità sulla corsia accanto. Intravedo il passeggero in piedi con una pistola in pugno.
«Ha!» urlo.
E uno.
Alzo un dito medio all'indirizzo di chi non ha capito la mia mossa. La foga mi fa inclinare troppo la moto.
«Cazzo!» grido. Un principio di nausea mi assale.
Compio un miracolo per non cadere a terra, spostando rapida mani e peso dalla parte opposta.
Torno padrona del mezzo giusto in tempo per accorgermi che l'auto ha appena compiuto un'inversione a U con una manovra stile Dirt Rally e ora punta dritta verso di me.
Soffoco un'altra imprecazione tra i denti. Tra me e l'uscita ci saranno cinquecento metri e la macchina sta percorrendo rapida la distanza che ci separa evitando un paio di veicoli.
Non ho idea se riuscirò ad arrivare alla svolta prima di loro. Nel dubbio, accelero.
Risolvere un problema alla volta è saggio. Prima anticipare il nemico, poi capire come fare la curva senza sfracellarmi contro il guardrail.
Per evitare di fare da bersaglio, compio l'ennesimo azzardo: spengo i fari per non dar loro punti di riferimento. La luce dello svincolo mi basterà.
Sento lo sparo. Stavolta il proiettile non mi colpisce.
I loro abbaglianti puntati addosso mi impediscono di vedere bene dove sono, ma ormai non mi interessa: sono a venti metri da quella freccia che potrebbe rappresentare la mia salvezza.
Cerco di ricordare tutto ciò che mi ha insegnato mio padre quando mi ha messo su una pista da motociclismo e mi inclino per piegare. La nausea torna a tormentarmi e non se ne va.
Le scintille da sfregamento sull'asfalto non sono un buon segno, ma in qualche modo riesco a tenere la Ducati. Rallento un po' e cerco non concentrarmi troppo sull'oscillazione dell'ambiente che mi circonda.
«Non ora, non ora, non ora» ripeto come un mantra.
Mi volto trattenendo un conato. Degli inseguitori nessuna traccia. So che non sono i soli. Di sicuro i complici me li ritroverò tra i piedi quando penserò di averla fatta franca.
Quello che non mi aspetto è una volante della polizia di traverso alla strada, con tanto di lampeggiante blu attivato. Forse abbiamo dato troppo spettacolo, in autostrada.
Scalo seconda e sto per fermarmi quando dall'Alfa Romeo scende qualcuno che non è un poliziotto e mi punta addosso una pistola.
«Questo non me l'aspettavo». Mi appunto mentalmente di fare i complimenti a chi di dovere e do un'accelerata talmente forte che impenno, salvandomi la vita. La pallottola si conficca nella parte inferiore della moto.
Il mio nuovo nemico non ha tempo di sparare un'altra volta perché lo travolgo senza troppe cerimonie.
La saliva si fa pastosa e lo stomaco pesante.
«'fanculo».
Mi tolgo gli oculus, poso il controller e corro via sotto lo sguardo attonito dei miei colleghi e la risata di Dave.
«Gloria!» qualcuno mi chiama, ma non posso rispondergli. A grandi passi esco sul pianerottolo comune e mi fiondo nei bagni buttando quasi a terra con una spallata Pietro, il nostro sound designer, proprio quando l'acido ormai ha raggiunto il punto di non ritorno. Chissà se gli ho fornito ispirazione con il rumore cavernoso che di sicuro ha sentito uscirmi dalla bocca mentre mi allontanavo senza neanche chiedergli scusa.
Spalanco la porta delle toilette col simbolo della gonnella e mi precipito ormai disperata in quella che ha già l'anta aperta. Non ho mai giocato a basket, ma so cosa significa fare canestro. Non è questo il caso.
-----------
Scusate la brevità, ma lo sapete che i miei primi capitoli sono sempre tagliati con l'accetta. D'ora in avanti la storia prenderà più respiro (e finalmente farò silenzio con gli spazi autore ahahh)
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top