Le ombre fanno luce

Tanti piccoli occhi mi scrutano dal cielo, nemmeno le stelle riescono a darmi sollievo. Il moccolo giallo arancio della spalla di Ercole sembra mosso da un lieve fremito, come se il portatore di clava avesse freddo. Se ne sta in ginocchio l'assassino, dopo aver massacrato la moglie e i figli! Le luci rosse e verdi d'un volo notturno di linea, gli attraversano la clavicola, la base del collo e risalgono il braccio che leva il randello. Il figlio di Alcmena ha lo sguardo di Glauco, impugna il suo stesso bastone.

Sotto di lui scintilla Ofiuco. Ha domato il serpente e ora indossa la stessa giacca lisa di Martullo, una nuvola beffarda gli scivola sopra annebbiandone il contorno. Non riesco a togliermi dalla testa l'immagine del professore che si allontana nel tramonto, con quel berretto alla Corto Maltese che sbiadisce nel cielo. La casa è immersa nel silenzio, i miei non sono ancora rientrati. Respiro lentamente.

Mi sento intrappolata in una rete invisibile come un pesce che si dibatte nell'acqua: la scomparsa di Martina, le accuse contro Leonardo... Ho tirato la coda al drago e ora quello mi osserva da lontano, lo vedo spuntare da sotto il culo di Ercole. Mi sorprendo a sorridere di una grottesca visione, il picchiatore greco che gli piscia in testa. Ha un che di ben augurale! Quei maledetti finiranno per intralciarsi tra loro, penso tra me. Finiranno per pisciarsi in testa, così finiranno.

Mi scuoto. La strada è deserta, illuminata solo dai lampioni che proiettano le loro lunghe ombre sulle facciate dei palazzi. Sembrano gambe di giganti che si riversano per la via come una folla rumorosa, dalla finestra li vedo piccolissimi ma la deformazione dell'ombra è tale da renderli un esercito in parata. Quasi un corteo di protesta. Le strisce pedonali mi fanno pensare a slogan vaporizzati di rosso e nero.

Mi allontano dal davanzale, siedo al tavolo della cucina fissando lo schermo del mio cellulare. Vorrei chiamare Martina, Leonardo, ma mi rendo conto che non è prudente: non ho idea di dove possano trovarsi, di chi abbia disponibilità d'accesso ai loro dispositivi. Dove sei bocca di ciliegia, rossa come la mia carne che sussulta accanto a te? Dove sei, amorevole batuffolo di peli, con le tue eccitanti visioni e quella guancia che sento ancora scaldare la mia?

Mi alzo e comincio a girare per la casa, cercando di pensare ad altro. Devo fare qualcosa, qualsiasi cosa per non sentirmi impotente. Mi cade l'occhio su un vecchio volume di poesie che mi aveva prestato Martina qualche giorno fa, un verso risuona  nella mente come la voce di una sibilla decrepita che esala dal fondo di una grotta. Il coraggio, mormora la vecchia echeggiando nella mia mente, non vuol dire non aver paura, ma ostinarsi a proseguire nonostante quella. 

Mi siedo sul divano, il libro serrato sulle ginocchia. Socchiudo gli occhi per un attimo. Un'immagine si forma nell'interno delle mie palpebre, sul retro delle quali ho l'impressione di scorgere una figura solitaria sopra una barca, che rema lentamente verso un orizzonte sconosciuto. Sono io quella figura, nonostante le onde minacciose e il vento contrario alla fine troverò la rotta per condurre in porto questa fragile imbarcazione.

Riapro gli occhi. So cosa devo fare. Non posso aspettare che le cose si risolvano da sole. Devo agire, devo trovare Martina, devo aiutare Leonardo. E devo farlo adesso, prima che sia troppo tardi! Prendo il telefono, inizio a comporre un messaggio rivolto a Sara. "Dobbiamo vederci", le scrivo. "È urgente". Il messaggio è stato consegnato, non resta che aspettare.


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