La rosa più bella
Mentre la luna affoga impotente in un banco di nubi assetate, il vento increspa le onde che protendono le loro cento mani voraci sulla battigia, profanandola come il corpo di una vergine sacrificale. La spiaggia è deserta, le cabine si stagliano contro l'orizzonte illuminate dai fari delle macchine che sfrecciano sul lungomare.
- Non ho scelto a caso questo posto - mi confida Martina, con un bel sorriso, - Indovina un po' chi lo gestisce? -.
- A me, lo chiedi? - le rispondo perplessa, alzando le spalle e sporgendo lievemente il labbro inferiore della bocca. Ma non era una domanda: la vedo voltarsi in direzione della sala ristorante, indicando una luce a ridosso della terrazza, un centinaio di metri a ponente. Attraverso un'intercapedine fra le cabine, s'intravedono due figure che discutono concitate.
Martina mi prende per mano invitandomi a seguirla sotto il muretto della strada camminando a passi piccoli e rapidi, la testa bassa, le spalle curve. Scivoliamo non viste proprio sotto la balconata del ristorante, da cui si sentono le voci attraverso una porta a vetri aperta.
- Le tue intemperanze mi hanno stancato! - Si sente mormorare. E' la voce di un uomo maturo, lievemente rauca. Ogni tanto sputa una boccata di fumo. - Con tutto quello che sta succedendo, tu ti diverti con le ragazzine! Non hai un minimo di buon senso. -
Il secondo lo riconosco dal tono rancoroso della voce, - Parli bene, tu! Ti sei servito di me e del mio vivaio per i tuoi interessi, quand'era il momento. Ora cosa vuoi? -
- Abbassa la voce, imbecille che non sei altro! - sibila il vecchio. - Non devi mai parlare di questo. Mai. I muri potrebbero avere orecchie -.
Martina ed io ci guardiamo, consapevoli di essere noi quelle orecchie: dalla posizione in cui ci troviamo è impossibile vederli, ma si sentono i loro discorsi. La porta del locale è chiusa dall'interno, anche volendo entrare sarebbe troppo pericoloso; qui fuori, siamo protette dal vento e dalla risacca, che portano lontano il rumore dei nostri passi.
Riconosco la voce di Glauco: - Porta pure i miei saluti all'assessore, quando lo vedi -.
Si sente urtare contro una tavola apparecchiata, distinguo con chiarezza il tintinnìo delle posate sul tovagliolo. - Non fare il furbo con me, hai capito? Dovevo proteggere i nostri interessi. Quel cornuto dell'assessore voleva togliermi la concessione dello stabilimento balneare, lo capisci o no? Era un attacco politico il suo, non gli andavano giù l'affitto che pago tutti i mesi al vecchio magazzino, quello dove tu e i tuoi amici avete messo il quartier generale della vostra associazione a delinquere. Sapeva anche del mio patrocinio alla palestra e insomma, voleva isolarmi era fin troppo chiaro. Non avevo scelta -.
Glauco ride, con un suono graffiante, velenoso. - Certo, lo so bene. Ti ho tirato io fuori dall'impiccio, non ricordi? Quella rosellina fresca che gli hai messo davanti, veniva dal mio giardino: l'avete incastrato con le foto in macchina sulla spiaggia dell'idroscalo, da allora non vedi che docile cagnolino l'assessore è diventato? -.
Il più anziano tra i due sussurra gelido: - Glauco, dobbiamo tenere un basso profilo: quelle bravate in porcilaia hanno attirato l'attenzione, in tutto il quartiere non si parla che di Leonardo e di quelle due ragazzine: sono fiori che iniziano a puzzare. Se non riusciamo a trovare i filmati, il ragazzo verrà rilasciato e allora sì che saranno davvero guai per tutti -.
Glauco sospira, - Hai ragione, bisogna trovare il drone. E le ragazze. In qualche modo le faremo tacere - . Dopo una breve pausa, con un mezzo sorriso riprende: - Martina credo sia gestibile, ne so tante sul suo conto. Ma l'altra, la nuova, nulla sappiamo di lei! -
Il vecchio riflette per qualche secondo, poi risponde lentamente: - Ho sentito dire che è stata vista con quella tua morettina che è un babbà tutto grondante liquore, com'è che si chiama? Insomma davanti alla torrefazione, le hanno viste baciarsi, tra loro. In pubblico. Se tra loro c'è del tenero, possiamo far leva sull'una per influenzare l'altra -.
Martina sul momento mi guarda sorpresa, poi indica il cellulare: ha registrato tutto. D'un tratto sentiamo un grido provenire dalla spiaggia. - Chi è laggiù? - la voce proviene da poche decine di metri più avanti, - ... Dotto', fate attenzione! C'è qualcuno sotto la terrazza!".
Sta parlando di noi. Ci alziamo di scatto, iniziamo a correre sulla sabbia, i piedi che affondano impacciati ad ogni passo, il fiato che si spezza in gola. Ci arrampichiamo sulla muraglia in sasso per tornare al livello del marciapiede, poi attraversate le prime due corsie del lungomare, saltiamo sull'aiuola spartitraffico di cemento bianco e proseguiamo in precario equilibrio su quella, in direzione del centro.
Sento Glauco ansimare dietro di noi, facendosi largo tra le palme piantate in poca terra. Il vecchio perde terreno e poco dopo rinuncia, ma lui non vuol mollare la presa. "E' troppo veloce!", urlo a Martina. "Devi andare avanti da sola, metti in salvo il drone!". Prima che lei possa rispondermi, una macchina inchioda al nostro fianco. La portiera si apre. Aguzzo la vista per distinguere il volto che si protende verso di noi: una benedizione! Elio, è proprio lui. Deve averlo portato il vento. Entriamo, chiudiamo la portiera e l'auto schizza via, lasciando lo squalo biondo a dimenarsi dalla rabbia sul fondale bituminoso della strada.
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