Il sale della disobbedienza
Un'ombra nel vicolo in penombra. Si staglia sul blu cobalto del cielo, contornata dalle geometrie deformanti dei palazzi. Ho il sangue gelido, una paralisi ai polmoni. Rannicchiata in terra con la schiena contro il muro, le ginocchia al petto, il vicolo stretto e quei tre pitbull in blue jeans che mi piantano nell'occhio, come uno spillo, il loro ghigno sadico.
Primo a raggiungermi è l'odore di quel disgustoso dopobarba misto a sudore. Uno dei suoi sbatte più volte la spranga contro il muro, producendo un rumore metallico, sinistro, che riecheggia nell'aria. Nessuno si affaccia dagli stramaledetti balconi, non so nemmeno chi si nasconda in quelle lattine di cemento.
- Furba sei! -. Sibila Glauco. - Pensavi di braccarmi ed eri braccata, come lo sono gli altri due che ti girano intorno -. Provo a ritrovare la calma, ho il cuore in gola ma il panico è un lusso che non posso permettermi. Devo prendere tempo, provo a negare l'evidenza.
- Non capisco - mormoro, terrorizzata da quelle ombre di cui ora non distinguo che il contorno: - Non conosco il quartiere, stavo solo girando un po' a caso, per familiarizzare con le strade. - Lui si gira verso i compagni e ride.
Uno di loro s'avvicina, sollevando la spranga. L'istinto mi irrigidisce tutto il corpo, sono pronta all'impatto quando sento un ronzio fastidioso intorno a noi, sempre più intenso. Alzo lo sguardo e lo vedo lì davanti a me, sospeso a mezz'aria, con la telecamera puntata come una P38 sul volto degli assalitori.
Il drone di Leonardo, dopo aver scavalcato gli omertosi condomini che cingono il vicolo, si è calato perfettamente in verticale riprendendo tutta la scena, prima dall'alto, poi ad altezza uomo. Si volta, non smette di riprendere, stringe sul mio volto, poi sul loro, sui bastoni, quindi con un guizzo torna a guadagnare altezze non umane per mettersi al sicuro.
I tre cani rabbiosi raccolgono qualsiasi cosa trovino in terra a lato del marciapiede, sotto il bidone che trabocca ferraglia, cartacce oleose, avanzi ributtanti, bottiglie rotte. Prendono di mira l'apparecchio con quel che riescono a trovare, per impedirgli di allontanarsi. Il drone manovra con sorprendente agilità scansando più d'un colpo, si porta nel centro del vicolo tenendosi a distanza da balconi e finestre, caso mai dovesse affacciarsi qualcuno.
Lo vedo percorrere l'angusto spazio aereo in più direzioni continuando a riprendere, salire e scendere in modo imprevedibile, si porta davanti all'insegna della sede politica, inquadra il nome del vicolo attirandosi dietro quella teppaglia. Giusto in tempo, approfitto della confusione per rialzarmi e, dopo aver assicurato il nodo ai lacci delle scarpe, correre a perdifiato allontanandomi da quella strada maledetta.
Per qualche secondo osservo i miei piedi avvicendarsi nelle ampie falcate. Non sono io a correre, è l'istinto di sopravvivenza. Il mio cuore un drum'n bass sempre più veloce, l'aria che respiro mi fa male quasi volesse esplodermi nel petto.
Corro come non ho mai corso in vita mia. Cerco di ritrovare il senno perduto, mi riverso negli spazi aperti dirigendomi verso il lungomare, che al momento immagino essere la via più trafficata. Attraverso la piazza, ritrovo la bicicletta ancora poggiata al cartellone della pubblicità. Salto in sella, sprono i fianchi al ronzino pedalando come una forsennata.
Sette chilometri, non so dire in quanto tempo li abbia percorsi. Infilo il portone del mio palazzo, porto la bici in cantina, salgo le scale tre alla volta, entro in casa e tiro finalmente un grande respiro. Credo di essere in salvo, almeno per il momento. Mi attacco alla cannella del lavandino in cucina, assetata. Dopo essermi asciugata il viso, i capelli, mi lascio cadere sul divano con gli occhi persi nel soffitto, esausta.
Leonardo ha mentito, penso tra me. Epperò, la sua disobbedienza è stata provvidenziale: se non si fosse ingoiato il patentino di volo, se non avesse trasgredito il codice dei sette cieli, ora sarei probabilmente buttata in terra da qualche parte, imbavagliata in uno stanzino oscuro. Non riesco a togliermi dalla testa l'idea di quei tre che...
Non voglio pensare a questo. Mi torna in mente una massima che il professor Martullo ha declinato da non so che parabola evangelica: la legge è fatta per l'uomo, non l'uomo per la legge. Ha ragione, la disobbedienza è il sale della democrazia.
Leonardo sarà al sicuro in uno dei suoi rifugi improvvisati dietro qualche siepe, sotto qualche ponte o magari a casa sua, come me. Mi sembra di vederlo intento a processare il video, montarlo e caricarlo in uno dei suoi server remoti. Mentre noi inseguivamo Glauco in bicicletta, lui ha sdoppiato sé stesso: il corpo era in terra, gli occhi nel cielo. Il corpo fisico non era che l'ombra della sua mente in volo.
Non mi piace questa cosa dell'angelo custode, mi disgustano quei film dove la pavida femmina viene soccorsa da un prode schermitore, li ho trovati sempre un po' subdolamente sessisti, ma Leonardo non è quel tipo di maschio ossessionato dalla sindrome di Marvel, tutt'altro. Non si è addentrato nella tana del drago con l'armatura e lo spadone scintillante, si è infilato come Ulisse nell'antro di Polifemo e l'ha accecato col flash del suo drone. L'intelligenza, non la forza bruta. Adorabile batuffolo peloso.
Mentre penso queste cose un guizzo del cellulare mi invita a controllare i messaggi. Apro, digito il codice. E' lui. Mi chiede se Martina sia con me. No, rispondo. Sono sola in casa. "E' sparita", scrive. L'ha cercata in lungo e in largo sorvolando l'intero quartiere, ma non ha idea di dove si trovi in questo momento.
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