Il millepiedi
Quando vedi una compagna con un graffio sulla fronte, un livido o un polso fasciato, molto spesso quella è appena una parte dei segni che porta addosso; alcuni li puoi scoprire solo spogliandola, altri sono un rumore bianco nell'anima sua, che solo lei può sentire.
Martina è ferita, dicevo. Si direbbe un banale graffio sulla fronte, ma quegli occhiali scuri che porta stamattina sanno di coefficiente moltiplicatore. Un dolore alla enne. Leonardo nella sua vacua, poetica e autoreferenziale ingenuità, non se n'è accorto. Io mi devo mordere la lingua perché lei non capisca che ho capito.
- Non si può e basta - laconica, sentenzia.
Ha ragione. Tutti conoscono Leo e il suo falchetto in lega di titanio, solo io non me n'ero accorta fino a stamani. Sono abituati a vederlo volare intorno alla scuola e non escludo che prima o poi suo padre non debba pagarci sopra qualche sanzione, per la violazione di uno spazio aereo interdetto, per l'ostinazione a spingere il velivolo fin dove l'occhio non può mantenere un contatto diretto.
Prendiamo sulle spalle i nostri zaini, c'incamminiamo per l'ultimo tratto del viale, quello che si addentra nella pineta spiaggiandosi nel cortile della scuola. Non si può, siamo d'accordo. Non possiamo pedinare Glauco usando il drone.
- Possibile che non si riesca più a far qualcosa senza mettere in mezzo questi pterodattili telecomandati? Non lo capite, che il mezzo è il messaggio? Restiamo umani, perbacco! -.
Adoro Martina, per questo. La bacerei dalla fronte ai piedi, passando per ogni centimetro del suo corpo e devo esserti proprio sincera, bacerei anche il mio adorabile sognatore, ma sono baci diversi: lei mi affascina, mi rapisce tutta con quello sguardo che penetra dentro, lasciandomi nuda in mezzo alla folla. Lui m'intenerisce. Non è la stessa sensazione, non è lo stesso amore -.
Leonardo riflette qualche secondo, poi le risponde quasi distrattamente ragionando ad alta voce: - Non esiste un punto d'osservazione abbastanza in alto da poter tenere d'occhio Glauco, mentre si muove nel dedalo delle strade che si aggrovigliano in questa giungla d'asfalto.
- Ha ragione - mi inserisco nel flusso, - Non possiamo tenergli dietro pedinandolo fisicamente, soprattutto la sera visto che non ci lasciano entrare e uscire liberamente.
- Bisogna poi vedere se è davvero un magazzino, quello che stiamo cercando. Non ne sarei tanto sicura - riflette Martina.
- In che senso? - domando.
- Magari è un nome convenzionale, un modo di dire. Come le vendite dei Carbonari - e ride, per l'audacia grottesca del paragone. Leonardo alza lo sguardo sorpreso, domanda:
- Che vendite? Di che parli? -. Martina gli dà uno spintone affettuoso e chiarisce meglio:
- Ma dai! Parlavo dei Carbonari, presente quelli dei complotti contro gli stati nazionali? -.
- Si? E cosa 'vendevano', di grazia? -. Gli mancano le basi, vorrei spiegare al genio della fotografia che se vuole distinguersi nel mondo dell'arte, come dice, avrà bisogno di una preparazione ad ampio spettro. Ma non credo che servirebbe a molto dirglielo, deve arrivarci da solo.
- I carbonari chiamavano 'vendite' le più piccole cellule organizzative della loro fronda, possibile che non ne hai sentito mai parlare? - lo rimprovero bonariamente. Lui per tutta risposta:
- Mai, neanche un po'-.
Rincaro la dose: - Ma dove vivi, che diamine! -
Martina continua a pensare: - Stavo pensando che potremmo dividerci, coordinandoci in modo tale da prevedere le sue mosse, evitando il più possibile di incrociare la sua strada. Sono sicura che questo 'magazzino' sia in realtà un luogo frequentato anche durante il giorno, non dev'essere lontano. Magari lo conosciamo già -.
Non siamo carbonari però abbiamo scelto di prendere un'iniziativa indipendente e dobbiamo agire con discrezione, questo ci fa sentire un po' Guy Fawkes, un po' Pimlico Boys. Scruto ancora una volta Martina dietro le lenti scure, le è tornato il sorriso. Un sorriso zuccherino, su quella liquorosa bocca di ciliegia.
Il millepiedi cammina sulle nostre gambe. Sembra un lungo e disordinato plotone che striscia nel cancello del cortile, tra i lastroni di cemento ghiaioso e gli avvallamenti naturali del terreno le pozzanghere del giorno prima riflettono l'architettura post-moderna del liceo; prima di entrare, mi specchio in una delle pozze e non riesco a trattenere un sorriso, quando mi accorgo di avere i piedi più grandi della testa.
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