Un lungo viaggio

Il convoglio viaggiava a velocità sostenuta. Chi stava in silenzio riusciva a sentire, attraverso la parete di metallo, lo sferragliare delle ruote sulle rotaie.
Il cursore sul monitor del computer, si stagliava nettamente sul biancore della pagina vuota e gli lampeggiava in faccia, quasi come un affronto diretto alla sua persona. Intrecciò le dita le une alle altre e strinse forte, prima di tirarle in due direzioni opposte, facendole scrocchiare tutte e dieci. Il blocco dello scrittore era una di quelle cose che non sopportava proprio. Oltre al fatto di dover scrivere usando uno di quegli aggeggi elettronici, come li chiamava lui, per non disturbare i passeggeri, quando la sua amata macchina da scrivere riposava anch'essa, sebbene nella cappelliera sovrastante e non accasciata lungo lo schienale di uno di quei sedili scomodissimi. Trasse un profondo sospiro e si accasciò anche lui, colla guancia poggiata sulla mano destra, a mo' di cuscino. Guardando la fila interminabile di alberi, piantati lungo i binari e resi invisibili dal buio della notte. Guardò l'orologio: 5:45. Presto avrebbe albeggiato. Pensò. Già il paesaggio all'intorno, iniziava a rischiararsi e si iniziavano ad intravedere i primi tronchi e i primi rami, fare capolino attraverso il fitto manto nebbioso...
Certo, per chi sapeva dove guardare era una passeggiata identificarli. Alcuni dei suoi conoscenti che avevano già fatto quel percorso migliaia di volte, gli avevano persino dato dei nomi, tanto si annoiavano durante quel tratto di strada. Ma lui no. Lui non era il tipo d'uomo che dava dei nomi alle cose; se dai un nome a qualcosa, poi ti ci affezioni e questo non gli era consentito.
Lentamente, mentre il paesaggio surreale veniva rischiarato dai freddi raggi del Sole autunnale, si addormentò, immaginando lo scorrere del paesaggio circostante fuori dal finestrino.

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