Capitolo 2 (parte prima)
Il treno arrivò in stazione puntuale, il macchinista guardò l'orologio da taschino, che portava legato ad una catenella d'oro, nella tasca destra del panciotto. Mentre osservava i numeri romani argentati, posti in rilievo sul quadrante 51 x 15,5 mm, con cassa in acciaio inossidabile, chiusa da una lente bombata, realizzata in vetro minerale standard, un sorriso gli si allargò, sotto i baffi, collegati alle basette da un paio di favoriti piuttosto folti. Le lancette, dotate di movimento meccanico scheletrato, indicavano che l'ora era giunta, in cui avrebbe dovuto far fischiare il treno. Purtroppo era su un mezzo piuttosto moderno, anche se la sua realizzazione non era così recente come appariva all'esterno, tenuto sempre in ottima forma dalle sue pazienti cure, dunque non possedeva un fischio a vapore come quelli dei vecchi treni con caldaia a carbone. Aveva sempre sognato di guidarne uno, fin da quando era piccolo, tuttavia non gli era ancora capitata l'occasione a portata di mano. Chiuse con uno scatto il coperchio della cipolla e la rimise in tasca con aria soddisfatta, scese le scalette del treno e, posando i piedi sul selciato, salutò amichevolmente il proprio collega con un cenno del cappello da capostazione che portava sempre con sè ed egli non gli rispose; senza neanche un cenno se ne andò in cabina di guida e avviò il mezzo di locomozione sulla via del ritorno.
L'arrivo al capolinea era sempre emozionante, perchè Henry (/Matt?) sapeva che presto sarebbe tornato a casa sua, tra i suoi modellini e il suo divano, dove si sarebbe sicuramente lasciato cadere, stanco per la camminata dal lavoro al suo domicilio. Henry era ancora uno di quelli, per cui la città va vissuta fino in fondo; e quale modo migliore dunque, se non spostarsi a piedi? Dopotutto la distanza non era troppa e un po' di esercizio fisico non poteva certo nuocergli alla salute, tutt'altro anzi. Ancora assorto in queste riflessioni, infilò la chiave nella toppa e la girò su sè stessa, due volte. Lo spalancarsi della porta gli rivelò un lungo corridoio, completato da un appendiabiti orizzontale, appeso al muro di destra, terminante in un pratico portachiavi a quattro ganci, posti uno di seguito all'altro in direzione della porta. Un lungo tappeto, con nappe lunghe e bianche agli angoli, decorato con la stampa di un disegno persiano, poggiato sulle tavole di legno del pavimento del corridoio, contribuiva a dare un senso di ordine e pulizia ed era parte fondamentale di un quadro d'insieme, completato da un applique, sorretta da un putto d'ottone dorato, appeso al muro in cartongesso di sinistra, che diffondeva nell'ambiente una tenue luce calda e anch'essa dorata, rafforzata dalla plafoniera, posta al centro esatto del soffitto.
Dopo aver appeso un mazzo di chiavi all'unico gancio libero, chiuse la porta dietro di sè e girò due volte la manopola, avendo anche l'accortezza di tirare il catenaccio.
Sospirò e iniziò a spogliarsi, per rimanere solamente in maniche di camicia, bretelle e papillon rosso, per buttarsi infine sul divano in microfibra blu. Aveva proprio voglia di guardare un po' di televisione, pensò e così premette un bottone sul telecomando; un telo bianco si srotolò dal soffitto, fino a coprire interamente la cappa, fermandosi sopra la linea irregolare della pletora di soprammobili che affollavano la mensola del camino. Subito udì provenire un altro ronzio, da dietro le sue spalle, segno che anche il proiettore a scomparsa stava scendendo dall'apposito foro nel controsoffitto, per andarsi a posizionare all'altezza giusta, onde garantirgli una visione ottimale. Nonappena si accese, Henry partì con una lunga carrellata di canali, che lo lasciò insoddisfatto e con la bocca assai asciutta per la frustrazione. Si alzò così dalla comoda seduta, per andarsi a preparare un cocktail in cucina, separata dal soggiorno da un semplice arco in cartongesso, decorato. Nel contempo poteva ancora udire la voce della ragazza al notiziario, in sottofondo, che annunciava una nuova incursione degli israeliani nella striscia di Gaza. Grugnì con disapprovazione contro quella guerra inutile e gratuita. Tutte le guerre erano inutili e gratuite, pensò, e sempre insoddisfatto tornò a sedersi sul divano con entrambe le mani occupate, nella sinistra un negroni e nella destra una ciotola contenente un mucchietto di noccioline, dal quale faceva timidamente capolino il colmo dell'asta di un cucchiaino da caffè.
Mentre sorseggiava il suo drink e sgranocchiava le sue arachidi salate, sentì come dei passi in sottofondo nella stanza. Erano dei passi lenti, calmi, rassicuranti, un sospiro si insinuò nelle sue orecchie, poi sentì come una stretta al collo, ma non aveva abbastanza forza per reagire, il bicchiere gli cadde e si ruppe, spargendo tutto il suo contenuto per terra, chiuse gli occhi e si addormentò. L'ultima cosa che sentì fu come un ronzìo, che poi si spense nell'oscurità...e nell'oblio.
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(Continua...)
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