Prologo: La morte di Elena
La pioggia martellava Nour, stendendo un sudario grigio su ogni cosa. Max Stone sentiva le gocce picchiettare sul suo cappotto come pugni minuti, un ritmo funereo che si accordava perfettamente al suo umore tetro. Le strade, lucide come specchi, riflettevano le luci al neon della città, creando chiazze tremule di colore in un panorama altrimenti desolato. I lampioni, sentinelle solitarie, emanavano una luce giallastra e incerta, quasi timorosa.
Mentre saliva le scale che conducevano all'appartamento di Elena, il freddo gli penetrava nelle ossa, insidioso. Ogni gradino sembrava pesare quanto un macigno. Si fermò un istante, aggrappandosi alla ringhiera, fredda e umida al tatto.
Il suo respiro si condensava in nuvolette bianche, effimere, nell'aria gelida. Cercò di scacciare il senso di oppressione che lo stringeva in una morsa, ma era un tentativo vano. L'acqua gocciolava dal suo cappotto fradicio, formando piccole pozze sul pianerottolo polveroso, come lacrime silenziose.
Il suono della telefonata anonima, ricevuta appena mezz'ora prima, gli rimbombava ancora nella mente. Una voce fredda, artificiale, aveva scandito coordinate precise: "Appartamento 3B, Via dei Ciliegi 15. Elena ha bisogno di te." Poi, un click netto, secco, e il silenzio. Un silenzio assordante, urlante, un presagio oscuro. Chi poteva essere stato? E perché quella voce così innaturale, così disumana?
Arrivato al terzo piano, il cuore gli batteva furiosamente nel petto, un tamburo impazzito. La porta dell'appartamento 3B era socchiusa, un dettaglio apparentemente insignificante, eppure profondamente inquietante.
Perché Elena avrebbe lasciato la porta aperta? Lei, sempre così attenta, così meticolosa... Un filo di luce filtrava dalla fessura, illuminando un silenzio anomalo, rotto soltanto dal ticchettio incessante della pioggia. L'aria era satura di un odore acre, metallico, inconfondibile: l'odore del sangue. Un odore che conosceva fin troppo bene, un odore che aveva segnato la sua vita, marchiandola a fuoco.
La mano, guidata da un istinto primordiale, corse alla fondina sotto la giacca. Con cautela, con il cuore in gola, spinse la porta. Il cardine emise un gemito lamentoso, mentre la scena che si dispiegava davanti ai suoi occhi lo pietrificava, trasformandolo in una statua di sale.
Elena giaceva lì, distesa sul pavimento, inerme. I suoi lunghi capelli neri si sparpagliavano intorno al suo viso pallido, come un sudario funebre. Un alone di sangue si espandeva sul parquet, come un fiore maligno. I suoi occhi verdi, un tempo così vivi, così brillanti, ora fissavano il vuoto, spenti, opachi.
Un taglio profondo le squarciava il petto, una ferita crudele, definitiva. Max rimase immobile sulla soglia, incapace di muoversi, di parlare, di respirare. Il mondo intorno a lui sembrava essersi fermato, congelato in un istante eterno di orrore. Elena... morta? No, non poteva essere vero. Non poteva accettarlo.
Sul tavolino accanto al corpo, il suo bloc-notes era aperto, abbandonato. Un foglio era stato strappato via, con violenza. Nessun messaggio, nessuna spiegazione, solo il silenzio assordante della morte, un silenzio che urlava la sua assenza. Max si inginocchiò accanto a lei, incurante del sangue che gli macchiava i vestiti.
Il dolore lo investì come un'onda anomala, travolgendolo. Si sentiva soffocare, il respiro corto e affannoso, un peso opprimente sul petto. Perché non era arrivato prima? Perché non l'aveva protetta?
Solo due settimane prima, Elena lo aveva messo in guardia. Si erano incontrati al loro solito caffè, un'oasi di familiarità in quel mare di caos, e lei era apparsa nervosa, inquieta. "Se dovesse succedermi qualcosa," gli aveva sussurrato, con voce tremante, "cerca nel terzo cassetto della mia scrivania." Lui aveva insistito, cercando di capire, di carpire il suo segreto, ma lei aveva scosso la testa, con fermezza.
"Non ancora, Max. Non è sicuro." Ricordava perfettamente l'espressione preoccupata di Elena, il modo in cui si guardava continuamente intorno, con circospezione, come se temesse di essere spiata, di essere ascoltata. Avrebbe dovuto insistere, avrebbe dovuto capire... avrebbe dovuto proteggerla.
Ora, si diresse verso la scrivania, con passo incerto. Il terzo cassetto era chiuso a chiave, ma Max conosceva Elena, le sue abitudini, i suoi piccoli segreti. Sollevò il sottomano e trovò la piccola chiave d'ottone, nascosta con cura.
Dentro, c'era una chiavetta USB a forma di stella marina, un oggetto apparentemente innocuo, eppure carico di mistero. La strinse tra le dita, con forza, mentre in lontananza le sirene della polizia iniziavano a farsi sentire, un lamento crescente. La strinse forte, come se fosse l'ultima cosa che gli rimaneva di Elena, un legame tangibile con il suo ricordo. Un piccolo oggetto, eppure così importante, così prezioso. Cosa conteneva? Quali segreti nascondeva? Quale verità celava?
Guardando ancora una volta il corpo esanime di Elena, Max giurò, con tutto se stesso, che avrebbe scoperto la verità sulla Harlow Technologies e sul progetto "Stella di Pandora". Non poteva ancora immaginare che quella chiavetta fosse solo una copia, un'esca, un diversivo. Ma lo avrebbe scoperto presto. Troppo presto.
La pioggia continuava a cadere, incessante, mentre Max lasciava l'appartamento, portando con sé il peso del dolore e della promessa. Non sapeva che quello era solo l'inizio di un'indagine che avrebbe scosso le fondamenta di Nour, dalle sue viscere più oscure ai suoi vertici più alti. Non sapeva che il vero segreto, la vera Stella di Pandora, era nascosta in un pianoforte al Midnight Pearl, un luogo di musica e di misteri. Una melodia jazz.
Elena amava il jazz, la sua musica, le sue note malinconiche. E quella melodia, Max l'avrebbe sentita presto. Molto presto.
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