30: ... e Paradiso. O quasi.
Buio. Per l'ennesima volta mi ritrovai immersa nell'oscurità più totale, in preda ad un terrore mai provato prima e alla mercé di una donna senza alcuno scrupolo. Nonostante desiderassi con tutto il cuore di sfuggire alle grinfie di Alpha indenne, non potei fare a meno di rassegnarmi all'idea che non sarei rimasta a viva molto a lungo: la testa mi doleva in modo assurdo, il probabile coltello piantato sulla mia gamba ormai quasi non lo avvertivo più, respirare cominciava ad essere faticoso e non riuscivo più a stare concentrata su un pensiero fisso. Sembrava che il mio corpo si trovasse lì, in quel sotterraneo lurido, mentre la mente cominciava ad abbandonarmi.
Cercai di carpire anche il più piccolo spostamento d'aria, ma non riuscii a distinguere nulla se non il leggero frusciare dei vestiti di Lupin alle mie spalle. Mi aveva mollato i capelli per posare entrambe le mani alla base del collo, probabilmente il piano b era quello di soffocarmi, nulla di troppo inaspettato.
«Hanno tagliato l'elettricità?» sbraitò Alpha, colpendomi al viso con una manata non del tutto accidentale. Arricciai il naso dolorante e trattenni qualsiasi possibile verso di fastidio, onde evitare di darle qualsiasi tipo di soddisfazione.
Poi un fascio luminoso mi accecò, facendomi per un istante temere d'aver perso completamente la vista, e fu soltanto quando sentii un forte trambusto che mi azzardai ad aprire gli occhi: non riuscii a distinguere bene cosa stava succedendo per colpa della visuale annebbiata, ma dalle nuove voci che echeggiavano nella stanza compresi che qualcuno era venuto a salvarmi. Un assurdo senso di sollievo sembrò risvegliarmi dal torpore in cui ero piombata, cosa che mi fece sentire fin troppo distintamente la lama piantata sulla coscia, ma il conforto durò ben poco: le mani di Lupin si serrarono con violenza attorno alla mia gola e mi tolsero il poco fiato che avevo. Alzai lo sguardo al soffitto nel disperato tentativo di guadagnare un po' di tempo, forse ricordandomi qualche corso di rianimazione fatto da ragazzina, e mi ritrovai ben presto con gli occhi colmi di lacrime per la disperazione... almeno avrei rivisto papà.
Quasi non riuscii a sentire lo sparo del proiettile che mi passò a poca distanza dalla testa per poi piantarsi nel cranio di Lupin, facendomi finire il suo schifosissimo sangue in faccia. Mi ritrovai ad annaspare alla ricerca di aria pulita e l'ennesima fitta mi attraversò dolorosamente il petto, quasi volesse ribellarsi al mio tentativo di respirare, di rimanere in vita.
«Millicent! Sono io, mi senti?»
Non mi aveva abbandonata. Bucky era lì per salvarmi da quell'incubo in cui ero finita. Alpha aveva detto l'ennesima bugia nel raccontarmi della sua morte, valeva dunque lo stesso per Tony ed Enoch, no?
«James» mormorai appena avvertii la sua mano gelida sfiorarmi il braccio scoperto, fu un vero sollievo per le bruciature di sigaretta. Non riuscii subito a mettere a fuoco la sua presenza, ma mi bastò avvertire le sue dita lavorare in tutta fretta sui nodi che mi stringevano i polsi per rilassarmi. «Credo... di non stare... troppo bene.»
«Tranquilla, cerca di concentrarti sul tuo respiro, al resto ci penso io» mormorò Bucky e per un attimo riuscii a distinguere il suo volto preoccupato.
Tentai di fare come m'aveva detto, ma più passava il tempo, più il petto mi sembrava pesante e rimanere focalizzata sulla realtà diventava assai difficile: cosa mi stava succedendo? Era forse causa di qualche siero iniettatomi da Alpha? Avevo contratto qualche infezione? Stavo per morire?
«Bucky» lo richiamai piano con le orecchie assordate dai rumori dello scontro che stava avvenendo attorno a me. C'erano urla, insulti, sibili di proiettili, tonfi sordi eppure non riuscivo a distinguere la voce della persona che stava affrontando Alpha. Le sue dita smisero di lavorare sul polso destro ancora bloccato dalla corda e bastò questo per farmi sciogliere la lingua. «Credo di amarti.»
«Millie...» mormorò lui e avvertii le sue labbra posarsi sul dorso della mia mano libera. Ciò mi permise di individuare il suo volto e gli lasciai una delicata carezza sulla guancia, un po' per controllare che si trattasse proprio di lui, un po' per esprimere la mia più profonda riconoscenza.
Una volta sciolti i nodi della corda che mi bloccava il braccio destro, fu la volta degli arti inferiori e mi resi conto ben presto che la gamba sinistra era quasi del tutto addormentata tant'è che avvertii a malapena le dita di Bucky che mi toccavano per liberarmi. Cosa stava succedendo?
«Ehi, strega, siamo venuti a prenderti» mormorò la voce di Sam, spuntato adesso al mio fianco. Alzai appena la testa per controllare che fosse davvero lui - non mi sarei stupita d'avere qualche tipo di allucinazione - e quando vidi la sua espressione preoccupata compresi che non era affatto un delirio dovuto dalla mia situazione clinica. Gli risposi con un sorriso, certa che se avessi tentato di abbozzare una risata avrei subito delle assurde fitte di dolore.
«Dov'è Alpha?» domandai piano, realizzando solo in quell'istante che la stanza era silenziosa e non più immersa nel buio. Vidi sangue, tanto sangue, ai miei piedi dove Bucky stava ancora armeggiando con la corda e in vari punti della stanza in cui speravo che Alpha fosse stata ferita. Magari a morte.
«Non preoccupartene, Steve e Wanda sanno fare bene il loro lavoro» rispose Sam, inginocchiandosi alle mie spalle per occuparsi dell'ultimo laccio che mi bloccava il busto. Mi sentii un po' a disagio nello star ferma senza fare nulla, sembrava quasi fossi una bambola di pezza di cui gli altri dovevano occuparsi perché da sola non ero capace a fare nulla. Li lasciai fare però, sicura che se avessi anche solo tentato un minimo gesto fuori luogo sarei stata ripagata con fitte di dolore un po' ovunque. «Mi fa piacere vederti viva.»
«Eri forse preoccupato per me, Sam?» gli chiesi divertita, cercando di ignorare la stretta al cuore che ebbi nel sentire quelle parole e soprattutto il tono con cui erano state pronunciate.
«Oh, ma stai zitta! Non hai qualche dolorino a cui pensare?» brontolò lui, per poi esultare quando riuscì a mollare del tutto l'ultimo impedimento che mi divideva dalla libertà. «È normale che questo tizio qua dietro abbia le unghie lunghe cinque centimetri buoni?»
«Ti pare il momento?» lo rimproverò Bucky, una volta rimessosi in piedi con uno scatto veloce. Il suo sguardo parve addolcirsi quando tornò a rivolgermi tutte le sue attenzioni. «Ora dobbiamo andare, riesci ad alzarti?»
Passai lo sguardo da lui al coltello ancora piantato sulla mia coscia: senza pensarci due volte misi le mani sui poggioli della sedia, mi diedi una poderosa spinta in modo da racimolare la poca forza che m'era rimasta e cercai di rimanere in equilibrio sul piede sano. Un braccio di Bucky fu subito attorno alla mia vita per aiutarmi nell'impresa che, in tutta sincerità, non ero sicura di portare a termine. Vacillai appena caricai tutto il mio peso sulla gamba destra che ferite evidenti non ne aveva, ma, forse complici i giorni in cui ero rimasta immobile e priva di coscienza, non sembrava pronta a supportarmi.
«Lasciala provare, rischiamo che i muscoli non lavorino più adeguatamente» parlò Sam, fermando Bucky prima che mi prendesse in braccio per portarmi fuori da lì. Anche lui mi offrì il suo supporto - limitandosi a porgermi un braccio a cui mi aggrappai saldamente - e tutti e tre insieme, passo dopo passo, salimmo la rampa di scale che ci divideva dalla libertà.
Mi ci volle un po' perché riuscissi a riabituarmi alla luce del Sole e quel lasso di tempo lo occupai a fare piccoli respiri: mai prima d'allora mi sentii così felice di avvertire il calore del giorno scaldarmi la pelle o l'aria fresca scombinarmi i capelli, perfino il dolore alla gamba e al petto passò in secondo piano quando realizzai che non c'era più nessun ostacolo tra me e una reale libertà.
«Ora andiamo in ospedale, va bene?» mormorò Bucky, non appena un fuoristrada nero fece la sua comparsa all'inizio della strada di servizio della vecchia base. Soltanto quando fu praticamente davanti a noi riuscii a distinguere lo stemma dello SHIELD sulla fiancata.
«Non possiamo andare al Complesso?» tentai di convincerlo, cercando pure l'appoggio di Sam con un'occhiata. Entrambi scossero la testa, chiaro segno che la proposta era fuori discussione, e mi spronarono ad avanzare verso l'autovettura.
Bastò un passo falso perché un'assurda fitta di dolore mi attraversasse la gamba sinistra, focalizzandosi insistentemente sul punto in cui la lama del coltello era ancora ben conficcata nella mia carne, e complice il respiro sempre più affannoso e difficile da sostenere, lasciai che il buio mi prendesse con sé per l'ennesima volta.
La prima cosa che la mia mente registrò non appena aprii gli occhi fu il bianco accecante delle pareti. Mi vidi dunque costretta a distogliere lo sguardo dal muro che avevo di fronte, ciò mi portò a notare per prima cosa l'ago della flebo ben fissato nella piega del gomito e subito dopo la presenza di Bucky, seduto su una sedia ridotta piuttosto male e addormentato con la testa appoggiata sul materasso del letto.
Mi portai una mano al viso nel tentativo di individuare le ferite che ben sapevo d'avere e con la punta delle dita sfiorai il sangue coagulato - cosa che mi creò non poco prurito -, soltanto una sembrava essere più grave in quanto suturata con un paio di punti. Tentai di mettermi seduti, o perlomeno sui gomiti, ma non appena ci provai una leggera fitta mi attraversò il petto, facendomi sfuggire uno sbuffo innervosito.
«Mhh, tesoro?» mormorò Bucky, alzando la testa dalle braccia che gli avevano fatto da cuscino. Si stropicciò gli occhi come un bambino e mi regalò uno dei suoi migliori sorrisi prima di accarezzarmi dolcemente una guancia.
«Come stai?» gli chiesi piano, incerta se fossi capace di mantenere un tono di voce più alto senza avere male alla gola. A dirla tutta, quasi non mi sembrava d'esser sveglia tanto mi sentivo intorpidita.
«Dovrei essere io a chiedertelo, no?» disse con una risata, spostando la mano dalla mia guancia al mio avambraccio sinistro dove cominciò a tracciare delicati ghirigori con l'indice. «Ora che ti ho di nuovo al mio fianco sono più che felice.»
La stessa sensazione che provai quando mi confessò il suo interesse tornò a scaldarmi il petto, dandomi la tanto agognata sensazione di serenità che cercavo da quasi cinque mesi: sembrava che bastasse la sua presenza per farmi sentire felice, amata, desiderata, e non avevo più alcuna intenzione di allontanarmi da lui. Non adesso che Alpha era stata presa.
«Come stanno gli altri? Quanto tempo è passato dall'attacco alla nuova base?» domandai con circospezione, ricordando fin troppo bene ciò che m'era stato detto.
Il suo viso parve illuminarsi e si mise subito a rovistare dentro una borsa di tela che stava appesa allo schienale della sedia, vi tirò fuori una normale cartellina blu e da essa estrasse un comune foglio da disegno. Prima di mostrarmi cosa ci fosse scritto o disegnato, mi aiutò a mettermi seduta senza muovere eccessivamente la gamba ferita e da non so dove tirò fuori pure un cuscino che andò a posizionare dietro la mia schiena, in aggiunta a quello già presente.
Potei dunque prendere in mano il foglio per osservarlo senza dover alzare le braccia fin sopra la testa e rimasi letteralmente senza parole nello scoprire un disegno a matita che mi rappresentava mentre ero intenta a creare uno dei soliti origami, in quel caso si trattava del cigno. In basso, sulla sinistra, trovai la firma dell'autore e lo stupore fu il doppio: S. Rogers.
«Non credevo fosse così bravo» mormorai, incapace di distogliere lo sguardo da quella piccola opera d'arte che m'era stata regalata. Bucky, senza dire nulla, mi prese il foglio e lo voltò, così da farmi scoprire una breve dedica. "Mi dispiace d'averti lasciata andare come se niente fosse, mi dispiace di non averti protetta a dovere quando invece me l'ero giurato, ma sono sicuro che riuscirai a superare pure questo e a tornare la donna forte che ho imparato a conoscere." «Vi odio tutti, non avete alcun diritto di farmi piangere!»
«Non oso immaginare cosa succederà quando tornerai al Complesso, allora. Voci di corridoio dicono che ci sarà una grande festa» disse Bucky, accennando l'ennesimo sorriso.
«Non cercare di sviare il discorso, vorrei che rispondessi alle domande che ti ho fatto.»
«Sono passati cinque giorni dall'attacco, quasi tre dei quali li hai passati con Alpha. Poi siamo venuti a liberarti l'altro ieri sul tardo pomeriggio e ieri l'hai passato sotto antidolorifici e sedativi per favorire i controlli dei medici. Oggi, appunto, è il quinto giorno» spiegò con attenzione, facendo vagare lo sguardo al soffitto, anch'esso bianco.
«E gli altri? Come stanno?»
Fu con quelle due semplici domande che vidi la sua espressione serena vacillare, sembrava quasi non volesse rispondermi e bastò questo per farmi preoccupare. Alpha aveva detto che Tony ed Enoch erano stati feriti gravemente, ma avevo dato per scontato si trattasse di una bugia nel momento stesso in cui avevo scoperto che Bucky era ancora vivo... ora non potevo fare a meno di dubitare del mio giudizio, incapace di togliermi dalla testa l'immagine di loro due stesi a terra in una pozza di sangue. No, non poteva avermeli portati via.
«A parte una brutta ustione sul braccio per Tony e un proiettile nel mio fianco, nessuno degli Avengers ha subito ferite fuori dall'ordinario» disse e non potei fare a meno di allungare una mano verso il suo busto. Mano che lui prontamente prese e ripose sul materasso, chiaro segno che non aveva ancora terminato. «Enoch... be', non gli è andata troppo bene.»
«È morto?» sussurrai, cercando nel suo sguardo una risposta negativa che non trovai. Non poteva essere vero, non volevo neanche pensare all'eventualità di dover andare al funerale di un uomo neanche trentenne.
«No, ma per quanto so è in coma indotto da due giorni. Non so nulla di più, i medici è già tanto se ci hanno comunicato questo.»
Scossi piano la testa, forse cominciando ad arrendermi all'idea che sopravvivere non bastava per avere una vita felice, e spostai lo sguardo al muro dipinto di quel bianco fastidioso. Gli occhi mi bruciarono e questa volta non provai neanche a contenere le mie emozioni, scoppiando in un pianto a dirotto.
«No, non piangere, Millie» sussurrò Bucky, alzandosi dalla sedia per stringermi in un abbraccio. Per quanto le ferite me lo permettessero, mi accoccolai contro il suo petto e piansi tutte le lacrime possibili finché non mi restò altro da fare che singhiozzare a vuoto.
Bucky non mi lasciò andare neanche quando riuscii a tranquillizzarmi del tutto, continuando a mormorarmi parole che sapevano d'amore e tristezza.
Angolo autrice.
Dato che il capitolo in fase di scrittura si aggira sulle 1200 parole, mi sento abbastanza tranquilla nel pubblicare questo che, fatemelo dire, mi ha fatto versare qualche lacrima durante la stesura.
Approfitto della situazione per dirvi che gli aggiornamenti saranno radi, ma non assenti. Credevo avrei avuto un po' di tempo libero nei pomeriggi della scorsa settimana, invece i professori hanno pensato bene di riempirci di compiti già dal primo giorno quindi zero tempo per concentrarmi effettivamente su questa storia - o sulle altre.
Niente, che vi pare di questo capitolo? Fatemi sentire un po' le vostre voci, su!
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