28: Sentimenti nuovi e contrastanti
Bucky's POV
Tutto ciò non sarebbe successo se mi fossi opposto alla stupida idea di Steve. Se non avessi accettato la sua proposta di lasciare Millicent a cavarsela da sola avrei potuto difenderla da quella strega, aiutarla a sconfiggere quel mostro che voleva trascinarla con sé, impedendole di essere una persona normale.
L'imboscata all'aeroporto era filata liscia fin dal primo istante e, probabilmente, gran parte del merito andava a Thor e Wanda. Sembrava che ogni colpo inferto a noi provocasse in risposta una violenza doppia per loro, cosa che ci permise di fare quanti più prigionieri possibili. Preferirono arrendersi anziché morire.
Mi rigirai sul letto che sembrava tutto tranne che comodo, mi sfuggì un'imprecazione quando una fitta mi attraversò il fianco sinistro - laddove ero stato raggiunto da un proiettile vagante - e affondai il volto sul cuscino. Avrei voluto alzarmi, prendere una qualsiasi iniziativa per aiutare le ricerche, ma non ci riuscivo: a parte il dolore generale dovuto dallo scontro, la sola idea di vedere Millicent in fin di vita mi toglieva il fiato, facendomi piombare in uno stato di tristezza e preoccupazione che credevo di non esser più capace di provare. Insomma, l'ultima volta che mi ero preoccupato di qualcuno risaliva agli anni della Grande Guerra e si parlava del mingherlino Steve che avrebbe passato intere giornate a farsi pestare dai bulli pur di dimostrare chissà cosa a se stesso.
Non potei fare a meno di sentirmi in colpa nel ricordare le parole urlate a Steve non appena scoprii della scomparsa di Millicent, non le pensavo davvero, non avrei mai insultato il mio migliore amico, eppure erano state la giusta valvola di sfogo per la rabbia che covavo fin da troppo tempo dentro di me. Sembrava che tutte le cose positive della mia vita fossero destinate, prima o poi, a scomparire.
Avvertii le lacrime pungermi gli occhi per l'ennesima volta in quei due giorni senza di lei e riuscii a stento a contenerle. Non che mi vergognassi di piangere, dopotutto era una cosa naturale, ma ero ben consapevole che una volta cominciato avrei faticato a smettere, incapace di non vedere Millicent in ogni angolo del Complesso.
Alzai il volto dal cuscino per lanciare un'occhiata al quaderno arancione poggiato sul comodino, forse avrei potuto leggerlo e perdermi per un po' nei suoi pensieri così da non avvertire troppo la sua mancanza.
«Millicent, cosa mi hai fatto?» mormorai a me stesso, realizzando che non m'era mai successo d'essere così affezionato ad una donna.
Mi misi seduto con cautela, stando attento a non fare movimenti bruschi che avrebbero portato all'apertura dei punti di sutura, e allungai una mano per prendere il quaderno. Era strano averlo di nuovo tra le mani, ricordavo perfettamente quanto mi fosse sembrata timida e impacciata il giorno che glielo diedi, tanto che mi ritrovai a pensare che, una tipa del genere, a fare l'assassina proprio non ce la vedevo.
In piccolo, dietro la copertina di spesso cartone, trovai scritto "Regalato da James Barnes" e mi sfuggì un debole sorriso. Sulla prima facciata, invece, aveva scritto bello in grande "Ansia sociale?" che sembrava aver poi accantonato con una grossa croce rossa.
Aveva un modo di scrivere piuttosto particolare: metteva tante virgole, c'erano molto coordinate e gli incisi si trovavano quasi in ogni frase, ma lessi con malcelato piacere la narrazione dei suoi ricordi tornati alla luce. Sembrava un po' di rivivere la mia riabilitazione fatta di frammenti e dubbi solo con avvenimenti vissuti da lei.
Il primo racconto in cui mi persi fu quello della morte di suo padre e nonostante fossi riuscito a ricordare la maggior parte degli omicidi commessi quando ero sotto il controllo dell'HYDRA, spesi un paio di minuti a cercare nella memoria quel singolo episodio: l'ultima cosa che volevo era scoprire che c'entravo con la scomparsa dei genitori di Millicent, probabilmente non avrei mai sopportato la cosa.
Rendermi conto che non ricordavo nulla del genere da una parte mi permise di tirare un sospiro di sollievo, ma dall'altra mi lasciò un fastidioso senso d'ansia che, ne ero certo, non mi avrebbe abbandonato con tanta facilità.
Proseguii con la lettura quasi senza rendermene conto, macinai pagine su pagine di ricordi e brutti pensieri che in alcuni punti mi fecero pure sorridere: l'entusiasmo con cui parlava di un certo modulo dello SHIELD era tale che nei margini della pagina aveva disegnato tante faccine felici e stelline. Si capiva quanto quel quaderno la rendesse felice non tanto dalle parole scritte, quanto piuttosto dagli abbozzi di disegni che occupavano gli spazi lasciati vuoti.
Quelle pagine non le riempiva semplicemente di frasi, ma le viveva fino in fondo, quasi fossero una persona pronta ad ascoltarla ad ogni ora.
«Lo so che è già due volte che lo dico, ma giuro che dopo questo non scriverò più nessun incubo» lessi, la voce appena al di sopra di un sussurro. Aggrottai la fronte perplesso, ben consapevole che erano più di due le volte in cui aveva raccontato di un ricordo e senza ulteriori indugi proseguii la lettura.
«Ho sognato Bucky per la prima volta» sussurrai, seguendo il testo scritto con estrema cura, e bastò vedere il mio nome per zittirmi... quello non era un ricordo.
"Era tutto molto strano, nonostante il buio riuscivo a vedere perfettamente il suo viso e i suoi occhi sembravano invitarmi a raggiungerlo. Non parlava, non provava neppure a sillabare la benché minima parola e soltanto a mezzo passo da lui compresi il perché: c'era Alpha nascosta in quel buio innaturale.
«Benvenuta all'Inferno, dolcezza», queste le uniche parole che Alpha pronunciò e un coltello andò a piantarsi violentemente sul braccio destro di Bucky, questa volta facendolo urlare. Lui, però, sembrava immobilizzato dal collo in giù e non oppose alcun tipo di resistenza quando fu colpito ancora, ancora e ancora.
Vederlo con gli occhi sbarrati, la testa gettata indietro e un rivolo di sangue alla bocca mi ha strappato il cuore, facendomi svegliare di soprassalto. Passo sicuramente per quella fuori di testa, ma non sono riuscita a trattenermi dal correre alla sua camera per dare una sbirciata e vedendolo sano e salvo gli ho lasciato un veloce bacio tra i capelli.
Vorrei non doverlo dire (o scrivere, perché non credo racconterò questo incubo a Bucky) eppure sono sicura che Alpha sarebbe capace di creare ancora più danni... ho paura che me lo porti via o, peggio, che mi porti via da lui. Non voglio lasciarlo, non voglio."
Avvertii distintamente un brivido corrermi lungo la schiena e mi si formò un groppo in gola che cacciai via con non poca fatica, non credevo che Millicent vivesse la nostra relazione con così tanta difficoltà. In quel momento capii perché non voleva neanche pensare alla possibilità di ritrovarci Alpha intorno, non potei fare a meno di darmi dello stupido per averle detto di lasciar perdere la questione e ciò peggiorò ulteriormente la situazione già di per sé stressante.
Continuai a sfogliare il quaderno e ad ignorare la sensazione sempre più pressante che mi opprimeva il petto, ben consapevole che avrei avuto tutta la notte per preoccuparmi di essa: i successivi ricordi si rivelarono ben più frammentati - si concentravano soprattutto sulla sua vita da adolescente -, pieni di domande lasciate in sospeso e nomi buttati là un po' a casaccio.
Mi sfuggì un sorriso nel notare lo stupore con cui aveva raccontato di un tale Nathan, suo fidanzatino a sedici anni. Era descritto il loro rapporto nei minimi dettagli, quasi fosse un diario segreto, nulla sembrava esser stato ignorato, e avvertii una stupida fitta di gelosia nell'immaginarla tra le braccia di altri uomini.
Persi quasi un'ora per leggere tutti i ricordi e pensieri appuntati in quel quaderno e quasi senza rendermene conto raggiunsi la penna che stava abbandonata sul comodino: sapevo bene che, una volta tornata a casa - perché doveva tornare a casa -, mi avrebbe rimproverato per aver violato la sua privacy, ma alla prima pagina bianca scrissi tutto ciò che provavo in quel momento. Del soldato che aveva combattuto nella Seconda Guerra Mondiale sembrava non esserci più traccia.
Fu soltanto quando arrivai, per caso, all'ultima facciata che vi trovai una scritta del tutto fuori luogo.
«Dodici fiori per dodici vite spezzate in ciò che per troppo tempo è stata la nostra unica casa» lessi e intuii pressoché subito il significato di quelle poche parole, soprattutto visto l'indirizzo appuntato sotto. Doveva per forza riferirsi alla base del MOS e alle vittime causate dagli esperimenti di Alpha, non poteva esserci altra spiegazione.
«FRIDAY?» richiamai dunque l'intelligenza artificiale, sperando con tutto il cuore d'aver individuato qualcosa di utile per ritrovare Millicent.
«Mi dica.»
Non sopportavo il suo darmi del lei, lo trovavo totalmente fuori luogo dato che controllava pressappoco ogni superficie dell'edificio in cui ancora vivevo. Mi ritrovai per un istante colto dal dubbio, sarebbe stato più opportuno parlare con Tony o con Steve? Dal primo non potevo certo aspettarmi troppo entusiasmo - tralasciando il pessimo umore degli ultimi giorni, sembrava ignorarmi senza problemi - e dal secondo avrei probabilmente ottenuto solo silenzio.
«Tony è qui?»
«In laboratorio, devo avvisare che sta arrivando?»
«Forse è meglio, sì, grazie.»
Mi passai una mano sul viso nel tentativo di eliminare eventuali segni di lacrime, diedi una veloce controllata alla ferita sul fianco - si fosse aperta ne avrei sentite di tutti i colori dalla dottoressa Cho, dato che avevo rifiutato i suoi metodi - e uscii dalla stanza di gran carriera con il quaderno ben stretto tra le mani.
Quando raggiunsi il laboratorio trovai già la porta d'entrata aperta e Tony ad aspettarmi a braccia incrociate, del discorso che avevo pensato sembrava non esserci più traccia.
Avevo intuito quanto poco apprezzasse la mia relazione con Millicent, ma dopotutto c'era qualcosa che gli andava bene di me? Probabilmente no.
«Barnes» sbottò lui a mo' di saluto, alzando le sopracciglia in modo eloquente.
«Forse ho qualcosa» risposi, andando subito al sodo perché proprio non avevo voglia di essere la sua valvola di sfogo. Lo vidi spalancare gli occhi sorpreso, ma cercò di dissimulare il tutto voltandosi verso uno degli innumerevoli schermi che riempivano la stanza. Mi invitò a parlare con un gesto stizzito della mano sinistra mentre con l'altra aveva preso a digitare furiosamente sulla tastiera.
«Mi mancava, allora ho preso il suo quaderno e sfogliandolo ho trovato un indirizzo che credo si riferisca alla vecchia base del MOS. Gli abbiamo tolto il nuovo rifugio, torneranno in quell'altro, no?»
«Ti conviene che non lo scopra, sarebbe capace di ucciderti» disse Tony, accennando una risata del tutto priva di emozioni che, però, riuscì a farmi sorridere. Anche lui credeva nel suo ritorno. «Non è un'idea stupida, provvederò a passar parola a Fury e Rogers appena il sistema smette di dare i numeri.»
«È qualcosa di grave?» mi azzardai a domandare, dando una sbirciata allo schermo che aveva di fronte. Non che mi aspettassi di capire qualcosa, dopotutto le mie conoscenze si limitavano al navigare su Google, creare una presentazione PowerPoint e un documento su Word.
«Dovrei perdere tempo a spiegarti?» parlò con la voce carica di sarcasmo, voltandosi per lanciarmi un'occhiataccia. Poi sembrò ripensarci e un abbozzo di sorriso - o, molto più probabile, di ghigno - gli incurvò le labbra. «Scusami. Qualcuno o qualcosa sta cercando di entrare nel sistema, cosa che ritenevo impossibile da fare fino a 'sta mattina, ed è davvero difficile da contenere.»
«Hai bisogno che chiami qualcuno?»
«Sta già arrivando Bruce, grazie comunque per il pensiero.»
Annuii nonostante mi stesse dando le spalle e, consapevole che ero solo d'impiccio in quel momento, gli lasciai accanto il quaderno aperto sull'ultima facciata, cosicché potesse vedere la scritta al primo momento libero. Mi augurai che non cominciasse a sfogliarlo perché, altrimenti, sarei stato spunto di battutine sprezzanti fino al Natale dell'anno dopo.
«James» mi richiamò, cogliendomi totalmente di sorpresa. Mi fermai a pochi passi dall'entrata del laboratorio per lanciargli un'occhiata perplessa che fu ricambiata da una sua scrollata di spalle, come se il tono gentile utilizzato fosse del tutto normale. «Come stai?»
«Potrei stare meglio» e mi sento in colpa, ma questo evitai di dirglielo. «Tu, invece? Ti vedo piuttosto abbattuto.»
«È come aver perso una figl- sorella.»
Forse per la prima volta da quando ero arrivato al Complesso, vidi la spavalderia sul suo viso lasciar spazio ad una profonda tristezza. In quel momento non v'era più alcuna traccia del grande Tony Stark che tutti osannavano, c'era soltanto un uomo con un peso troppo grande sulle spalle e che non avrebbe retto ancora a lungo.
Millicent sembrava essersi portata via pure un pezzo della sua anima.
Angolo autrice.
È la prima volta che tento una narrazione dal punto di vista di un uomo, quindi chiedo scusa per eventuali stereotipi del tutto non voluti. Credevo fosse più facile esprimere i pensieri di Bucky - ho una paura cane d'averlo reso un bamboccio privo di spina dorsale - quindi, per favore, ditemi cosa ne pensate di questo capitolo!
E niente, buona fortuna a chi comincia scuola questa settimana (mi dispiace per voi lol).
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