13: "Maledetta strega"
«Si tratta di proteggere il presidente, non un tizio qualsiasi. Avrai pure un solido allenamento alle spalle, ma per combattere in squadra ci vuole ben altro e tu non ce l'hai questo altro! Hecate, cazzo, hai appena preso un biglietto di sola andata per un viaggio diretto all'inferno! Ti uccideranno se ti vedono nella scorta del presidente, non ci arrivi?» mi urlò addosso Tony, fuori dal Complesso, non appena il suv nero ripartì.
Inutile dire che sentii letteralmente il mondo crollarmi addosso.
Vagavo per un corridoio buio e silenzioso. Non riconoscevo quel posto né sapevo perché mi trovassi lì: ero a disagio e sentivo lo sguardo di qualcuno puntato con insistenza sulle mie spalle.
Indossavo una maglietta sgualcita - una delle prime che ricevetti dopo essere entrata nel MOS -, un paio di leggings sportivi e le logore scarpe da ginnastica... ma certo, avevo un allenamento!
Un forte chiacchiericcio mi accolse non appena varcai la porta in fondo al corridoio e fui accecata dalla forte luce che illuminava la stanza.
«Ecco la nostra nuova Ombra!» parlò una donna che riconobbi essere Alpha. Guardai verso di lei e la vidi comodamente seduta su una divanetto intenta a scrivere qualcosa su un piccolo quaderno ad anelli.
Abbozzai un sorriso, incapace di fare altrimenti, e feci qualche passo verso di lei, senza sapere davvero cosa fare. Mi guardai attorno e scoprii un paio di altri membri del MOS, tutti erano vestiti come se dovessero allenarsi, ma nessuno lo stava facendo davvero. Aspettavano me?
Individuai la fonte del chiacchiericcio in un gruppo di agenti e mi sentii subito più serena quando riconobbi tra essi Fort - l'uomo che mi aveva concesso gentilmente di vivere con sé - e Flamme - una simpatica donna sulla trentina capace di calmarmi nei momenti di peggiore turbamento.
«La tua massa muscolare è decisamente migliorata, così come la tua resistenza e velocità, direi che è il momento opportuno per cominciare con il corpo a corpo» parlò Alpha, la voce pacata e l'ombra di un sorriso sulle labbra tinte di rosso.
La conoscevo da poco più di tre settimane e non era passato giorno senza che mi relegasse per ore in palestra a fare allenamenti a dir poco estenuanti: ben presto capii che se volevo sopravvivere a quella dura routine dovevo stare zitta e sforzarmi oltre i miei limiti perché, altrimenti, avrei rischiato grosso. Avevo visto una giovane uscire da lì con il volto rigato di lacrime e gli occhi chiari pieni di terrore, Alpha e il suo seconda le stavano dietro a pochi passi... Ombra 16 non la vidi mai più.
«Sì, va benissimo» dissi entusiasta, più che pronta ad affrontare qualcuno.
«Sorride troppo» la sentii borbottare mentre scriveva qualcos'altro sul quaderno. La guardai dubbiosa, ma lei liquidò ogni riserva con un cenno della mano. «Oggi verrà forgiata la vera Ombra che è in te, avvicinati pure ai materassini!»
Eseguii l'ordine senza remore e mi ritrovai davanti a Whip, uomo magro ma assurdamente letale grazie al particolare potere con cui era nato: l'elasticità. Avevo assistito a molti scontri corpo a corpo, sapevo a grandi linee come comportarmi, però nessuno si era preoccupato di darmi delle vere istruzioni e ciò mi incuteva timore.
«Nessuna remora» annunciò Alpha, non appena il silenzio piombò nella grande palestra. Con la coda dell'occhio riuscii a vedere Flamme guardarmi con i pollici alzati... potevo stare tranquilla.
Mi ritrovai a terra in meno di un secondo con Whip a torreggiarmi sopra, non mi ero neanche resa conto si fosse mosso. Un calcio mi colpii in pieno petto, togliendomi tutto il fiato che avevo nei polmoni, e rotolai su un fianco per proteggermi da ulteriori colpi. Ciò non servì a nulla perché Whip mi prese per la maglietta e mi trascinò di nuovo a pancia in su, questa volta crollandomi letteralmente addosso.
Cercai di proteggermi il viso con le braccia, consapevole che stava per arrivare il peggio, ma servì a ben poco quando Whip mi colpì con due pugni ben assestati. Urlai quando la sua mano impattò contro lo zigomo sinistro mandandomi una scossa lungo tutta la spina dorsale: faceva troppo male.
«Reagisci, muoviti!» gridò Alpha e tanto bastò per darmi quel poco di grinta per ribaltare la situazione. Schiacciai Whip a terra e gli sollevai la testa afferrandolo per i corti capelli castani, per poi sbattergliela contro il pavimento con tutta la violenza che possedevo in corpo.
Doveva morire, doveva morire lì tra le mie mani.
«Che brava! Lupin, che ne dici?» parlò ancora Alpha, cogliendomi totalmente di sorpresa.
Fui costretta a lasciare Whip quando un braccio si serrò attorno al mio collo, trascinandomi in piedi. Cercai di colpirlo con qualche gomitata riuscendo a fargli allentare la presa quel tanto che bastava per voltarmi: raccolsi tutto il coraggio che avevo in corpo e gli tirai una ginocchiata tra le gambe che lo fece cadere all'indietro.
Un'ondata di orgoglio mi travolse mentre osservavo ciò che io avevo causato, ma il mio sollievo durò ben poco. Lupin fu in piedi in un batter d'occhio e mi colpì in pieno viso con uno schiaffo, la guancia parve prendermi letteralmente fuoco e le lacrime mi inumidirono gli occhi.
«Mai gioire nel campo di battaglia» mi sibilò l'uomo, mostrandomi i denti appuntiti che tanto lo caratterizzavano, prima di colpirmi nuovamente al viso.
Barcollai indietro, la mente annebbiata e il respiro divenuto pesante. Mi si scagliò contro con violenza inaudita, quasi gli avessi fatto un torto, e in quel momento non compresi più nulla: non facevo in tempo a percepire il dolore in un punto del corpo che subito sorgeva in un'altra zona e sembrava non esserci parte di me che fosse indenne dai suoi colpi.
Urlai con tutto il fiato che avevo in gola quando mi ritrovai Lupin in forma animale sopra di me, gli artigli che sembravano scavarmi la carne da tanto mi stringeva e percuoteva. Ci misi l'anima pur di togliermi di dosso quell'essere immondo che continuava a ferirmi con pugni e graffi nonostante fossi nettamente più fragile di lui, ma sembrava tutto inutile.
«Sei debole» mormorò, smettendo per un istante di colpirmi e tornando l'essere umano che Alpha tanto apprezzava. Quale mente malata definiva allenamento un tortura simile? «Ti uccideranno.»
Qualcuno urlava parole che non riuscivo a distinguere bene e anche la vista sembrava non voler più collaborare. Lo insultai a pieni polmoni utilizzando epiteti che non credevo neanche di conoscere e come risposta ricevetti un sorriso divertito e l'ennesimo pugno, solo che questa volta fui accolta dal buio.
Spalancai gli occhi d'improvviso e mi ritrovai in una stanza buia, sconosciuta. Mi liberai con un movimento veloce dalle lenzuola che mi coprivano e mi alzai in piedi con circospezione mentre il panico cominciava ad avvolgermi tra sue meschine braccia.
Provai a cercare a tentoni l'interruttore della luce e non trovandolo decisi di uscire da quella stanza che cominciava a opprimermi terribilmente. Incontrai altrettanto buio che mi diede alla testa, facendomi perdere il controllo: vidi le mie mani circondarsi della solita nebbiolina azzurra e qualsiasi oggetto attorno a me ne fu avvolto a sua volta.
Provai a fare mente locale nella speranza di capire dove mi trovassi ma sembrava che i ricordi non volessero affatto collaborare, lasciandomi un vuoto ancora più spaventoso.
Seguii a tentoni quel corridoio che mi ricordava terribilmente quello che attraversavo ogni giorno nella base del MOS e sussultai quando uno spiraglio di luce rischiarò il buio a pochi passi da me.
Era forse la palestra? Non avevo voglia di essere picchiata di nuovo, non volevo ritrovarmi con il corpo livido per colpa di altri che avevano bisogno di sfogare la loro rabbia repressa e, soprattutto, non ero più la Hecate soggiogata da tutto e tutti. Dovevo scappare.
Mi appiattii contro il muro opposto e provai a dominare i miei poteri, cercando di abbandonare al suolo tutto ciò che continuava ad aleggiarmi intorno. Un vaso particolarmente grande produsse un leggero tonfo: fissai allarmata l'ombra di un uomo coprire lo spiraglio di luce e, abbandonando ogni pretesa di essere cauta, scappai via.
Corsi in quel dedalo di corridoi che proprio non riuscivo a riconoscere per un lasso di tempo che mi parve interminabile. Il battito veloce del cuore mi echeggiava con prepotenza nelle orecchie e le mani tremavano con tale violenza che mi stupii nel vedere tutto il mobilio ancora intero, stavo forse riuscendo a controllarmi?
Inciampai sui miei stessi piedi quando, entrando in una cucina, mi ritrovai davanti un uomo dalla carnagione scura e lo sguardo assonnato. Senza esitazioni afferrai un coltello abbandonato sopra il tavolo e gli fui addosso, tentando in ogni modo di metterlo fuori gioco.
«Hecate, cosa -» cominciò lo sconosciuto ma dovette zittirsi quando lo colpii in fronte con il manico dell'arma. Afferrò la lama con una mano e con l'altra mi colpì al polso, facendomi perdere dolorosamente la presa sul coltello.
Mi prese per il collo della maglietta fissandomi dritta negli occhi, mi spinse di lato e bloccò le braccia sopra la testa, impedendomi qualsiasi difesa. Un piatto lo colpì nel fianco mentre un mestolo gli finì dritto dritto sulla tempia: poteva fermarmi come voleva ma il mio potere era inarrestabile, volente o nolente.
«FRIDAY chiama qualcuno» sbraitò l'uomo, incassando la testa tra le spalle.
Ci fu un istante in cui l'ombra di un ricordo mi attraversò la mente, sensazione che scemò via quando una nuova ondata di panico mi risvegliò i sensi. Il coltello sporco di sangue mi arrivò dritto tra le mani: per quanto i movimenti mi fossero impediti, riuscii a piantargli la lama sull'avambraccio e a fargli mollare la presa.
«Maledetta strega» sibilò tamponandosi la ferita con la maglietta già insanguinata.
Strega. Strega. Strega. Sam.
Mi ritrassi d'improvviso poggiando la schiena contro il mobile della cucina quando realizzai l'errore madornale che avevo fatto. Fissai le mie mani sporche di sangue, sangue non mio, sangue che stava sgorgando dalle ferite che io avevo inferto a Sam.
Non potevo più stare lì, ero riuscita a tradire la fiducia che gli Avengers mi avevano concesso con tanta gentilezza e non mi meritavo alcun tipo di compassione o perdono.
«Sono un disastro, scusami» mormorai rimettendomi in piedi con una spinta. Tentò di afferrarmi una gamba, ma mi scansai senza troppi problemi, pronta a fiondarmi fuori dal Complesso in un batter d'occhio.
«Hecate, fermati per favore» sussurrò la voce di Wanda, facendomi gelare sul posto. Alzai la testa e incontrai lo sguardo atterrito della giovane che con tanta premura si era presa cura di me; sentii le gambe vacillare sotto il mio peso e ci mancò un soffio perché non mi ritrovassi a terra tra le lacrime.
«Vai via, non posso rimanere» le risposi alternando lo sguardo tra lei e Sam, incapace di fare davvero qualcosa.
«Tu devi rimanere invece. Hai sbagliato, ma possiamo rimediare in qualche modo» parlò ancora Wanda, facendo un paio di passi avanti e allungando una mano verso di me. «Devi stare tranquilla, sono sicura che non fosse nelle tue intenzioni fargli del male.»
«Non è normale alzarsi e tentare di uccidere qualcuno» gridai con rabbia, pulendomi le mani sporche sulla maglietta già macchiata.
Ero un mostro, un'assassina irrecuperabile, un caso umano da chiudere in prigione per sempre e non riuscivo a sopportare l'idea d'aver avuto una ricaduta così grave.
«Hai ragione, ma deve esserci stato un motivo sotto, no?» chiese con cautela la ragazza, ora a mezzo metro da me.
James entrò tutto trafelato in cucina e lo vidi inorridire alla vista di tutto il sangue che chiazzava gli indumenti miei e di Sam. Provò a dire qualcosa, ma fu zittito subito da Wilson che lo trascinò via senza troppe spiegazioni.
Incrociai lo sguardo di James per un istante e tanto bastò per mozzarmi il fiato in gola: sembrava così genuinamente preoccupato che riuscì a farmi sentire ancora più in colpa.
«Guarda me, Hecate» mi richiamò Wanda, porgendomi una spugnetta bagnata. «Cos'hai ricordato?»
Sorrisi con amarezza e cominciai a pulirmi le mani, come a voler temporeggiare la risposta. Sarebbe servito a qualcosa raccontarle l'incubo? Dirle che ero uscita di testa perché avevo ricordato quel pestaggio che doveva essere un allenamento? Sarei passata per quella debole, per l'agente incapace di contenere le proprie emozioni ed ero stanca di sentirmi costretta in un personaggio che non riuscivo più ad essere.
«Niente di importante» concessi alla fine, guardandola dritta negli occhi e scuotendo appena la testa.
«Prima o dopo essere reclutata?» chiese ancora, imperterrita.
«Dopo.»
«Non ha senso scappare sempre dai problemi, non quando ci sono persone disposte ad aiutarti. Sei una ragazza fragile, ma hai dimostrato d'avere forza di volontà e io mi fido della persona che ho imparato a conoscere! Tu ti fidi di me?»
Quasi senza rendermene conto, cominciai a singhiozzare e grosse lacrime mi rigarono le guance arrossate. Lasciai che Wanda mi scostasse i capelli dal viso, portandomeli dietro le spalle, e mi carezzasse la spalla: meritavo davvero un'amica così?
«Sì» mormorai dopo aver fatto un paio di respiri profondi per calmarmi.
«Nessuno ti farà del male o ti butterà fuori di qui, te lo prometto» parlò lei, prendendomi per mano e tirandomi appena verso la porta. Mi lasciai condurre, forse perché mi aveva convinta o più semplicemente per la stanchezza. «Ora hai bisogno di dormire, okay?»
Arrivai in camera con le palpebre pesanti per il sonno, abbandonai la maglietta sporca a terra e lasciai che Wanda mi aiutasse a rimettermi a letto. Mormorò una dolce cantilena finché non chiusi gli occhi, piombando nel sonno.
Angolo autrice.
Ebbene sì, l'avventura di Hecate con gli Avengers comprende anche il quasi omicidio di Sam Wilson.
Il dialogo iniziale, per inciso, è la ragione principale per cui è successo tutto ciò.
Come ho già detto, ancora una settimana di studio intenso e poi gli aggiornamenti torneranno costanti, includendo - forse - la nuova storia su Clint a cui tengo molto dato che nessuno se lo bada.
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