11: "Melisande"
Dal vivo, la dottoressa Gill sembrava una persona davvero amabile: da quando era entrata nella mia stanza non aveva smesso di sorridere un istante e sembrava sprizzare pura gioia da ogni poro. Era stata accompagnata da Nick Fury stesso, ma non gli aveva concesso di vedermi adducendo a qualche particolare studio di psicologia pubblicato da pochi mesi.
«Buongiorno!» salutò la donna, porgendomi la mano. Gliela strinsi senza troppi problemi e mi stupii nel vedere i suoi occhi scuri velati di lacrime. La guardai stranita e tanto bastò perché lei portasse frettolosamente una mano al viso per nascondere il principio di pianto. «Perdonami, è tutta colpa dell'allergia.»
«Non si preoccupi» risposi con un mezzo sorriso, ancora un po' incerta nel fidarmi completamente di lei. Avevo imparato a mie spese che non bisogna mai giudicare una persona dal suo semplice apparire eppure il mio istinto sembrava urlare di darle una possibilità e che non ne sarei rimasta delusa. «Si sieda dove vuole.»
La donna parve essere soddisfatta dal mio invito, tant'è che si sedette alla scrivania, voltando la sedia verso il letto. Per quanto ricordassi, non avevo mai avuto un incontro con una psicologa, ma il fatto che il primo colloquio fosse nella mia stanza non mi pareva molto normale. Lasciai correre però, ero l'ultima a poter obiettare qualcosa lì dentro.
«Sono la dottoressa Rachel Gill, ma credo che lo sapessi già. Tu sei Hecate, giusto?»
«Così dicono» borbottai, sedendomi compostamente a bordo del letto. La donna estrasse un blocco degli appunti dalla borsa che poggiava sullo schienale della sedia e vi appuntò subito qualcosa.
«Con ciò cosa intendi?» domandò di rimando, picchiettando la punta della penna sul foglio.
«Non credo sia il mio vero nome, non lo sento mio.»
«Hai da sempre questa sensazione?» chiese ancora, la voce incrinata appena incrinata da un'emozione sconosciuta. Per rispondere dovetti pensarci un po' su, non riuscivo a individuare il momento preciso in cui era scattato quel dubbio.
«No. Credo sia comparsa da quando sono qui, lontana dalla mia vecchia realtà.»
Forse dubitare anche del mio nome era una sorta di reazione alle nuove abitudine che stavo pian piano cominciando ad accettare, dopotutto esser trascinata via dal controllo di Alpha mi aveva aperto un mondo totalmente diverso.
«Da quanto sei tra gli Avengers?»
«Una ventina di giorni.»
Tutte le mie precedenti convinzioni erano crollate in sole tre settimane? Avevo superato la fase in cui mi consideravo una pazza traditrice della mia organizzazione ed ero giunta alla conclusione che credere in ideali un po' più pacifici non era poi così sbagliato. Rimaneva comunque una forte incertezza, ma almeno cominciavo a non sentire più la mancanza del mio lavoro.
«Ci sono stati altri cambiamenti?»
«Ho provato dei veri sensi di colpa per tutte le persone che ho ucciso: prima sembrava che la maggior parte delle mie emozioni fossero trattenute da qualcosa e credo che questo qualcosa fosse un incantesimo di Alpha. Mi sono poi resa conto che in determinate situazioni provo un forte senso di risentimento e malinconia, specialmente quando vedo gli altri Avengers ridere e scherzare tra di loro. Ah, sono anche riuscita a ricordare mio padre!»
La dottoressa scrisse ancora sul suo taccuino e, osservandola, mi resi conto che le avevo concesso tutta la mia fiducia in poco più di dieci minuti... sembrava così facile affidare a lei ogni mio dubbio e pensiero!
Dovette schiarirsi la voce due volte prima di formulare la successiva domanda.
«Diresti d'aver fatto progressi da quando sei qui?»
«Senza dubbio, anche se la strada da fare è ancora molto lunga» dovetti ammettere, forse un po' dispiaciuta.
«Ora vorrei sapere un po' del tuo passato» disse lei, osservando i vecchi selfie che avevo appeso alle bacheche di sughero. «Ad esempio, chi sono loro?»
Spostai lo sguardo sulle immagini e sorrisi mentre i ricordi dei momenti sereni passati insieme mi accarezzavano la mente: non sentivo più la loro cocente mancanza come i primi giorni, ora riuscivo a pensarli quasi senza alcun problema.
Mi sentivo stupida però, perché nonostante avessi la possibilità di crearmi una nuova vita continuavo a rimanere ancorata al passato, all'abbozzo di famiglia che mi ero costruita attorno.
«Si chiamano Flamme, Spettro e Fort e sono gli unici amici che sono riuscita a farmi negli ultimi due anni» borbottai, abbassando lo sguardo sulle mie mani. Non è che mi sentissi in imbarazzo nel confessare la mia pressante solitudine, ma non riuscivo a reggere lo sguardo così addolorato della dottoressa Gill. Sembrava che provasse davvero dolore per me e ciò mi faceva male, perché nessuno si meritava di sopportare il peso del mio passato. «Non credo di essere pronta a dirle tutto, mi scusi.»
«Non preoccuparti, è più che comprensibile ciò. Anzi, mi hai concesso molta più fiducia di quanto mi aspettassi e ne sono molto contenta» mi tranquillizzò lei, chiudendo il blocco degli appunti e poggiandolo sulla scrivania. Vidi il suo sguardo soffermarsi per un istante sul quaderno in cui scrivevo tutti i miei pensieri e mi chiesi se, durante le mie assenze, qualcuno lo avesse mai letto... Tony ci aveva già ficcato il naso e non mi avrebbe stupito un secondo tentativo.
«Possiamo fare un'altra cosa, se te la senti» riprese a parlare mentre frugava nella sua borsa. Vi estrasse un paio di fogli spiegazzati e prima di porgermeli provò a sistemarli alla bell'e meglio.
Diedi una letta veloce alla lista pressoché infinita di nomi femminili e solo poi alzai lo sguardo sulla donna: la trovai a scrutarmi attenta, un cipiglio curioso in viso e le labbra tirate in una linea sottile.
«Cosa dovrei fare?» domandai, incuriosita. Non riuscivo proprio a pensare ad un valido motivo per darmi quella lista.
«Scegliere quelli che più ti ispirano e magari trovare il nome giusto per te.»
La guardai con tanto d'occhi e lei in risposta abbozzò un sorriso, indicando con un cenno della testa ciò che stringevo tra le mani. Annuii con fermezza e mi concentrai sulla lista, questo compito sarei riuscita a portarlo a termine facilmente!
I nomi erano in ordine sparso e scritti a mano con una calligrafia che mi stuzzicò appena la memoria: avevo la strana sensazione di averla già vista, quella scrittura tutta curve e fronzoli.
Sophie, Grace e Anne non mi ispiravano proprio, li trovavo troppo comuni. Mi focalizzai su Victoria, Tatiana, Zahira e Louise e vi rimasi un po', indecisa se scartarli o meno: nessuno di loro mi aveva colpita particolarmente, ma mi sentivo quasi in colpa a escluderli.
«Posso avere una penna?»
La ottenni immediatamente, quasi la psicologa stesse aspettando quella richiesta, e segnai una piccola spunta accanto ai nomi Rheanna, Imogen e Beatrix. Proseguii la lettura dell'elenco, continuando a eliminare nominativi uno dopo l'altro, sembrava non riuscissi a trovare quello giusto per me.
«Se non ti ispirano puoi scriverne tu» mi suggerì Rachel, porgendosi in avanti con il busto.
Arrivai alla terza e ultima facciata e subito mi balzarono all'occhio due nomi piuttosto simili, Millicent e Melisande, e li segnai immediatamente.
L'ultimo trovato mi ispirava parecchio, lo sentivo come fosse mio ed era una sensazione strana visto che ero abituata a sentirmi chiamare Ombra 12 o Hecate.
«Melisande»conclusi, sottolineandolo un paio di volte. «Credo che il nome giusto sia Melisande.»
La dottoressa accennò un sorriso non troppo convinto che mi fece quasi dubitare della mia scelta, ma poi mi dissi che lei non poteva saperne nulla visto che quasi non mi conosceva.
«Noto con piacere che hai le idee piuttosto chiare» disse lei, dopo esser tornata seria. Riprese il suo taccuino e vi scrisse velocemente qualcosa. «Devo dire che la tua situazione mi era parsa molto più difficile prima di incontrarti, invece vedo che hai molta voglia di trovare la tua strada.»
«Almeno quella c'è!»
Non avevo una vera e propria ragione per cui abbandonare la mia vita da assassina, ma mi sarei accontentata della possibilità di vivere libera, senza l'opprimente controllo di altre persone.
Era sempre meglio di niente, no?
«Finalmente potrò dire d'aver battuto una strega!» esclamò tutto pimpante Sam Wilson, non appena entrai nella palestra del Complesso.
Gli avevo promesso un po' stupidamente uno scontro e non era passato giorno senza che me lo ricordasse, in un modo o nell'altro riusciva a far vertere il discorso sugli allenamenti e su quanto desiderasse "affrontare la futura agente, per conoscerne le reali capacità". Tutta una bugia insomma, ma era divertente vederlo borbottare mezzi insulti a Tony che cercava di evitarmi il combattimento.
«Non sono una strega, brutto uccellaccio selvatico» lo salutai e fui accolta dalle risate di Tony e Wanda, quest'ultima in palestra per controllare che non superassi il mio limite. Negli ultimi giorni avevamo legato molto grazie agli innumerevoli allenamenti fatti insieme e non potevo che esserne felice: era bello riuscire a fare amicizia così tranquillamente dopo tutto questo tempo.
«FRIDAY, salva l'audio, voglio utilizzarlo come suoneria» disse Tony tra una risata e l'altra. L'intelligenza artificiale eseguì subito l'ordine, ottenendo un non troppo serio "ottimo lavoro".
«La smettiamo?» borbottò Sam, incrociando le braccia al petto con fare offeso.
Wanda provò a contenersi, dopotutto era una persona così gentile che non avrebbe voluto offendere per davvero il suo collega. Tutt'altro discorso fu per Tony, che continuò a ridersela da solo come un pazzo psicopatico. Non smise neanche quando, pochi minuti dopo di me, arrivò Barnes.
«Cosa sta succedendo?» domandò a Sam, mentre guardava Tony ridacchiare, semidisteso su un materassino.
«Wanda» mugugnai, allungando pure la a finale. Mi avvicinai a lei e in un moto di frustrazione poggiai la fronte sulla sua spalla: ero lì per un po' di allenamento, non per ridermela!
«Qualcuno mi ha chiamato brutto uccellaccio selvatico» rispose Wilson, guardandomi infastidito.
Ennesima risata sguaiata di Tony, seguita però da un basso lamento proveniente dallo stesso. Alzai la testa e vidi un bilanciere punzecchiarlo non troppo dolcemente sul fianco, questa volta fui io a ridacchiare.
«Tony» lo richiamò James, mettendo le mani sui fianchi come farebbe una madre pronta a sgridare il figlio irrequieto.
«Ogni tanto fattela una risata!» gli rispose il diretto interessato, alzandosi in piedi con un gesto veloce. Mi lanciò un'occhiata che non riuscii a decifrare - sembrava una via di mezzo tra "Aiuto!" e "Che inferno!" - e si tolse la felpa, cominciando a riscaldarsi. Dovevo scontrarmi con Sam davanti a lui? Ne avrebbe sicuramente trovato qualcosa da ridire! «Cos'hai da guardare? Pensavi che non mi allenassi più?»
«Cosa? No no!» risposi velocemente, distogliendo lo sguardo da Tony.
Cominciai a fare un paio di rotazioni della testa, giusto per distogliere le attenzioni da me, e proseguii con le braccia e le spalle. Non era un riscaldamento a regola d'arte, ma almeno ero sicura di non beccarmi una contrattura durante lo scontro... non che nella vita reale avessi tutto questo tempo prima di affrontare qualcuno.
Nel frattempo mi concessi uno sguardo agli altri: Sam si era messo a colpire un sacco da boxe, Wanda sedeva su una panchina con una rivista in mano, Tony continuava a il suo riscaldamento parlottando con James. Dovetti riguardarli un'altra volta per accertarmi di non essere pazza, ero convinta si odiassero!
«Strega, ci sei?» mi richiamò Sam, facendomi distogliere l'attenzione da Barnes.
«Umh, sì sì.»
Raggiunsi Wilson sul grande materassino - che sembrava più un tatami - e sentii Wanda chiudere con un colpo secco la rivista che stava precedentemente leggendo. Sembrava di tornare ai miei primi giorni al MOS, quando avevo Alpha e Lupin con il fiato sul collo ventiquattro ore su ventiquattro.
Sistemai la maglia all'interno dei pratici leggings sportivi onde evitare di ritrovarmi con mezza pancia scoperta: le bastonate ricevute da Spettro quasi un mese prima avevano lasciato dei lividi che faticavano a scomparire e non volevo che gli altri li vedessero, quella era una cosa totalmente personale.
«A te l'onore» dissi, invitandolo con un gesto della mano a farsi avanti.
In meno di un secondo mi fu addosso e provò a colpirmi al viso con un diretto destro che riuscii a bloccare con gli avambracci. Arretrai di un passo per evitare il secondo colpo e con un balzo mi posizionai alla sua destra, pronta a colpirgli il fianco scoperto: allargai le gambe, piantando saldamente i piedi a terra, e con un movimento veloce gli tirai un calcio. Ci mancò poco perché mi afferrasse alla caviglia.
Sam ondeggiò sul posto, proprio come un debole arbusto al vento, e ne approfittai per farlo cadere a terra con un pugno sulla clavicola destra. Gli fui subito addosso, lasciando che tutto il mio peso gli togliesse il fiato e gli strinsi le mani al collo, proprio come aveva fatto Barnes con me.
«Dimmi Sammy, come stai?» lo presi in giro, una vena di cattiveria nella voce. Lui tentò di liberarsi opponendo resistenza con le mani, ma quello era il mio lavoro e lo sapevo fare dannatamente bene.
Potevo decidere sulla vita di una persona... oh no! Non appena mi resi conto che rischiavo di ucciderlo mollai la presa, cosciente che mi stavo comportando come il mostro che Alpha aveva contribuito a creare. Passai lo sguardo da Sam a Wanda - ora poco distante da noi due - e la vidi a bocca aperta, probabilmente scioccata dal mio comportamento. Ciò non fece altro che acuire il mio senso di colpa.
«Mai distrarsi» sibilò Sam, la voce appena roca per la mancanza d'aria, e facendo leva con le braccia mi scaraventò a terra. Mi tirò un calcio al fianco, proprio come avevo fatto io con lui, con la sola differenza che io ero completamente fuori gioco... altro che fair play!
Questa volta fu lui a schiacciarmi con tutto il suo peso e, c'è da dire, non era affatto leggero! Cominciò a tempestarmi di pugni il viso e la parte alta del torace, fortunatamente riuscii ad evitarne la maggior parte coprendomi la faccia con gli avambracci. Per liberarmi dalla sua presa provai a colpirlo alla schiena con qualche ginocchiata, ma Sam parve quasi non accorgersene.
Avrei voluto usare le mie tecniche, dar sfogo a tutta la mia voglia repressa di affrontare seriamente qualcuno, eppure mi contenni: nonostante non sopportassi Sam e le sue orribili frecciatine, non volevo fargli del male per davvero e per quel giorno avevo esagerato.
«Niente resa ancora?» domandò lui, fermando l'ondata di pugni. Lo sbirciai da dietro gli avambracci, certa che se mi fossi scoperta mi avrebbe attaccata, e gli feci il dito medio. Non avrei rinunciato neanche per sbaglio.
«Sogna uccellino, sogna» gli risposi con un sorriso e gli feci finire addosso un disco piuttosto leggero da sollevamento pesi. Fui delicata nel colpirlo, il tanto che bastava per levarmelo di dosso. Mi rimisi in piedi con un colpo di reni e tanto bastò per farmi girare la testa, dovetti chiudere gli occhi per mandar via l'intontimento. «Me la cavo bene da sola.»
«Direi che non sei riuscito a battere la strega» esclamò trionfante Tony, facendomi gelare sul posto. Mi ero completamente dimenticata degli altri due! «E Steve deve darmi un po' di soldi.»
Wanda mormorò qualcosa su Tony e "certe sciocche scommesse" e mi voltai verso il diretto interessato, fulminandolo con un'occhiataccia.
«Finché gioca sporco...» si lamentò Sam, ora tornato in piedi e al mio fianco.
«Non avrei dovuto utilizzare i miei poteri né strangolarti a quel modo, scusami» borbottai, distogliendo lo sguardo da Tony e James per puntarlo sugli occhi scuri e stupiti del mio avversario. In tutta risposta ricevetti un buffetto sullo guancia e un sorriso bonario, non se l'era affatto presa. «Grazie Sammy.»
«Cosa'è tutta questa gentilezza, Hecate?» domandò subdolo Tony, un sorrisetto compiaciuto a curvargli le labbra.
«Stark, non hai altro da fare? Che so, tipo continuare il tuo allenamento con Barnes» replicai seccata, evitando di soffermarmi sull'allusione non troppo velata di Tony. Sam, invece, non sembrava troppo scocciato, tutt'altro! Tra lui e Wanda non avrei saputo dire chi si stava divertendo di più.
«Fosse una cazzata, non te la prenderesti così» s'intromise James, ammiccando divertito. Da quando il Soldato d'Inverno dava corda a Tony? E perché quest'ultimo sembrava accettare di buon grado la compagnia del "soldatino di ghiaccio"?
«Non mettertici anche tu, James.»
Si concesse una risata e poi cercò di riportare l'attenzione di Tony sul loro allenamento, riuscendoci piuttosto velocemente con un "Stai temporeggiando per evitare di finire al tappeto?". Mai sfidare Stark!
Non me ne andai, rimasi a guardare i due darsele di santa ragione per quasi un'ora, anche dopo che Sam e Wanda se ne furono andati.
Angolo autrice.
Okay, anche questo capitolo è infinito, ma ci sono narrate due cose davvero importanti: la voglia di Hecate di ritrovare il suo passato e la sua paura di fare seriamente del male a qualcuno dei suoi amici/conoscenti.
Detto ciò, ci tenevo a dirvi che ho in cantiere una storia su Tony, una su Clint e una raccolta di immagina... questa storia rimarrà di priorità, giuro!
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