8• La rapina a casa Morgan...
Arrivati nei pressi della casa di Kimberly, la figlia di Ares disse ad Aaron di parcheggiare a qualche abitazione di distanza dalla sua. Aaron obbedì senza fare domande e sistemò la macchina dietro un cassonetto della spazzatura. Nel quartiere in cui si trovavano le case erano piccole villette a schiera con i giardini curati e le piante afflosciate dal caldo. Qualche abitante era impegnato nel lavaggio della propria auto, ma la maggior parte delle persone era tutta rintanata in casa, a godersi la frescura e uno dei programmi scadenti che c'erano in onda in TV nei pomeriggi estivi.
«Quella è casa mia.» Kimberly indicò un'abitazione che si trovava a tre case di distanza rispetto a quella che lei e Aaron avevano di fronte. «Questo è il piano: io entro, tu passi dalla finestra della mia camera e ti nascondi sotto il mio letto senza fare rumore finché io non arrivo.»
«Con la musica di sottofondo di Mission Impossible?»
«Cosa?»
«Devi averla sentita anche tu, Kimberly. È quella che fa: ta-ta, ta-ta-ta-ta, ta-ta-ta-ta, ta-ta-taaa…» Poi notò lo sguardo di Kimberly: palpebre socchiuse e sguardo irritato. «Okay, la smetto.»
Kimberly roteò gli occhi.
«Passiamo alle cose importanti.» esordì Aaron. «E se dovesse scapparmi la pipì?»
Kimberly sospirò. «Sul serio pensi a questo, quando potrebbe succedere qualcosa di più terribile?»
«Tipo se mi scappasse qualcosa di peggio della pipì?» chiese Aaron con un sorriso innocente.
«Aaron!» esclamò Kimberly in tono di rimprovero.
«Che c'è? Guarda che è un processo naturale!»
Kimberly gli puntò un dito contro il petto. «Sei autorizzato a fartela sotto solo se qualcuno dovesse scoprirti.» E su quella nota armoniosa, aprì la portiera dell'auto e uscì. Si sistemò gli occhiali da sole sul naso e si raccolse i capelli mentre Aaron le passava la valigia. Si incamminarono entrambi verso l'abitazione della ragazza. Aaron aveva cambiato posizione alla sua bandana, indossandola in modo tale da coprirsi la bocca. Con quegli occhiali da sole e i capelli spettinati dal vento sembrava un ladro colpito da un'ondata di fascino californiano.
«Giusto per fartelo sapere» precisò Kimberly, «non stiamo andando a rapinare nessuna banca.»
«È una tattica per mimetizzarsi.» ribatté Aaron. «Non voglio attirare l'attenzione.»
«Conciato così, l'attirerai di sicuro.» rispose Kimberly.
«Almeno i vicini non mi vedranno in faccia. Se qualcuno mi vedesse, potrebbero casualmente dirlo al tipo che tua madre deve sposare. Tra parentesi, come mai non ti fidi di lui?»
«Nessuno convincerebbe mia madre a sposarsi. Sono sicura che deve averle fatto qualcosa.»
Aaron annuì e sfregò i palmi delle mani tra loro, come se si stesse preparando a scalare il grattacielo della JPMorgan Chase, la banca più importante di New York. «È giunto il mio momento.» Accennò alla casa di Kimberly. «Qual è la finestra della tua stanza?»
«È l'unica finestra che c'è sul retro, al secondo piano. Non so se sia aperta o meno…»
«Ho lo stiletto, non preoccuparti.»
«Non fare danni.» gli raccomandò Kimberly.
Aaron fece un rapido saluto militare e si dileguò dietro casa sua. Kimberly, invece, si posizionò davanti all'entrata bussò alla porta. Trascorsi cinque minuti, era ancora là fuori. Si asciugò alcune goccioline di sudore dalla fronte e bussò di nuovo – questa volta in maniera più insistente –. Qualcuno le aprì, quella volta. Si trattava un uomo dalla carnagione color cioccolato, alto e imponente come un gigante in miniatura che, però, profumava di acqua di colonia.
«Tu devi essere Kimberly.» disse. La sua voce era piatta e inespressiva, ma Kimberly riuscì ad intuire qualcosa di appena percettibile: era scocciato. Probabilmente non la voleva lì, ma si stava sforzando di non farglielo notare nel modo più scortese possibile: l'indifferenza.
«Già. Io invece non so chi sei tu.» ribatté Kimberly. “E come mai mi fissi come se volessi vedermi sparire” aggiunse mentalmente.
Lo sconosciuto tese la mano. «Sono Victor. Tua madre deve averti parlato di me.»
«Sì, vagamente.»
«Beh, rimediamo subito.» Le schioccò le dita sotto il naso e Kimberly si sentì improvvisamente molto strana. Le girava la testa e si sentiva confusa, come se si fosse appena svegliata dopo aver passato una nottata a bere.
Quando guardò Victor, nella sua mente si plasmò un ricordo: conosceva quell'uomo da quando era una bambina. Ne era certa, nonostante non avesse dei ricordi ben precisi riguardo a lui che lo provassero. Lo sapeva e basta.
«Ti si è rinfrescata la memoria?» le chiese Victor.
«Io…sì.» rispose lei. «Tu sei Victor e ci conosciamo da quando io sono bambina.»
«E come mi chiami di solito?»
«Papà.» rispose immediatamente Kimberly.
«Brava ragazza.» Victor le mise una mano dietro la schiena. «Vieni entra in casa.»
«Sì, papà.» rispose Kimberly confusa.
• • •
Aaron stava iniziando a farsela addosso sul serio. Erano passate ore da quando lui e Kimberly erano entrati in quella casa. Il ragazzo aveva trascorso parecchie ore nascosto sotto il letto, ma quando aveva iniziato a sentire le gambe formicolare e indolenzirsi sempre di più era stato costretto a strisciare sul tappeto davanti al letto e ad alzarsi in piedi. Accese la luce, consapevole di aver compiuto una mossa azzardata, ma era certo che se si fosse messo a camminare al buio avrebbe rischiato di inciampare in qualche oggetto e si sarebbe fatto sicuramente beccare. Percorse tutto il perimetro della stanza, studiandone l'arredamento. Il tappeto ai piedi del letto era rosso, pieno di piume e sembrava essere piuttosto soffice. Aaron pensò che ne avrebbe voluto uno uguale per poggiarvi i piedi sopra durante il periodo invernale. Era un grande fan dei tappeti. Continuò la sua ispezione. Il letto, accostato ad una parete, era grande abbastanza da ospitare due persone ed era coperto da un piumone bianco imbottito. Non proprio l'ideale per le temperature afose del mese di agosto. Sotto la finestra dalla quale Aaron era passato c'era piccola scrivania, sulla quale erano impilati libri di scuola, quaderni e incarti di ambrosia. Per finire, sulla parete di fronte al letto era addossato un armadio bianco.
“Però” pensò Aaron. “Bella stanza”.
Le sue gambe avevano ripreso vitalità, così valutò la possibilità di sistemarsi nuovamente sotto il letto e di spegnere la luce. Poi venne colto dal lampo di preoccupazione che lo aveva spinto ad uscire dal suo nascondiglio e cambiò idea. Si chiese se fosse successo qualcosa a Kimberly. Aprì di uno spiraglio la porta della stanza e udì delle voci provenire dal piano di sotto: due che non conosceva e quella di Kimberly. Gli sembrò che la sua amica stesse parlando con un bizzarro tono di voce piuttosto entusiasta. Aaron, però, ricordava bene che Kimberly era tutto fuorché entusiasta di essere lì. Riportò l'attenzione sul discorso che stava avvenendo in salotto, e capì di essersi perso un punto importante quando sentì dei rapidi passi susseguirsi su per le scale. Sgranò gli occhi e spostò rapidamente lo sguardo da una parte all'altra della stanza. Poi guardò con un occhio nel buco della serratura della porta e vide che si trattava solo di Kimberly. Quando la ragazza lo vide, rimase a fissarlo con uno sguardo terrorizzato. Poi parve ricomporsi all'improvviso.
«Aaron! Mi ero dimenticata di te!» disse con aria dispiaciuta. «Non ti ho portato da mangiare, mi dispiace!»
«Non fa niente. Cosa ti è successo?»
«Niente.» Kimberly ridacchiò. «Non capisco proprio come mai volessi sabotare il matrimonio dei miei genitori! Il mio papà è un uomo così buono!»
«Il tuo papà.» ripeté Aaron confuso. «Parli di Marte…cioè, Ares?»
Kimberly fece un gesto brusco con la mano, come se volesse scacciare un insetto fastidioso. «Ares, pff! Victor è il mio papà. Io lo chiamo così.»
«Ma in macchina mi hai detto che non ti fidi di lui.»
“Non ti fidi di lui”.
Quelle parole risuonarono nella testa di Kimberly, la quale si rese conto di una cosa: Aaron aveva ragione. Lei neanche lo conosceva quell'uomo, quindi come poteva chiamarlo “papà”?
«Sì, hai ragione.» disse Kimberly. «Io… non ho idea di cosa mi sia successo. Prima di arrivare qui, ero sicura di non sopportare Victor. Poi l'ho visto e dopo un po' mi sono ricreduta.»
«Forse ti ha fatto qualcosa.» ipotizzò Aaron.
«Ha solo schioccato le dita.» rispose Kimberly, ancora un po' confusa. «Niente di particolare.»
«Forse è in grado di manipolare la Foschia.»
Kimberly storse il naso. «Non credo che sia possibile. È solo un mortale.»
«Forse non è chi dice di essere.» ribatté Aaron.
Kimberly sospirò. «Occorrono delle prove. Lui e mia madre sono andati a dormire. Quindi credo che sia il caso di scendere di sotto e dare un'occhiata.»
«Posso prendere qualcosa da mangiare in cucina?» le chiese Aaron. «Il mio stomaco sta brontolando.»
«Va bene.»
Aaron azzardò un'altra richiesta. «E posso mettere la mia bandana?»
«Okay, ora stai esagerando.»
«Bah.» Aaron si mise la bandana in “stile rapinatore” – proprio come avrebbe detto Kimberly –. «È un vero tocco di classe e, per di più è anche in tema con ciò che dobbiamo fare.»
Kimberly gli diede una spintarella. «Andiamo, compagno esploratore.»
Se vi state chiedendo il senso del titolo, capirete tutto nel prossimo capitolo 🙌
Dunque, dunque...preparatevi perché Aaron sarà un personaggio abbastanza sorprendente e questo suo lato inizierà un pochino a rivelarsi intorno al capitolo 17 mi sembra. In questo momento io ho quasi finito di scrivere il 24 (e lì c'è una BROTP tanto amata da tutti eheh) e nel 25 dovrò appunto parlare di Aaron, credo che parlerò in modo un po' più approfondito anche della sua famiglia andando avanti con la storia :))
Tipo io lo amo perché a volte (tipo nel capitolo) è inopportuno :D
E niente, spero vi sia piaciuto il capitolo!
Domanda: il vostro libro preferito de "Le Sfide di Apollo"?
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