2• Il ragazzo dai dieci nomi

Iniziò tutto quando Kimberly e Daniel si alzarono da tavola. 

«È meglio andare.» disse Daniel. «Abbiamo il turno di guardia stanotte.»

Attorno ai tavoli non c'era quasi più nessuno, tranne i sei ragazzi, Gordon, Edmund e un gruppetto della Seconda Coorte. 

«Non potete restare un altro po'?» chiese loro Lucas. 

«Meglio di no.» gli rispose Kimberly. «C'è Aaron a controllare la Coorte, ma credo che sia meglio farlo riposare un po'. Lavora sempre molto per noi.» 

«D'accordo, allora.» rispose Lucas. Non aveva visto i suoi amici per tutto il giorno, quindi gli avrebbe fatto piacere passare un po' di quella serata con tutti. 

«Tra poco andremo anche io e Josh.» li informò Adria. Aveva deciso di occuparsi personalmente di sorvegliare il suo ragazzo. Lo scortava ovunque, persino in bagno. La figlia di Ade qualche volta dormiva di giorno – quando Josh poteva essere sorvegliato dai suoi amici – e restava sveglia di notte, seduta ai piedi del letto con la spada stretta in una mano e una padella nell'altra. Fino a quel momento, le zanzare erano le uniche creature che avevano cercato di far del male a Josh e Adria riusciva sempre a stanarle, schiacciandole sotto il fondo della padella e facendo sobbalzare Josh ogni volta che succedeva. «Vado a prendermi del caffè.» dichiarò, alzandosi dal suo cuscino ed entrando nella cucina. 

Josh sospirò. «Le fa male bere tutto quel caffè.» borbottò ai suoi amici. «Non è nemmeno decaffeinato. Ditele qualcosa, vi prego.» Sollevò la mano, pronto a passarsi le dita tra i ciuffi di capelli rossicci, ma poi si ricordò che non gli erano ancora ricresciuti del tutto da quando li aveva tagliati e riabbassò la mano. Si passava le mani tra i capelli sono quando era preoccupato – o quando cercava di sedurre Adria – e certe abitudini erano dure a morire. Soprattutto perché Adria lo trovava ancora affascinante, malgrado i capelli corti. «Non mi ascolta, ma se magari le diceste qualcosa voi…» Non finì la frase e appoggiò la testa contro la sua mano chiusa a pugno. 

«Noi andiamo, allora.» li informò Kimberly. 

«Ci vediamo domani.» salutò Daniel. 

«'Notte, ragazzi.» li salutò Josh. 

«Buon lavoro, ragazzi.» augurò loro Reyna. 

«Non sbaciucchiatevi troppo!» consigliò loro Lucas. 

I due alzarono gli occhi al cielo, ma decisero di ignorarlo, e si allontanarono verso gli alloggi della Terza Coorte. 

«Proveremo a parlarle.» disse Reyna a Josh, riprendendo il discorso di poco prima. 

«Parlare di cosa?» chiese Adria, tornando da loro con un bollitore pieno di caffè. Lo appoggiò sul tavolo e se ne versò un po' in un bicchiere. 

«Parlare del fatto che dovresti bere meno caffè.» rispose immediatamente Reyna. 

«Dovrei.» Adria alzò le spalle. «Ma il caffè mi aiuta a stare sveglia. Senza, non riuscirei a…» Lasciò la frase in sospeso e scosse la testa. Ne approfittò per sorseggiare il suo caffè. 

«Adria, se non riesci a stare sveglia di notte, dovresti dormire.» le disse Josh. «Sai che non è necessario che tu perda tutte le tue ore di sonno a causa mia.» 

«Non è necessario…» mormorò la figlia di Ade indignata. Poi urlò: «Ma ti è dato di volta il cervello!? Certo che è necessario!» 

Lucas intervenne per evitare che tra i due insorgesse una litigiosa discussione. Riusciva sempre a capire quando stava per succedere. «Sono d'accordo sul fatto che Josh ha bisogno di essere controllato. Ma tu, Adria, non puoi bere tutto quel caffè. Sul serio. Se sei stanca, posso pensare io a Josh. Tanto non ho molto sonno e puoi chiedermelo tutte le volte che vuoi.»

«Ragazzi, siete molto gentili,» intervenne Josh, «ma come vi ho già detto non dovete sorvegliarmi… sempre. So difendermi e magari c'è qualcuno che ha bisogno di voi più di me.» 

Adria gli diede una gomitata. «Io sorveglio te. E poi è divertente uccidere le zanzare con la mia formidabile padella.» Si scolò il primo bicchiere di caffè, poi parlò a Lucas. «Apprezzo la tua offerta. Magari, stasera potrei sfruttarla. Ma solo per questa volta.» 

Josh fissò Lucas con un'espressione raggiante: quella notte si prospettava tranquilla e piacevole. O forse no. 

• • •

Daniel e Kimberly stavano ancora camminando per raggiungere gli alloggi della loro Coorte. Non mancava molto ormai, ma i due avevano rallentato di parecchio il passo per osservare la luna e le stelle lungo il loro cammino. O almeno era ciò che stava facendo Daniel. Kimberly, invece, era assorta in uno dei suoi pensieri contorti su quando fosse strano il rapporto tra lei e Daniel da quando si erano messi insieme. Le prime due settimane erano state speciali per lei: sentiva le farfalle sbatacchiarle nello stomaco ogni volta che Daniel si avvicinava a lei e aveva anche preso la mania di arrossire quando lui le faceva un complimento. Daniel era davvero dolce, ma con lo scorrere dei giorni Kimberly si era resa conto che lo era un po' troppo. O forse era solo lei ad essere troppo apatica. 

«A che pensi?» le chiese Daniel. 

«Nulla che a te interessi.» sbottò Kimberly; era quasi arrabbiata con lui perché aveva l'impressione che si stesse impicciando dei suoi pensieri privati. 

«Oh. Okay.» ribatté lui.

Immediatamente Kimberly si chiese se Daniel ci fosse rimasto male, nonostante fosse palese. Si disse di darci un taglio; stava trattando Daniel quasi da nemico con quei suoi modi bruschi e non era certo quello il modo di trattare chi amava. 

«Tu, invece?» gli chiese, cercando di far assumere alla sua voce un tono gentile e non eccessivamente dolce. Non fu complicato dato che le interessava davvero sapere a cosa stesse pensando Daniel. 

Lui alzò le spalle. «Niente in particolare.» 

A Kimberly parve di vederlo accelerare di poco il passo, ma capì che si sbagliava quando lo vide camminare di fianco a lei, con le mani infilate nelle tasche dei pantaloni. Puntò lo sguardo a terra. “Perché devo essere sempre così cattiva?” si chiese. Avrebbe voluto mettere una mano sulla spalla di Daniel e spiegargli perché si era comportata in quel modo, ma nel frattempo erano arrivati agli alloggi e il ragazzo allungò il passo, entrando per primo e Kimberly rimase indietro, sulla soglia della porta. Restò per qualche minuto davanti all'ingresso, a guardare Daniel parlare con Aaron; poi decise di entrare senza riservare a nessuno il suo sguardo – né a Daniel, né ai legionari che si stavano preparando per andare a dormire – e si diresse rapidamente verso il suo letto. Iniziò a frugare nel cassetto del comodino, fingendo di cercare qualcosa di importante, ma quando vide che il suo contenuto erano solo foto di lei e Daniel, lo chiuse di scatto, tirò fuori da sotto il letto un grosso scudo d'oro e si avvicinò ad Aaron. Daniel non era più con lui, ma era seduto sul suo letto: anche lui stava frugando in un cassetto, ma Kimberly immaginò che lui lo stesse facendo per un vero scopo, a differenza sua. 

«Aaron.» disse, attirando l'attenzione del suo amico. «Tutto tranquillo?» 

Lui annuì. «Sì. Nessuno è stato ferito, mutilato, rapido, morso da un vampiro, aggredito da un lupo mannaro o qualsiasi altra disgrazia che ti venga in mente.» Si sistemò i capelli dietro le orecchie con un gesto frettoloso. Gli davano un po' fastidio quando gli finivano davanti al viso, ma era normale dato che erano lunghi fino al mento. Aaron aveva diciannove anni – come Reyna – e frequentava il campo da quando ne aveva dieci. Non era esattamente un semidio, ma la sua famiglia discendeva dall'antica dinastia romana dei Giulio-Claudia. I suoi familiari erano dei fanatici e quando era nato gli avevano affibbiato una sfilza di nomi latini, che Aaron faceva sempre fatica a ricordare. Così, per evitare problemi, a diciotto anni aveva deciso di cambiare nome e aveva scelto, per l'appunto, “Aaron”. Era semplice da ricordare ed era simile al nome “Arion”, il cavallo leggendario di Hazel Levesque. Aaron e Arion erano caratterialmente identici tra loro; entrambi svegli, volgari ed eccellenti nella corsa. 

«Comunque, sento un odore strano.» la informò il ragazzo. 

Kimberly inspirò con le narici. «In effetti, qui dentro si sente odore di fango.» 

«E vermi.» aggiunse Aaron. 

Kimberly fece una smorfia disgustata. «Che schifo.» 

«Lo so.» concordò il ragazzo, cambiando discorso subito dopo. «Tu e Daniel avete litigato?»

«Qualcosa del genere. Come fai a saperlo?» 

Aaron alzò le spalle. «Mi è sembrato triste quando mi ha parlato.» 

Kimberly decise di non rispondere. «Io vado, allora.» gli disse semplicemente, allontanandosi. 

Lungo il percorso che la separava dall'uscita, Lucas la intercettò. «Dagli un bacio qui.» Si picchiettò un lato della fronte. «Funziona sempre.» 

“Ovviamente sa già tutto” pensò Kimberly alzando gli occhi al cielo. Decise, però, di seguire il consiglio di Lucas. 

Quando uscì fuori, un soffio di aria fredda la investì; nonostante fosse agosto di notte la temperatura si abbassava. Si sedette a terra, accanto a Daniel e poggiò il suo scudo contro una colonna di marmo. Daniel non la stava guardando, ma teneva lo sguardo fisso davanti a sé. Kimberly prese coraggio e si avvicinò a lui; tenne la testa poggiata sulla sua spalla per qualche secondo, poi si sporse e gli diede un bacio sulla tempia, proprio come le aveva detto di fare Lucas. 

Daniel, automaticamente, sorrise. Quello, da parte di Kimberly, era un gesto inaspettato, soprattutto in quella situazione. «Credevo fossi arrabbiata con me.» le disse dolcemente. 

Kimberly fece segno di no con la testa. «Non lo sono. Sei sempre così gentile e poi» Gli diede un buffetto sulla guancia, «nessuno riuscirebbe a resistere di fronte a questo tuo visino, no?» 

Daniel rise e arrossì un pochino. Avrebbe voluto dire qualche battuta o  frase particolare, proprio come facevano Lucas e Josh con Adria e Reyna. Ma lui era Daniel Morris e quel genere di cose non erano il suo forte. «Non so che senso abbia questa risposta, ma sono felice che anche tu faccia parte di questa cerchia di persone che non può resistere al mio viso.» 

Fu il turno di Kimberly di ridere. «Spero che questa cerchia di persone non ci faccia mai vedere da me.» affermò con una strana serietà. 

«Parlando seriamente, non credo che ci siano, ma perché no?» 

Kimberly lo guardò dritto in faccia. «Beh, perché sono gelosa.» 

«E io sono innamorato di te.» rispose immediatamente Daniel. «Quindi di questa ipotetica cerchia di persone non me ne importerebbe nulla.» 

«Oh davvero?» 

«Sì.» Daniel le cinse la vita con le braccia. «Non mi credi?» le domandò, prima di baciarla. 

«Sì che ti credo.» confermò Kimberly. 

Daniel sorrise timidamente e la baciò di nuovo. Kimberly si scostò quasi immediatamente. 

«L'hai sentito?» chiese, scattando i piedi, sfilandosi l'anello dal pollice ed evocando la sua spada. 

«No.» fece Daniel, balzando in piedi a sua volta. Recuperò il suo pilum dalla colonna contro la quale lo aveva appoggiato e iniziò a guardarsi intorno con aria attenta e sospetta. «Tu che hai sentito?» chiese in un sussurro. 

«Ho sentito un rumore, come un verme o un serpente che striscia.» 

«Strano.» fece Daniel, lasciando vagare lo sguardo in maniera casuale da un alloggio all'altro e da una strada all'altra. Non c'era alcun verme o serpente in vista, ma quando udì un urlo – un urlo umano – squarciare l'aria proprio davanti a loro, lui e Kimberly si lanciarono un'occhiata d'intesa e poi partirono all'attacco, sfruttando la direzione dalla quale era venuto il suono. Sentirono uno psst lento e inquietante, il verso dei serpenti. E fu in quel momento che la sensazione di Reyna divenne realtà. 

Dato che mi andava, oggi ho pubblicato presto. Per fortuna è andato tutto bene e proprio ieri ho finito il capitolo 16 🌟
E quindi mi metterò subito (sì adesso) a scrivere il 17. Comunque, il titolo di questo capitolo non c'entra molto con ciò che succede, però ho voluto dedicarlo ad Aaron, che è un nuovo personaggio 😔
Comunque, spero vi sia piaciuto il capitolo!
Fatemi sapere con un commento o un voto :)
Inoltre, dato che mi va di interagire oggi (così a caso) vi chiedo: da quello che avete letto in questo capitolo e nella “storia vecchia”, preferite Daniel e Kimberly da amici o da fidanzati? (al di là del fatto che li shippiate o meno)
A sabato prossimo! 🙋‍♀️

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