15• L'elefante che fa danza classica vince il premio come mostro più assurdo

All'incirca dall'altra parte del campo, Alabaster e Lucas stavano discutendo riguardo ai risultati ottenuti con i loro rispettivi incantesimi. Si erano allontanati  dalle macerie del tempio di Giove per evitare di farsi male inciampando casualmente in qualche masso e si erano messi a parlare sotto l'ombra di un albero particolarmente imponente.

«È stato Eolo. E su questo non ci piove.» disse Alabaster a Lucas. «Solo, non capisco come tu faccia ad eseguire gli incantesimi senza usare una formula in latino.» 

Lucas alzò le spalle. «Non parlo il latino.» 

«Non è questo il punto. Non capisco come sia possibile.» replicò Alabaster. «Chi ti ha insegnato a fare magie?» 

«Nessuno. La prima volta che ho eseguito un incantesimo quasi non me ne sono reso conto. Il resto è venuto da sé.» 

Alabaster scosse la testa, con aria dubbiosa. «Non riesco proprio a capire.» 

«Non credo che la magia sia solo questo o quello.» tentò di spiegargli Lucas, gesticolando con le mani.  «Penso che ci siano più modi di eseguirla e ognuno può utilizzare quello che preferisce e con il quale si trova più in sintonia.» 

«Ne ho fatta di esperienza, eppure non ho mai visto qualcuno fare incantesimi come li fai tu.» 

«Quindi ora la nostra cara mamma mi metterà in punizione?» rise Lucas. «Dici che non mi farà mangiare il dolce, o mi obbligherà a parlare latino? Spero non mi tolga il caffè. Amo il caffè.» 

Alabaster gli lanciò un'occhiataccia. «Mostra un po' di rispetto per chi ti ha messo al mondo.» ringhiò, digrignando i denti. 

«Rispetto mio padre. Con Ecate non voglio averci nulla a che fare. Non l'ho mai vista. Non una sola volta si è degnata di farsi vedere.» Anche Lucas stava iniziando a scaldarsi; teneva le braccia distese lungo i fianchi e le mani chiuse a pugno. «Neanche una schifosissima telefonata. Una lettera. Il nulla.» Parlare degli dèi, soprattutto l'argomento “genitori divini”, gli suscitava una gran rabbia, che era sempre riuscito ad attanagliare. Quella volta sentiva, invece, che non sarebbe andata così. Soprattutto dopo ciò che Alabaster gli disse, che contribuì ad aizzarlo ancora di più. 

«Credi davvero di essere così importante da ricevere una telefonata da una dea? Sei solo un ingrato.» 

«Un ingrato? Io?»

«Certo!» gridò Alabaster. «Ti prendi gioco di nostra madre e non la rispetti come dovresti, eppure ti servi dei suoi doni quando ti fa comodo!»

«Non le ho chiesto io di aprirmi la strada a tutto questo!» ribatté Lucas. Non era mai così furioso in vita sua. «Fino a qualche mese fa neanche sapevo che il mondo fosse così! Cosa credi? Che per me sia facile stare qui?» abbaiò contro Alabaster. «Perché – indovina un po' – non lo è! Io, a quest'ora dovrei stare a casa mia, a New York, con la mia famiglia! Invece sono qui, praticamente dall'altra parte, a combattere contro degli esseri immortali psicopatici! Avrei voluto condurre una vita normale, ma ormai non ho più scelta! È questa è stata tutta colpa di Ecate!» 

«E allora vattene!» gli disse Alabaster indicando il Caldecott Tunnel con la mano. «Tanto non sei di grande aiuto qui. Scherzi anche quando non dovresti e non sai eseguire un solo incantesimo come si deve! Se te ne andassi sarebbe meglio, perché francamente mi sei solo di intralcio!» Non si sentiva affatto in colpa per ciò che stava dicendo a Lucas, che se accorse dal ghigno crudele che aveva impresso in volto e dalla faccia soddisfatta che fece quando Lucas gli disse in tono piatto: «Bene, allora. Me ne vado.» 

Senza aggiungere altro, raggiunse l'alloggio più in fretta che poté. Per fortuna era vuoto. Non che fosse un problema trovare qualcuno all'interno, solo che avrebbe significato spiegare dove stava andando e che doveva sbrigarsi. 

Era sempre stato piuttosto ordinato quando si trattava di vestiti e delle proprie cose, perciò in meno di due minuti era già pronto ad uscire. 

Prese le chiavi della sua moto, titubante se utilizzarla o meno. Forse avrebbe dovuto lasciare un bigliettino a Reyna con le chiavi. Perché, ovviamente, non aveva intenzione di andarsene senza dirglielo. Non le avrebbe scritto di Alabaster, ma le avrebbe detto che doveva assolutamente prendersi una pausa, non da lei, ma da tutto quel mondo. Mentre scriveva su un pezzo di carta color avorio si chiese se fosse il caso di scrivere a Reyna di raggiungerlo. Poi pensò che sarebbe stato meglio non farlo. Reyna aveva già così tanto da fare… 

E poi Lucas non aveva intenzione di starsene a casa sua per sempre. Solo per qualche giorno. Lasciò il biglietto per Reyna ben piegato sul letto, disegnando sul dorso un paio di cuori per far capire a chiunque lo avesse trovato prima di lei che si trattava di una cosa privata e rimise le chiavi della sua moto nel comodino. Non c'era bisogno di metterle in mostra: Reyna sapeva perfettamente dove trovarle. 

«Okay, è ora.» disse Lucas a voce alta. Le strade sembravano tutte vuote, come del resto tutta la zona che precedeva il Caldecott Tunnel. Pensò che i legionari dovessero essere andati tutti a fare qualcosa tipo il caffè o ricostruire il tempio del dio dei fulmini. Qualsiasi cosa stessero facendo, meglio per Lucas che, come prima, avrebbe evitato le domande inopportune. Attraversato il Caldecott Tunnel, la sua missione divenne un'altra: beccare la prima stazione dei treni e trovare un biglietto low cost per New York. 

• • •

Josh cercò a tentoni un lenzuolo o un qualsiasi pezzo di stoffa per coprirsi la schiena, ripetutamente sferzata da un venticello gelido e fastidioso. Era troppo stanco per aprire gli occhi, perciò si servì delle mani per esplorare l'ambiente attorno a sé. Non che fosse poi così difficile: si trovava pur sempre nel suo letto. Dopo parecchi tentativi, non trovando il lenzuolo, pensò che Adria lo avesse preso per coprirsi, tenendolo tutto per sé. 

«Adria, per favore, dai un pezzetto di coperta anche a me?» le chiese allora Josh, con la voce impastata dal sonno. 

Non udendo risposta, pensò che fosse ancora addormentata. A quel punto non ebbe scelta: aprì gli occhi. La sua prima constatazione fu: “Di certo questo posto non è il mio letto”. Un paio di occhiate in più gli bastarono anche a capire che Adria non era lì e che lui aveva dormito su un enorme pezzo di corteccia, di forma cilindrica e largo quanto una strada a più corsie. Guardò in alto e vide che il vento gelido era causato dal lento movimento di un enorme pezzo di plastica verde, delle dimensioni di un paio di tovaglie adatte ad un tavolo rettangolare. Osservando quella plastica con attenzione, Josh si accorse che era ricca di venature, cosa che lo portò a pensare che si trattasse di una foglia gigante. 

Fece due più due: si trovava sul ramo di un albero parecchio grande rispetto a quelli a cui era abituato. O forse era lui ad essere rimpicciolito. Le ipotesi erano due, l'una più improbabile dell'altra. Decise di preoccuparsene in un momento più opportuno, ovvero quando avrebbe trovato Adria. 

Si mosse con cautela lungo il ramo, guardando con attenzione attorno a sé chiamando Adria di tanto in tanto. Dopo dieci minuti di intensa ricerca, la trovò, nascosta sotto un grosso pezzo di foglia verde. La ragazza gli stava facendo dei rapidi e nervosi segni per dirgli di avvicinarsi a lei. Batté con la mano sopra la corteccia e alzò la foglia sotto la quale era accovacciata; Josh si sbrigò ad occupare quel posto, ritrovandosi subito la bocca tappata dalla mano di Adria e la visuale coperta dalle molteplici sfumature verdognole della foglia. 

«Non fare rumore.» lo avvertì Adria, sussurrando. «C'è qualcosa qui, che non mi piace.» 

«Dove siamo?» le chiese Josh con il suo stesso tono. 

«Su un albero molto grande. Siamo qui da un bel po', credo.» 

«Come ci siamo arrivati?»

«Con un viaggio nell'ombra. Ricordi del tempio di Giove? Ci stava cadendo addosso.» 

Josh si massaggiò le tempie. «Sì. Ora me lo ricordo.» 

«Riguardo alla cosa da cui ci stiamo nascondendo: non so cosa sia, ma ha fatto già cinque volte su e giù lungo il tronco e non ha il passo leggiadro di una ballerina di danza classica. Per avere un'idea più chiara: immagina che la ballerina sia un elefante in un negozio di cristalli. Pensa ad Annibale.» 

«Cioè, questo animale è peggio di Annibale?» 

«Molto peggio.» confermò Adria. «Quindi sarebbe meglio non farci vedere, per ora.» 

Josh iniziò ad avvertire il ramo dell'albero sul quale si trovavano tremare sempre più forte, come se stesse avvenendo un terremoto di magnitudo crescente. 

«Questo è lui.» gli disse Adria. Gli mise una mano sulla schiena, facendogli capire che doveva abbassarsi. «Accovacciati il più possibile. O ti vedrà.» 

Josh annuì, ma alzò leggermente un lembo della foglia, individuando il corpo dell'animale mentre passava lì davanti e filava dritto verso l'alto. Si girò verso Adria. «L'ho visto.» 

«E che cos'è?» sussurrò Adria. 

«Somiglia ad uno scoiattolo gigante.» 

Chiedo scusa se il capitolo è arrivato tardi. Sto trovando un po' difficoltà a scrivere e a causa delle videolezioni ho mal di testa tutti i giorni :(
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto! Io corro a scrivere il capitolo 30 ✨

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