11• E chi se lo immaginava che i fantasmi avessero bisogno degli ombrelloni?

Kimberly preparò la valigia in un baleno, lanciando un oggetto dopo l'altro al suo interno con furia e serrando la ventiquattrore con tre scatti decisi della cerniera. Sua madre e Victor erano appena usciti di casa e lei, in meno di un minuto, era già pronta ad abbandonarla.

Victor le sembrava sincero quando aveva parlato di sua madre come una compagnia piacevole. Se Kimberly fosse andata via, a lei non sarebbe successo nulla. Inoltre, Kimberly aveva l'impressione che Victor avesse iniziato a vivere in casa loro già da qualche settimana prima che lei venisse a sapere del matrimonio. E sua madre sembrava stare molto bene, escludendo il fatto che avesse deciso di sposarsi così all'improvviso.

Eppure Kimberly non riusciva a stare tranquilla; continuava a tornarle in mente il momento in cui gli occhi scuri di Victor si erano illuminati di verde e rosso, non con toni accecanti, bensì soffusi. Proprio come un sottile strato di nebbia. Forse era una specie di Oracolo. Magari un nuovo ospite di quello di Delfi? Rachel Dare aveva deciso di passare il testimone ad un uomo?

“No, è impossibile” si disse Kimberly.
Tuttavia non conosceva nient'altro in grado di comportarsi in quella maniera così eterea e terrificante, quindi arrivò a pensare che Victor fosse qualcuno che lavorava a stretto contatto con il futuro. Una sorta di Oracolo di Delfi molto prepotente. Di certo, non era un semplice mortale.

Aveva parlato con fin troppa sicurezza quando aveva detto a Kimberly che non aveva idea di ciò che lei non sapeva riguardo a lui. Poi schioccandole le dita sotto il naso era riuscito a far comportare Kimberly come voleva lui. Era stato così facile per lui controllarla…
Un'ondata di irritazione investì Kimberly; spalancò la porta della sua stanza con un calcio e corse freneticamente giù per le scale, trascinandosi dietro la valigia e facendo un gran fracasso.

“Me ne andrò” decise. “Per ora”. Si promise, però, di tornare al più presto per tenere sotto controllo Victor, imponendosi che, prima o poi, l'avrebbe fatto uscire dalla sua vita e quella di sua madre. Si guardò intorno per essere sicura di non aver dimenticato nulla e smanettò con la serratura della porta d'ingresso. Era sempre stata difettosa e lei non era mai stata abbastanza paziente da girare la chiave con lentezza e nel modo più adatto. Quando era più piccola, era sempre suo fratello ad aprirle la porta.

“Ecco cosa ho dimenticato” pensò, mentre si precipitava al piano di sopra. “Non ho salutato Kayden”.
Aprì lentamente la porta della stanza di suo fratello, che cigolò. Individuò subito un sottile strato di polvere su ogni superficie: il letto, la scrivania, l'armadio, il PC appoggiato sul materasso e le cornici piene di foto sulla cassettiera. Sua madre non entrava là dentro da un po' per pulire.

«Ciao, Kayden.» disse Kimberly a voce alta, guardando le pareti tinteggiate di blu. «Lo so che sei qui. Perciò non ti chiederò di far accadere qualcosa per segnalarmi la tua presenza. Quello succede solo negli horror più scadenti. Quindi non disturbarti.» Si schiarì la voce. «Ti volevo dire che me ne sto andando e volevo chiederti se potessi dare un'occhiata alla mamma. Credo che tu l'abbia già fatto e che lei stia bene grazie a te.»

Kimberly non era di religione cattolica; quando tuo padre era il dio della guerra, parte di un Pantheon di antiche forze primordiali e non, era difficile credere ad un'altra forza mistica. Non credeva al Paradiso o all'Inferno, bensì agli Inferi e ai Campi Elisi e sapeva che suo fratello si trovasse in questi ultimi.

«Sai che c'è, Kayden?» chiese la ragazza. «Vorrei tanto che tu mi rispondessi. È un po' stupido parlare ad una stanza vuota. Non sono sicura al cento per cento che tu sia qui dentro.» Da quando suo fratello gemello aveva perso la vita, Kimberly non aveva più parlato con lui, perché i morti non parlavano.

L'unico modo in cui aveva comunicato con lui era quello: entrare nella sua stanza e parlare al vuoto, sperando che lui la ascoltasse, anche se non poteva rispondere. Eppure esisteva un altro modo per parlargli, intrattenendo un vero dialogo. Non ci aveva mai provato prima per evitare di disturbarlo.

Aveva bisogno di chiedergli delle cose importanti su Victor, fondamentali per sapere se sua madre si fosse trovata in pericolo con lui. Se Kayden stava vegliando su di loro, proprio come aveva promesso a Kimberly poco prima di morire, lo avrebbe sicuramente saputo.

«Spero che parleremo presto, Kayden.» concluse Kimberly, uscendo dalla stanza di suo fratello e da casa sua con un sorriso stampato in faccia. Sarebbe tornata a casa. La sua seconda casa: il Campo Mezzosangue.

• • •

Per fare in fretta, Kimberly optò per il taxi delle Sorelle Grigie. La loro guida spericolata, come sempre, fece il modo che arrivasse davanti alla Collina Mezzosangue esattamente cinque minuti dopo aver messo piede fuori da casa sua. Quando Vespa – la sorella alla guida del taxi color grigio fumo – frenò all'improvviso, rischiò di schiantarsi contro il pino di Thalia.

Kimberly porse un mucchietto di dracme a Tempesta e si catapultò fuori dall'auto, lasciando le tre Sorelle Grigie a litigare per il possesso del loro occhio e del loro dente, mentre la macchina ripartiva a tutta birra verso chissà quale meta.

Kimberly non perse tempo ed iniziò a scalare la collina, giungendo davanti all'arco dell'ingresso, che attraversò. Il Campo Mezzosangue era in piena attività a quell'ora. Un figlio di Efesto si stava occupando del falò, mentre un altro stava sfruttando le fiamme per lavorare il ferro. I figli di Ares stavano recintando la capanna di Ermes con del filo spinato mentre Lou Ellen si stava occupando delle difese magiche.

A comandare tutta l'operazione non c'era nessuno e tutti stavano litigando tra loro, mentre i figli di Ermes osservavano il tutto attraverso le finestre aperte. Kimberly decise di intervenire per evitare che uno dei suoi fratelli cavasse un occhio a Lou Ellen, ma poi pensò che lei si sarebbe schierata coi suoi fratelli se fosse stata lì ad aiutarli col filo spinato; se Lou ci avesse rimesso un occhio non sarebbe stato poi così brutto: ne avrebbe avuto ancora uno.

E poi non aveva tempo; doveva assolutamente trovare Nico Di Angelo. Andò verso la casa tredici, quella di Ade, e sbirciò al suo interno: Nico non era lì. Kimberly, allora, fece dietrofront e andò verso la casa di Apollo, pensando che Will Solace potesse dirle dove trovare il suo ragazzo.

Lui e il resto dei figli di Apollo, però, stavano giocando a basket. Pareva un incontro piuttosto agguerrito, perciò Kimberly decise di non interrompere. Guardò tra il pubblico e notò Nico seduto all'ombra di un albero, vestito completamente di nero.

«Bingo.» sussurrò la ragazza mentre lo raggiungeva. «Nico.» disse per attirare la sua attenzione.
Lui alzò lo sguardo su di lei. «Kimberly?» Si alzò in piedi, sorpreso. «Che ci fai qui?»
«Mi serve una mano.» disse in fretta lei.
«E io posso aiutarti?»
Kimberly annuì. «Conosci un buon posto per evocare un morto?»
Nico annuì. «Che hai intenzione di fare?»
«Te lo spiego lungo la strada.» gli disse mentre gli passava una tavoletta di cioccolata.

Il cibo era uno degli strumenti fondamentali per le evocazioni.
Nico la prese. «Va bene. Seguimi.» disse, mentre si allontanava dall'albero, sotto lo sguardo confuso del suo ragazzo.

• • •

«Quindi vuoi parlare con tuo fratello.» concluse il figlio di Ade mentre Kimberly finiva il suo racconto.
«Sì, spero che lui ne sappia qualcosa.» confermò. Lei e Nico iniziarono che a scavare una fossa non tanto profonda accanto al laghetto delle canoe, utilizzando delle pale che Nico aveva recuperato lungo il tragitto.

«Alle nereidi non darà fastidio questa buca?» chiese Kimberly.
«No.» rispose Nico. «Non ce n'è nessuna qui intorno. Hanno paura di me.»
Kimberly rimase a fissarlo con un sorrisino triste impresso in volto. Le persone tendevano spesso ad evitare Nico per via di quella sua aria tenebrosa e cupa, per il suo essere poco socievole e per una serie di altre cose che la gente trovava strane, ma che in realtà facevano solo parte del suo modo di essere.

Nico ricambiò lo sguardo di Kimberly. «Può tornare utile, certe volte.» Alzò le spalle e affondò la pala nel terreno, sollevando un bel mucchio di terra. Lui e Kimberly passarono cinque minuti buoni a scavare, fino a quando Nico fu soddisfatto.

«Va bene così, Kimberly.» disse alla sua amica, che mollò la pala e balzò fuori dalla buca.
Nico la imitò. Poi tirò fuori la tavoletta di cioccolata. «Pronta?» domandò a Kimberly.
Lei annuì. Si sentiva tesa, ma anche felice: presto avrebbe rivisto suo fratello.

Alla sua risposta, Nico si piazzò sul bordo della buca e iniziò a cantilenare in greco antico, lanciando ad intervalli regolari pezzi di cioccolato nella fossa.
Pian piano lo spirito di Kayden Morgan spuntò fuori dal terreno umido, agguantando i pezzi di cioccolato ad uno ad uno. Riemerso dal suo banchetto, alzò il viso e Kimberly e Nico riuscirono a cogliere i lineamenti del suo volto: la figlia di Ares pensò che non ci fosse ombra di dubbio: era proprio Kayden.

«Kay.» lo chiamò Kimberly, usando il diminutivo con il quale nominava Kayden quando erano entrambi bambini.
Lui chinò la testa. «In anima e spirito.» ribatté.
«Mi hai sentito mentre ti parlavo nella tua stanza?»
«Certo. Sono morto, mica sordo.»

«È una battuta?» chiese Kimberly esitante. Era abituata ai Lari del Campo Giove, che erano tutti piuttosto permalosi e restii riguardo allo scherzare per la loro morte.

«Più o meno.» rispose Kayden, alzando le spalle. Kimberly notò che aveva lo stesso aspetto di quando era morto: la maglietta del campo, un paio di jeans e gli stivali. I capelli erano in ordine come al solito, ma di un colore marrone parecchio sbiadito, quasi bianco. Una chiazza rossa di sangue albergava sulla sua T-shirt.

«Dato che mi stai fissando come se volessi saperlo…» esordì Kayden, guardando Kimberly, «…no, morire non è così doloroso come sembra.»
Kimberly annuì con fare esitante per la seconda volta in quella giornata. Non aveva intenzione di mettersi a piangere o altre smancerie di quel genere. Insomma stava parlando con suo fratello gemello morto e non ne aveva mai avuto un'occasione; sarebbe stato un peccato sprecarla frignando.

«Dunque, sai già che cosa voglio chiederti.»
Kayden annuì. «E so anche cosa vorresti sentirti dire.» Si sedette sul bordo della buca, come se fluttuare per aria lo stesse facendo stancare. Poi guardò Nico. «Non è che avresti un altro po' di quel cioccolato?»
Lui scosse la testa, mostrandogli l'incarto vuoto.

«Peccato.»
«Non c'è da mangiare nei Campi Elisi?» chiese Kimberly a suo fratello.
Kayden scoppiò a ridere. «Kim, io sono morto. Ricordi?»
«Sì, me lo ricordo molto bene.» rispose lei, cupa.
«Su, avanti.» Kayden pareva aver capito che sua sorella aveva improvvisamente cambiato umore: si era intristita. «Non è così male in fondo. Okay, magari mi manca il cioccolato e te e la mamma, però ...»
«Manchi tanto anche a noi.» gli disse Kimberly.

Nico, in quella situazione, iniziò a sentirsi inopportuno. «Forse dovrei andare…» borbottò.
Kimberly scosse la testa. «No, non è necessario.» gli rispose, intuendo perfettamente quale fosse il suo stato d'animo in quel momento.
«Beh, chiamami più spesso in questo modo.» Kayden indicò la buca. «Non mi dispiace fare due chiacchiere.» Rimase in silenzio per qualche secondo. «Uffa, tra poco devo andare. Mi sta chiamando.»

«Chi?» gli domandò Kimberly.
«La mia ragazza. Ha bisogno di aiuto con l'ombrellone.»
Kimberly non gli chiese come mai ad un fantasma – o ad un'anima, non aveva ancora capito se Kayden ora fosse l'una o l'altra cosa – servisse un ombrellone, bensì esclamò sorpresa: «Tu hai una ragazza?»

«Certo.» affermò Kayden soddisfatto. «Una bella fantasmina.»
Kimberly rise.
«Comunque, ecco ciò che vuoi sapere.» iniziò Kayden. Il suo tono di voce si era fatto più frettoloso, si vedeva che aveva fretta di andarsene.
“La sua ʼfantasminaʼ deve aver proprio bisogno di aiuto” pensò Kimberly, mentre Kayden le narrava per filo e per segno tutto ciò di cui fosse a conoscenza.

«Non ho idea di chi sia Victor per la precisione, ma non ha fatto alcun incantesimo alla mamma. Credo che lei lo ami davvero. L'unica cosa che ho capito è che lui c'entra qualcosa con i rapimenti dei figli di Ermes.»
«Come fai a sapere dei rapimenti?» gli chiese Kimberly.

Kayden scrollò le spalle. «Le voci arrivano anche negli Inferi, prima o poi. Ho visto che qualcuno gli ha portato quel ragazzino che hai trovato nel salotto di casa nostra. Non ho visto chi o cosa fosse.»
«Okay. Come fai a… sì, insomma… a vederci?» balbettò Kimberly esitante.
«Tramite una grande TV al plasma.» Dal suo tono, sembrava che suo fratello dicesse sul serio. «Anche se, a volte, mi concentro abbastanza da riuscire a vedere delle cose. Ad esempio, ora vedo il campo dei romani sotto attacco. Sfidano gli anemoi thuellai. Sembrano molto feroci.»

Kimberly lanciò un'occhiata terrorizzata a Nico. «Dobbiamo andare ad aiutarli.»
«Ovviamente.» confermò lui. «Ed ho già in mente un piano che potrebbe fare al caso nostro.»
«Bene.» Kimberly tornò a rivolgersi a suo fratello. «Grazie per tutte le informazioni, Kay.»

Kayden le fece un rapido segno militare con due dita. «Farei di tutto per la mia sorellina. Ci vediamo, Kim. Chiamami più spesso.» E scomparve con uno sbuffo di vapore nell'aria. Kimberly fu felice di averci parlato; Kayden le era sembrato quello di sempre: gentile, protettivo, forse un po' incauto con le battute.

«Ora andiamo?» Nico indicò un'ombra. «Arriveremo prima con quella.»
«Sì, andiamo.» Kimberly si aggrappò al suo braccio, per fare il modo che anche lei riuscisse a viaggiare nell'ombra con Nico. «Comunque grazie per avermi aiutata con mio fratello.»

«Figurati.» le rispose lui. Corse verso l'ombra e Kimberly pensò che si sarebbero ben presto ritrovati in mezzo ad una battaglia. Si stupì molto quando si accorse che Nico, con quel viaggio, li aveva condotti davanti ad uno dei furgoni del Campo Mezzosangue.

«Vuoi andare con questo?» fece Kimberly, piazzando la mano sul cruscotto del veicolo.
«Sì. Faremo un viaggio nell'ombra con questo. Il furgone ci sarà utilissimo contro gli spiriti del vento. Il parafango li abbatterà tutti.»
Kimberly lanciò un'occhiata alla parte del veicolo che Nico aveva nominato: era rivestita da una lamina di bronzo celeste, uno dei materiali più adatti per annientare le creature mitologiche.

«Dove credete di andare voi due?» si intromise Will Solace piazzandosi davanti ai due semidei con le braccia incrociate.
«Will! Che bello rivederti!» esclamò Kimberly.
Lui accennò un sorriso, slanciandosi in avanti per abbracciarla. «Kimberly, sei venuta a trovarci?»

«Ehm…non esattamente.» ribatté lei.
«Poi mi spiegherai.» Will si districò dall'abbraccio in tutta fretta, ma senza risultare sgarbato, e puntò il dito contro Nico. «Mi devi ancora una spiegazione, Di Angelo. Non vorrai mettere a repentaglio la tua salute, spero. Sei già finito in infermeria per tre volte questa settimana.»
«Si tratta di una missione di salvataggio.» spiegò in fretta Nico.
«Verrò anch'io con voi.» disse subito Will.

Kimberly si sistemò sul sedile del passeggero, mentre Will sui sedili posteriori. Nico si mise alla guida.
«Ti avverto, Solace. Sto per fare un viaggio nell'ombra. Non sclerare, per favore.»
Will, com'era prevedibile, non gli obbedì. «Cosa? È pericoloso! E potresti sentirti male!»

Nico sospirò, poi si girò verso di lui. Si sporse sui sedili e si sfilò un fazzoletto dalla tasca, avvolgendolo attorno alla bocca di Will con un nodo per evitare di farlo parlare.
«Mh-mhh!» bofonchiò il figlio di Apollo, mentre Nico legava anche i suoi polsi tra loro.

«Ma che gli stai combinando?» chiese Kimberly divertita.
«È per il suo bene.» Nico diede un colpetto sulla testa di Will, sfiorandogli con le dita le setose ciocche di capelli biondi. «E anche per il nostro.»
«Mfff-mh!» protestò Will.

«Sì, Will. Stasera andremo a mangiare fuori, se è proprio questo che vuoi.» Nico fece finta di comprenderlo, ma in realtà era probabile che Will, con quei versi, intendesse dirgli: “Me la pagherai, Di Angelo!”. Mise in moto l'auto e si scontrò contro un'ombra proiettata contro un albero secolare.
«Mfffffff!» sentirono Nico e Kimberly, mentre viaggiavano attraverso le ombre e l'oscurità.

«Lo so, Will! È una figata questo viaggio!» esclamò Nico, mentre schiacciava il piede sull'acceleratore.

Ho da poco finito di scrivere il capitolo 27 e aiuto. Ora non posso dilungarmi troppo perché per scrivere, oggi non ho toccato un solo libro di scuola ed ho un mucchio di roba da consegnare per venerdì. L'unico avviso che ho da darvi è che hanno vinto le pubblicazioni programmate quindi pubblicherò il martedì pomeriggio e il sabato mattina. Alla fine la mattina e il pomeriggio ho dovuto sceglierli io a causa delle videolezioni 😔
Ci vediamo al prossimo capitolo!
E ultima comunicazione, ho iniziato anche a scrivere la ff sui Malandrini, per ora quasi due capitoli ✌️
Che ne pensate del nostro fantasmino Kayden? 🎈

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