Capitolo 8
Come dare un nome o una logica a qualcosa a cui non sai dare una spiegazione?
Isabelle cercava di trovare la risposta, ma era così complicata. Vedere quel bambino abbracciato alla causa della sua confusione, rendeva tutto ancor più difficile.
Sì, aveva cominciato a pensare a Cédric in un modo tutt'altro che da semplice conoscente, ma non era ancora in grado di dare un nome a ciò che sentiva.
E adesso le sue domande si erano intensificate, nella scoperta che Cédric avesse un figlio e quindi anche una donna con cui l'aveva concepito.
Dov'era adesso? Loro erano sposati, ma per gli ultimi avvenimenti successi, Cédric aveva preferito portare la sua famiglia in quel luogo per proteggerli?
«Cédric è un uomo irraggiungibile, in tantissime cose. Non provare a capirlo o a credere che possa trovare un collegamento con un altro essere umano. E' un uomo che abbassa le sue mura di difesa sola una volta nella vita e purtroppo è già successo. »
Le parole della Marchesina rimbombarono nella sua testa, trovando adesso una logica.
Si rese conto di non essere in grado di vederla, di incrociare lo suo sguardo della donna amata dall'uomo. Non se lo spiegava, ma sentiva che se l'avesse vista, il suo cuore ne avrebbe risentito.
Cédric le lanciò un'occhiata e Isabelle cercò di mantenere uno sguardo impassibile, di utilizzare la maschera che l'aiutava sempre, in diversi momenti e casi. Ma stavolta, comprese con disagio, ebbe davvero grosse difficoltà, soprattutto sentendo il suo sguardo su di lei.
Fortunatamente intervenne Robin, per rompere la tensione che si era creata. «E' vostro figlio? Come si chiama? Non vi assomigliate molto» asserì alla fine, tartassandolo di domande.
Beata ingenuità, pensò Isabelle, respirando profondamente. Aveva espresso tutto ciò che avrebbe desiderato domandargli senza il minimo disagio e usando la spontaneità donata ai bambini.
Cédric non sembrava minimamente a disagio, anzi sorrise alle domande di Robin, sollevandosi mentre il bambino rimase attaccato alle sue gambe, guardandoli sospettoso.
«Hai ragione, non ci assomigliamo molto perché Dorian non è mio figlio, non di sangue almeno. L'ho adottato anni fa e adesso è mio figlio a tutti gli effetti» spiegò con tranquillità, accarezzando i capelli neri del bambino, uguali ai suoi occhi che in quel momento fissavano Isabelle infastidito.
Quest'ultima pensò che, anche se il bambino era stato adottato, ciò non significava nulla. E, intuì lei, probabilmente c'era ancora molto altro da scoprire e comprese che Cédric voleva parlarle proprio di questo, prima dell'arrivo di Dorian.
Nel frattempo Madame Lambert li raggiunse, cercando di riprendere il fiato. «Oh Dorian... mi dispiace Monsieur, ma non ha sentito ragione non appena ho detto che eravate qui ha voluto raggiungervi senza mettersi in fila con gli altri bambini per darvi il benvenuto come si deve» mormorò ansante.
Cédric le sorrise. «Non importa Madame, sapete bene che non faccio caso a questo tipo di...»
«Monsieur sapete benissimo che i bambini devono imparare le basi della buona educazione» obiettò la donna, cercando aiuto dall'uomo.
L'altro annuì, comprensivo. «Avete assolutamente ragione» detto ciò mise una mano sulla testa del bambino. «Devi sempre ascoltare ciò che dice Madame Lambert, chiedi scusa come si deve» gli ordinò.
Il bambino non sembrava voler obbedire ma, vedendo lo sguardo dell'uomo, mollò la presa sulle sue gambe e si rivolse alla anziana donna a testa china. «Scusate Madame Lambert,non lo farò più.»
La donna scosse la testa, non credendo per niente a quella dichiarazione ma, sorridendo, confidò in lui. «Bene, adesso raggiungiamo gli altri, prego signori. In una giornata così fredda non possiamo stare troppo tempo qui fuori.» Così dicendo, si diresse all'interno seguita dal gruppetto.
L'interno dell'istituto era come sembrava all'esterno. Semplice ma ben pulito e con arredamento accogliente dato chi ci alloggiava. La prima cosa che si notava, non appena varcavi la soglia era la grande scala centrale che portava a diversi corridoi, dove per l'appunto ne uscì fuori una filata di bambini, di diverse età, insieme a due donne di servizio.
Non appena videro Cédric, dei gridolini generali rimbombarono e tutti corsero velocemente le scale, andando incontro all'uomo.
Quest'ultimo non reagì con fastidio o irritazione, tutt'altro, rise e accolse i ragazzi con pazienza.
Isabelle fissò quell'assalto a bocca aperta, distogliendo lo sguardo solo perché Robin richiamò la sua attenzione. «Più che un orfanotrofio con dei bambini, sembra un circo con una schierata di cavalli impazziti» commentò sottovoce, facendo controvoglia sorridere Isabelle.
Quest'ultima rimase a fissare la scena, senza riuscire ad esprimere parola. Cédric, con calma e pazienza, ascoltava ogni bambino, accarezzando le teste di ognuno, ad alcuni ricambiò l'abbraccio senza il minimo imbarazzo o disagio e dandogli la sua totale attenzione.
Vide l'istitutrice sospirare, che voltandosi verso lei le rivolse unsorriso comprensivo. «Succede ogni volta che Monsieur Dumas ci fa visita» le spiegò, tollerante.
«Sembrano tutti molto affezionati a lui» commentò, ancora stordita da tutte quelle notizie. Un uomo che non aveva ricevuto apparentemente nessun tipo d'affetto, era riuscito, non solo a dare una casa a quei bambini, ma anche a trasmettergli l'affetto e il calore umano di cui avevano bisogno.
Decidendo che era il momento di prendere il controllo della situazione, l'istitutrice batté le mani tra loro per ottenere la loro attenzione. «Su, su, adesso basta bambini. Non avete neanche salutato come si deve i nostri ospiti.»
Ogni bambino rivolse l'attenzione a Isabelle e quest'ultima si sentì a disagio sotto gli occhi profondi e sinceri.
Cédric venne in suo soccorso, mettendosi tra di loro. «Lei è la Contessina Mureau, una mia amica» Isabelle, all'ultima specificazione, si volse verso di lui per cercare di comprendere il tono. Ma la sua espressione era poco chiara e inespressiva.
Tutti i bambini la salutarono e dopo di che Madame Lambert insistette affinché risalissero le scale e si preparassero per il pranzo.
«Siamo felici e onorati di ricevere la vostra compagnia a tavola» disse la donna alla Contessa. Quest'ultima si ritrovò a disagio, non aspettandosi di pranzare con loro. «Oh... è un piacere» mormorò.
«Forse la Contessina desidererebbe visitare l'orfanotrofio madame, mentre noi andiamo nell'altra stanza per parlare» propose Cédric.
L'anziana donna annuì, concordando l'idea «Ma certo, una delle cameriere vi accompagnerà a fare un giro» disse per poi voltarsi verso Robin. «Tu sei Robin, non è vero?»
Quest'ultimo s'irrigidì, comprendendo di essere adesso sotto l'occhio di tutti. «Ehm, sì madame» borbottò.
«Ti andrebbe di fare conoscenza con gli altri bambini? Su vai con Margot, ti divertirai» continuò la donna, notando lo sguardo perplesso del giovane, che cedette alla fine seguendola su per le scale.
Il trio si divise, ognuno per percorsi diversi. Isabelle ne fu sollevata, dato che aveva davvero bisogno di metabolizzare tutto ciò che era successo.
La cameriera le fece visitare quasi tutte le stanze della casa, mostrando l'accoglienza del luogo in ogni piccola cosa: i letti semplici ma con abbondanti coperte data la stagione, i giocattoli per i più piccoli e le stanze per lo studio dove i grandi avevano assicurata una corretta istruzione. Gli insegnati venivano pagati da Cédric affinché venissero nei giorni imposti a dare le loro lezioni.
«Questa è l'ultima stanza, la biblioteca, dove i ragazzi più grandi possono rilassarsi e studiare in pace o leggere senza che i più piccoli possano disturbarli» le spiegò la donna, aprendo la porta.
Isabelle rimase piacevolmente impressionata, allorché noto una stanza amplia e con tantissimi scaffali pieni zeppi di libri. C'era anche un piccolo angolo con un camino dove stavano posizionati due divani e una poltrona.
«E' meraviglioso, sapete adoro i libri» disse la contessina estasiata, mentre si avvicinava agli scaffali e leggendo diversi titoli.
La cameriera sorrise, vedendola con gli occhi luccicanti. «Sapete è anche la stanza preferita di monsieur Dumas.»
In un primo momento, Isabelle non comprese a chi si riferisse, ma dopo rimase stupita dal commento. Anche a Cédric piaceva la lettura? Si rese conto che effettivamente non sapeva molto di lui. «Monsieur Dumas è stato molto generoso, è un brav'uomo» disse lei, cercando d'istigare alla cameriera qualche parola su di lui, senza sembrare troppo indiscreta.
«Oh sì, lo è davvero» annuì l'altra, concordante con lei. «Non ha solo dato una mano a questi bambini, ma ha anche dato un posto di lavoro a molte persone per prendersi cura di loro e della residenza.» le spiegò con calore. Isabelle ascoltò senza dire una parola, metabolizzando tutto.
«Adesso devo proprio andare madame, devo dare una mano in cucina, ma prego se lo desiderate potete stare qui. »
Isabelle la ringraziò sorridendole, per poi ritornare in mezzo agli scaffali, pensando all'uomo che tartassava la sua mente. Ciò che aveva fatto per quella gente, dimostrava quanto in realtà fosse una persona dall'animo buono. Lei, che aveva vissuto in un orfanotrofio per diversi anni, sapeva benissimo com'era la vita lì dentro e non era minimante paragonabile a quella. Ricordava ancora il freddo che le entrava dentro le ossa, sotto gli abiti consunti che le avevano offerto lì dentro, la perenne sensazione di fame data la povertà del cibo nei pasti. Ma più di qualunque cosa, le era mancato la sensazione di calore e il senso di perdita che ancora sentiva addosso.
Ricordava il momento in cui si era svegliata sul letto dell'orfanotrofio, sentendosi disorientata e impaurita, non ricordando nulla. Il senso di abbandono non l'avevano mai lasciata, spingendola a non affezionarsi a nessuno per paura che se ne andasse, o peggio, che la dimenticasse lasciandola sempre con quella perenne angoscia dentro di sé.
Era successo la stessa cosa con quel ragazzino, ricordò. Colui che l'aveva salvata quel giorno e che non aveva più rivisto. Aveva così tanto desiderato rivederlo, ringraziarlo per ciò che aveva fatto, dirgli ciò che aveva provato. Ma questo non era successo, col tempo il senso di colpa per non averlo ringraziato, per non aver fatto nulla per lui, l'aveva attanagliata. Mise una mano su uno scaffale, poggiando la fronte, cercando di trattenere le lacrime, mentre i ricordi invadevano la sua mente.
La carrozza si fermò proprio di fronte al negozio. Isabella sopirò, sentendosi ancora inquieta. La Contessa le lanciò un'occhiata, scrutandola. «Sei pronta Isabelle? Dobbiamo prepararci per questo inverno e dovrai indossare degli abiti adatti.»
La ragazzina annuì solamente, mentre la donna scendeva dalla carrozza.
In realtà lei non ne aveva alcuna voglia.
Era stata adottata l'estate scorsa e si era sentita felice come non mai. Avendo dieci anni non ci sperava più, dato che solitamente adottavano solo bambini piccolissimi. La direttrice aveva detto che la sua fortuna era stato il suo bel visino. A lei non importava come fosse successo, le importava solo che fosse stata adottata, e portata via da quel luogo orribile.
Ciò che non si era aspettata fu che l'avesse adottata una famiglia nobile. Si era immaginata con una famiglia di commercianti che avessero il desiderio di avere un figlio per magari aiutarli nella loro attività. Era brava con le faccende e col cucito, ma a quanto sembrava non erano talenti apprezzati dai suoi nuovi genitori. Loro chiedevano in lei cose che non aveva mai fatto e più che mai l'idea di essere fuori luogo si faceva strada nel suo cuore. Lei non voleva assolutamente far arrabbiare i suoi genitori adottivi, o peggio, deluderli, ma non sapeva davvero cosa fare altrimenti. Fin da subito aveva seguito tutte le lezioni impartite dagli insegnati assegnatole, alla lettera, ma riusciva sempre a commettere degli errori. Come in quel caso.
La prima volta che le avevano eseguito delle prove d'abito era stata una tortura.
Non capiva perché i suoi abiti, confezionati solo pochi mesi fa, non andassero più bene. Ma quando aveva chiesto a sua madre, le era stato detto di non dire mai più una sciocchezza simile e eseguire ciò che le veniva detto.
Scese dalla carrozza senza fiatare, seguendo la madre dentro.
Come aveva immaginato, le prove degli abiti si rivelarono davvero stressanti e stancanti e non perse tempo ad allontanarsi quando finalmente la Contessa la lasciò libera fino a che lei non avesse finito con gli ultimi acquisti.
Sospirò dal sollievo, uscì dal negozio sentendo l'aria fresca sulla fronte. Stava cominciando l'inverno, pensò guardando le foglie secche cadere dagli alberi. Si avvicinò ad uno di questi, fissando il colore del tramonto sulle foglie. Molte persone passarono di lì e le lanciarono un' occhiata, alcuni le sorrisero.
Isabelle ricambiò il sorriso, esitante. Era strano come un cambio d'indumenti potesse fare la differenza. Fino a pochi mesi fa, nessuno le avrebbe sorriso, vestita in abiti semplici di cotone, ma pur sempre puliti e in ordine. Adesso invece era tutto diverso, eppure lei sentiva ancora un senso di non appartenenza. Aveva sperato che finalmente il senso di vuoto sarebbe scomparso e così comparire la sensazione di aver trovato casa e calore.
«Oh, ma che abbiamo qui.» Isabelle sussultò, girandosi di scatto. Un gentiluomo stava di fronte a lei con un sorriso stampato in viso. «Scusa non volevo spaventarti» la rassicurò immediatamente.
Isabelle, ricordando le buone maniere, si riprese in fretta e fece una piccola riverenza. «Scusate, io sono Isabelle Mureau.»
L'altro ebbe uno sguardo strano sentendo il suo nome, ma fu così veloce che quasi non se ne accorse. «Sei la figlia adottiva dei Conti Mureau? Che sorpresa, in giro si è parlato tanto del fatto che i Conti avessero adottato una bambina, ma non immaginavo fosse così deliziosa» si complimentò l'uomo.
«Grazie» mormorò lei, lanciando delle occhiate al negozio di vestiti.
L'uomo seguì il suo sguardo. «Cerchi tua madre? Sai io conosco molto bene i tuoi genitori» la informò, continuando a sorriderle per rassicurarla.
«Credo che mi stia aspettando in negozio» sussurrò lei, a disagio.
Non riusciva ancora a parlare con gli adulti, si sentiva a suo agio solo con i suoi coetanei. Ma purtroppo, dopo aver lasciato l'orfanotrofio, non aveva avuto modo di vederne qualcuno.
Nel frattempo l'uomo le lanciò uno sguardo dispiaciuto. «Capisco il tuo disagio ma credo che avrai bisogno di me.
Sotto lo sguardo sorpreso della bambina, lui si spiegò. «Tua madre si è dovuta allontanare in un altro negozio in fretta e mi ha chiesto di accompagnarvi da lei.»
Vedendola esitare, l'uomo si fece più vicino, piegandosi alla sua altezza «Non è molto lontano e la raggiungeremo in un batter d'occhio» le assicurò, per poi avvicinare la mano verso di lei.
Isabelle la fissò esitante, ma poi pensò che se era amico dei suoi genitori probabilmente si sarebbero arrabbiati se non l'avesse ascoltato, perciò la prese.
L'altro le lanciò uno sguardo soddisfatto, prima di cominciare a camminare, tirandola con sé. Percorsero tutta la via in silenzio. Lui provò a farle qualche altra domanda sul padre in particolare, ma sapendo ben poco di quest'ultimo, Isabelle rispose a quasi tutte "non lo so"
Raggiunsero un vicolo dove si aprivano diverse strade e fu lì che si fermarono. Isabelle fissò l'uomo stupita, non sapendo cosa avrebbero fatto adesso.
«Ehm...» provò a parlare lei. «Adesso cosa facciamo?»
L'uomo la fissò stupito, sentendola proferire finalmente qualcosa di sua volontà. «Adesso aspettiamo» disse semplicemente, continuando a sorriderle.
Aspettare? Si domandò Isabelle. Era sicura che avrebbero dovuto raggiungere loro la madre e non viceversa. «Ma non dovevamo avviarci verso l'altro negozio?»
L'altro rise. «Ho detto così? Stranamente non ricordo» s'interruppe, alzando il viso davanti a sé, vedendo la comparsa di qualcuno. «Oh, ecco.»
Isabelle si sentì subito sollevata, immaginando fosse la madre. Sgranò gli occhi vedendo due omaccioni, vestiti in modo molto diverso dall'uomo al sua fianco. Uno era alto e massiccio con uno sguardo minaccioso, l'altro invece era più giovane e piacevole in viso. Sembrava il più rassicurante d'aspetto, anche se bastò guardare il suo sguardo che, anche se sorridente, le diede una brutta impressione.
Istintivamente Isabelle si avvicinò all'uomo accanto a lei, sentendo dopo la sua mano sopra il cappellino che aveva indosso. «Che ti succede Isabelle? Sei spaventata?» chiese, con tono ingenuo lui.
L'uomo dal viso piacevole, si avvicinò loro, alzando le spalle. «Paura? E perché mai, siamo delle persone innocue.»
S'inginocchiò di fronte a lei, osservandola attentamente. «Sarai la mia miniera d'oro» bisbigliò, facendo un sorriso che le mise i brividi.
La bambina sussultò e l'uomo rise di gusto, rivolgendosi a colui che l'aveva portata lì
«Devo ammetterlo, non mi aspettavo una bambina così graziosa. Ci guadagnerò molto.»
«A me non importa quanto ci guadagnerai, purché lontana da qui e che soprattutto non ritorni mai più.» Rispose l'altro, con voce fredda all'improvviso, che Isabelle non riconobbe...
Isabelle sgranò gli occhi, allibita, allontanandosi da lui di scatto. «Dov'è mia madre?» Chiese a quel punto, cominciando a sentire la paura invadere il suo animo. Strinse le mani al petto, sentendo il cuore battere forte. L'uomo la fissò con sguardo impassibile, senza più quel sorriso che l'aveva accompagnato fino ad ora. «Mi dispiace Isabelle, ma non rivedrai mai più la tua mamma adottiva. Mi servi come distrazione per il Conte, per un progetto di lavoro molto proficuo e non ho intenzione di farmelo rubare da lui.»
Isabelle non capiva di cosa stesse parlando, sapeva solo che aveva una gran voglia di piangere e di scappare. Infatti cominciò ad indietreggiare, ma intuendo i suoi piani, l'omone l'afferrò tenendola in braccio.
«No!» Urlò spaventata, col cuore che batteva all'impazzata. «Lasciami andare!»
Il trio la ignorò completamente. «Voglio ciò che abbiamo stabilito.» pretese il giovane uomo, rivolgendosi a colui che era la causa di tutto.
Quest'ultimo non fece storie, dandogli ciò che voleva, un sacchetto colmo di monete. «Sono quanto richiesto. Ora sparite.»
«Ti prego, no.» Si agitò lei, vedendolo allontanarsi. Improvvisamente qualcosa di umido gli si parò sotto il naso, quasi soffocandola per il forte odore che emanava. Gemette, cercando invano di allontanare il panno e la mano che premeva, con le sue più piccole. La vista cominciò a sfumare e l'ultima cosa che vide fu l'uomo che l'aveva porta lì. Quest'ultimo si voltò ancora una volta verso di lei, guardandola questa volta con sguardo accigliato e le labbra strette, come se fosse preso dai sensi di colpa del gesto compiuto. «Non ho niente contro di te, ma purtroppo sei arrivata nel momento sbagliato. E' il destino, piccola.»
Isabelle si svegliò con un mal di testa martellante, ma immediatamente i suoi sensi furono all'erta e si sollevò di scatto da dov'era. Solo che non riusciva a vedere niente. Era chiusa in un luogo completamente buio.
Isabelle sentì le lacrime agli occhi. Lei non aveva paura del buio da molto tempo, dato che l'istruttrice spesso li chiudeva in un sgabuzzino oscuro per punizione se commettevamo degli errori.
Piangeva per la paura dell'ignoto, di sentirsi ancora una volta sola.
«Sei arrivato finalmente.»
La bambina mise istintivamente le mani sulle labbra, per cercare di trattenere il suono dei suoi singhiozzi. La voce sembrava quella dell'omaccione che l'aveva presa, ma non ne era sicura.
«Tornerò a farti il cambio tra qualche ora. Vado a bermi qualcosa, tienila d'occhio.»
Isabelle non sentì alcun suono, solo il rumore di passi pesanti e della porta che veniva chiusa con forza.
Sentì per un po' solo silenzio e Isabelle si avvicinò il più possibile fino a che non tastò con le mani la porta, avvicinando l'orecchio. Nessun suono.
Fu colta alla sprovvista quando sentì lo schiocco della chiave che girava. Si allontanò di scatto, impaurita al solo pensiero di quello che le avrebbero fatto.
La luce si fece strada nella stanza, non appena si aprì, e una sagoma apparve davanti a lei.
Un ragazzino.
Isabelle rimase sorpresa da ciò che vide. Un ragazzo stava davanti a lei e la osservava attentamente. Non poteva aver più di qualche anno rispetto a lei. Era pelle e ossa, notò lei, osservandolo attentamente. I suoi capelli erano neri e in disordine, come se non avessero mai ricevuto una spazzolata. Ma il suo sguardo era strano.
Avevano un colore particolare, mai visto a nessun bambino dell'orfanotrofio. Non erano semplicemente blu. Emanavano una luce particolare. Quegli occhi facevano a pugno con l'aspetto trasandato e poco curato del ragazzo che stava di fronte a lei.
«Come ti chiami?»
Isabelle sussultò sentendo per la prima volta la sua voce. Non credeva che avrebbe pronunciato una parola dato che era rimasto a fissarla da quando aveva aperto la porta.
Lei esitò, non sapendo se rispondere o meno, in compenso da lui non ricevette alcuna pressione e si limitò ad aspettare.
«Mi chiamo Belle» pronunciò alla fine, decidendo di usare il soprannome che spesso il suo amico Stalliere le dava quando erano da soli. Non era la verità, ma non del tutto una bugia. «E tu chi sei?»
«Non ha importanza il mio nome» rispose apaticamente, per poi voltarsi e lasciare la porta aperta. La bambina fissò la porta sgranando gli occhi dalla sorpresa. Si avvicinò esitante, trovandosi di fronte a una piccola stanza per i pasti. Cercò il ragazzino e lo vide aprire alcuni scaffali e infilare qualcosa in una bisaccia.
«Cosa stai facendo?»
Lui non le rispose, fino a che non riempì la sacca. «Vuoi andare via di qui, no?» Chiese.
Isabelle sentì il cuore battere per l'emozione. «Sì, sì voglio andarmene da qui» rispose senza esitazione.
«Allora dobbiamo sbrigarci, prima che arrivino.» Si avvicinò alla finestra, dove il sole era ormai tramontato. «Devi seguirmi senza fare il minimo rumore e obbedendo ad ogni cosa io ti dica» la preparò.
Isabelle lo fissò confusa, non sapendo come interpretare le sue azioni. In fondo anche prima si era fidata di uno sconosciuto e guarda dove si era ritrovata. Strinse le mani tra di loro. «Forse è meglio che rimanga qui, dopo tutto» mormorò insicura su cosa fare.
L'altro, sentendola, si voltò verso di lei e per la prima volta notò il suo volto farsi espressivo. «Cosa?»
Isabelle cominciò a tremare, mentre cercava di spiegarsi. «Se mi allontano, non so dove tu mi porterai. Invece stando in un posto c'è più possibilità che i miei genitori mi trovino.»
Il ragazzo non disse niente, si limitò a fissarla stringendo gli occhi, accigliato.
«Guarda che qui non verrà a salvarti nessuno. I tuoi genitori non riusciranno mai a capire dove sei e prima che s'inoltrino da queste parti, sarai già andata via per chissà dove. » le disse a bruciapelo, terrorizzandola ancor di più.
Andare via, portata in un altro luogo a lei sconosciuto, di nuovo? Non riuscì a trattenere le lacrime e i singhiozzi, al solo pensiero. «No, io non voglio andare via! Adesso ho dei genitori, non voglio andare via!» urlò, singhiozzando a più non posso.
Il ragazzino sgranò gli occhi, guardando la finestra, prima di correre verso di lei facendole segno di far silenzio. «Shh... fai silenzio! Se ti sentono non potrò fare più niente. Mi dispiace non volevo spaventarti, va bene?»
Ma lei non riusciva a smettere di piangere, ormai presa dalla disperazione. Il fanciullo lanciò l'ennesimo sguardo alla finestra, per poi voltarsi verso la bambina. «Ascolta, mi dispiace averti spaventato con le mie parole, ma è davvero importante che tu mi ascolta» cercò di nuovo la sua attenzione, parlando con più calma. «Quelle persone sono davvero cattive e io non voglio che ti facciano del male. Fin'ora non si erano mai spinti a rapire dei bambini e non voglio che tu sia la prima a subire le loro tirannie» il ragazzo si mise una mano suoi capelli neri, già scompigliati, sospirando dal sollievo quando la vide diminuire il pianto. «Ti prometto che farò tutto il possibile per aiutarti. Sono piccolo anch'io, ma conosco i luoghi e posso salvarti.» Corse verso la porta aprendola e guardandosi in giro, prima di voltarsi verso di lei e alzare la mano. «Fidati di me»
Isabelle guardò incerta la mano, ancora singhiozzante, ma le sue parole l'avevano leggermente rassicurata. Infondo non sembrava così cattivo, non come quegli uomini almeno. Lo guardò negli occhi e li trovò in quel momento più rassicuranti di quanto non le fossero sembrati inizialmente. Asciugando i suoi, decise di prendere la sua mano, trovandola stretta e forte, nonostante fossero sporche e piene di graffi. Uscirono da lì facendo il minimo rumore e Isabelle poté guardarsi in giro. Ma non riconobbe il luogo.
Era una strada sudicia e isolata dal centro di Parigi e la povertà in quel luogo era più che tangibile. Isabelle si strinse al suo compagno, seguendolo per strada. «Mi spieghi come sono riusciti a prenderti? Dati i tuoi abiti raffinati,deduco che tu sia una persona appartenete alla nobiltà» disse lui, distraendola e togliendosi contemporaneamente la curiosità.
«Io... io non lo so. Mi sono fidata di una persona che ha detto di essere amico dei miei genitori, mi sono ritrovata davanti due uomini che mi hanno trattenuta e poi sono svenuta» gli raccontò, un po' disorientata dagli avvenimenti così improvvisi.
«Uno di loro deve essere stato Paul, il capo della banda, e l'altro deve averti mentito sull'amicizia con i tuoi genitori. Sei stata proprio ingenua» le fece notare, con un tono un po' più dolce. Isabelle non poté dargli torto, ma la paura di commettere ancora degli errori e far arrabbiare i suoi genitori adottivi era stata così forte da non riflettere abbastanza sulla sua decisione. Adesso, pensò addolorata, saranno furiosi con lei e penseranno che hanno commesso un enorme errore.
«Oh no!» Isabelle sbatte contro le spalle del ragazzino, che si era fermato improvvisamente. «Cosa succede?» Chiese spostandosi per vedere anche lei. Sbiancò in viso quando riconobbe, poco lontano da loro l'omone che l'aveva tenuta affinché non scappasse. Era lì a poca distanza da loro. Li aveva scoperti.
«Maledizione! Corri!» Urlò il ragazzo, tirandola con sé e trascinandola in un'altra stradina, mentre le voci dell'omone raggiunsero le loro orecchie.
«Dove andate! Riportala indietro, bastardo!» Isabelle sentiva il cuore scoppiarle e il sangue rimbombarle nelle orecchie mentre cercava di stare allo stesso passo del suo compagno. Dovettero fermare la loro corsa, allorché finirono ai confini di una strada piena di carri e carrozze. Isabelle stava per riprendere fiato, ma lui l'afferrò di nuovo. «Vieni»
La trascinò in un altro vicolo, dove la nascose in mezzo a diversi sacchi abbandonati. «Rimani qui, io vado da un'altra parte» Le ordinò, ma lei fu lesta ad afferrare il suo braccio. «No, ti prego, non lasciarmi» gli urlò spaventata. «Non voglio rimanere da sola, ho paura» le sue suppliche vennero frenate quando lui la strinse contro il suo petto. Isabelle sgranò gli occhi, sorpresa dal gesto inaspettato.
Non ricordava di essere mai stata abbracciata fin'ora. I suoi ricordi erano spariti e in orfanotrofio l'affetto era inesistente. I suoi genitori non avevano mai dimostrato segni di affetto con abbracci.
Sentire quel calore fu così importante per lei che sentì dolore al petto.
«Ti proteggerò Belle, stai tranquilla. Non permetterò che quegli uomini ti facciano del male» lo sentì mormorare. Quelle parole, come il suo abbraccio, erano così rassicuranti che gli credette con tutta se stessa, ricambiando la stretta.
«Non so se posso farcela» mormorò, insicura. La stretta di lui si fece più salda. «Sei più forte di quanto non credi.»
Non si conoscevano, non sapevano il nome dell'altro, ma era innegabile che un legame si era instaurato in loro. Qualcosa d'improvviso e strano, quasi inverosimile, ma puro nella sua semplicità.
Lui si staccò da lei, guardandola con i suoi occhi blu e non appena le sorrise il suo viso s'illuminò divenendo molto più bello. Isabelle, anche se in una situazione a dir poco pericolosa, sentì le guance infiammarsi. Cos'era quello strano calore divampato improvvisante in lei?
Furono distratti da rumori di urla e imprecazioni di vario genere. Lo sguardo del ragazzo divenne di nuovo scuro, guardò in fondo al vicolo, e la spinse al suo nascondiglio. «Non muoverti da lì, mi raccomando» l'avvisò, allontanandosi solo quando lei annuì con la testa.
Isabelle si fece più piccola possibile, ricominciando a percepire l'ansia e la paura.
«Dannazione, dove si sono cacciati!»
L'urlo dell'uomo rimbombò per tutto il vicolo e Isabelle dovette premere le mani sulle labbra per non emetterne uno anche lei.
«Se trovo quel piccolo bastardo traditore mi assicurerò che venga punito a dovere» i suoi passi erano rumorosi, tanto che lei riuscì facilmente a percepire quanto fosse vicino.
«Paul non sarà per niente contento. Gli avevo detto di diffidare di quel ragazzino, glielo avevo detto! Ma lui ha preferito fare diversamente e guarda cosa ha combinato.»
Isabelle si chiese dove fosse andato, dato che non aveva neanche visto in che direzione aveva preso. Stranamente non le passò neanche per un secondo l'idea che l'avesse lasciata, scappando via. Si rese conto di avere assolutamente fiducia in lui.
Vide l'ombra dell'uomo e cominciò a tremare. Istintivamente si trascinò indietro, per cercare di farsi più piccola possibile. Ma, nel movimento, fece cadere qualcosa, attirando l'attenzione dell'uomo. Sbiancò in viso, quando quest'ultimo scovò il suo nascondiglio, guardandola vittorioso.
«Eccoti, mocciosa. Adesso mi seguirai senza fiatare...»
Isabelle urlò con tutto il fiato in corpo, agitandosi per impedirgli come poteva di afferrarla.
Si sentì un altro urlo, sovrastare quello della bambina, e entrambi si fermarono, voltandosi verso la voce. Isabelle vide il suo compagno saltare dal tetto di fronte con un bastone in mano.
Tutto accadde in un attimo. L'omone non ebbe nemmeno il tempo di reagire, poiché il colpo fu troppo veloce e imprevisto, facendolo crollare a terra insieme al ragazzino.
Isabelle, dopo un attimo di stupore, corse dal ragazzino disteso a terra. Gli si affiancò, preoccupata vedendo fermo e immobile. «Stai bene? Ti prego dimmi qualcosa» lo supplicò, sentendo le lacrime agli occhi.
Con sollievo lo vide aprire lentamente gli occhi e, non appena la vide, le sorrise. «Meno male, è andato tutto secondo i piani» mormorò, sotto gli occhi stupiti di lei. «Sei uno sciocco! Potevi romperti la testa da quella altezza» lo sgridò, anche se sollevata e per questo alcune lacrime scesero sulle sue guance. Lui si sollevò con un gemito, sentendo la spalla destra dolorante, oltre ad altre parti del colpo, e le accarezzò una guancia umida. «Ma tu piangi sempre?
Lei cercò di fermarle, ma le era difficile, per quanto fosse sollevata di vederlo vivo e vicino a lei. Il compagno guardò verso la sagoma, temporaneamente immobile, poco lontano da loro. «Dovremmo andarcene immediatamente, prima che si svegli» Il ragazzino venne colto di sorpresa quando lei gli si tuffò addosso, cingendogli il collo con le sue piccole braccia.«Belle, ma che ti prende...» mormorò stupito dal gesto e imbarazzato. Ma a lei non importava e continuò a stringersi a lui. «Ho avuto tanta paura!»
Lui rimase inizialmente immobile, non sapendo come reagire a quella manifestazione di affetto. Poi, con esitazione l'abbracciò, sentendosi imbarazzato e felice contemporaneamente. Era da tanto tempo che nessuno si preoccupava per lui e aveva quasi dimenticato cosa si provasse a ricevere calore umano.
Purtroppo, la precauzione fece presto ad arrivare dentro di lui e dovette, a malincuore staccarsi da lei. «Dobbiamo andarcene, prima che si svegli e faccia buio» mormorò, sollevandosi sentendo dolorante e aiutandola a fare altrettanto.
Isabelle guardò in alto e vide che effettivamente il sole stava tramontando. Mai una giornata le era sembrata così lunga. Così piena di avvenimenti da sembrare fossero passati due giorni.
Diede un'ultima occhiata alla sagoma inerte. «Sarà morto, secondo te»chiese lei, un po' spaventata dell'idea. Lui fissò la sagoma, accigliato, prendendole la mano. «purtroppo no, è solo svenuto. Sono salito in un punto alto affinché il colpo fosse più potente e così abbatterlo per un po'» spiegò, sotto lo sguardo stupito di Isabelle. Sembrava così freddo in quel momento.
Molto probabilmente la sua vita doveva essere stata molto più difficile della sua. Almeno lei era stata chiusa in un luogo protetto da malfattori, con cibo e un letto.
Quei pensieri la seguirono per tutto il tempo in cui camminarono verso il centro di Parigi, raggiungendo il negozio di vestiti dove aveva visto l'ultima volta sua madre. Ovviamente era ormai chiuso, data l'ora. «Non ricordo da qui la strada verso casa » mormorò lei, insicura su come comportarsi. Non poteva dirgli che abitava a Parigi da pochi mesi e che era rimasta, il più delle volte, dentro casa.
Il suo compagno d'avventura aggrottò la fronte, cercando di pensare a cosa fare, quando il suo sguardo si schiarì vedendo delle luci alle spalle di Belle.
Era ormai buio, quindi fu difficile inizialmente comprendere chi fossero, tanto che tirò Isabelle verso l'entrata del negozio che dava quel minimo di spazio per non essere visti da dove stavano loro.
«Pensi che sia quell'uomo?» Bisbigliò lei, spaventata all'idea che l'uomo che li aveva inseguiti si fosse ripreso e li avesse raggiunti.
«No, non può essere lui» mormorò lui, consapevole che non avrebbe mai usato una lanterna per cercarlo in un luogo come quello, facendosi notare.
Diede un'altra occhiata verso le luci delle lanterne, notando che le sagome si stavano avvicinando e poté sospirare per il sollievo quando comprese chi erano.
Diede dei colpetti gentili sulla testa bionda di Isabelle. «Sei salva Belle. Sono delle guardie, ti aiuteranno a tornare a casa» la informò, mentre lei lo fissava sorpresa e estasiata. Era davvero finita? Poteva finalmente tornare dai suoi genitori adottivi? Le vennero le lacrime agli occhi, ma quella volta riuscì a trattenersi dato il sorriso di burla dell'altro.
«Su vai, corri da loro e digli chi sei, vedrai che ti porteranno dai tuoi genitori.»Isabelle fu colta alla sprovvista allorché si rese conto di un particolare. «E tu? Cosa farai?»
Lo vide stupirsi dalla domanda fatta, non aspettandoselo. «Non preoccuparti per me, corri da loro e non fermarti» le disse velocemente, spingendola per le spalle verso la strada. Ma lei lo colse un'altra volta di sorpresa, frenando la sua spinta e voltandosi verso di lui, decisa. «Vieni con me!» Gli propose,con impeto.
«Ti aiuteranno e potrai allontanarti da quella gente» gli disse, sperando che accettasse.
Lui rifletté su quella proposta, ma sapeva che non poteva farlo. Non ancora. Doveva tornare e subire l'ira di Paul, consapevole che altrimenti lo avrebbero rintracciato in fretta, invece con lui bisognava usare un altro metodo. «Non posso» le disse guardandola negli occhi.
«Ma perché? »Insistette lei, non volendo lasciarlo da solo,adesso che si erano conosciuti e avevano vissuto quell'esperienza. «Non puoi tornare con loro, ti uccideranno e io non voglio!» Si aggrappò ai suoi indumenti, scuotendolo, mentre la tristezza e la paura ricominciarono ad invaderla. «Sei il mio primo amico» mormorò, con un groppo alla gola, cercando di resistere al pianto.
Lui sentì lo stesso medesimo groppo, che gli impediva quasi di respirare. Anche lui la considerava un'amica ormai e, dopo tanta solitudine e tristezza, avere qualcuno che si preoccupava per lui era strano e bello allo stesso tempo. L'afferrò per le spalle, scostandola da sé, consapevole che se no avrebbe ceduto alla grande tentazione di seguirla.
«Ci rivedremo» le promise, sorridendole rassicurante. «Tornerò un giorno, non appena mi sarò liberata da quei tipi e verrò a trovarti. Questo è solo un arrivederci» e di questo, pensò, ne era certo. Avrebbe trovato un modo, un giorno, di rincontrarsi.
Lei chiuse gli occhi per un attimo, forse cercando di frenare le lacrime e di non fare altri capricci, per poi sollevare il viso con i suoi occhi verdi splendenti e sorridendogli. «Se non lo farai, non sarai più mio amico» lo avvisò, per poi stringerle le mani. Entrambe piccole, con vissuti diversi ma che comunque avevano imparato la parola solitudine troppo presto, ma capaci così di comprendere il significato della parola amicizia.
Isabelle fece qualche passo verso la strada, guardando ancora una volta il ragazzino, che si era allontanato dirigendosi in uno dei vicoli bui. Gli fece segno con la mano, ricevendo la sua risposta con un sorriso.
Sospirò, prima di correre verso le guardie chiamandole.
Quest'ultime, notandola rimasero allibiti e la portarono subito in caserma dove poco dopo, spiegandogli cos'era successo, Isabelle venne portata a casa. Quest'ultima era ancora piena di luci nonostante l'ora ormai tarda. Si sentiva affamata e infreddolita, ma la cosa che più la terrorizzava era la consapevolezza che la Contessa e il Conte sarebbero stati furiosi.
Non appena arrivò e una delle guardie l'aiutò a scendere dalla carrozza, la porta della residenza venne spalancata e ne uscirono i suoi genitori. Isabelle cominciò a tremare, preparandosi ad un ceffone, che solitamente riceveva dalla sua istitutrice, non appena si avvicinò a loro. La guardia raccontò ciò che la bambina aveva detto loro, in caserma, sull'uomo che l'aveva portata in quel vicolo e su ciò che era successo subito dopo.
«Mi dispiace di essermi allontanata...» cominciò a dire davanti a loro, che la fissarono con occhi sgranati dallo stupore.
«Perché l'hai seguito Isabelle?» chiese la Contessa, perplessa. Isabelle chinò la testa, affranta. «Avevo paura di commettere altri errori. Mi aveva detto che vi sareste arrabbiati se non l'avessi fatto e io non volevo rifarlo...» venne colta alla sprovvista quando la donna si chinò abbracciandola di slancio, cominciando a singhiozzare. «Non siamo mai stati arrabbiati con te, Isabelle. E' vero, siamo stati severi, ma solo perché vogliamo che tu non abbia alcun problema in società, quando ti presenteremo. Nessuno dovrà mai ferirti» mormorò sollevando il viso in lacrime e accarezzandole i capelli. «E invece l'abbiamo fatto noi, inconsapevolmente, perdonaci» mormorò, ricominciando a piangere, mentre suo padre si avvicinava a loro, mettendo una mano sulla testa di una Isabelle a corto di parole. «Non volevamo renderti la vita più difficile di quanto non lo sia già stata, perdonaci per i nostri errori Isabelle» disse l'uomo, con uno sguardo che esprimeva l'ansia e preoccupazione provata per la sua assenza.
Isabelle era scombussolata ma felice, tutto ciò le sembrava inverosimile. Alla stretta della madre su di lei, non riuscì più a trattenersi e versò lacrime quella volta di gioia. Aveva finalmente trovato qualcuno che le voleva bene.
Da quel giorno, la sua famiglia era stata molto protettiva nei suoi confronti. Era come se, da una situazione pericolosa, ne fosse nata qualcosa di meraviglioso. Aveva compreso il bene che le volevano i suoi genitori e che provava lei per loro.
Ma una cosa l'aveva sempre rattristata. Quel ragazzino, dagli occhi zaffiro, non l'aveva più rivisto. Non aveva mantenuto la parola, nonostante ogni giorno, mese, anno fosse stata in attesa del suo arrivo.
La paura che gli fosse successo qualcosa, che fosse morto, l'aveva perseguitata anche se aveva fatto di tutto per negare quel pensiero.
Sentiva le lacrime agli occhi solo a pensarci.
«Contessina?»
Una voce improvvisa ruppe la scia di ricordi, facendola sussultare.
«Principessa? Mi è stato detto che vi avrei trovato qui.»
Riconobbe immediatamente il nomignolo e le venne istintivamente di sorridere, dopo quei momenti di tristezza
Un rumore dietro di sé la fermò mentre stava facendo i primi passi per raggiungerlo. Si voltò stupita, sgranando gli occhi allorché vide il grande scaffale di libri, dondolare pericolosamente.
Il rumore dovette insospettire anche Cédric, che interruppe il richiamo. «Che succede?»
Improvvisamente un dondolio divenne ancor più forte e alcuni dei libri in alto, cominciarono a sbilanciarsi fino a cadere.
A Isabelle scappò un urlo, cercando istintivamente di proteggersi la testa con le braccia, mentre un rumore di passi si avvicinava. «Isabelle!»
Piccolo spazio a me!!!!
Ciao a tutti ragazzi!!!
Spero abbiate passato delle buone vacanza. Comprendo il trauma da ritorno alla vita quotidiana ma, dopo una giornata pesante come questa, spero con questo nuovo capitolo di avervi reso almeno un poco felici.
Partiamo appunto dal capitolo appena pubblicato, cosa ne pensate?
Spero vi sia piaciuto questo ritorno al passato, scoprendo finalmente quel fatidico primo incontro di tanti anni fa.
Abbiamo scoperto un pò di più su Cédric, ma anche su Isabelle!
Siete curiosi di sapere quando sarà il fatidico giorno in cui entrambi scopriranno la verità?
Aspettatevi ben presto il prossimo capitolo, con nuove rivelazioni e nuove avventure per i nostri protagonisti!
P.S. Se avete gradito il capitolo scrivete la vostra opinione sui commenti, per favore. Può sembrare insignificante ma per me è importante sapere cosa ne pensate, se gradite o no ciò che sto scrivendo e può essere anche un incitazione a continuare!
CIAOOOOOO RAGAZZIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!
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