Capitolo 7
La notte fredda andava in contrasto con i corpi caldi, mentre si guardavano intorno in modo circospetto, nascondendosi tra le ombre.
Un uomo in particolare camminava nel buio tra i vicoli, guardandosi in giro con attenzione
Non appena notò una figura poco più avanti, poggiato ad un muro di pietra, non ebbe esitazione nell'avvicinarsi. «Ebbene?» Chiese immediatamente l'uomo incappucciato, non appena sentì l'uomo avvicinarsi.
L'altro tossì leggermente, cercando di prendersi più tempo per rispondere adeguatamente. «Non abbiamo ancora raggiunto il numero adatto, ma stiamo facendo tutto il possibile...» le sue parole vennero bloccate in gola allorché l'uomo incappucciato lo interruppe con ferocia. «Non me ne importa niente se state facendo il possibile!»
Si voltò verso di lui e si sentì sbiancare in viso sotto il suo sguardo assassino. Sapeva che non avrebbe perso neanche un secondo ad ucciderlo e lasciarlo marcire con i topi.
Emise un gemito di terrore, quando la sua mano lo prese per la giacca, con forza e aggressività. «Se il possibile non è abbastanza, fate l'impossibile! Vi ricordo che qui non c'è in gioco solo denaro, ma anche la tua miserabile vita» lo avvertì, senza la minima esitazione, colui che non sapeva cosa significava la pietà.
«Si, si, farò tutto ciò che volete! Dite a lui che mi metterò subito all'opera con gli altri e cercheremo di eseguire l'ordine al più presto.»
La sua voce era tremante, pregava con tutto se stesso che gli credesse e lo lasciasse vivere.
Le sue preghiere furono esaudite allorché l'uomo incappucciato lo mollò in malo modo, si ritrovò per terra, sotto lo sguardo disgustato dell'altro. «Fai in modo che l'ordine venga eseguito al nostro prossimo incontro. Parlerò con lui e sarà lui a decidere come punirti. Al nostro prossimo incontro» mormorò allontanandosi, lasciandolo lì a tremare di paura.
Non appena lo vide scomparire nel buio, si accasciò a terra, prendendo grandi boccate d'aria e sentendo il cuore battere all'impazzata.
«Maledetto, dovrò sbrigarmi se non voglio finire sotto terra» mormorò, rabbrividendo.
«Sarebbe anche troppo, per te» l'uomo sussultò, sentendo una voce estranea e fece per sollevarsi, ma venne bloccato da qualcosa che lo riaccasciò a terra.
Emise un gemito di dolore, aprendo gli occhi esitante, per poi trovarsi davanti un uomo vestito tutto di nero... e una maschera in viso. Si guardò in giro, notando che era circondato da altri con una maschera e il terrore tornò a invaderlo.
«Siete i banditi che in questi ultimi tempi stanno infestando Parigi!»
Quello che teneva lo stivale pestato sul petto rise, sentendo la sua frase. «Che onore! Siamo così tanto conosciuti da arrivare anche ai bassifondi di Parigi» commentò, per poi far scemare la sua risata e ritornare con un tono di voce più serio. «Abbiamo sentito parlare di te, topo di fogna. Gestisci un bordello e non solo quello, non è vero?»
«Non ho idea di cosa stai parlando e poi cosa importa a voi banditi del mio lavoro...» cercò di tergiversare e di far finta di niente, quando un altro stivale colpì a terra, a pochi centimetri dal suo orecchio sinistro. «Non fate finta di niente, razza di maiale. Sappiamo dei tuoi vizi e di ciò che succede in quel bordello, tra cui l'asta di vergini» disse un'altra voce, che a suo parere sembrava più femminile, ma in quel momento aveva altro per la testa per far caso al tipo di voce. «Non ho fatto niente di ciò che state blaterando, sono solo un lavoratore che da un lavoro a donne disponibili, non m'interesso d'altro...» disse agitato, cominciando a sudare freddo, mentre la pressione sul suo petto s'intensificava. «Non mentite, farabutto! Non ti sei fatto scrupoli a prender della bambine e sfruttarle per il tuo interesse, agendo nell'ombra come solo un viscido topo di fogna potrebbe fare» notando il suo silenzio, decise di agire in un altro modo, mostrando la realtà delle accuse. Fece segno con la testa di avvicinarsi a un bandito che copriva qualcosa col suo cappotto.
Costui si avvicinò, rimanendo però a qualche passo di distanza da loro, per poi aprire leggermente il cappotto, rilevando una bambina pulita, con i capelli lunghi e castani, vestita con solo una camicia da notte bianca e pura, affinché enfatizzasse ancor di più l'innocenza che avevano cercato di toglierle quella notte.
«Cosa? Che ci fa lei nelle vostre mani?! L'ho acquistata con il mio denaro, è una mia proprietà» urlò non resistendo al pensiero che la sua merce stesse per sfuggirgli di mano, perdendo quel poco di credibilità.
La bambina, vedendolo, cominciò a piangere e a stringersi all'uomo che la teneva in braccio che, a un gesto con la testa del capo dei banditi, la ricoprì con il suo cappotto e l'allontanò immediatamente.
«Vi siete tradito. Non siete degno di vivere!»Gli disse lui, premendo ancor di più, fino a farlo urlare per il dolore. «Basta, basta vi prego! Farò tutto ciò che volete, tutto maledetti!» Urlò, fino a che non sentì la pressione diminuire.
«Non vi ucciderò, ho ancora bisogno di voi» mormorò, tenendo comunque una certa pressione con lo stivale. «Chi era quell'uomo? Sei forse coinvolto nella scomparsa di tutti quei bambini?»
L'altro deglutì, consapevole che non c'era via di uscita per lui, poiché se avesse parlato l'avrebbero ucciso, viceversa, avrebbe fatto la stessa fine. Capì che doveva trattare.
«Io non so molto, anche se sono coinvolto» cominciò, con una certa esitazione a causa del dolore e della mancanza d'aria. «Mi hanno chiesto di procurarmi dei bambini, ma non ho ancora fatto nulla! Mi sono occupato dei miei affari, non ho idea del perché li vogliano!» Gridò, nel vederlo scambiare sguardi con gli altri banditi.
«Va bene, ammettiamo che ciò sia vero, e che sei stato coinvolto. Chi sono?»
«Non lo so! So soltanto che tutti sono manipolati da una persona in particolare, ma che fa bene attenzione a non mettersi allo scoperto» disse, per poi sentire il respiro riprendere normalmente allorché tolse lo stivale dal suo petto. Ma fu di breve durata dato che venne preso dal colletto e strattonato dal bandito, mettendosi faccia a faccia con lui. «Sei sicuro di quello che dici? Sai qualcosa di questo tizio?» Disse con fervore, trattenendosi dallo scuoterlo. Poteva dargli le risposte che stava cercando, per capire se i suoi dubbi erano fondati. «Su, parla!»
L'uomo si mosse a disagio, cercando di pensare anche se sotto pressione.
«Io.. io, non credo di sapere altro. Ricordo che mi avevano detto che non era la prima volta che rapiva bambini e che da molti anni era dentro questo giro, ma non so altro. Il nome... l'ho sentito solo una volta, credo ma...» mormorò agitato
«Dillo!» Urlò l'altro.
«Cédric!» Improvvisamente il suono di uno sparo rimbombo nella notte. Cédric, sentendo il richiamo di Renée aveva fatto appena in tempo a lasciare la presa sull'uomo per poi gettarsi a terra, come tutti gli altri. Alzò immediatamente il viso, cercando con la testa chi aveva sparato, notando su un tetto un uomo... lo stesso uomo incappucciato di prima!
Il suo sguardo cadde davanti a sé dove l'uomo che stava finalmente dandogli delle informazioni importantissime per lui, giaceva immobile a terra.
Lo avevano ucciso, avevano rinunciato ad un ottimo complice per i loro affari, pur di non rischiare. Guardò nuovamente verso il tetto, notando che l'uomo incappucciato stava per voltarsi e andare via. No, non l'avrebbe permesso!
«Cédric, dove stai andando?» Lo richiamò Renée, afferrandolo per un braccio. «Dobbiamo andare via, prima che ne arrivano degli altri e abbiamo ancora la bambina con noi» gli ricordò, agitata, guardandosi intorno.
Cédric riusciva a malapena a trattenere la rabbia, mentre fissava il tetto con impazienza. No, non poteva lascarlo andare. «Youri, porta via la bambina, sai dove. Gli altri vadano via con discrezione» ordinò velocemente, impaziente di inseguire l'uomo.
«Dove stai andando da solo, non fare pazzie!» Gli urlò Youri, mentre l'altro correva in tutt'altra direzione.
Renée si tolse la maschera guardando Youri con ansia. «Non possiamo lasciarlo da solo. Lo uccideranno!»
Vide l'amico stare in silenzio e, anche se coperto dalla maschera, poteva percepire una tensione, paria alla sua.
«Abbiamo altre priorità adesso, dobbiamo portare via di qui la bambina e allontanarci prima che ci scoprono con il corpo.» Si voltò dando indicazioni agli altri, che cominciarono a disperdersi, allontanandosi dalla zona.
«E lo lasciamo così?» Non potè impedirsi di chiedere Renée, arrabbiata e allo stesso tempo preoccupata.
Youri strinse la bambina al petto, che teneva gli occhi strettamente chiusi per la paura. «Sai benissimo quanto me che quando Cédric s'intestardisce non possiamo fare nulla per convincerlo diversamente. Ci ha portato qui con un pensiero fisso, da quando ha saputo del traffico di bambini» commentò serio, diverso dal solito Youri scherzoso e di buon umore. «Dobbiamo rispettare le sue decisioni.» Detto ciò si allontanò con la bambina, facendo intendere che per lui la discussione si concludeva lì. Renée si mosse esitante, indecisa su cosa fosse meglio fare. «Dannazione Cédric , sei proprio un'idiota» commentò rabbiosa, decidendo a malincuore di eseguire l'ordine espresso dal loro capo.
Cédric correva a perdi fiato, seguendo la strada percorsa dall'uomo incappucciato. Il freddo faceva evaporare il suo fiato, ma in quel momento non lo percepiva tant'era la rabbia che invadeva il suo corpo, oltre all'inseguimento senza freno. Quei vicoli potevano diventare dei labirinti dove potevi benissimo perderti. Ad un certo punto si ritrovò in un vicolo ceco.
Sorrise. «Se credete di crearmi dei problemi, vi sbagliate di grosso.» Riuscì facilmente a scavalcare il muro e salire su un tetto vicino.
Uno sparo colpì l'aria e Cédric percepì un bruciore intenso alla spalla destra. «Maledetti bastardi...» mormorò, mettendo una mano sulla spalla, dove sentì qualcosa di caldo su essa. Erano riuscito a colpirlo, pensò con rabbia, voltandosi e notando a poca distanza una sagoma, anche se non poté capire se era l'uomo che inseguiva a causa del buio. Cédric si sollevò, nonostante il dolore intenso alla spalla, guardandolo a testa alta. «Se credi di fermarmi ti sbagli di grosso, t'inseguirò comunque e ti prenderò» lo avvertì, prendendo la pistola e preparandosi in caso di un nuovo colpo. Ma l'uomo rimase fermo dov'era. «Fai del tuo meglio, sfregiato» disse, per poi correre di nuovo, solo che questa volta Cédric ebbe un attimo di esitazione. Come faceva a sapere della sua cicatrice... con indosso la maschera?
Ciò gli diede solo più voglia di prenderlo e sapere, dimenticando della ferita da fuoco e inseguendolo sui tetti. «Non mi sfuggirai!» Gli urlò, vedendolo scendere da un tetto e inoltrandosi probabilmente in un altro vicolo. Saltò anche lui in quella direzione, anche se cadde in malo modo a causa della ferita, imprecando sonoramente. «Maledetto bastardo!» Disse stringendo i denti per il dolore, sollevandosi e mettendo una mano sulla spalla, dove il sangue ormai stava invadendo i suoi indumenti. Si guardò intorno, trovandosi ad un incrocio. Quale direzione aveva preso?
Si mise al centro dell'incrocio, guardandosi intorno e tenendo la pistola ben salda in mano, nonostante il dolore.
«Ti stai chiedendo quale direzione prendere.»
Cédric sussultò, mettendo la pistola davanti a se e mirando a caso, girando su se stesso.
«Ti stai chiedendo quale sia la strada giusta da prendere e se quella scelta sia mai stata giusta.»
Cédric non emise fiato, cercando di identificare la direzione della voce, complicato allorché il silenzio della notte faceva in modo che rimbombasse e così non dava modo di comprendere.
«Quanto ancora dovrai cercare la risposta, prima di comprenderla, sfregiato? Se mai la troverai, riuscirai ad accettarla?»
«Tante parole, ma poco coraggio per dirle faccia a faccia» commentò alla fine, non comprendendo dove volesse andare a parare, ma una cosa era ormai certa. Colui che si nascondeva sapeva chi era.
«Dimmi chi sei e facciamola finita con questi trinchetti da quattro soldi, mostrati!»
La sua risata gli creò un brivido freddo sulla schiena, ma non si sarebbe fatto influenzare. Nonostante il dolore e la sensazione di essere osservato.
«Coraggioso detto da colui che nasconde il suo viso con una maschera, e non parlo certo per quella cosa che tieni indosso.»
Lo sguardo di Cédric cadde su una fila di cassette di legno, proprio al vicolo alla sua sinistra. Si mosse con cautela in quella direzione, mantenendo la pistola ben alta.
«Mantenere una maschera ci rende più sicuri, consapevoli che nessuno potrà così vedere le nostre verità... ma tu sei sicuro di saperle tutte?»
Cédric colpì con lo stivale le cassette che caddero rumorosamente, ma nessuno dietro di esse. A quel punto, non riuscì a trattenere la sua rabbia. «Dove sei, bastardo! Non ho bisogno di qualcuno che mi faccia la morale sui miei peccati e sulle mie verità» urlò, respirando in modo ansante, mentre il sangue perso lo rendeva più debole ogni secondo che passava.
«Oh, invece è proprio il contrario. Ma non è ancora il momento. Il bruciore che senti adesso sarà solo un miraggio in confronto a ciò che avrai non appena la verità verrà alla luce.»
Comprendendo che stava per concludere con lui, cercò di scovarlo prima che scappasse. «Affrontami, vigliacco! Non fuggire...»
Silenzio.
Non ci volle molto a comprendere che ormai era solo. Si inginocchiò a terra, sentendo la testa girare all'impazzata, mentre le parole dell'uomo gli rimbombavano in testa. Potevano significare nulla, come potevano significare tanto. Si tolse la maschera, sentendo l'aria che colpiva il suo viso accaldato.
Una cosa però doveva dargli ragione: la maschera continuava a rimanere ben salda sul suo viso.
Era incredibile e strano pensare che vivere solo per pochi giorni in modo diverso, dalla solita vita quotidiana, poteva rendere quest'ultima così poco affascinante e noiosa. Non poteva smettere di pensarci Isabelle che, all'ennesimo ballo in società, non ne poteva proprio più e desiderava piuttosto uscire in terrazza a prendere aria nonostante il freddo che stare in mezzo a gente che continuava a spettegolare di chiunque non fosse nelle vicinanze. Di sorridere anche quando non ne aveva voglia.
Ciò che stava vivendo in quel periodo, rendeva più grigia il suo vivere quotidiano e non ne capiva la ragione. L'atro giorno era stato tutto un rischio, aveva scoperto cose che avrebbe voluto non sapere e riscoperto qualcosa che probabilmente voleva dimenticare.
Ma allo stesso tempo ne era rimasta affascinata, aveva vissuto un'avventura! Anche solo per un giorno, qualcosa era cambiato e la cosa più emozionante fu che sarebbe ricapitato.
Sorrise ricordando la discussione avuta in carrozza con Cédric.
Si era intestardita a volerlo accompagnare all'incontro con il piccolo Robin, dopotutto era qualcosa che la riguardava adesso non voleva certo perdere un'altra occasione per avere un' avventura.
Ricordando l'episodio non resistette alla tentazione di guardarsi intorno, cercandolo con gli occhi. Ma rimase delusa allorché non lo vide da nessuna parte. Quella sera stessa non aveva chiuso occhio, ricordando tutto ciò che era successo. Ma non solo, pensò sentendo le guance calde. Le sue forti braccia che la stringevano, le sue parole, dandole il sostegno di cui aveva bisogno in quel momento. Si era guardata allo specchio vedendosi per la prima volta, non solo come un corpo da curare e abbellire per le occasioni, ma anche da desiderare. Si era osservata dettagliatamente, dalla punta dei capelli biondi a quella dei piedi, cercando di comprendere se potesse essere attraente agli occhi di un uomo. Molti uomini le avevano rivolto diversi complimenti, è vero, elogiando la sua bellezza. Ma valeva anche per lui? Infondo era diverso dagli altri...
Ricordando quel momento di contatto tra loro, sentiva addosso lo stesso intenso calore all'addome e accettò più che volentieri il freddo pungente di quella sera, non appena uscì.
Chiuse gli occhi, cercando di dimenticare quelle emozioni, ma comprese che era difficile, se non impossibile. Cosa la spingeva a pensare a qualcosa di così carnale? Lei, che aveva sempre desiderato un amore romantico dove la sua mente non era volata oltre a qualche carezza e baci casti e puri.
La sua mente volò al bacio avuto con quel bandito. Il suo primo bacio, il primo contatto con l'altro sesso,così profondo e carnale. Era stato improvviso, in una situazione a dir poco complicata, eppure non poté negare a se stessa che le aveva procurato sensazioni intense. Ora che ci pensava, in teoria il bacio col bandito doveva essere qualcosa che avrebbe dovuto riempirle la mente per giorni ed era effettivamente successo. Ma dopo aver conosciuto Cédric il ricordo si era quasi dissolto.
Se metteva a paragone i due contatti, anche se molto diversi, le avevano lasciato entrambi sensazioni forti e profonde.
La sua mente cominciò ad immaginare cosa sarebbe successo se quel bandito fosse stato Cédric e quelle labbra, posate sulle sue, fossero state quelle dell'uomo....
«Contessina Isabelle Mureau.»
Sentendosi chiamare, Isabelle sussultò sul posto, presa com'era da i suoi pensieri poco consoni a una Contessa.
Si voltò con calma, dandosi il tempo necessario, ma riuscì a trattenere una esclamazione di sorpresa a stento allorché vide la Marchesina Lacroix, la stessa fanciulla che aveva ballato insieme a Cédric la prima volta che si erano visti.
Dovette ammettere a se stessa che era davvero una fanciulla bellissima, con i suo capelli dal colore intenso rosso, in contrasto con la sua pelle lattea e quegli occhi ambrati che sembravano emanare una sicurezza che Isabelle sentiva mancare in lei.
Il suo sguardo sembrava volerla squadrare e, a giudicare dalla sua espressione per niente amichevole, non la riteneva alla sua altezza.
Ebbene, lei avrebbe fatto in modo di non mostrare il suo disagio. «Marchesina Lacroix» mormorò anche lei, guardandola dritto negli occhi e mostrando il suo solito sorriso.
Tutt'altra l'espressione della Marchesina che sembrava quasi annoiata di fronte a lei. «Non abbiamo mai avuto modo di scambiarci più di un saluto, non è vero?» Dal suo sguardo era più che evidente che avrebbe fatto a meno anche di quello.
Non pensava che la sua fosse cattiveria, semplicemente erano molto diverse tra loro, per quanto appartenenti alla stessa classe sociale.
La Marchesina era indubbiamente carismatica, capace di far atterrare ai suoi piedi ogni gentiluomo e essere di piacevole compagnia con la sua aria fresca e disinvolta, al contrario di lei che da sempre per amore dei suoi genitori si era impegnata ad essere tutto ciò che una signora doveva incarnare.
Lei continuò a parlare, senza aspettare una sua risposta o azione. «Sono sincera, non vi avrei rivolto la parola nemmeno in questa occasione, ma le circostanze me lo impongono. E questa circostanza ha il nome di Cédric» disse quest'ultimo nome fissandola dritta negli occhi, cercando di comprendere attentamente le sue emozioni.
Purtroppo, per lei, Isabelle era molto più forte di lei a quel gioco e non le avrebbe permesso di percepire le sue emozioni e rimase impassibile. Ma dentro di sé era rimasta sorpresa e turbata, comprendendo che nominare Cédric col suo nome di battesimo, era stato un modo per far intendere quanto il loro rapporto fosse intimo. Non poté trattenersi dal chiedersi quanto davvero lo fosse
«Come avete notato, lui non è qui. Ha chiesto il mio aiuto per voi, state tranquilla non ha detto niente di specifico sulla vostra persona» la rassicurò immediatamente Renée, notando la sua perplessità. «Mi ha solo detto che ti sta aiutando per motivi strettamente personali e che hai bisogno di una scusa che possa compensare le tue uscite giornaliere.»
Isabelle ascoltò attentamente ogni singola parola stupita. Effettivamente in carrozza le era sfuggito la sua perplessità su come giustificare le sue uscite alla madre. Non poteva usufruire in continuazione la scusa di acquisti, giacché era riuscita a malapena ad acquistare qualche ventaglio e guanti, dato il poco tempo rimanente.
Sapere che l'aveva ascoltata e la stava aiutando anche in quel momento, non potendo intervenire di persona, le fece immensamente piacere. La consapevolezza che all'infuori dei loro incontri, lui la pensasse e continuasse ad aiutarla, la rendeva stranamente felice.
Renée, vedendo un piccolo sorriso spuntare sulle labbra della Contessina, strinse a pugno le mani e le mise incrociate per trattenersi dal fare una mossa poco adatta ad un gentildonna. Quando Cédric le aveva scritto per chiederle quel favore si era sentita bruciare dentro per la gelosia.
Come poteva, una insipida fanciulla come quella, così tranquilla e apatica da sembrare più una bella bambolina, attirare l'attenzione di un uomo come Cédric? Questo non riusciva a concepirlo!
Ma avrebbe fatto ciò che gli aveva chiesto, dato che raramente chiedeva il suo aiuto. Non sapeva davvero i dettagli, del perché la stesse aiutando, ma poco le importava giacché era consapevole che lui non l'avrebbe mai guardata con altri occhi.
«Scriverò una lettera a tua madre, domani mattina, le dirò che vorrei la tua compagnia nel pomeriggio. Ti manderò la mia carrozza per rendere più credibile il tutto e ti accompagnerà nel luogo d'appuntamento con lui» le spiegò con un tono freddo e distaccato.
Isabelle ritornò alla realtà e sentendo il tono della donna, comprese che non doveva essere felice della situazione. Che rapporto avevano in realtà? E per lei era davvero importante saperlo?
Assolutamente no.
«Va bene, ti ringrazio per l'aiuto, anche se lo stai facendo per monsieur Arsènè» precisò immediatamente. La rossa piegò leggermente la testa prima di voltarsi, chiarendo che la loro conversazione terminava lì
Isabelle stava per emettere un sospiro di sollievo, ma venne trattenuto allorché la vide fermarsi a metà strada, verso l'interno della sala.
«Voglio darti un consiglio» disse, rimanendo ferma e voltando la testa per guardarla dritta negli occhi con i suoi occhi ambrati. «Cédric è un uomo irraggiungibile, in tantissime cose. Non provare a capirlo o a credere che possa trovare un collegamento con un altro essere umano. E' un uomo che abbassa le sue mura di difesa sola una volta nella vita e purtroppo è già successo. »
Isabelle non emise parola, mentre lei si allontanava.
Non si erano mai scambiate una parola, se non qualche saluto di circostanza. Eppure, quella sera, ebbe l'impressione di aver visto una parte di lei che in pochi conoscevano.
Tutto andò secondo i piani.
La Contessa ricevette la lettera dove chiedeva la compagnia della figlia, in quanto erano diventate ottime amiche e desideravano la reciproca compagnia. La donna non pensò in alcun modo che ci fosse qualcosa di sospetto in quella lettera. D'altronde perché doveva essere altrimenti?
La marchesina faceva parte di una famiglia rispettabile e aveva la stessa età della figlia e quindi dovevano avere diversi punti in comune.
La donna fece alcune raccomandazioni alla figlia, prima di lasciarla andare verso la carrozza appena arrivata al suo cancello, felice di vederla in così confidenza con una sua coetanea.
Isabelle arrivò in carrozza a disagio, sentendo gli occhi della madre alle sue spalle. La sua ragnatela di bugie si faceva sempre più grande e sperò con tutta se stessa di arrivare alla fine ben presto.
Si mosse a disagio nella carrozza, da una parte felice di rivedere Cédric e dall'altra molto meno. Non comprendeva cosa sentiva davvero nel suo cuore.
Inizialmente era stata così presa dalle sue indagini, dal desiderio di scoprire se stessa, che non aveva dato molta importanza all'amore. Ma in pochi giorni tutto si era frantumato.
Adesso sentiva solo una grande confusione e non sapeva cos'era stata la causa e quale fosse la cura.
In poco tempo raggiunse la piazza Place des Vosges.
Non appena la carrozza si fermò, lo sportello si aprì e Isabelle rimase stupita trovandosi Cédric.
«Ben arrivata Principessa» disse in tono scherzoso, porgendole la mano per aiutarla a scendere.
Isabelle era rimasta a fissarlo come un ebete e le sue guance si riscaldarono quando si rese conto di come l'aveva chiamata. «Per favore non usate quel nomignolo quando c'è altra gente. Anzi, non usatelo del tutto.» Prese in fretta la sua mano, sentendo il suo calore e la forza stabile con cui la tenne, sentendola fredda quando la tolse.
Notò che sembrava più rigido nei movimenti e due occhiaie erano comparse sotto i suoi occhi zaffiro. Ma ciò non lo rese per niente poco attraente, dovette ammettere a se stessa.
Distolse lo sguardo per paura che potesse comprendere i suoi pensieri.
«Grazie per avermi permesso di accompagnarmi e per aver trovato un modo per uscire senza creare sospetti» disse, distraendosi guardandosi in giro dove diverse carrozze passavano e molte persone passeggiavano beate, aspettando l'arrivo del piccolo Robin.
Cédric la fissò attentamente, notando che lei non ricambiava lo sguardo e anzi, cercava di evitarlo. «Avete insistito così tanto che sarebbe stato difficile dirvi di no» mormorò distrattamente, cercando di comprendere il perché di quel comportamento.
«Colette e suo figlio adesso sono in viaggio verso l'America, se volete saperlo» la informò, sperando in un'espressione più entusiasta.
Ma lei rimase composta, limitandosi a distendere le labbra in un sorriso, continuando a fissare davanti a lei. «Ne sono felice» mormorò.
Se non fosse stato per lo sguardo che esprimeva tutta la gioia che provava per quella notizia, non avrebbe compreso. Dov'era finita la fanciulla imbarazzata, un po' imbranata e impulsiva che aveva visto fino a pochi giorni fa?
«Contessina...»
«Contessa, monsieur Arsènè!»
La voce di Robin in lontananza, fermò le parole di Cédric, ma rimase comunque ad osservarla sperando che incrociasse il suo sguardo prima che arrivasse il ragazzino. Ma ciò non avvenne.
Gli lanciò un'ultima occhiata perplessa, prima di rivolgersi a Robin che li aveva raggiunti.
Isabelle si avvicinò al ragazzino sorridendogli. «Come stai Robin?E' bello rivederti.»
Il suo tono era completamente diverso mentre si rivolgeva al ragazzo, più sereno e a suo agio.
Ciò insospettì ancor di più Cédric, ma preferì lasciar perdere. Per il momento.
«Bene, venite. Una carrozza ci sta aspettando» l'informò, cominciando ad avviarsi. «Una carrozza?» Chiesero entrambi fissando Cédric, perplessi.
«Non dovevate darmi le informazioni su mio fratello, in cambio delle mie?» Continuò Robin.
Cédric mise una mano davanti, per fermare la prevista cascata di domande. «Parleremo quando raggiungeremo un luogo.»
Sia Isabelle che Robin si fissarono confusi, ma lo seguirono senza commentare.
Tutti e tre rimasero in silenzio dentro la carrozza che si allontanò dal centro di Parigi, raggiungendo le zone di campagna dove la tranquillità regnava sovrana.
Il freddo aveva fatto cadere tutte le foglie dagli alberi e il panorama non era affascinate come lo sarebbe stato in primavera e estate, ma non aveva tolto la sensazione di pace che davano quei luoghi così diversi dalla caotica Parigi.
Le vennero in mente gli anni in cui era rimasta nella casa di campagna, in cui era cambiato tutto. Dove l'avevano modellata per farla diventare una signorina adatta per l'alta società.
Ad oggi si chiedeva cosa sarebbe successo se avesse deciso di dire la sua in alcuni casi, se avesse detto almeno una volta no a i suoi genitori, difendendo se stessa e la sua personalità
Non era ancora il momento? Giacché stava mentendo a loro da mesi per seguire la sua verità, per scoprire la vecchia se stessa.
Raggiunsero in poco più di mezzora Montreuil, varcando le soglie della città con occhi sgranati. Cosa ci facevano qui? Non poté evitare di domandarselo, ma Cédric continuò a rimanere in totale silenzio.
Raggiunsero un enorme residenza, semplice e a due piani e fu ciò che riuscì a vedere attraverso il finestrino, dato che la residenza era protetta da un recinto di muro
La carrozza si fermò davanti all'enorme cancello d'entrata, in ferro battuto, dove poté già da lì notare un enorme entrata in legno.
Cédric fu il primo ad uscire e a porgere la mano a Isabelle, affinché scendesse. Lei, ancora perplessa, scese dallo scalino guardando l'uomo che ricambiò il suo sguardo con un sorriso furbesco. «Capisco la vostra perplessità. Ma dato che voi siete stata sincera con me, rivelandomi dei fatti della vostra vita così importanti, ho pensato che fosse giusto ricambiare» spiegò, indicando con la testa un punto in particolare sulla parete del muro, al fianco della cancellata.
Isabelle lesse la scritta sulla targa, rimanendo a occhi sgranati.
Orfanotrofio di Montreuil Leon Dumas. 1814
«Un orfanotrofio» mormorò senza esprimere una sola emozione, era troppo allibita.
Dall'entrata dell'orfanotrofio uscì una donna, vestita di grigio, sulla sessantina, con in viso un sorriso dolce e ospitale. Cédric la raggiunse, mentre Isabelle aspettava che Robin scendesse dalla carrozza, guardandosi in giro incuriosito.
La donna porse la mano a Cédric che la prese tra le sue. «E' un piacere riavervi con noi, monsieur Dumas. Quando ci avete scritto che ci avreste fatto visita non riuscivamo a crederci. Due volte in un mese, non capita spesso» scherzò, compiaciuta.
Dumas? Perché aveva chiamato Cédric in quel modo. La mente di Isabelle stava cominciando a girare senza sosta, cominciando a combaciare i pezzi.
L'uomo le chiese di avvicinarsi e non appena lo fece, la presentò all'anziana donna. «Vi presento L'istitutrice dell'orfanotrofio, Madame Lambert. Madame, lei è la Contessina Isabelle Mureau.»
La donna le fece una riverenza profonda, dato l'ospite importante. «E' un immenso piacere avervi qui, Contessina, siamo davvero emozionati di avere qui una donna di alto lignaggio» le disse con tono servizievole.
Isabelle cercò di formulare una frase, anche se il suo cervello era completamente invaso da domande.
L'anziana donna si voltò verso la porta, facendo un cenno con la testa a Cédric. «Prego signori, entriamo dentro. I bambini vorranno salutarvi, non vedono l'ora » lo informò, avviandosi.
Isabelle non resistette più e colse l'occasione per afferrare per il braccio l'uomo, affinché si fermasse.
«Leon Dumas?»
Cédric sorrise alzando le spalle. «Era necessario che il mio nome non combaciasse con loro. Ho aperto questo orfanotrofio solo da pochi anni, affinché i bambini che rimangono in mezzo a una strada, non finiscano nelle mani sbagliate.»
Isabelle rimase colpita dalle sue parole. Ancora una volta, stava vedendo un'altra sfaccettatura di Cédric, rendendola nuovamente spaesata.
Lo vide aggrottare la fronte, forse un pensiero poco piacevole.
«Ci sono molte cose che non vi ho detto, mentre voi invece avete confessato a me uno dei vostri più intimi segreti. Mi è sembrato giusto ricambiare facendovi vedere una parte di me, essenziale. Ma non è tutto...» Il suo sguardo incrociò quello di Isabelle e, anche se insieme a loro stava Robin che si guardava in giro sbalordito, era come se fossero isolati dal mondo.
«Io...»
«Dorian!»
La coppia sussultò, come se fossero stati catapultati nella realtà, voltandosi verso l'entrata dove avevano sentito il grido di richiamo.
L'istitutrice aveva alzato leggermente le gonne, rossa d'imbarazzo e per la fatica nel rincorrere una bambino di circa sette anni. Quest'ultimo rideva, divertito dal fatto di essere rincorso senza successo dall'anziana donna, mentre si dirigeva verso di loro.
Isabelle avrebbe anche sorriso alla scena, ma era concentrata sul bambino. I suoi capelli erano neri come la notte e il suo sorriso birichino e furbesco gli ricordavano tantissimo Cédric.
Un'illuminazione apparve nella sua mente come un fulmine, lasciandole una strana stretta al cuore, allorché lo vide raggiungere l'uomo che lo accolse a braccia aperte. Notò il suo sguardo ammorbidirsi improvvisante e un sorriso spontaneo apparire sulle sue labbra.
Il bambino si rifugiò sulle sue braccia, estasiato. «Papà!»
Papà.
Il dubbio si era rivelato veritiero e Isabelle non riuscì a spiegare la sensazione dolorosa che cominciò ad intensificarsi sul suo petto.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top