Capitolo 4

Isabelle trattenne con tutta se stessa un principio di sbadiglio, mentre ascoltava con pazienza le chiacchiere delle dame con sua madre, del tutto futili e poco interessanti. La serata era andata per buona parte abbastanza bene. Erano all'ennesima festa danzante e non si era fermata molto, dati i parecchi inviti per danzare. Adorava ballare, era uno dei suoi pochi svaghi e fortunatamente i gentiluomini non le mancavano.
Senza riuscire a trattenersi, diede per l'ennesima volta un sguardo discreto, in giro per la sala. Cédric non si vedeva da nessuna parte.

Dopo l'ultimo incontro, era passata una settimana e non lo aveva più visto.
«Ho saputo che eri anche tu nei giardini dei Lacroix, quando è arrivato il bandito. Devi esserti spaventata a morte» disse un'amica della madre, mantenendo un'espressione inorridita.
«Oh... non è stato niente di preoccupante. Ci siamo solo incrociati e fortunatamente era troppo preso dal fuggire via, per pensare a me» disse dando la stessa versione detta a tutti gli altri, su quella sera.
Non poteva certo informarli di ciò che in realtà era successo. Non poteva... e non voleva, si rese conto. Era stato un momento unico, strano ma speciale.
Fu sollevata quando vide avvicinarsi il Marchese Caron, con il suo solito sorriso affascinante. Non appena fu davanti a loro, fece un inchino degno di un gentiluomo, qual era. «Scusate l'intromissione, signore. Vorrei chiedere alla gentile Contessa la compagnia della figlia per accompagnare questo povero uomo nel prossimo ballo.» La Contessa sorrise al ragazzo, deliziata dai suo modi raffinati e cortesi. «Ma certamente..... se Isabelle lo desidera avete la mia approvazione. Abbiatene cura» disse alla fine, accertandosi che la figlia fosse d'accordo.
Con gran sollievo, Isabelle prese il braccio offerto dal gentiluomo e insieme si diressero sulla pista.
«Ho avuto l'impressione che foste leggermente distratta.» ironizzò lui, non appena furono lontani da orecchie indiscrete. Isabelle rise, suo malgrado. «Distratta non è proprio l'aggettivo più adatto per esprimere il mio stato precedente.» Il suo sguardo cadde ancora una volta in giro per la sala. Non riusciva a farne a meno. Anche se fatto in modo discreto, non sfuggì al suo cavaliere che la fissò sorpreso. «Aspettavate qualcuno?»
Isabelle ritornò a concentrarsi sul ballo, sull'intera serata e su tutto ciò che non riguardava due occhi zaffiro, freddi come il ghiaccio, ma che contemporaneamente riuscivano a riscaldare il suo petto con uno sguardo. Una contraddizione vivente era questo Cédric Duval.
«No, nessuno in particolare a cui dare la mia attenzione.»

«Sei arrivato finalmente. Francamente non ci speravo.»
Cédric lanciò uno sguardo infastidito versò Renée che lo aveva raggiunto sulla soglia della sala, notandolo fermo a osservare gli ospiti. Aveva un aspetto decisamente femminile con un abito verde smeraldo che risaltava i suoi colori. Diversa da come solitamente la vedeva, cioè con pantaloni e bandana
«Neanch'io, in effetti» rispose l'altro, tamburellando le dita sulle braccia incrociate al petto. «Ma ho ancora un grosso mal di testa dovuto all'ultima predica di Richard e non ho intenzione di sentirne un'altra.»
Renée inarcò un sopracciglio, con gli occhi scintillanti di divertimento. «Pensa che tu c'entri qualcosa con ciò che è successo ?» Intuì immediatamente, lei.
L'altro sbuffò, corrucciato. « Direi che pensare non è la parola giusta. E' certo che sia io e non ha esitato a dirmi quello che pensa.» il momento era ancora vivido dentro di lui, seppur successo giorni fa.

«Pensavo che avresti smesso e invece ti ritrovi persino ad agire dentro una residenza.» l'accusò Richard. «Credevo che dopo l'ultima conversazione avuta, avresti almeno cercato di diminuire.»
Cédric riusciva a controllare a malapena la rabbia che covava dentro di sé, mentre ascoltava il Duca. «Cosa ti fa pensare che sia stato io?» commentò con calma, girando intorno alla stanza per distrarsi. «Ci sono tantissimi banditi in giro per la città. Io ho partecipato a quella festa sotto invito, ti ricordo.»
Un pugno colpì con forza il tavolo di legno a fianco di Richard, che lo fissava con rabbia. «Non prendermi in giro Cédric, sono sicuro che sia stato tu. »
L'altro non si scompose, fissandolo direttamente negli occhi. Questi ultimi, dai colori identici che esprimevano emozioni forti e vive si scontrarono facendo scintille, senza trovare alcun ponte di collegamento.
«Cosa ti aspettavi? O meglio, cosa vi aspettate che faccia?» disse alla fine, non potendone più. «Ti avevo già predetto che ciò sarebbe stato un fiasco. Non possiamo incollare ciò che si è rotto, molti anni fa.» E questo lo pensava davvero. Aveva pagato a sue spese, cosa voleva dire aver fiducia, potersi appoggiare a un altro senza timore, senza sospetti e paure.
Bastava guardarli negli occhi per comprendere ciò che vedevano in lui. Persino in Claude aveva visto la stessa espressione. Sospetto, timore... paura. Che in lui potesse esserci un minimo della malvagità e crudeltà di Lucien. Che potesse un giorno attaccare la stessa mano che finora lo aveva curato. Che potesse un giorno, uscire allo scoperto, la sua vera natura.

Ricordando l'espressione addolorata del cugino, sentiva dentro di sé qualcosa opprimerlo. Senso di colpa?
No, non poteva essere questo! Non era lui a fingere di essere qualcosa di diverso da ciò che era. Erano gli altri a fingere, a nascondere ciò che pensavano, infondo alla loro anima.
«Che farai adesso?»
La voce di Reneè entrò dentro la sua nube nera, riportandolo alla realtà. Si sistemò la giacca nera, per aver una scusa per metabolizzare cosa dire. «Cercherò di convincerlo che si sbaglia, partecipando a diverse serate mondane come queste.»
L'altra lo fissò sorpresa. «E cosa faremo per i colpi?» Cédric le lanciò un sorriso furbesco. «Credi davvero che ci fermeremo? Io non ho libertà di movimento, ma voi sì.» disse soddisfatto, voltandosi verso la sala dove i ballerini cominciarono a danzare, sentendo la risata della donna. «Ero sicura che non ti saresti arreso.»
Esattamente, pensò lui, mai e poi mai.
Il suo sguardo cadde sulle coppie danzanti e una in particolare attirò la sua attenzione. Fu come se già sapesse, prima ancora di esserne sicuro, chi fosse.
Infatti, non rimase deluso, quando la vide. Dal loro ultimo incontro era stato sorprendentemente difficile togliersela dalla mente, persino quando era al porto per lavoro, gli era stato difficile dimenticarsi di lei. Gli parvero quasi familiari i suoi movimenti leggeri e coordinati alla danza. I suoi biondi capelli acconciati con un piccolo fermaglio, luccicante come il suo vestito. Non era il solito abito virginale, che aveva visto alle debuttanti in cerca di un marito, ma color argento. Una scelta particolare, proprio come lei. La vide tra le braccia di uomo, che aveva intravisto all'ultima festa mondana cui aveva partecipato, mentre si scambiavano sorrisi e sguardi. Stranamente ebbe una simile sensazione, avuta poco prima, al petto. Questa volta però non si trattava di senso di colpa ma... fastidio?
No, obbiettò all'istante, non poteva nascere alcun sentimento di quel tipo, con nessuna donna e tanto meno con una fanciulla che faceva parte della nobiltà che tanto detestava. Non dopo aver amato, con tutto se stesso, Inés.
«Vado in terrazza, qui sembra di soffocare» mormorò senza voltarsi verso Renée, dirigendosi fuori. Renée lo guardò stupita, facendo qualche passo verso di lui. «Ti accompagno...»
«No. Preferisco stare da solo» la fermò, allontanandosi a grandi passi.

«Sono senza fiato» commentò il Marchese Caron, facendo un esagerato sospiro. «Forse è il momento che rallenti i miei ritmi.»
Isabelle fece una sincera risata, sentendo quelle sciocchezze. «Non è affatto vero, Marchese. Avete solo qualche anno più di me» commentò, mentre si allontanavano dal centro sala. Cercò la madre, dove l'aveva lasciata, ma non la vide. «Che strano, non vedo mia madre.» «Si sarà allontanata con qualche amica» la rassicurò Caron, stringendole la mano sul suo braccio. «Sarà difficile trovarla adesso, in mezzo a tanti ospiti. Cosa ne pensate se prendessi da bere e c'incontrassimo in terrazza?» le propose.
L'altra annuì, ben felice di poter uscire almeno per un po' da quella caotica sala. «Direi che è una proposta eccellente.»
Si accordarono per incontrarsi all'esterno e Isabelle si diresse fuori, cercando di deviare conoscenti che potessero fermarla per scambiare qualche chiacchiera. In quel momento aveva solamente bisogno di un po' d'aria e di silenzio.
Quando poggiò le mani nella balaustra poté fare un grosso respiro, liberatorio. Se non fosse per la compagnia del Marchese, a volte pensava di non poter reggere una serata mondana.
Guardandosi in giro, il suo sguardo cadde su una sagoma, nascosta tra le ombre. Era un uomo, intuì dalla sagoma grande, anche se i suoi avambracci erano poggiati sulla balausta. Non aveva voglia di conversare e quindi cercò di non incrociare lo sguardo, apprezzando il vento freddo che presto sarebbe stato elevato. Mancavano poche settimane a Natale e lei non vedeva l'ora che arrivasse. Era uno dei suoi peridi preferiti, pieni di calore e allegria, che le era mancato quando era bambina.
Un rumore alla sua destra, dove stava l'uomo, attirò la sua attenzione e notò che si era staccato dal parapetto rimanendo teso a guardare i giardini
Fu in quel momento che si accorse di un luccichio all'orecchio sinistro, inconfondibile. Cédric!
Sussultò interiormente, mentre pensava velocemente a cosa fare voltandogli la schiena, divisa tra il desiderio della madre che non rivolgesse la parola all'uomo e dalla voglia irresistibile di disobbedire. Sì, era ancora furiosa con lui per come l'aveva trattata. Ma dentro di sé non poteva negare il fatto che il suo cuore aveva fatto una capriola quando si era accorta di lui, dal momento che non aveva fatto altro che cercalo con gli occhi per tutta la serata. Va bene, pensò, doveva mantenere la calma e non dare l'impressione che stesse aspettando il suo arrivo.
Avrebbe girato i tacchi e percorso la terrazza, verso la sala, come se non l'avesse visto...
«Principessa?» Sentendo quel suono così vicino, che persino il fiato le scostò i capelli dall'orecchio, emise un piccolo grido di sorpresa scostandosi in fretta.
Quando si voltò alle sue spalle, lo vide stringere le labbra, ma non per la rabbia, bensì per trattenere una risata!
Addio uscita discreta, pensò furiosa con lui. «Abbiamo già constatato che non siete un gentiluomo, ma potreste almeno prendere qualche lezione» disse cercando di mantenere le sue emozioni a un livello mite.
Lui tossicchiò, mettendo una mano sulle labbra e mascherando, senza successo, la sua risata. «Perdonate la mia mancanza d'educazione. Riproviamo?»
Con un sorriso furbesco, reso ancor più canagliesco dalla cicatrice sul volto, fece un profondo inchino. «Piacere di rivedervi, Principessa.»
L'altra con cipiglio, fece finta di sistemare la gonna, per riprendere il controllo. «Molto divertente. Vedo che avete recuperato il vostro senso dell'umorismo. Vi era forse sfuggito all'ultimo nostro incontro? E smettetela di chiamarmi in quel modo, non sta bene.»
Cédric inarcò un sopracciglio nero, guardandola con area superiore. «Se sapessi il vostro nome, smetterei di chiamarvi così, ma una certa gentildonna o almeno che dichiara di essere tale, non si è mai presentata.»
«Era ovvio, no? Dato che il nostro incontro non è stato dei più felici, non potevo darvi una tale fiducia.» ribatté, non potendo riferirgli la verità. «In un certo senso, non dovrei farlo neanche adesso giacché nessuno ci ha doverosamente presentati, ma ormai sarebbe inutile non credete?»
«Decisamente inutile» concordò lui, anche se la sua era più una derisione, che altro.
Trattenendo uno sbuffo, poco adatto a una donna, si decise a quel punto a presentarsi. « Mi chiamo Isabelle Mureau»
Alle sue parole, l'uomo aggrottò la fronte senza proferire parola. Ma, prima ancora che la donna potesse aggiungere altro, Cédric commentò. «Quindi d'ora in poi dovrò chiamarvi Contessina, invece che principessa.»
«Esattamente. Da ciò, deduco che conoscete mio padre.»
L'altro alzò le spalle con indifferenza. «Ci siamo intravisti all'ultimo ricevimento cui ho partecipato e a questo, ovviamente» spiegò.
Era una spiegazione più che plausibile, pensò Isabelle, eppure qualcosa le diceva di dubitare. Ma non riusciva a capire, nel caso lo avesse già conosciuto, il perché negare.
Comprendendo che quello non era il momento adatto per investigare, annuì solamente.
«Capisco. Adesso sapete il mio nome. Ma io so già il vostro» lo informò.
L'uomo le lanciò uno sguardo scettico. «Davvero? Avete chiesto di me? Ne sono altamente lusingato, anche se credevo sapeste già il mio nome» gli disse, rammentandogli l'ultima volta che si erano visti.
«Non esattamente. Siete stato sulla bocca di tutti, per diverso tempo. Cédric Duval.»
Potè notare subito l'espressione dell'uomo, per niente amichevole. Vide i suoi tratti irrigidirsi non appena aveva pronunciato il nome.
«Io non sono un Duval» disse a denti stretti, distogliendo lo sguardo da lei e rivolgendolo verso i giardini. Come se in quel momento non potesse mantenere la sua espressione sotto controllo e preferisse distogliere i suoi occhi da lei.
Isabelle lo guardò attentamente, notando un uomo diverso da quello che aveva visto fin'ora. Una persona ferita. «I Duval sembrano delle brave persone» cerò di trovare una comunicazione lei, per capire il perché della sua reazione. «Non capisco perché quest'odio o rancore nei loro confronti.»
«Io non provo nessuno di quei sentimenti per loro, mademoiselle. Io non sono un Duval, sono Cédric Arsènè» disse, voltandosi verso di lei. Il suo sguardo aveva ripreso la stessa freddezza del loro primo incontro. Si era riposizionato la maschera.
«Non provo niente per coloro che non hanno in alcun modo influito nella mia vita e certamente non voglio un'altra persona che gioca all'indagare sulla vita dell'uomo sfregiato, come per ora vi divertite voi nobili a dire.»
Isabelle rimase, momentaneamente, senza saper cosa dire. Dopo i primi anni della sua vita, nessuna persona si era mai rivolto a lei in quel modo scorbutico e aggressivo. Per abitudine, pensò di stare in silenzio e andarsene. Ma qualcosa in lei s'innescò, fuoriuscendo la rabbia. Alzò il mento, fissandolo dritto negli occhi. «Come osate rivolgervi a me, in quel modo? Accusandomi di cose non vere, per giunta su un argomento veritiero.» Entrambi non abbassarono lo sguardo, mentre la rabbia infondeva sempre di più, desiderosi di non cedere davanti all'altro. «Se volete negare una vostra verità, fate pure. Ma non potete aggredire gli altri per il vostro non accettare chi siete.»
Cédric rimase per un attimo in silenzio, colpito da quelle parole. Da molto tempo nessuno, oltre Claude, gli diceva cosa realmente pensava di lui. Tutti erano intimoriti, persino coloro che avevano condiviso dei momenti rischiosi e importanti, non avevano mai osato dirgli ciò che pensavano sul suo passato. Ma contemporaneamente, si sentiva debole come un bambino di fronte a quelle parole, consapevole del nesso di verità, proprio perché lui sapeva cosa aveva vissuto e non permetteva a nessuno di dire cosa fosse adatto o no nelle sue scelte.
«Non vi sto aggredendo, semplicemente non voglio che terze persone s'intromettano nella mia vita» disse solamente, controllando le sue emozioni, non guardando i suoi occhi.
Isabelle a quel punto sollevò le spalle e volle allontanarsi chiarendo l'ultimo punto rimasto tra di loro.
«Bene. Ciò che dite è più che giusto, ma la stessa regola vale per me. Non intromettetevi mai più sulle mie indagini» detto ciò, fece per voltarsi e compiere un'uscita da vincente e superiore. Ma ciò non poté avvenire, poiché venne bloccata per il braccio da una grande e forte mano, bloccandola.
«Cosa state dicendo? Non ditemi che siete ancora convinta di andare a quell' indirizzo?» Isabelle rimase un momento in silenzio, pensando di essersi immaginata tutto. Il tono dell'uomo era, sì aggressivo, ma poteva anche essere... preoccupato? Si preoccupava della sua incolumità?
Non ne era sicura, ma ciò le creò un certo calore alle guance, odiandosi per quella reazione sciocca e insensata. «Sì, andrò» rispose aggressiva, volendo cancellare dentro di sé quella reazione. «Non ho mai rinunciato, se proprio volete saperlo, e adesso più che mai mi rendo conto che non avrei mai dovuto ascoltarvi.» Fece per staccare il braccio dalla sua mano, ma lui non mollò la presa, mantenendola ferrea senza però stringerla fino a farle male. Il suo sguardo accigliato e la sua presa voleva solo intendere che lui non accettava il fatto che qualcuno non accettasse i suoi consigli, questo e nient'altro. Isabelle sentì le lacrime agli occhi e si sentì più che mai stupida. Che imbecille!

«Lasciatemi» gli ordinò, mantenendo finché poteva le lacrime, chinando la testa. «Non avete alcun diritto, di dirmi ciò che devo o non devo fare, lasciatemi.»
Sentì improvvisamente la sua presa allentarsi, forse percependo qualcosa e a quel punto si sentì ancora più in imbarazzo e mortificata. «Isabelle...»

«Che cosa sta succedendo?»
Isabelle riconobbe la voce di Caron e comprendendo che la situazione poteva esser più che mai fraintesa, strattono il braccio riuscendo a toglierlo dalla presa, fortunatamente già allentata da Cédric, che non fece niente per impedirglielo e rimase li a fissarla. Lei invece si voltò verso il marchese che era rimasto a fissare accigliato l'altro uomo, con i suoi occhi color miele, con in mano due bicchieri pieni. «Quest'uomo ti sta importunando, Isabelle?»
Quest'ultima rimase a occhi sgranati sentendolo nominarla col suo nome di battesimo. Non l'aveva mai fatto. Ma forse, pensò che in quel momento fosse la scelta più saggia, volendo mantenere più che mai una distanza con Cèdric.
Per tutta risposta, lui rise. «Come in ogni favola che ci si aspetti, l'eroe corre in salvo dalla principessa. State tranquillo, eroe, il drago esce di scena.»
Detto ciò si allontanò passando al fianco di Caron, che non gli rivolse parola guardando dritto davanti a sé, per poi varcare la soglia della sala.
«Stai bene?» Le chiese l'uomo e Isabelle si rese conto di averlo vicino solo in quel momento. Dopo un profondo respiro, si volse verso l'uomo rivolgendogli un sorriso gentile. «Sì, non preoccuparti, non ha fatto nulla di inopportuno.»
L'altro sollevò un sopracciglio biondo, per niente convinto. «Ne sei sicura...»
«Sì, più che sicura e preferirei non parlarne più se non ti dispiace» rispose fredda e rendendosi conto solo dopo di aver usato un tono inappropriato cercò di rimediare con un sorriso dolce e avvicinò la mano al bicchiere che teneva ancora in mano l'altro. «Posso? Che ne dici di rientrare, c'è un po' troppo freddo per me. »
Il Marchese la squadrò ancora per qualche secondo, prima di sorriderle. «Certo. Andiamo pure dentro» disse cordiale, offrendole il bicchiere.
Quando finalmente varcarono la soglia di casa, Isabelle emise un sospiro di sollievo. Aveva bisogno di stendersi e cercare di allentare lo stress che l'aveva assalita da un' intera serata.
Aveva appena compiuto i primi gradini quando venne fermata dalla voce del padre. «Isabelle, posso parlarti un secondo?»
Quest'ultima si voltò verso il padre, cercando di mascherare la sorpresa, dato che solitamente l'uomo correva verso il suo officio a bere il suo vino e rilassarsi dopo una serata mondana. «Certo padre, dove volete...»
«Andrà benissimo anche qui, non ci vorrà molto» disse lui, interrompendo le sue parole con una alzata di mano. «Ti ho visto passare gran parte delle serate mondane in compagnia.»
Istintivamente lei s'irrigidì. Che l'avesse vista con Cédric? «Non credo molto...» cercò di tergiversare.
«Quindi mi sati dicendo che mi sono immaginato di averti visto più in compagnia del Marchese Caron che con altri?» la interruppe ancora una volta lui, con voce calma.
Inizialmente il sollievo fu così grande, che non capì la sfumatura che c'era dietro a quella frase. «Oh, sì certamente, il Marchese. E' una piacevole compagnia.»
L'altro annuì, ascoltandola. «Bene, volevo solo chiederti questo. Buonanotte Isabelle» le augurò, per poi allontanarsi. «Buonanotte padre» mormorò lei, ancora confusa su quello scambio di battute. Salì in fretta nelle sue stanze
Non appena entrò, venne aiutata a svestirsi da Alice che cercò il suo sguardo alla ricerca di una comunicazione con lei, senza successo. Le dispiaceva, ultimamente l'aveva tenuto all' oscuro di tutte le novità, ma ciò che stava succedendo era così nuovo che voleva del tempo per analizzare il tutto. Non appena uscì, si gettò sul letto come se fosse la sua unica ancora di salvezza. Non riusciva a pensare ad altro se non al viso di Cèdric, alla sua espressione fredda, quanto le sue parole. Perché si era sentita così ferita?
Infondo non lo conosceva da molto tempo. Suppose che ciò era derivante dalla somiglianza con il ragazzo d'infanzia, di cui era innamorata. Cosa assolutamente assurda, poiché non potevano esistere soggetti più diversi tra loro nemmeno creandoli appositamente, pensò corrucciata. Anche sé, dovette ammette, fin da subito la somiglianza di colori era inattaccabile, e non solo, il loro sguardo era simile. Distante, diffidente, ma con una luce che chiedeva qualcos'altro...
Chissà cosa le avrebbe detto, se il Marchese non fosse arrivato. Sembrava turbato e sinceramente dispiaciuto dal tono usato.
Ma poi si era ricreduto dopo l'arrivo del suo amico.

«Come in ogni favola che ci si aspetti, l'eroe corre in salvo dalla principessa. State tranquillo, eroe, il drago esce di scena.»

Come ogni fanciulla, anche lei aveva sognato un principe eroe che venisse in suo soccorso e la portasse lontano dal grigiore intorno a lei, sposandola e vivendo una favola felice.
Con la mano strinse il lenzuolo tirandolo a sé, cercando di ricordare il calore che aveva provato solo un'ora fa. Per la prima volta, non desiderava un eroe con cui vivere una favola, ma un drago.

Il giorno dopo, prese il coraggio in mano e decise di seguire il suo istinto. Dovette purtroppo, ancora una volta, mentire alla madre e sperare che da quel giorno non dovesse più farlo. Se avesse raggiunto l'indirizzo segnato, avrebbe finalmente scoperto qualcosa, o almeno lo sperava.
Dovette prender una carrozza a noleggio, facendo attenzione che nessun suo conoscente la notasse. «Dove volete che vi porti, mademoiselle?» Le chiese il cocchiere.
Con un po' di esitazione gli diede l'indirizzo e poté notare fin da subito che le parole di Cédric non erano così esagerate, come potevano sembrare all'apparenza.
«Mademoiselle, volete davvero che vi porti qui? Se mi permettete, non credo sia un luogo adatto ad una giovane gentildonna.»
Isabelle comprese che se non avesse usato un tono più duro avrebbero perso altro tempo e aumentato la possibilità di essere scoperta.
Imitando il tono della madre, che spesso usava quando la servitù non eseguiva perfettamente gli ordini, lo fissò con uno sguardo sdegnoso. «Signore, occupatevi del vostro lavoro e non impicciatevi in cose che non vi riguardano. Se volete essere pagato all'istante non avete che da chiederlo» così dicendo, fece per aprire la sua borsetta. L'uomo si tese all'istante, imbarazzato, aprendo immediatamente lo sportello. «Assolutamente no, perdonate la mia sfrontatezza. Prego.»
Isabelle fece interiormente un sospirò di sollievo, entrando dentro la carrozza, trattenendosi dal ringraziarlo. Dopo poco più di mezzora, la carrozza si fermò. «Scusate mademoiselle, ma io devo fermarmi qui. Sarebbe per me troppo rischioso inoltrarmi ancor di più» spiegò il cocchiere, aprendole lo sportello per aiutarla ad uscire.
Oh cielo, stava davvero varcando un luogo così pericoloso da non permettere ad un cocchiere con la sua carrozza di avvicinarsi? Il timore iniziale si intensificò, non appena scese.
«La via che cercate si trova infondo questa strada. Andate dritto per di qua e, se posso permettermi, non rivolgete la parola. Per il ritorno tornate qui. Qualche carrozza arriva sempre.»
Isabelle annuì solamente, mentre guardava la scena intorno a lei. I palazzi erano in pratica degli ammassi di pietre e legno, ormai in via di distruzione. La sporcizia regnava in quella strada e notò che alcuni bambini correvano per strada a piedi nudi, nonostante il fango a terra. Si era vestita completamente di nero e con gli abiti più vecchi che possedeva, ma non credeva che sarebbe bastato. Prendendosi di coraggio andò dritto per quella strada, trattenendosi dal mettere un fazzoletto sul viso, per l'odore sgradevole, di sporcizia e di corpi non lavati notando, con sgomento, anche diversi topi correre via a destra e sinistra.
Rimase colpita dalla povertà del luogo.Molta gente, nonostante il freddo in arrivo, era vestita con abiti leggeri e per giunta adatti ormai per i rifiuti. Non credeva che dopo tanti anni, potesse rivedere delle scene simili.
Un'anziana signora era sdraiata a terra, in posizione fetale, come per proteggersi dal freddo. Non riuscendo a resistere, si avvicinò all'anziana, togliendosi il suo cappotto e mettendolo sulle spalle della signora.
La donna alzò il viso, diffidente. «Chi siete?»
Isabelle le sorrise , sollevandosi e mantenendo una distanza affinché la donna non si sentisse intimorita. «Nessuno d'importante» mormorò allontanandosi, sotto lo sguardo dell'anziana donna, che si coprì con gioia con quel cappotto donato.
Senza il suo cappotto, Isabelle sentì non solo il freddo entrale attraverso gli abiti, ma anche gli occhi di tutti. Aveva lo stomaco sotto sopra, notando diversi sguardi su di lei, alcuni incuriositi e altri minacciosi. Rimase inorridita quando vide una donna, col corpetto allentato tanto da scoprire un seno, poggiata al muro in una posa sensuale e alle vicinanze dei bambini che correvano.
Dall'ultima volta, aveva compreso che tipologia di donna fosse, ma almeno l'altra era chiusa dentro una taverna. Non c'era alcun limite, nessun tipo di civiltà.
E' come se il Re si fosse dimenticato di quel luogo.
In un attimo, venne colta alla sprovvista quando due braccia l'afferrarono. Un urlo di terrore le uscì dalle labbra, ma venne frenato da una mano, mentre sentiva qualcuno trascinarla verso un vicolo. Cercò di muoversi e di guardarsi intorno in cerca d'aiuto, ma colui che la teneva era più forte di lei e l'unica cosa che riusciva a guardare era la murata di fronte a lei. No, per favore, pensò disperata mentre la paura quasi le fece perdere i sensi.
Non poteva farcela, si rese conto, e dentro di sé rivide un momento già vissuto.
Vi prego, che qualcuno mi aiuti!
















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