Capitolo 3
Ma che gli era saltato in mente? Era forse la milionesima volta che se lo domandava Cédric, mentre stava in una carrozza a noleggio, di ritorno dal porto. Non riusciva ancora a capacitarsi del suo gesto tanto stupido, tanto rischioso.Era riuscito a ottenere da Lopex ciò che voleva e stava per fuggire da quella casa, comprendendo che non ci avrebbero messo molto a creare un putiferio, cercandolo per tutta la residenza. Era uscito dalla finestra, diretto ai giardini, e lì era stato preso alla sprovvista. Non aveva messo in conto di trovarsi una ragazza, lontana dalla festa, in giro per i giardini. Per giunta proprio la stessafanciulla incrociata poco prima in sala. Non doveva essere impegnata in qualche ballo con tutti quei damerini presenti? Cosa ci faceva lì?
E cosa più assurda, perché era successo ciò che era successo?Il suo primo pensiero era stato quello di tapparle la bocca affinché, quando l'avesse visto, non urlasse alla sua presenza. Ma dopo lei gli aveva resistito, guardandolo con quello sguardo verde e luccicante, pieno di varie emozioni. Quello sguardo racchiudeva paura, ma allo stesso tempodeterminazione, non sembrava essere spaventata dall'uomo che in quel momento era suo nemico. Pensando alle sue labbra, gemette, ricordandone il sapore e la morbidezza. Inizialmente era stato preso da un momento d'impulsività, sentendo le voci avvicinarsi e con lei che non smetteva di agitarsi, baciarla gli era sembrata la cosa migliore da fare. Nonostante la maschera gli desse poca visibilità, non aveva avuto dubbi su come muoversi su di lei e sulle sue labbra.Gemette infastidito, non riuscendo a trovare la giusta comodità in quella minuscola carrozza. Maledizione, era ricco abbastanza per potersi permettere una carrozza, ma se voleva mantenere un certo anonimato doveva abitare in una stanza per scapoli e automaticamente non poteva certo possedere una carrozza privata. Mise il piede sull'altro sedile, con rabbia. Era tutto sbagliato. Ma troppe persone contravano su di lui e non poteva metterle in pericolo per un capriccio così futile. Diede un'occhiata alla finestrella della carrozza, guardando la via che portava al suo alloggio. Non era proprio un luogo rispettabile, pieno di locali e gente poco raccomandabile ma, almeno lì, sapeva che nessuno, ne i giornali ne spie ordinate dalla concorrenza al porto, avrebbero mai avuto il coraggio di andarci. Lanciò una breve occhiata a una donna che, anche se vestita in modo semplice, poté notare che era di buona fattura e si guardava in giro come se temesse che qualcuno l'aggredisse da un momento all'altro. Cédric inarcò le sopracciglia, infastidito. Chi era la sciocca che si aggirava in un posto del genere e per giunta da sola? Il suo viso era coperto da un cappellino, ma poté notare delle piccole ciocche su una sua spalla.Ciocche bionde.Cédric si tese all'istante. No, non poteva essere... era assurdo solo a pensarci. Ma... Con un'imprecazione, diede dei colpi sul tettuccio della carrozza. «Ferma questa carrozza! Se è davvero lei, dovrà aver paura di qualcos'altro, oltre che dei ladri.»
Isabelle fece due passi avanti, verso la porta, per poi farne tre dietro. Non ci riusciva! Strinse gli occhi, dandosi della sciocca. Non poteva aver paura adesso che era lì. La persona che c'era lì dentro aveva delle informazioni molto importanti che lei doveva assolutamente sapere.Non era mai stata in una taverna e, ad essere precisi, nemmeno in luoghi così poco raccomandabili. Ma nel biglietto il luogo d'incontro era stato abbastanza chiaro, come il nome della persona con cui aveva l'incontro. Troppe emozioni, tutte in una volta, pensò ricordando ciò che era successo l'altra notte. Al solo pensiero sentì le guance farsi di fuoco. Nessuno l'aveva mai baciata fin'ora. Era sempre stata protetta dai suoi genitori e lei, essendo una persona abbastanza introversa, aveva sempre fatto attenzione a non trovarsi sola con un altro gentiluomo. Per giunta un Bandito! Un mascalzone che doveva aver commesso chissà quali crimini inconcepibili, l'aveva stretta a sé e aveva premuto le labbra sulle sue. Però, non poté negare a se stessa che dopo lo sgomento iniziale, aveva percepito un calore invaderle il petto e più il bacio si prolungava più si era sentita sciogliere, riconoscendo il lei il desiderio del calore di un uomo.«Oh, ma cosa vado a pensare in un momento come questo» mormorò, scuotendo la testa, affinché potesse cancellare, almeno temporaneamente, ciò che era successo. Fece un ultimo respiro prima di prendere il coraggio a due mani e decidersi ad entrare. Venne colta immediatamente dal tanfo di birra e da altri odori non bene identificati e non era sicura di volerlo scoprire. La sala era scura, con poca luce e l'unica finestra era solo a metà aperta per fare entrare un po' di luce. Notò che c'erano principalmente uomini. Ma non esattamente gli stessi gentiluomini che riempivano le sale di ricevimento a cui lei partecipava. Erano rozzi, sia nel portamento che in tutto il resto. Poteva sentire gli occhi di molti su di lei. Improvvisamente, sentì un braccio circondarle la vita e trascinarla indietro. Fece un piccolo urlo, quando cadde sulle gambe di qualcuno. «Cosa abbiamo qui? Gustava deve aver acquistato nuova mercanzia.»L'uomo che la teneva in grembo, prese tra le dita il suo mento avvicinandolo al suo viso. Aveva una barba incolta e delle sopracciglia cespugliose. «Da quando lavori qui? Non importa, sono sicuro che saremo buoni amici.» L'alito, puzzolente d'alcol, le arrivò alle narici rischiando di farle lacrimare gli occhi. Diede uno schiaffo alla mano che le teneva ancora il mento. «Non sono una dipendente di questa taverna.» disse, per poi sgusciare fuori dalle sue braccia, sotto lo sguardo allibito dell'uomo. Si strinse la borsetta al petto, come per difendersi, ma non si sentiva per niente a suo agio lì dentro.«Cosa succede qui?» Isabelle si voltò felice, riconoscendo una voce femminile. Ma rimase a dir poco scioccata non appena vide il suo vestiario. La ragazza aveva i capelli neri lasciati sciolti sulle spalle nude e il suo vestito copriva a malapena il corpetto dove si poteva avere una buona visuale del suo decolté. Che razza di donna si vestiva in quel modo? Isabelle non sapeva darsi una spiegazione esaustiva. La donna la guardò sfacciatamente dall'alto al basso, quasi a metterla a disagio. «Tu chi saresti? Di certo non sei di qui, vestita in questo modo.» commentò.L'altra sollevò il mento, davanti a quella mancanza di buone maniere. Se essere di quelle parti, significava vestirsi in quel modo, era felice di non esserlo.«Sto cercando una persona.»mormorò, cercando di essere più naturale possibile. L'altra la fissò attentamente come a scrutarla e Isabelle cominciò a sentirsi a disagio, ma cercò di non mostrarlo. «Posso sapere chi sarebbe?» chiese alla fine la donna. Lei esitò, non sapendo se fosse una buona idea, ma considerando che non sapeva neanche l'aspetto del tizio non aveva molta scelta. «Si chiama Gaspard.»
L'altra la fissò per la prima volta sorpresa e la sua espressione imperturbabile cessò, per poi piegarsi in due per le risate rischiando di far fuoriuscire ciò che il corpetto riusciva a coprire a malapena. «Gaspard? E da quando lui ha delle conoscenze così raffinate?» chiese in lacrime. Quella frase non rassicurò per niente Isabelle, che rimase sulla difensiva. «Quindi lo conoscete.» dedusse lei.
La donna asciugò una lacrima fuoriuscita per le risate, prima di indicare con l'indice un punto poco lontano da dove fossero. «Ma certo. E' l'ubriacone che vedi lì.»
Isabelle guardò in quella direzione, notando un uomo enorme, dalle spalle larghe, con uno sguardo poco raccomandabile. Le salì un brivido di paura.
«Vi ringrazio.» disse, dirigendosi poi verso lui. Cosa poteva fare, altrimenti? Non poteva girare i tacchi adesso. Non appena fu a pochi passi dal tavolo, l'uomo le lanciò un'occhiataccia, che bloccò all'istante Isabelle. Era davvero lui, l'uomo che stavano cercando? C'era solo un modo per scoprirlo...
«Salve monsieur. Mi chiamo Isabelle e...»
«So già chi siete.» La interruppe in modo brusco l'uomo, prendendo dalla sua vecchia giacca un biglietto e lanciandolo sul tavolo. «Prendilo e vattene.» mormorò, per poi bere un sorso della sua birra.
Isabelle lo fissò stupita, non aspettandosi un altro biglietto. «Scusate, deve esserci un errore. Sono qui per...»
Notando l'occhiataccia che gli lanciò, trovò più saggio tacere e afferrare il biglietto. La carta era vecchia e ruvida, segno che a scriverlo doveva essere stato una persona con pochi fondi.
Lesse il contenuto, ma l'unica cosa che vide fu un indirizzo a lei ignoto. Cosa significava?
«Io non capisco.» mormorò destabilizzata, fissando il foglietto. «Qui dovevano esserci le risposte che sto cercando, non questo.»
L'altro alzò le spalle con indifferenza. «Non posso aiutarti. Sono stato pagato per dare il messaggio.»
«Chi? Chi vi ha pagato? Devo saperlo.» disse, intestardendosi mentre la rabbia s'infondeva in lei. «Vi scongiuro, parlate. Non ho del denaro con me, ma posso assicurarvi...» sussultò quando il pugno dell'uomo colpì il tavolo con potenza.
Si alzò dal posto e Isabelle poté notare quanto fosse alto e grosso, cominciando a sentirsi più intimorita. Lo vide posare le mani sul tavolo, mentre la fissava con uno sguardo di fuoco. «Senti un po', ragazzina, non mi conquisterai col tuo bel faccino. Se vuoi altre informazioni, dammi il denaro.» lo vide girare il tavolo e avvicinarsi a lei. «Altrimenti gira al largo se non vuoi che sfoghi su di te la mia ira.»
Isabelle cominciò a tremare, rendendosi conto di trovarsi ad un bivio. Non poteva arrendersi, aveva bisogno di quelle informazioni. Cosa fare?
Venne colta di sorpresa quando un braccio robusto le cinse la vita, stringendola a sé. «Ho l'impressione che ci siano dei problemi, da queste parti.»
Sollevò il viso per incrociare lo sguardo di colui che la cingeva, e rimase senza parole non appena si accorse di chi fosse. L'uomo le lanciò un sorriso beffardo, ben consapevole del risultato ottenuto. «Potrei essere d'aiuto.»
Entrambi si scambiarono uno sguardo, ognuno esprimeva un sentimento diverso, dal sorpreso e sgomentato a quello imperturbabile dell'altro.
«Cos'è questa pagliacciata?» La voce dell'omone interruppe l'intesa dei due, ritornando alla realtà del momento. L'omone sembrava al limite della pazienza, posizionandosi di fronte loro con aria minacciosa. «Se non avete il denaro con voi, sparite dalla mia vista, entrambi.»
Isabelle vide lo sguardo zaffiro dell'uomo farsi più oscuro, e cercò d'intervenire prima che succedesse qualcosa di spiacevole. «Monsieur Gaspard... »
Ma s'interruppe allorché notò il viso dell'omone farsi cereo, non appena incrociò lo sguardo dell'altro uomo. «Non dirmi che tu sei Arsènè?» i suoi occhi sgranarono per la sorpresa e... la paura?
Arsènè? Isabelle si rese conto in quel momento di non sapere neanche il nome dell'uomo.
Gaspard indicò col dito indice il suo viso. «Sì, non ho dubbi, quella cicatrice... i tuoi occhi. Sei Cédric Arsènè.»
Isabelle si voltò verso colui indicato, ma sembrava impassibile alle affermazioni dell'uomo se non fosse per la sua mascella irrigidita, mentre già diverse teste erano voltate verso il trio. Le tolse la mano dal fianco, lasciandole una sensazione di freddo addosso, per poi avvicinarsi all'energumeno. In un primo momento, temette che l'avrebbe preso a pugni. Cédric si avvicinò parlandogli a voce così bassa che, da dove lei si ritrovava, riuscì ad afferrare solo qualche parola. L'altro rispose il più delle volte a monosillabi.
Alla fine vide Arsènè voltarsi verso di lei e rivolgerle un sorriso, che non raggiunse gli occhi. Sospettò che doveva essere solito nascondere le sue vere espressioni dietro quel sorriso freddo. Le porse un braccio, come se fossero nella stessa sala dell'altra sera. «Venite mademoiselle, siete già rimasta qui dentro più del necessario.»
Isabelle esitò fissando per prima Gaspard, che dal canto suo non incrociò il suo sguardo, poi Arsènè che continuava ad avere quel sorriso inespressivo, aspettando un suo gesto.
Alla fine decise di seguire quest'ultimo e insieme uscirono da quel luogo oscuro e angusto. Si era fatta scoprire, pensò lei con vergogna, adesso tutta l'alta società avrebbe scoperto ciò che aveva appena fatto e sarebbe stata emarginata. I suoi genitori l'avrebbero odiata, senza neanche aver concluso nulla di concreto.
Non appena furono fuori riuscì ad emettere un respiro profondo, sentendo l'aria fresca, senza più tutti gli occhi puntati su di lei. Si voltò verso il suo salvatore, con l'intenzione di ringraziarlo e di chiedergli cosa si era detto con l'altro uomo. Ormai l'aveva scoperta, tanto valeva prendere ciò che rimaneva da quella sconfitta.
Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, venne colta dalla furia di colui che aveva appena considerato suo salvatore. «Cosa vi è saltato in mente, donna? Ma non avete un po' di sale in zucca, oltre alla vostra massa di capelli?» Isabelle rimase allibita e inizialmente credette che le sue parole non fossero rivolte a lei ma a qualcuno dietro. Ma le ci volle poco per rendersi conto che quegli occhi erano diretti verso di lei. Cosa era successo al gentiluomo che l'aveva appena soccorsa in quella locanda?
«Non credo di comprendere» mormorò, ancora destabilizzata da quel cambio d'umore.
Vide lo sguardi di lui farsi più arcigno, mettendosi poi una mano sul viso. «Dannate donne, sempre pronte a mettersi nei guai per nulla. Buone solo per fare acquisti e spettegolare...»
Le sue parole erano bisbigliate, ma lei riuscì comunque ad afferrare il concetto. Mettendo le mani sui fianchi si mise di fronte a lui, fronteggiandolo. «Scusate monsieur, ma voi non sapete niente di me e non potete giudicare le mie azioni. Se sono entrata lì dentro è perché c'era una ragione davvero importante.»
L'altro tolse la mano dal viso, la fissò per un attimo e poco dopo scoppiò a ridere. «Davvero? Perdonate, ma trovo davvero difficile credere che ci sia qualcosa di così importante da portarvi da queste parti.»
«Invece è proprio così. Se non fosse stato per il vostro intervento sarei riuscita ad avere delle informazioni, per me, imperative.»
L'uomo, a quel punto, sì inchinò indicando con il braccio la porta da dov'erano appena usciti. «E sia. Scusate il mio intervento. Non verrà più mosso un dito, da me.»
Isabelle strinse gli occhi, infastidita, con passo deciso si mosse in direzione della porta, ma si bloccò all'istante, allorché la porta si aprì improvvisante. Un locandiere scaraventò fuori un uomo ubriaco fradicio, usando delle brutte parole che Isabelle non aveva mai udito in tutta la sua vita. Istintivamente, si rifugiò dietro colui che l'aveva beffeggiata, essendo per ora l'unico gentiluomo della situazione.
«Sparisci di qui e non mostrare più la tua faccia da maiale dentro la mia taverna se non vuoi che usi la tua trippa per sfamare i miei clienti.»
Isabelle mise una mano sul viso, sconvolta da quelle parole. «Lo farebbe davvero?»
«No, non lo farebbe. La sua carne sarebbe troppo dura, fallirebbe nel giro di pochi giorni.» la prese in giro Cédric, non riuscendo a trattenere una risata allo sguardo sbalordito di lei. «Stavo scherzando, principessa, non scandalizzarti.»
Isabelle lo ignorò, stava decidendo se voler rientrare nella locanda.
Cédric la fissò con la coda dell'occhio per un po', prima di parlare. «Non sapeva niente.»
«Cosa?» chiese lei, colta alla sprovvista.
«Non sapeva altro. Doveva solo consegnarti quel foglietto. A quanto pare è stato pagato da un ragazzino solo per quello.»
Un ragazzino? Poteva essere lo stesso che fin'ora le aveva mandato quei messaggi? Non poteva fare a meno di chiedersi lei, mentre contemporaneamente un altro pensiero le saettava in testa. «Ma lui mi ha chiesto di pagarlo per altre informazioni.»
Lo vide sospirare pesantemente, come se avesse a che fare con un imbecille. «Ti avrebbe detto qualsiasi cosa per ottenere del denaro in più. Questa è gente che non si fa alcuno scrupolo, principessa.»
L'altra sbuffò infastidita. «Non posso credere che avrebbe approfittato in questo modo della mia ingenuità.» mormorò afflitta, mentre lui stringeva le spalle. «Desolato, ma purtroppo c'è gente senza scrupoli.» Diede un'occhiata alla strada, e vide una carrozza a noleggio avvicinarsi. «Sarà meglio che andiate adesso, prima che faccia buio. Non so cosa vi ha portato qui, ma adesso è arrivato il momento di tornare a casa.»
Lei non emise un suono, era impegnata a riflettere su cosa fare adesso, anche se le scelte erano limitate. L'unica traccia che aveva era quell'indirizzo. Rilesse il foglietto, cercando d'immaginare colui che le stava mandando tutti quegli indizi senza che avesse una chiara idea di quale sarebbe stata la soluzione. «Non vorrete davvero andare in quel posto?»
Il respiro di Arsènè le solleticò il collo e, rendendosi conto di averlo a pochi centimetri accanto, si scostò con un sussulto, lanciandogli un'occhiataccia. «Non avete il senso della misura? Siete un gentiluomo e non dovreste avvicinarvi.» commentò imbarazzata.
La lasciò di stucco, dal momento che lo vide ridere di gusto. I suoi tratti si ammorbidirono e anche con la cicatrice sul viso, quel sorriso spontaneo lo rese molto più affascinante.
«Mi dispiace deludervi, ma sono tutto purché un gentiluomo.» disse, lanciandole uno sguardo furbesco. «Quindi potete stare tranquilla. Ciò che ho visto non si verrà mai a sapere.»
Aveva capito le sue paure e la stava aiutando. «Vi ringrazio, ve ne sarò grata» mormorò sincera. Ma un'altra domanda nacque spontanea. «Cosa porta voi, da queste parti?»
«Ci abito.» il suo commento venne pronunciato senza la minima esitazione, a dimostrazione che non temeva il giudizio dell'alta società. Ciò però non spiegava il perché alloggiasse da quelle parti nonostante facesse parte dell'aristocrazia. La situazione assurda le fece ricordare che non sapevano nulla l'uno dell'altro. Ma forse era meglio così, meno sapevano e meno possibilità ci sarebbero state di collegare quel luogo a lei.
«Ci sono parecchie carrozze in giro a quest'ora, ma diminuiranno ben presto, sarebbe meglio che ne prendeste una.» le fece notare ancora una volta lui.
Istintivamente, Isabelle diede un'altra occhiata al foglietto con l'indirizzo, ricordando la frase detta poco prima da lui. «Voi sapete dov'è il luogo di questo indirizzo?»
Cédric, concentrato com'era a richiamare una carrozza, annuì distrattamente. «Sì, è un luogo poco lontano da qui e quindi zona altamente pericolosa per voi.»
«Per favore portatemi lì. » disse a bruciapelo lei.
L'altro assimilò solo dopo qualche secondo le sue parole, voltandosi di scatto verso di lei. «Cosa? Ma non avete imparato niente da ciò che è appena successo?»
Lei non si fece intimorire e cercò di mettere più enfasi nelle sue parole. «Vi prego, ho davvero bisogno di raggiungere quel luogo.»
L'altro la fissò accigliato, per niente commosso o addolcito dalle sue parole. «Quella zona è altamente a rischio, voi non sapete a cosa andate incontro e io non ho intenzione di fare da balia a una principessa in cerca d'avventure.»
Isabelle, in un'altra occasione, non avrebbe mai insistito e avrebbe semplicemente chinato la testa. Ma adesso non poteva fermarsi, doveva convincerlo. «Non sono in cerca d'avventure! Si tratta di una cosa molto importante per me e non posso inoltrarmi in queste zone, da sola.» Cédric la fissò attentamente e lei notò il suo sguardo farsi freddo come il ghiaccio. «Ascoltate bene, mademoiselle. Qui non ci sono donne che prendono thè con pasticcini, ma donne che vendono il loro corpo. Qui non troverete uomini che vi saluteranno togliendosi il cappello e baciandovi la mano, ma uomini che non perderebbero un istante a portarvi via dai vostri cari e vendervi al miglior offerente, o peggio. Non siate così sciocca da rischiate la vostra incolumità per nulla.» Isabelle si ritrovò a corto di parole. Era davvero così insensato cercare una verità, con tutta se stessa? Ebbe voglia di replicare, ma l'abitudine di remissione fu più forte di lei.
L'uomo finalmente riuscì a fermare una carrozza, aiutandola a salire a bordo. «Arrivederci, mademoiselle. Non dimenticate ciò che ho detto.» chiuse lo sportello e immediatamente la carrozza partì, portandola via da un luogo per lei pericoloso, ma pieno d'attrattiva.
Cédric segui la carrozza con lo sguardo, fino a che non fu sparita dalla sua vista, per poi fare un sospiro di esasperazione. Che ragazza ingenua! Sciocca e ingenua, aggiunse mentalmente pensando a ciò che era successo mentre camminava verso i suo alloggi. Era davvero una calamita per i guai! Per l'ennesima volta si era trovata faccia a faccia con qualcuno di pericoloso. La prima volta era stata fortunata, come anche la seconda, ma cosa sarebbe successo se lui non l'avesse intravista? Imprecò tra i denti. Razza d'incosciente!
Dovette però ammettere a se stesso, che ammirava la sua testardaggine e la determinazione con cui aveva perseverato con quell'omone affinché ottenesse quelle informazioni. Rifletté su quest'ultimo, chiedendosi cosa potesse mai cercare in un luogo del genere. Qualcuno possedeva delle informazioni personali su di lei e la stava ricattando? Un amante? No, non ne era sicuro, il bacio che si erano scambiati l'altra notte non era di una donna esperta in quel campo. Era stato innocente, delicato e indifeso, proprio come sembrava all'apparenza lei. Si rese conto, sorprendendo se stesso, di sentirsi intrigato da quella fanciulla. Era miscuglio d'innocenza e d'intraprendenza che lo affascinava. Non credeva di ritornare ad essere così intrigato da una donna, dopo Ines.
Come ogni volta che pensava a lei, la malinconia lo invase. L'aveva amata profondamente ed era stata la prima e l'unica a cui aveva aperto il suo cuore. La sua morte lo aveva straziato e indebolito. Mai e poi mai, avrebbe permesso ad un altra persona di ridurlo in quello stato. Nessuno avrebbe superato la barriera che aveva costruito intorno a sé.
Quei pensieri lo misero di malumore e di certo non migliorarono non appena aprì la porta della sua stanza e si trovò dentro suo cugino.
Era davanti alla finestra e, a giudicare dalla sua schiena rigida, non sembrava felice di essere lì. Bè, su questo avevano una cosa in comune. «Devo davvero parlare con quell'idiota, sulla gente che fa entrare nella mia stanza senza il mio permesso.»
L'altro non sorrise come la prima volta, anzi sembrava ancor più corrucciato. Si accorse che aveva tra le mani un giornale, che lanciò verso di lui, cadendo ai piedi di Cédric.
Quest'ultimo, mettendo le mani dentro le tasche dei suoi pantaloni, diede una veloce occhiata alla prima pagina, consapevole di ciò che poteva esserci scritto.
I banditi colpiscono ancora. Adesso entrano nelle residenze della nobiltà.
«Spiegami questo» disse con voce fredda Richard.
L'altro mostrò il suo miglior sorriso, avvicinandosi alla sedia. «Permettimi prima di sedermi. Non sento una ramanzina da molti anni, dai tempi della mia povera madre. Che nostalgia!»
Isabelle varcò la soglia con un peso sul petto. Non aveva concluso niente.
Era di nuovo al punto di partenza, con un unico indizio scritto su quel foglietto. Un luogo malfamato e per giunta poco raccomandabile.
Diede il cappotto e cappello al valletto, lanciandogli un breve sorriso, per poi dirigersi velocemente verso le scale. Aveva già rischiato grosso andando in quella taverna e, dovette ammetter a malincuore, che se non fosse stato per Cédric Arsènè avrebbe rischiato davvero tanto.
«Isabelle.»
Quest'ultima sospirò internamente. Stava quasi per raggiungere le sue stanze. Con grande pazienza, raggiunse la madre nel salotto principale.
Stava controllando la corrispondenza che, in piena stagione, aumentava a dismisura. Non appena la vide, la Contessa fece segno alla figlia di sedersi al suo fianco sul divanetto. «Ho ricevuto parecchi inviti, probabilmente dovremmo rifiutarne molti.»
Isabelle annuì solamente con la testa, ben poco interessata all'argomento, ma consapevole che alla madre bastava solamente essere ascoltata. «Hai trovato qualcosa d'interessante in città?» chiese quest'ultima, distrattamente.
In un primo momento restò destabilizzata dalla domanda, ma poi si ricordò di averle detto che voleva fare un giro di compere, per poter uscire di casa. Non era abituata a mentire e quindi si trovò momentaneamente spaesata. «Ehm...No madre, niente d'interessante» farfugliò.
«Mi dispiace cara, ultimamente la qualità si è abbassata di parecchio. Dovremmo trovare un'altra soluzione al più presto se vogliamo partecipare a tutti i ricevimenti.» Isabelle rimase ad ascoltarla, senza davvero fare attenzione a ciò che diceva, persa com'era nei suoi pensieri.
«Spero davvero che non succeda lo stesso disastro dell'altra sera. Abbiamo già avuto abbastanza sorprese, tra banditi e figli illegittimi.»
«Figli illegittimi?» chiese distrattamente la figlia, immaginando un pettegolezzo fresco di giornata. Sua madre e le sue amiche erano solite a spettegolare sulle altre dame, sopratutto quando avevano modo di riunirsi tutte insieme.
«Oh sì! Men che meno dai Duval! Come se già non avessero portato abbastanza scandalo in questi ultimi anni. Ultimo, ma non meno scandaloso, il figlio del precedente Duca, se così si può definire quest'ultimo. Cédric Duval.»
Nel riconoscere il nome, Isabelle ebbe un sussulto che le fece cadere dalle mani le lettere, che finirono sparse sul tappeto.
«Isabelle fai attenzione» la rimproverò la madre, ma lei non l'ascoltava più.
Cédric Duval. Era mai possibile che fosse la stessa persona? Eppure fino ad un'ora fa aveva sentito bene un altro cognome associato a Cédric.
«Madre descrivetemi quest'uomo, per favore.» chiese frettolosamente.
Notando lo sgomento della madre, comprese che le sue parole potevano essere fraintese e cercò d'inventarsi qualcosa all'istante.
«Vorrei una descrizione affinché in futuro, se mai dovesse importunarmi, potrei riconoscerlo e stargli il più alla larga possibile.» precisò, sperando che la madre abboccasse.
Quest'ultima, ascoltando la sua spiegazione, sospirò dal sollievo. «Bene, sono entusiasta della tua precauzione. Stavo quasi per preoccuparmi. Ma che sciocchezza, tu non potresti mai. Perdona cara, per aver solo dubitato della tua maturità.» disse lei sorridendo.
Un'altra menzogna e la sua rete di bugie cominciava sempre di più ad espandersi. Si sentiva la peggior figlia in tutta Parigi, ma aveva imparato col tempo che le bugie, se si sapevano gestire bene, potevano essere il rimedio ideale per ogni male. La Contessa ebbe un momento di esistazione ma alla fine,parlò. «Non sono contenta di dovertene parlare, non è un uomo raccomandabile. Ma ciò che hai argomentato è indubbiamente veritiero, perlomeno per metterti in guardia.» ragionò, per poi decidersi a descriverlo. «Non avrai difficoltà a riconoscerlo. Oltre ad avere la caratteristica tipica dei Duval, quei particolari occhi blu zaffiro, ha una sinistra cicatrice sul volto. Non oso immaginare dove se la sia procurata.» si strinse le spalle con le braccia, come a proteggersi.
Non c'erano dubbi, pensò sgomentata Isabelle, era proprio Cédric Arsènè o meglio Cédric Duval. Ma perché mentire e inventare un altro nome?
«Il suo sguardo è freddo e crudele, non mi sorprenderei che assomigliasse, in tutto e per tutto, a quel sadico del padre.» continuò sua madre, accigliata.
Isabelle aveva letto i giornali recentemente, dove si parlava di un figlio illegittimo dei Duval, uscito allo scoperto solo poco tempo fa, ma non aveva dato peso alla cosa, odiando i pettegolezzi da sempre. Ma adesso aveva, più che mai, il desiderio di sapere chi fosse in realtà.
«Il precedente Duca era così crudele?» chiese incuriosita a quel punto, Isabelle.
«Non credo che definirlo Duca sia corretto, giacché non ne meritava il titolo Ducale. Comunque sì, era un uomo spregevole e crudele.» mormorò. Poi, rendendosi conto di parlare con sua figlia, di questioni non adatte alle sue orecchie, le accarezzò i capelli sorridendo. «Non credo sia saggio andare infondo alla spiegazione. Ma hai già compreso la cosa più importante. Stai lontana da quell'uomo.» le raccomandò.
Isabelle non emise un suono, riflettendo su quelle parole.
Su una cosa sua madre poteva stare serena. Non si sarebbe avvicinata a quell'uomo, semplicemente perché quest'ultimo era stato chiaro a voler mantenere le distanze con lei.
Ma non poté nascondere a se stessa la curiosità che la portò a porsi una domanda che le avrebbe causato poche ore di sonno, quella notte.
Chi si nascondeva, in realtà, dietro quella maschera di cinismo?
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