Capitolo 2

«Isabelle, Isabelle!» Quest'ultima sollevò la testa di scatto, presa com'era dai suoi pensieri, da non accorgesi che sua madre aveva più volte cercato la sua attenzione. «Scusate madre, ero distratta.» 
La Contessa Mureau emise un piccolo sospiro, ormai abituata al comportamento a volte distratto della figlia. Erano al ricevimento dei Lacroix da poco più di un'ora ed era già annoiata a morte.
Una gentildonna si avvicinò a loro e Isabelle riconobbe una vecchia conoscenza della madre. Isabelle preparò la sua espressione base dal sorriso dolce, ma non eccessivo allo stesso tempo. Ormai da anni sapeva come muovere il suo viso in base a chi avesse davanti. In fondo lo doveva ai suoi genitori.                     «Contessa Mureau, che piacere vedervi. Era da molto tempo che desideravo rivedervi per fare due chiacchiere in buona compagnia, come state?»                                           La Contessa esibì il suo miglior sorriso. «Il piacere è tutto mio, madame. E' davvero un bella coincidenza ritrovarci a questo ricevimento, non trovate? La stagione è iniziata da poco più di un mese e con ciò non ci siamo incrociate in nessun evento.»           
Dopo varie battute, la donna si accorse della presenza di Isabelle e si rivolse a lei. «Vostra figlia è semplicemente incantevole. Come stata cara?»
«Bene madame, grazie. Spero che la vostra salute si sia ristabilita. Avevo sentito dire che non stavate troppo bene.»                  
L'altra sorrise, contenta di ricevere quelle attenzioni.   
«Sì ho sofferto per settimane di una terribile influenza, ma adesso sto bene, grazie per essertene preoccupata.»                                
Si aggiunsero altre dame e con ognuna Isabelle riservò lo stesso trattamento. Soddisfatta, la Contessa decise di premiarla. «Isabelle vai a fare un giro per la sala, magari trovi le tue amiche.»  Isabelle piegò la testa per assentire. «Come desiderate madre» e dopo aver salutato come si deve le dame intorno a loro, si allontanò dal gruppo.                              «Avete davvero una figlia splendida, Contessa» la elogiò una dama.                                       
«Sì davvero splendida. Mi domando il perché voi e vostro marito non abbiate ancora deciso di farla sposare.»                                                    La Contessa, come suo solito, non cambiò minimamente espressione rimanendo sorridente e impassibile. «Io e mio marito abbiamo deciso di comune accordo di lasciare a nostra figlia la libertà di scegliere chi sposare. Abbiamo ricevuto negli anni molte proposte di matrimonio, ma nessuno sembrava essere adatto.»                    Le altre donne si guardarono tra di loro, sorprese. «Ma cara, Isabelle è ormai una adulta e ha già superato i ventanni. C'è il rischio che nessun uomo la voglia sposare.»                    La Contessa sorrise, comprendendo i dubbi delle donne. «E' vero. Ed è proprio per questo che abbiamo stabilito un accordo con nostra figlia.»                                                            Le altre donne fissarono la Contessa, curiose.                                  «Abbiamo stabilito che entro questa stagione dovrà trovare un marito. Isabelle conosce molto bene le regole dell'alta società e sa bene che non potrà ritardare ancora l'inevitabile.»                               Una delle dame si sventolò delicatamente con il suo ventaglio, riflettendo alle parole della donna. «Hai fatto bene a mettere dei limiti. Talvolta le fanciulle di adesso tendono ad esagerare con la libertà che si viene data. Non riguarda la tua adorabile figlia, ma è meglio stare in guardia. Ricordo che l'anno scorso si vociferava il suo fidanzamento con il Duca Duval.      Una increspatura si formò sulla fronte liscia della Contessa, sentendo quel nome. «E' stato solo un malinteso delle malelingue. Isabelle non potrebbe mai avere a che fare con gente del genere. Per quanto sia un Duca appartenente ad una famiglia antica, il loro passato è a dir poco incommentabile.»                                     Le altre donne annuirono, solidari.  «Direi che è stata una fortuna. Anche se mi dispiace per i due ragazzi, dato ciò che hanno passato dopo la morte dei genitori, le loro scelte e il loro comportamento sono stati inammissibili.» commentò una.                                                                «La figlia che scappa dalla sua casa nativa per diventare indipendente. Avendo la fortuna di sposare il suo datore di lavoro, niente meno che il Conte Vumont.»                                        «E' il minimo se consideriamo che era per davvero una serva, per poi diventare una Duchessa.» rispose l'altra amica, non poco disgustata.  «Il Duca non poteva fare scelta più sbagliata. Come ha potuto sposare la sua governate?»   
«Avete sentito l'ultima notizia, sul figlio bastardo di quel demonio?» La domanda dell'amica della Contessa, scatenò un chiacchiericcio più attivo.                     Tutti ne erano rimasti sorpresi, per quanto quella famiglia non avesse fatto altro che dare scalpore in quegli ultimi anni. «Di sicuro sarà un pericolo per le nostre figlie. Infondo non sappiamo niente di quest'uomo.» mormorò una, inorridita.                                                  La Contessa, con la coda nell'occhio, notò movimento, all'entrata della sala. Il suo sguardo si accigliò, scontenta. «Ho l'impressione che avremmo modo di fare la sua conoscenza, molto presto. Ma una cosa è sicura, non permetterò che quell'uomo si avvicini a mia figlia.»

Isabelle sospirò dal sollievo quando riuscì a distanziarsi abbastanza dal gruppetto. Non riusciva a tollerare i pettegolezzi e soprattutto le malelingue come le amiche de sua madre. Fortunatamente sua madre l'aveva lasciata libera, con la scusa di cercare le sue amiche. Peccato che lei non ne avesse.                              Spesso e volentieri era sola o insieme alla madre quando partecipavano ad eventi del genere. A causa del suo carattere introverso non era riuscita a farsi delle amiche e a volte sentiva gli occhi delle fanciulle addosso, come lance di fuoco. Non ne capiva il motivo e spesso e volentieri si domandava il perché di quella freddezza nei suoi confronti. Aveva provato in passato ad avere un rapporto amichevole con delle sue coetanee ma ben presto aveva compreso che i loro punti di vista, opinioni e pensieri erano completamente opposti. Se le fanciulle preferivano parlare spesso e volentieri di merletti, accessori e degli ultimi abiti usciti dalla sartoria, lei preferiva parlare di libri. Solo una cosa aveva in comune con le sue coetanee.              Voleva innamorarsi.                              Adorava leggere delle avventure romantiche dove il cavaliere veniva, prima o poi, a salvare la sua amata alle prese con delle peripezie. Sognava anche lei un giorno di trovare un amore simile. Passionale, audace e senza confini che le regole della società stabilivano.

Sognava il ragazzo dagli occhi blu...

Non poteva fare a meno di pensarci e le venne istintivo sorridere. Era solo una bambina, quando l'aveva incontrato la prima volta, in circostanza abbastanza speciali. Ma era stato, almeno per lei, un colpo di fulmine. Non riusciva a dimenticarsene, ricordava il suo sorriso, la sua mano che stringeva la sua. Al solo pensiero il suo cuore cominciò a battere più velocemente per l'emozione.                                        Era forse quello l'amore?                     Qualcosa che non aveva calore, ma che comunque ti riscaldava.                Aveva provato a dimenticare, ma aveva compreso l'impossibilità della cosa nel momento in cui aveva visto Richard Duval. I suoi occhi erano identici al ragazzino che ricordava e qualcosa in lei era rinato. La speranza. Senza rendersene conto, si era infatuata del Duca, benché era consapevole di quanto fossero diversi. Solo più tardi si era resa conto della realtà, cioè che in lui aveva cercato di vedere il ragazzino del suo passato.                           
Da quel momento comprese che voleva davvero ritrovarlo e dirgli ciò che sentiva nel suo cuore. Ma tutto era cambiato quando aveva ricevuto una lettera.                              La sua mente ritornò alla realtà, rammentando la prima lettera che aveva ricevuto.         
Il giorno dopo avrebbe ricevuto le risposte che stava cercando da tempo. E dopo aver risolto quell'enigma, avrebbe cercato anche quel ragazzo. Era così presa dai suoi pensieri da non fare attenzione mentre camminava, scontrandosi con una donna che le dava le spalle. La prima cosa che vide fu una capigliatura castano ramata, di una donna molto più alta di lei. Quando si voltò riconobbe immediatamente chi fosse. «Scusate. Non facevo attenzione a dove camminavo.» mormorò, un po' traballante, guardando Julia Duval, la donna che aveva sposato il Duca Duval.
 Quest'ultima la guardo, per prima sorpresa, ma poi le rivolse un sorriso allegro. «Non preoccupatevi, è un vero piacere rivedervi Contessina.»                          Gli occhi di Isabelle, si sgranarono ancor di più. «Vi ricordate di me?»  Lo sguardo della donna divenne dall'allegro, all'imbarazzato. «Oh, ecco... ma certamente! Come potrei dimenticarmi di voi? Siete una fanciulla così distinta, è difficile non notarvi tra tanta gente.» disse in fretta.                                                    Isabelle la guardò, un po' incerta su come rispondere. Non si erano scambiate neanche una parola, di che ricordava quando aveva alloggiato alla residenza dei Duval, ma era anche vero che allora le circostanze erano molto diverse.  «Grazie, siete molto gentile. Congratulazioni per il vostro nascituro.»                                       Lo sguardo della Duchessa divenne più dolce e i suoi occhi brillarono, come solo una madre piena d'amore per il proprio figlio poteva provare. «Vi ringrazio, è una vera benedizione.»     
 Anche Isabelle ricambiò spontaneamente il sorriso. Quell'amore poteva nascere solo grazie a colui che gliel'aveva donato.                                                          «Sono molto contenta nel notare che tutto si sia svolto per il meglio.» E lo era davvero. Quel matrimonio era stato criticato da tutta la società, ma a quanto pareva non erano riusciti a scalfire la loro felicità.                                           «Le vostre parole sono davvero preziose, per me» rispose Julia, emozionata. «Spero che anche voi possiate trovare... ciò che cercate.» sembrava avesse pronunciato quelle parole con esitazione, come se stesse facendo attenzione a cosa dire.                                         
«Julia?» Si avvicinò il Duca, Richard Duval, che non appena la vide sembrò per un attimo incerto, ma fu solo un momento, e con un gesto galante le prese la mano per salutarla. «Contessina Mureau.»      Anche quest'ultima si sentì un po' inadeguata, dato il modo in cui si erano lasciati l'ultima volta, e per questo richiamò a sé tutta la sua compostezza. «Duca, è un piacere rivedervi. Mi sono appena congratulata per il vostro erede.»     «Grazie, siete molto gentile.» rispose lui con un sorriso, per poi rivolgersi a sua moglie. Il suo sguardo, notò subito Isabelle, si addolcì e i suoi occhi blu risplenderono di felicità, come quelli della consorte.                          Improvvisamente si sentì inadeguata, anche se erano circondati di gente, loro sembravano chiusi in un cerchio invisibile dove solo la coppia poteva entrare.               
«Sarà meglio che raggiunga mia madre, tra poco partiranno le danze. Vi auguro una buona serata.» Aspettò a malapena di sentire la loro risposta, prima di allontanarsi velocemente.    Mise una mano sul petto, sentendo una strana sensazione stringerle il petto. Non era gelosia verso la Duchessa. Per quanto ne fosse rimasta ferita dal rifiuto del Duca, aveva ben presto compreso che non era l'uomo che amava. Lei provava invidia. Nel vederli così felici come coppia, di come lei sembrasse così sicura al suo fianco, consapevole che niente e nessuno le avrebbe fatto del male finchè ci sarebbe stato lui. Mentre lei...                All'improvviso venne colpita da un brivido. Istintivamente alzò il viso, avendo come l'impressione di essere osservata.                                       Vide, poco lontano da lei, un uomo fermo in mezzo ad altra gente... che la fissava.                   
I suoi occhi erano...                                  Isabelle sentì il cuore battere all'impazzata, mentre incrociava il suo sguardo, sgranando anch'ella i suoi e osservandolo attentamente. Era possibile?                                             Il suo corpo era diverso, più alto, i tratti del viso marcati, come quelli di un uomo.  
La capigliatura, anche se neri come li ricordava, erano in ordine seppur più lunghi di quanto la moda li richiedesse e sul viso aveva una lunga cicatrice che non ricordava di aver visto in quel ragazzo. Ma i suoi occhi... erano anch'essi blu zaffiro come i suoi e esprimevano la stessa sensazione che aveva intravisto in quel ragazzo...
Il suo sguardo era diretto a lei e nessuno dei due riuscì a distoglierlo, consapevoli comunque della gente che camminava intorno a loro e chiacchierava allegramente. Poteva davvero essere lui?
Lo vide improvvisamente muoversi, avvicinandosi nella sua direzione.
Isabelle sussultò interiormente, non aspettandosi quell'azione da parte sua. Cosa doveva dirgli? Come doveva comportarsi?
Ad ogni passo, il suo cuore aumentava di battito, sentendo le mani tremare, tanto da costringersi a stringerle tra di loro. Un sorriso spontaneo nacque in lei.
Non appena fu a pochi passi da lei, poté notare qualcos'altro. Un orecchino all'orecchio sinistro, con una pietra incastonata dello stesso colore dei suoi occhi.
E proprio quest'ultimo dettaglio la lasciò disorientata. Adesso li vedeva meglio, poté notare il suo sguardo freddo, distante...
Il sorriso di lei si affievolì a poco a poco, mentre l'uomo continuò a camminare. Le lanciò una breve occhiata prima di passarle al fianco, allontanandosi da lei. L'aveva ignorata.
Senza riuscire a trattenersi, Isabelle voltò leggermente il viso alle sue spalle, cercandolo. Lo vide avvicinarsi ad un'altra donna, dai capelli rossi, invitandola a ballare.
Un nuovo sorriso spuntò dalle labbra di Isabelle, stavolta ben diverso dal primo.
Che sciocca, pensò vedendo la coppia andare al centro della sala, non poteva essere lui. Si era fatta ingannare da un'illusione.
L'illusione che qualcuno potesse ricordarsi di lei e magari cercarla, dopo tutti quegli anni, poiché innamorato perdutamente di lei. Sì diresse con calma all'esterno della sala, cercando di non incrociare nessun suo conoscente. In quel momento non credeva di riuscire a reggere la sua solita maschera.

«Come ti senti nei panni di un gentiluomo?» Domandò Renée divertita dall'espressione di Cédric, accigliato.
L'altro sbuffò. «Dannatamente male.» Si guardò intorno, osservando gli altri ballerini che volteggiavano per la sala.
«Non è qui» mormorò l'altra, comprendendo la direzione dei suoi pensieri.
Cédric la fissò, sorpreso. «Di che stai parlando?»
«Della fanciulla che fissavi mentre ti dirigevi verso di me. Guarda che ho due occhi anch'io sai?» il suo tono era distaccato, anche se dentro di sé fremeva per la gelosia.
Non gli era sfuggito lo sguardo di Cédric, mentre guardava quella ragazza, come se ne fosse stato affascinato e riuscisse a malapena a staccarne gli occhi. Era la prima volta, dopo Inés, che lo vedeva affascinato da una donna.
Ma cercò di non mostrargli quanto la cosa l'avesse turbata. «Ti sei lasciato ammaliare dalla prima fanciulla dell'alta società?»
L'altro a quel punto si accigliò. «Sta tranquilla, non succederà mai. Sono solo rimasto un po' sorpreso.» disse, oscurandosi in viso.
Renée sgranò gli occhi, presa alla sprovvista da quella risposta. «Sorpreso?» Domandò.
Cédric aggrottò la fronte, pensieroso. «Non saprei spiegarlo. E' stato come... niente» affermò alla fine, scuotendo la testa come a voler cancellare ciò che aveva solo pensato per un attimo. «Concentriamoci sulle cose importanti adesso. Dov'è?» Chiese alla donna, sapevano entrambi a chi si riferisse.
«Per tua fortuna ho un ballo prenotato, esattamente dopo il tuo, con il nostro Lopex» disse vittoriosa, Renée.
«Conosco bene Lopex e adora approfittare delle feste dove viene invitato per usufruire degli alcolici dei suoi ospiti. Inviterò l'uomo ad usufruire della fornitura di alcolici di mio padre, nella sua biblioteca.»
Cédric non poté trattenere un sorriso. «Sei una donna dalle mille risorse.»
«Ovviamente. Se no non sarei qui ad aiutarti in questa rischiosa impresa.» disse lei compiaciuta, mentre il ballo stava per giungere al termine. «Sali le scale e gira a destra e vai infondo al corridoio. Ti raggiungerò subito dopo il ballo con il nostro uomo.»
L'altro assentì, mentre la musica volgeva al termine della sua melodia.
Dopo averla accompagnata verso il suo gruppo di amici, si diresse verso l'uscita della sala, ignorando gli sguardi della gente intorno a lui. Tutti sapevano chi era ma nessuno aveva il coraggio di dare conferma ai loro pensieri, avvicinandosi a lui.
Chi si sarebbe mai avvicinato al figlio dell'uomo che aveva ucciso il suo stesso fratello, maltrattato i suoi nipoti e per giunta avuto un figlio illegittimo con una prostituta?
Sentì una mano posarsi sulla sua spalla. «Cédric?»
Quest'ultimo si voltò ritrovandosi un uomo che aveva visto solo in un'occasione, di un anno fa, ma di cui ricordava perfettamente il nome. «David Vumont?» chiese per avere conferma, anche se non ne aveva bisogno.
L'uomo gli rivolse un sorriso, mettendogli una mano sui capelli castano chiaro. «Sì, sono io. Noto che ti ricordi di me. Ti vedo in forma.» Colui che aveva sposato sua cugina Crystal, colei che aveva sofferto nelle mani di Lucien e lui che aveva progettato di vendicarsi di Richard, gli rivolgeva la parola come se nulla fosse. Strinse gli occhi diffidente.
«Sì, abbastanza. Scusami ma adesso devo andare.»
David lo fermò ancora una volta.«Aspetta. Perché non ti unisci a noi? Siamo tutti qui e vorremmo parlare con te e chiacchierare. E' passato molto tempo dall'ultima volta.»
Cédric strinse le mani a pugno, cominciando a perdere la pazienza. «Mi dispiace ma non ho tempo.» mormorò.
«Chi è colui che sta parlando con il Conte Vumont?»
«Come non lo sai? E' il figlio bastardo di quel demonio. Basta guardare il suo viso per riconoscerlo.» poté sentire le voci delle pettegole, alle sue spalle, diventare acute per la paura.
«Oh mio dio! E' lui? Mi era giunta notizia, ma non immaginavo che si sarebbe intrufolato ad una festa senza invito. Il suo sguardo fa davvero paura. E' così freddo. »
«Per non parlare di quella cicatrice sul viso. Chissà dove se la sarà procurata.»
Vide di sfuggita David sgranare gli occhi, forse non aspettandosi quella reazione, per poi stringergli ancora una volta la spalla. «Sarà questione di un attimo. Sia la Contessa sia la Duchessa sarebbero felici di salutarti.» disse, usando un tono soave.
Cédric strinse i denti. Odiava il suo tono conciliante, così falsamente genuino. Tutto in quel mondo doveva basarsi sull'apparenza, dimostrare di essere qualcosa che non erano solo per mostrarsi superiori agli altri. E David non faceva che il loro gioco.
Lui in realtà la pensava esattamente come quelle donne, ma per amore di sua moglie accettava di stargli vicino. Per quanto lo riguardava, ne era disgustato.
Scostò bruscamente la mano dalla sua spalla. «Dì loro che non mi è stato possibile. Sono sicuro che non sarà difficile per te inventare una scusa, Vumont.» enfatizzò il nome, rifiutandosi di chiamarlo col suo titolo. David lo fissò, destabilizzato. «Non capisco.»
L'altro gli rivolse un sorriso impudente. «Oh sono sicuro che hai capito bene. Sta tranquillo manterrò le distanze la dove sarà necessario.» detto ciò, gli diede le spalle allontanandosi da lui. Si avvicinò alle due donne, che seguivano ogni suo movimento. Rivolse ad entrambe un sorriso, chinando leggermente la testa.
Le due donne si strinsero tra di loro, come se le avesse picchiate.
Uscì da quella sala con sollievo, mettendo una mano sui capelli e facendo un respiro profondo. «Dannati nobili. Che possano marcire tutti all'inferno.» mormorò con disprezzo, per poi dirigersi dove gli era stato detto di andare.
Non appena arrivò, aspettò per qualche minuto, prima di sentire uno scalpiccio nel corridoio. Renée si guardò intorno prima di avvicinarsi ad una porta ed aprila. «Entra.» disse a Cédric, seguito da lei. Non appena solcò la soglia, non ci mise molto a comprendere che stanza fosse. «Mi stai facendo entrare nelle tue stanze personali?» Chiese con tono da finto inorridito, facendo arrossire la ragazza per l'imbarazzo. «Non sapevo in quale altro posto nascondere la tua roba.» mormorò, prendendo la sua sacca dall'armadio. «La prossima volta, fai portare la tua roba in un orario decente, invece che in piena notte.»
L'altro alzò la mano, in segno di resa. «Hai ragione, ma non ho trovato momento migliore se non quando tutti dormono.»
«Sì, a cominciare da me» gli rispose lei irritata, lanciandogli la sacca. «Lopex ti sta aspettando in biblioteca» lo informò, andando verso la porta. «Ovviamente chiuderò la porta affinché nessuna traccia venga eventualmente scoperta, se non prima da me.»
Stava già per togliersi la giacca quando, sentendo l'ultima frase, si voltò verso di lei con un sorriso ironico. «E, di grazia, da dove dovrei raggiungere la biblioteca?»
Renée gli rivolse un sorriso dolce. «La mia stanza coincide con la biblioteca. Sei abile sui tetti, no?» Disse per poi chiudere a chiave la porta.
Cédric rise di gusto per la prima volta da quando era lì dentro, spogliandosi e mettendo tutto nella sua sacca. Mise i suoi abiti da bandito e la sua maschera. Uscì dalla finestra, scavalcando senza grosse difficoltà le varie finestre, fino a che non si ritrovò nella biblioteca da Renée segnata. Notò che era aperta. "Ottimo, Renée" Pensò, entrando e facendo quanto più silenzio possibile, nella stanza illuminata solo da una lampada.        Aderì alla parete, stando nella zona più adombrata, notando Lopex alle prese con i liquori. Con i suoi vestiti raffinati e i suoi gioielli vistosi, non aveva mezzi termini per mostrare le sue ricchezze. Lo vide sorseggiare un bicchiere di vino, come se fosse acqua. Era il momento di uscire allo scoperto. «Vedo che ve la passate bene, Lopex.»                                            Quest'ultimo rischiò di soffocare, versando un po' di vino sul tappeto pregiato del Conte e sui suoi abiti. «Chi ha parlato?» gracchiò, guardandosi intorno. Cédric si avvicinò affinché la luce lo illuminasse.                                                 L'altro strabuzzò gli occhi, cereo in viso. «Un bandito? Cosa ci fa un bandito dentro la residenza del Conte?» fece qualche passo, in direzione della porta. Ma venne bloccato quando vide una pistola, fuoriuscire dalla giacca del Bandito. «Vi conviene non muovervi.»
Anche con la lieve luce, poté notare il viso dell'uomo farsi cereo dalla paura. «Cosa volete da me? Non sono io il padrone di questa casa, non sono il Conte!» Urlò, ormai preso dal panico.
Cédric non sapeva se riderne o esserne disgustato dalla reazione del nobile. Erano solo una mandria di smidollati, con la sola fortuna di essere nati sotto una buona stella e di sfruttare i loro doni in modo errato. Non meritavano alcuna pietà.
«Oh davvero? Non importa, vorrà dire che dovrò accontentarmi di te.» disse con un mezzo sorriso.
L'altro aderì con le spalle alla libreria, agitando la testa. «No, no, stammi lontano.» Afferrò alla svelta un libro, lanciandolo nella direzione del Bandito, mancandolo.
Cédric guardò il libro lanciato, cadere a poca distanza da lui. «Stai tranquillo, non voglio ucciderti.» mormorò, disgustato ancor di più da quell'uomo.
«Sono qui per prendere ciò che avevi promesso, ma che non hai ceduto.»
L'uomo sgranò gli occhi per la sorpresa, data la consapevolezza che non l'avrebbe ucciso. «Cosa, cosa? Dimmi qualunque cosa e te la darò.»
Con la pistola, il Bandito indicò la pietra preziosa che adornava il fazzoletto del nobile. «La tua disponibilità è molto apprezzata. Dammi quel rubino.»
L'altro strabuzzò gli occhi, per poi toccare la pietra con una certa esitazione. «Non potremmo accordarci in un altro modo? Ti darò del denaro e...» si zittì all'istante non appena il Bandito mosse il dito indice, in segno di negativa.
«Sono io che detto le regole del gioco.»

Isabelle non vedeva l'ora che quella serata finisse. Era uscita in terrazza per prendere un po' d'aria e riprendersi dallo stato iniziale in cui si era trovata, quando aveva visto quell'uomo. A pensarci di nuovo, sentiva una stretta al cuore. Per un attimo aveva davvero pensato che fosse lui... scosse la testa con rabbia.
Non voleva più pensarci. Domani aveva una cosa importante da fare, qualcosa che avrebbe potuto rivoluzionare davvero tutto per lei.
Isabelle ne era più che sicura e niente doveva abbassarle l'umore, neanche la delusione ricevuta. L'unica cosa che le dispiaceva era dover continuare a mentire ai suoi genitori, ma sapeva che non era il momento, non ancora.
«Contessina Mureau?»
Isabelle voltò il viso in direzione della voce, trovandosi all'entrata della sala, un giovane uomo dai capelli biondi dalle sfumature rosse e con due colori caldi dal colore del miele. Tutto accompagnato da un sorriso carismatico che in quel momento era rivolto a lei.
Il suo sorriso era così contagioso da farlo nascere anche in lei. «Marchese Caron. Che piacere vedervi qui.» L'uomo si avvicinò a lei, mettendosi al suo fianco. «Perché tante formalità? Pensavo fossimo.. buoni conoscenti?» scherzò.
Isabelle rise, sentendosi un po' meglio. Era sempre così quando stava in compagnia del Marchese. Lo aveva conosciuto due anni prima ad un ricevimento, poiché era stato all'estero, per sposare la sua promessa. Purtroppo quest'ultima era fuggita con un altro dando un grosso scalpore. Solo nell'ultimo anno i due si erano conosciuti meglio e tra i vari ricevimenti era iniziando un bel rapporto d'amicizia.
«Sapete benissimo che vi considero un amico» gli disse mentre si avvicinava al suo fianco. «Vi credevo fuori città.»
Il marchese annuì. «Sì, lo sono stato, ma sono tornato proprio stamattina.» all'improvviso le prese la mano avvicinandola alle sue labbra, sotto lo sguardo sorpreso di Isabelle. «Ma non potevo resistere dal rivedervi. Anche solo per pochi giorni, ho sentito la mancanza della vostra piacevole compagnia.»
Isabelle sentì le guance in fiamme, piena d'imbarazzo per le parole e il gesto dell'amico. Sapeva che era solito scherzare, perciò non avrebbe dovuto reagire in quel modo, ma a volte riusciva a metterla a disagio. Allontanò la mano con un sorriso. «Come al solito vi divertite a mettermi in imbarazzo con in vostri atteggiamenti da finto libertino.» L'uomo sembrò apparentemente sorpreso dalle sue parole e, forse leggermente infastidito. 
Isabelle non ebbe modo di analizzare la sua espressione, poiché qualcuno dalla sala richiese l'attenzione del Marchese. Quest'ultimo fece un sospiro annoiato, lanciandole un'occhiata divertita. «Il dovere mi chiama. Perdonate.» fece un breve inchino e si allontanò, entrando in sala. La donna lo guardò entrare dentro per poi scuotere la testa, dandosi della sciocca per i suoi penserei poco realisti. Il Marchese era stato da poco meno di un anno abbandonato dalla sua fidanzata, che, dalle sue parole, tanto amava. Non poteva certo dimenticarla dall'oggi al domani come se niente fosse.
Non avendo ancora voglia di entrare in quella sala calda e affollata, decise di scendere dalle scale della terrazza e di dirigersi nei giardini, apprezzando la natura intono a lei, piena di piante e alberi.
Il vento leggero, che le accarezzava i capelli sulla fronte e il silenzio della notte accompagnato dai piccoli animali che il giardino ospitava, era molto più di suo gradimento.
Si fermò lasciando che la natura l'avvolgesse, che rilassasse la sua mente, poiché ne aveva bisogno per sopportare la vita che a volte sentiva che non le apparteneva.
Il silenzio del luogo fu presto interrotto da suoni esterni. Il rumore di scarpe sul suolo, in alta velocità. Isabelle sgranò gli occhi guardandosi intorno. Ma non vide nessuno, anche se buio poteva ben distinguere le sagome degli alberi e anche quelle di una persona se mai ci fosse stata, ma lì non riusciva a vedere quest'ultima. «Eppure avrei giurato di aver sentito quel rumore.» mormorò. Forse era meglio ritornare in sala. Quel luogo, che poco prima le aveva dato pace, adesso le metteva i brividi. Aveva la sensazione di essere osservata.
Indietreggiò per poi aumentare il passo, quando sentì una mano cingerle il gomito. Istintivamente un urlo stava per uscirle dalla gola quando le labbra vennero tappate da un'altra mano. Il cuore le cominciò a battere più forte per la paura. No, non un'altra volta.
Gemette sentendo le lacrime agli occhi. «Shh. Non ti farò niente di male». Inizialmente la voce la fece sussultare. Chi era? Non la riconobbe e di certo non la rese più tranquilla. Cominciò ad agitarsi, ma il suo bracciò cominciò a cingerla e a stringerla al petto di colui che la teneva. «Ti lascerò in pace, ma ho bisogno che tu faccia silenzio, prima che...»
Il suono di voci cominciò ad arrivare, avvicinandosi sempre di più.
Isabelle sentì l'uomo sospirare, frustrato. «Maledizione.» disse, prima di trascinarla tra gli alberi, nella zona più buia, non con una certa difficoltà giacché Isabelle continuava ad agitarsi. Dopo essersi nascosto dietro un enorme quercia, la voltò verso di lui, così che lei ebbe modo di vederlo. O meglio, ciò che poteva vedere. L'uomo era completamente vestito di nero, dai guanti alla giacca e alla bandana che copriva la sua fronte. Solo la maschera, bianca, spiccava in quel travestimento. Un ladro? E adesso che lei lo aveva visto l'avrebbe uccisa? Chinò la testa, sentendo le lacrime agli occhi, cercando di controllare il tremore. Nel sentire le mani dell'uomo, coperte dai guanti, ebbe un sussulto. «Non ti agitare ragazzina, non voglio farti del male. Ho solo bisogno che tu faccia silenzio. Purtroppo hai scelto un momento sbagliato per fare una passeggiata» disse, per poi voltare il viso, nella direzione in cui aveva sentito i suoni. Isabelle era a dir poco sconvolta. Sbaglio o quell'uomo, che doveva essere in teoria un ladro e chissà cos'altro, l'aveva a modo suo rassicurata?
Perché farlo? Per fare in modo che stesse calma per poi, al momento giusto ucciderla? Non poteva fidarsi delle sue parole. Infatti quando notò che il suono dei passi e delle voci si era fatto più intenso, cominciò ad agitarsi e a muoversi verso loro, cogliendo di sorpresa il ladro.
Quest'ultimo però non era uno sprovveduto e fu lesto a riprenderla e a stringerla a sé, cercando di farla tacere. «Lasciami andare!» Urlò Isabelle, presa ormai dal panico. Riuscì a liberarsi la mano per colpirlo in viso, rialzando la maschera, lasciando scoperto metà del suo volto. Lo vide digrignare i denti, notò una dentatura lineare e un mento rasato con un principio di barba.
L'uomo le afferrò con una mano entrambi i polsi e con l'altra le cinse la vita, stringendola a sé. «Bene, mademoiselle, se non riuscita a stare ferma e in silenzio, non mi lasciate altra scelta.»
«Che intenzioni avete, mascalz...» il suo insulto dovette interrompersi quando le labbra dell'uomo si posarono su di lei.
Isabelle sgranò gli occhi allibita. Non si sarebbe mai aspettata un gesto del genere da parte di quell'individuo e la cosa che più la sconvolse fu il piacere che provò in quel loro movimento di labbra. Il cuore le batteva come un tamburo e non più per la paura, ma per ciò che le suscitava. Sentì la mano dell'uomo farsi meno ferrea sulla sua vita e muoversi come una carezza. Sarebbe stato il momento giusto per allontanarsi, ma non ci riusciva.
Non capiva, ma improvvisamente sentì un calore invaderle il corpo. Nel sentirla più cedevole, lui le lasciò i polsi e con l'altra mano le cinse la schiena e lei ebbe modo di poggiare le mani sul suo petto, dove potè sentire la sua muscolatura e il cuore... accelerato come il suo.
Sentì un freddo improvviso, mentre lui si scostava velocemente da lei, sistemandosi la maschera. Attraverso i fori degli occhi, anche senza aver modo di vedere il loro colore per via del buio, poté notare un luccichio che prima le era sfuggito.
Alzò la mano verso la maschera, desiderosa di vederlo in viso e vedere i suoi occhi, ma lui si scansò repentino. Diede un occhiata in giro, per poi rivolgersi a lei. «Grazie per il tuo... silenzio.» disse con una certa esitazione, per poi allontanarsi a grossa velocità.
Isabelle non lo seguì neanche con lo sguardo. Mise una mano sulle labbra sentendole ancora calde. Cos'era successo? Improvvisamente tutti i rumori ricominciarono a entrare nella sua testa e poté sentire le voci agitate degli ospiti in sala fin lì.
Quell'uomo aveva scombussolato un'intera sala piena di gente. 

E non solo loro.

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