Capitolo 11



«Cosa intendete con agire?» Isabelle sentì le mani tremare per la paura, ma comunque cercò di mantenere il controllo della situazione. In fondo era una signora e doveva mantenere una certa calma e compostezza. Un colpo di sparo colpì la carrozza facendola urlare per lo spavento, mentre Cèdric, svelto, l'afferrò e la distese sul fondo della carrozza. «Sono impazziti?» Urlò lei, non riuscendo a trattenersi. «Perché sparare in quel modo? Se vogliono il denaro perché non fermare la carrozza dal momento che hanno colpito il povero cocchiere. Oh no!» Esclamò, realizzando solo in quel momento che il cocchiere era ferito, o peggio morto, sollevandosi per cercare di contattarlo attraverso il divisorio. «State giù, accidenti!» La bloccò Cèdric all'istante, lanciando occhiate di fuoco verso l'esterno. «Devo controllare all'esterno.»
«Cosa? Non potete, sarebbe un suicidio!» Cercò d'impedirglielo, non appena ebbe pronunciato quella sciocchezza.
La carrozza prese una buca o una pietra molto grossa poiché, a causa della velocità, si sollevarono dal pavimento per poi ricadere in malo modo. «Preferite continuare questa corsa assurda, consapevole che la carrozza non è condotta da nessuno?» Le domandò ironicamente, gemendo nel sollevarsi. «Non fate sciocchezze e rimanete distesa qui» Le ordinò mentre si preparava per uscire. Isabelle lo linciò con gli occhi, furiosa del suo atteggiamento. «Bene! Fate quello che volete, almeno potrò dire di aver sentito le vostre parole scorbutiche un'ultima volta!» Proruppe, dandogli le spalle.

Lo sentì sospirare pesantemente per poi mormorare uno sciocca ragazzina, prima di sentire lo sportello aprirsi. Non riuscì a resistere e, presa dall'impulsività, si voltò giusto in tempo per vederlo uscire, aggrappandosi al tetto, mentre la sua giacca svolazzava a causa della velocità del veicolo. Una ruota prese l'ennesima buca e Isabelle sentì per un momento il cuore uscirle dal petto, nel vederlo in difficoltà, mentre raggiungeva il cocchiere. «Maledetti bastardi!» Lo sentì inveire, molto probabilmente contro i banditi, e per una volta non se la sentì di biasimarlo per il suo linguaggio.
Nel frattempo, quest'ultimo riuscì ad arrivare al lato del cocchiere che, poveretto, stava cercando con disaerazione di mantenere in mano le funi, mentre del sangue cominciava a colare sul braccio destro. «Monsieur...» Non appena si accorse della presenza di Cédric fu un sollievo e una liberazione dato che lasciò che prendesse le funi e si lasciò andare, svenuto. «No, no, no! Non potete svenire proprio adesso, maledizione!» Non gliene andava dritta nessuna quel giorno. Aiutò l'anziano uomo a sedersi affinché non cadesse, cercando di riprendere il controllo dei cavalli. Nel frattempo, il rumore di altri zoccoli sul terreno risuonarono nell'aria. Cédric diede una leggera occhiata dietro di sé e intorno, notandone due tra gli alberi alla sua destra. Bene, pensò sentendo la rabbia invaderlo, era pronto al fuoco. Mise una mano dentro la sua giacca, tirando fuori una pistola. Isabelle non avrebbe visto niente e non appena avrebbe sentito il suono di spari non avrebbe osato uscire per dare una veloce occhiata. Aspettò il momento giusto, facendo in modo che pensassero che fosse disarmato e che il suo unico obbiettivo fosse quello di scappare.
Non appena uno dei più coraggiosi osò mettersi sul suo campo visivo, colpì! Lo sparo colse alla sprovvista, non solo colui che aveva colpito, ma anche gli altri intorno a loro. Beccatevi questa!
Ma dopo l'iniziale sorpresa, i banditi furono ancora più feroci. I loro colpi non volevano solamente fermare la carrozza, loro volevano ucciderli!
Essendo uno di loro, sapeva benissimo che quella mossa era a dir poco folle, la maggior parte dei banditi non uccideva, al massimo feriva coloro che volevano rapinare. Sapevano tutti la pena che gli sarebbe capitata se fossero stai presi. La pena di morte.
Quei tizi erano folli, o c'era qualcos'altro sotto?
Un altro sparo risuonò vicinissimo alla sua testa. Non era il momento di pensare a quello, se volevano rischiare la morte allora gliel'avrebbero data con piacere lui.
Isabelle si aggrappava con tutte le sue forse sul sedile morbido, chinando più che poteva la testa affinché i colpi di pistola non gli rompessero i timpani. Aveva paura per Cédric.
Era vero che da piccolo aveva vissuto per strada e circondato da gente di quello stampo, ma ormai non era più così e il timore che potessero colpirlo l'angosciava.
Con esitazione, si avvicinò verso il finestrino di destra, abbassandosi il più possibile col petto sul sedile. Non appena fu vicina, alzò leggermente il viso per vedere l'esterno. All'improvviso una mano spuntò dal nulla, posandosi sullo spazio dato per vedere l'esterno.
Isabelle urlò per lo spavento, notando per prima la testa del cavallo e poi quella del mezzo viso del bandito, coperto da una bandana.
Inizialmente sgranò gli occhi, paralizzata per la paura, vedendo prima uno sguardo di sorpresa diventare avido. Lo vide poi armeggiare con la mano all'interno per afferrare le sue gonne e, d'istinto, Isabelle prese la sua borsetta e cominciò a colpire la sua mano. «Via, molla subito!» Ma notò che non facevano effetto su di lui, tant'è che riuscì ad afferrare l'orlo del suo abito. A quel punto, presa dalla disperazione, Isabelle prese la sua scarpetta e con il tacco colpì con tutte le sue forze la sua mano. «Ho detto di mollare, bifolco!» Urlò con tutto il fiato che aveva e finalmente l'uomo mollò la presa con un urlo di dolore. Finalmente la carrozza riuscì a lasciarlo indietro e subito dopo uno sparo, seguito da un urlo risuonò nell'aria.
Cos'era successo? La voce non sembrava quella di Cédric, o almeno credeva. Isabelle andò dall'altra parte della carrozza colpendo il tettuccio con tutte le sue forze. «Monsieur Arsènè!»
«Tenetevi stretta contessina! Farò una deviazione turbolenta» lo sentì urlare.
Una deviazione turbolenta? Cosa intendeva? Voleva sapere che cosa stava combinando, ma il suo istinto le diceva di fare come l'uomo aveva detto e si mise sul sedile tenendosi più forte che poteva.

Improvvisante lo sentì chiamare i cavalli e subito dopo venne sbalzata da una parte, mentre la carrozza compiva una roteazione. Gli spari continuavano , anche se sempre più in lontananza, mentre diversi rami colpivano la diligenza facendole temere che si sarebbe distrutta davanti ai suoi occhi. Dall'interno poté percepire quante deviazioni il suo conducente stava compiendo, tutto colmato da vari suoni di pistole, rami e buche sul terreno che le ruote sembravano tenere a non mancarne nemmeno una. Era un vero caos.
Fu starno per lei, ad un certo punto sentire il silenzio. Nessun colpo, nessun sparo.
E la cosa la preoccupò a morte.
«Monsieur, state bene?» Chiese sbattendo sul tettuccio. Nessuna risposta. Colpì e richiamò ancora, ma niente.
A quel punto, terrorizzata, urlò senza riuscire a trattenersi. «Cédric!»
Passarono altri venti secondi fino a che, ormai in lacrime, ottenne risposta. «Vi avevo già sentito le prime volte, principessa.»
Il sollievo fu così grande che Isabelle si accasciò sul sedile. Per fortuna stava bene, pensò con gioia, ricominciando a respirare.

«State bene?» Lo sentì gridare dall'esterno e, dopo l'iniziale paura, subentrò la rabbia. «Sto bene, accidenti a voi! Mi avete spaventato, perché non avete emesso suono fin da subito?» Gli urlò, sollevandosi di nuovo come se avesse avuto una molla.
Avrebbe giurato di averlo sentito ridere, cosa che aumentò la sua ira. «Scusate mademoiselle, ma dovevo accertarmi di averli finalmente seminati e credo proprio di esserci riuscito. E poi avevo voglia di sentire la vostra voce gridare il mio nome» la beffeggiò, alla fine.
Isabelle sbuffò mentre iniziava a guardare verso l'esterno, meravigliandosi nel notare che effettivamente non udiva alcun suono dei banditi con i loro cavalli e soprattutto nel constatare che avevano ripreso una strada principale. «Siete davvero sicuro? Io ho sentito spari e urla e voi eravate senza armi. E poi come sapevate quale direzione prendere...»
«Il nostro cocchiere è stato colpito. Dobbiamo dirigerci velocemente in una locanda di mia conoscenza.» Disse improvvisamente, cogliendola di sorpresa.
«Oh, no! Spero che non sia troppo grave» preoccupata per il povero uomo, dimenticò il resto.
«Non credo sia grave, ma dobbiamo mantenere un'andatura veloce se non vogliamo che muoia dissanguato. Quindi reggetevi forte, principessa.»

In poco tempo riuscirono a raggiungere i confini di Parigi, inoltrandosi in una via imboscata. Isabelle non aveva ancora metabolizzato ciò che era successo e si sentì sorpresa e disorientata quando finirono in una locanda in mezzo al bosco. Notò che sembrava parecchio affollata, e all'esterno molta gente stava sistemando dei tavoli in legno lunghissimi. «E' questa la locanda? Sembra parecchio affollata, oltre ad essere parecchio lontana dalla città» disse, stranita, dalla finestrella. «Come sta il cocchiere?»
Lo sentì borbottare sottovoce prima di rispenderle. «Avevo dimenticato della festa che compiono ogni anno in questo periodo natalizio, dannazione! Per quanto riguarda il cocchiere è rimasto svenuto per tutto il viaggio. Ho fasciato la sua ferita affinché non perdesse sangue.»
Sembrava conoscere bene quel luogo, giacché girò intorno alla locanda senza alcuna esitazione, arrivando alla porta laterale dove stava anche la stalla.
Cédric si adoperò immediatamente per aiutare il cocchiere a scendere dalla carrozza, così come fece anche Isabelle, non resistendo più lì dentro.

Poco dopo uscì dalla locanda un uomo alto e robusto, dai capelli neri brizzolati, e si diresse immediatamente verso di loro. «Cédric! Cos'è successo?» Chiese sorpreso, mentre correva verso di loro.
«Dici sempre che non vengo a trovarti spesso ed eccomi qui.» Ironizzò il giovane, mettendo il braccio del cocchiere intorno alla sua spalla, come sostegno. «Siamo stati attaccati dai banditi e il nostro cocchiere è stato colpito.»
Isabelle, dietro di loro, poté notare lo sguardo dell'uomo di fronte a Cédric farsi corrucciato. Lo aveva chiamato per nome notò, ciò significava che avevano una confidenza maggiore di un semplice cliente della locanda? Notò il locandiere lanciarle un'occhiata. Cédric seguì il suo sguardo e fece un sospirò stanco. «E' una storia lunga, che ne dici di occuparci di una cosa per volta? »
Poco dopo l'uomo richiamò due dei suoi collaboratori che si adoperarono a portare il cocchiere in una stanza, mentre il trio lo seguiva dentro la locanda.
«Provvederò affinché il cocchiere venga visitato. Se volete mademoiselle, potete rinfrescarvi in una delle nostre stanze. Non deve essere stato facile» propose gentilmente il locandiere. «A proposito, io sono Claude, il padrone di questa locanda. Sentitevi a proprio agio, mentre provvederò affinché una mia collaboratrice venga a portarvi un vestito più comodo.»
Isabelle diede un'occhiata veloce al suo abito, comprendendo che il suo dire di vestito comodo era un modo educato per disfarsi del suo ormai malridotto.
«Vi ringrazio, monsieur Claude. Ma in realtà dovrei tornare immediatamente in città. I miei genitori saranno preoccupati e...»
«Ho fatto in modo di provvedere anche a questo con la marchesina» la fermò Cédric, mettendole una mano sulla spalla. «Se non ci avese visto comparire entro sera, per qualsiasi ragione in particolare, avrebbe provveduto a scrivere una lettere ai tuoi genitori. Per prevenzione è meglio passare la notte qui.»
Isabelle lo fissò con occhi sgranati. «Cosa? Non posso, quale scusa potrebbe mai inventare la Marchesina e poi...»
«Preferite tornare in queste condizioni?» la interruppe lui freddamente, indicando i suoi abiti e i suoi capelli.
Isabelle fu disturbata da quelle parole, oltre che imbarazzata, dato che il locandiere era di fronte a loro.
«Bene, alloggerò qui per stanotte. Spero solo che la vostra amica abbia una buona immaginazione.» Detto ciò, girò i tacchi e salì in fretta le scale, non prima di aver fulminato con gli occhi Cédric.
Fu accompagnata velocemente da una delle cameriere di sopra, mentre il duo rimaneva immobile fino a che non scomparve.
Dopo di che, lo sguardo gentile del locandiere divenne furioso, mentre si voltava verso Cédric. «Dovrai spiegarmi molte cose.»
Il giovane fece un sospiro profondo, sedendosi sulla prima sedia vicina che trovò. «Sto quasi per farci l'abitudine.»



Insolente, maleducato, bifolco, per niente gentiluomo!
«Mademoiselle?»
Avrebbe continuato all'infinito a elencare tutti i difetti di quell'uomo se non fosse che nella sua testa piena di irritazione, trattenuta a malapena, la voce della cameriera si era inoltrata per attirare la sua attenzione. «Oh, mi dispiace. Stavate dicendo qualcosa?» Mormorò in fretta, Isabelle.
La donna dai capelli castano scuro, sorrise divertita. «La vostra mente sembrava essere in un altro mondo. La vostra espressione era simile a quella del nostro Claude dopo una conversazione con monsieur Arsènè.»
Isabelle fissò la donna, che in quel momento le stava racconciando i capelli in modo semplice, attraverso lo specchio. «Conoscete bene monsieur Arsènè? »
L'altra sembrò pensarci un po', prima di rispondere. «Lavoro in questa locanda da molti anni e per quanto abbia visto monsieur Arsènè molte volte, non credo di conoscerlo così bene. Sapete ha un carattere piuttosto difficile da approcciare.»
Non ne aveva dubbi, pensò Isabelle ancor più irritata.
«E' un tipo molto chiuso e poco espressivo, l'ho visto cambiare d'espressione solo in compagnia di Claude.»

«Hanno un rapporto così intimo?» Chiese stupita Isabelle, sorpresa da quella rivelazione. Non l'avrebbe mai immaginato ma forse quella locanda poteva darle diverse informazioni sull'uomo che era diventato Cédric.
«Oh sì, inizialmente ho pensato che fossero padre e figlio, ma anche dopo essermi resa conto che non era così, è innegabile l'affetto che provano l'uno per l'altro a prescindere dai loro battibecchi.»
Isabelle avrebbe voluto chiederle tante altre cose, ma sfortunatamente la donna aveva finito di acconciarle i capelli. Si sollevò e fissò il suo riflesso sbalordita da ciò che vedeva.
Il suo abito di seta con pizzo era stato sostituito con una gonnella di cotone dal colore verde scuro e camicia bianca con un bustino e un giacchetto corto in vita. I suoi capelli erano acconciati con una treccia morbida in alto e qualche ciocca sfuggente sulla fronte e sul collo. In quel momento non era più una Contessina, con dei doveri da rispettare. Non c'erano obblighi ne espressioni da mantenere davanti all'alta società. Era una semplice donna. Semplicemente Isabelle.
«Mademoiselle preferite che vi acconci in modo più elaborato i capelli? Purtroppo per gli abiti non posso fare molto ma...»
«No, vi prego» La interruppe Isabelle, continuando a guardarsi negli occhi. «E' perfetto.»


«Quindi ricapitolando: Hai baciato, travestito da bandito, la figlia dell'uomo che hai rapinato e umiliato, la stai aiutando con una situazione disdicevole, siete alla ricerca dei genitori di lei e come informazione avete solo dei biglietti e il ragazzino che li consegnava.... Ah, l'avete portata persino all'orfanotrofio.» La voce di Claude era assolutamente mite, seduto dall'altra parte della scrivania, con Cédric di fronte anch'egli seduto.
Entrambi si trovavano nell'ufficio di Claude, dove solitamente si riunivano per parlare con tranquillità e fuori da orecchie indiscrete.
«Hai dimenticato di aggiungere la spiacevole crisi avuta non appena ha visto la casa bruciata» ricordò il giovane, oscillando con due gambe dalla sedia in cui era in quel momento seduto.
«Oh, ma certo, come dimenticare» disse l'altro in tono sommesso.
Due mani robuste colpirono con forza la scrivania di legno, rimbombando con forza. «Sei un idiota!»
L'urlo di Claude risuonò per tutta la stanza, probabilmente anche dall'esterno.
Cédric, abituato da tempo alle esplosioni di rabbia dell'uomo, non emise un suono né si scompose, restando in attesa.
«Come ti è saltato in mente di fare una sciocchezza del genere? Non solo hai baciato quella fanciulla in circostanze a dir poco inadeguate, ma le hai fatto conoscere aspetti della tua vita che potrebbero rivelarsi fatali per il tuo segreto.»
L'altro sospirò, esasperato da quell'eccesiva reazione. «Ho reagito d'impulso, quella principessa avrebbe fatto tutto da sola e sarebbe già morta a quest'ora. Dovresti essere fiero di me e non farti gonfiare le vene per la rabbia» cercò d'ironizzare lui.
Claude si alzò, muovendo il dito indice verso di lui. «Per prima cosa, chiamala con il rispetto dovuto. E' una Contessa, non dimenticarlo, quindi la situazione è ancora più grave.» Non resistendo più, girò intorno alla scrivania, facendo avanti e indietro per la stanza. «Non nego il fatto che il tuo sia stato un gesto apprezzabile, nel volerla aiutare, ma non mettendo così a rischio la tua identità, zuccone» Spiegò il suo punto di vista Claude.
Cédric mormorò a denti stretti un imprecazione. Sapeva di aver commesso un errore aiutandola e entrando in stretto contatto con lei, ma non immaginava che la situazione si sarebbe aggravata in quel modo.

Claude sembrò percepire qualcosa, giacché smise di camminare e lo fissò con i suoi occhi neri e saggi. «Cos'altro è successo.»
Il giovane mise una mano sulla spalla ferita, ricordando l'avvenimento dell'altra sera. «C'è una possibilità che una mia vecchia conoscenza sia ritornata» mormorò.
L'altro sgranò gli occhi per la sorpresa. Da anni non parlavano del suo passato, chiuso da quando ne avevano parlato quand'era un adolescente. «Cosa te lo fa credere?» Chiese, stringendo gli occhi pensieroso.
Cédric lo fissò dritto negli occhi, esprimendo tutta la rabbia e il rancore trattenuti. «Molti bambini ultimante sono scomparsi.» Bastò quello per schiarire del tutto i dubbi. Claude strinse con rabbia le mani. «Com'è possibile?»
Cédric si ritrovò a raccontare anche la faccenda della bambina e della conversazione spiata, tra i due uomini di quella notte. «L'hanno ucciso prima ancora che potesse darci delle informazioni valide» continuò Cédric, teso. «Ho cercato di acciuffare l'assassino, ma sono stati più furbi di me» mormorò a denti stretti. Non gli piaceva perdere e trovarsi in quella situazione l'aveva reso furioso.
«Claude quell'uomo mi conosceva» disse a bruciapelo alzandosi, sentendo un senso di inquietudine. «Sapeva chi ero, nonostante la maschera. Mi ha chiamato sfregiato» specificò, dato lo sguardo dubbioso dell'altro. «Non può essere una coincidenza» decretò alla fine.
Claude si oscurò in viso, abbassando lo sguardo e riflettendo.
«Non può essere una coincidenza» ribadì Cédric con calma. «Il rapimento dei bambini, il fatto che quel tipo conoscesse la mia identità...»
«Com'è possibile che sia di nuovo lui?» Lo fermò Claude, ancora incredulo. «Sapevo che fosse andato lontano da qui, perseguitato dalle guardie. O meglio, che fosse morto da qualche pezzo durante la guerra...»

«Non avrebbe mollato la preda così tanto facilmente.» Cédric respirò profondamente, non sentendo per niente diminuire la tensione dopo aver parlato dei suo dubbi a Claude.
Claude a quel punto lo afferrò per le spalle. «Adesso, allora, mi trovo più che mai nelle circostanze di incoraggiarti a parlare con Duval. Il suo appoggio potrebbe essere di vitale importanza.»
Sentendo quel nome, Cédric strinse gli occhi pieni di rabbia, scostando le sue braccia da lui. «Non nominare quel nome! Non voglio sapere niente di loro, per me sono solo un interesse per i miei scopi» precisò con fervore.
Anche l'altro non cedette, continuando a dire la sua. «E cosa vuoi fare da solo, sentiamo!»
«Ho abbastanza denaro per poter fare qualcosa...»
«Qui il denaro servirà a poco! Hai bisogno di un aiuto più concreto, devi fidarti di loro e dirgli tutto...»
«No!» La voce di Cédric era mite, ma fu come se avesse urlato, mentre il suo sguardo blu diventava quasi nero dalla rabbia. «Non immischierò nessuno di loro. Non ho bisogno della loro pietà o dei loro sospetti.»
Strinse la mandibola, cercando di mantenere la calma ma con scarsi risultati. Ogni volta cercava di mantenere la calma come poteva, per paura che l'oscurità dentro di lui prendesse il sopravvento. Ma ogni giorno diventava sempre più difficile controllarsi!
Quand'era ragazzino si era ritrovato più volte a non riuscire a controllare la sua rabbia e spesso, nelle litigate e azzuffate con altri ragazzini, aveva rotto qualche osso a chi lo provocava volontariamente, pagandone le spese Claude e assumendosi le responsabilità di averlo accolto in caso sua.

L'uomo dal canto suo, prendeva le conseguenze dei suoi gesti e di ritorno a casa invece di picchiarlo o cacciarlo via, come sarebbe stato sensato fare, ascoltava le sue ragioni. Ma non si limitava a questo, spesso e volentieri si ritrovava in punizione facendo dei lavoretti massacranti per il fisico, allora più gracile. Lo faceva pulire le stalle tutto da solo o tagliare la legna e pulire la locanda da cima in fondo. Così facendo, scaricava anche la sua tensione e a volte anche la sua rabbia trattenuta a stento.
Claude aveva fatto tutto ciò che poteva, nonostante non fosse suo figlio e nemmeno suo parente, aiutandolo incondizionatamente, nonostante sapesse del suo passato. Ma adesso era un adulto e lui non poteva più fare molto per lui. Doveva farcela da solo.
Si alzò dalla sedia dirigendosi verso la porta. «Dove stai andando, non abbiamo ancora finito di parlare...»

«Io ho terminato» lo fermò Cédric, non resistendo più lì dentro. La mano forte di Claude l'afferrò, voltandolo verso di lui. «Adesso tu mi ascolterai invece, so cosa stai pensando, razza d'idiota, ma non è così che risolverai i tuoi problemi. Ti ho allevato come se fossi mio figlio e non permetterò che tu...»
Prima ancora che se ne rendesse conto, Cédric l'aveva afferrato per il colletto e sbattuto al muro con forza.
«Io non sono tuo figlio!»

L'urlo rimbombò colpendo come una lama sul petto entrambi gli uomini.
Rendendosi conto dell'azione troppo tardi, Cédric mollò all'istante la presa sull'altro e si allontanò di qualche passo.

Il suo respiro era ansante mentre abbassava lo sguardo, non avendo il coraggio di incrociare quello di Claude. «Io sono figlio di Lucien Duval. Anche se lui non mi allevato come tale, il suo sangue scorre nelle mie vene. Lo sento dentro di me!» Urlò, sbattendo una mano sul petto. «Sto trattenendo da troppi, troppi anni questa intensa rabbia, che mi assorbe completamente. Sono consapevole che prima o poi uscirà dando vita al mostro che in realtà sono.» Non poteva cambiare la sua natura, ne impedire che si evolvesse sempre di più. Per anni aveva fatto finta di niente, pensando che ignorandola potesse col tempo andare via. Ma non era successo. Era viva e intensa, pronta ad esplodere da un momento all'altro.
«Mantieni le distanze da me. Te lo dico per il tuo bene, Claude.» Uscì velocemente da quella stanza, da quella locanda in cui per anni aveva vissuto dei momenti felici. Ma non aveva mai dimenticato chi fosse, neanche per un secondo.
S'inoltrò nel bosco dove poté sentire finalmente la sensazione di oppressione al petto allentarsi. Aveva cercato di distanziarsi da tutti coloro che aveva amato come poteva, preferendo che lo vedessero come uno a cui chieder aiuto e sostegno quando ne avessero bisogno, ma continuando a mantenere una certa distanza da lui. Lo aveva fatto con Claude e anche con Inés, per quanto l'avesse amata. Lei lo aveva capito e accettato, non pretendendo niente da lui e in cambio aveva ricevuto da Cédric assoluta fedeltà, protezione e affetto. Rivide l'espressione di Claude, il suo sguardo sorpreso, allibito e... la paura.
Imprecando ferocemente, mise le mani sul tronco di un albero poggiando tutto il suo corpo e chinando la testa. Non si può cambiare la propria natura.


«Una proposta di matrimonio?» Isabelle non riuscì a trattenere l'emozione e la sua voce risuonò più squillante in cucina.
Annie, la donna che l'aveva aiutata ad acconciarsi e vestirsi le fece segno di fare silenzio. «Vi prego mademoiselle, parlate a bassa voce» mormorò, guardandosi intorno. «Ogni anno facciamo una piccola festa con gli abitanti del villaggio qui vicino, per festeggiare l'inverno e l'inizio del natale e il nostro collega vuole prendere l'occasione in balzo per chiedere a Nina, la cameriera che vi ho presentato poco fa, di sposarlo» spiegò velocemente, per paura che arrivasse la diretta interessata. «Ma deve essere tutta una sorpresa per la sposa, non deve sospettare niente» L'avvisò, rimettendo di nuovo le mani sull'impasto a cui stava lavorando.
Sotto insistenza di Isabelle, si erano dirette nelle cucine per aiutare a cucinare per la festa di quella sera e dato che dalla carrozza aveva intuito che ci sarebbe stata una festa, aveva chiesto informazioni in più a riguardo. Ma non immaginava una proposta di matrimonio. «Tutto ciò è davvero romantico!» Esclamò Isabelle battendo le mani tra di loro, emozionata e curiosa di assistere alla scena di quella sera.
Annì sorrise, notando l'allegria contagiosa della donna. «Oh mademoiselle, la pentola!»
Isabelle si era dimenticata di controllare la pentola che le era stata assegnata come aiuto in cucina e adesso del fumo nero stava uscendo da lì dentro. La giovane ritornò alla realtà immediatamente e con un urlo corse a togliere il coperchio, prendendo uno strofinaccio. Il fumo invase l'intera cucina e tutte cominciarono a tossire a raffica, sentendo l'aria mancare. Aprirono le finestre affinché uscisse.
Non appena il fumo cessò, controllarono l'interno della pentola e la crema che stava cuocendo per i dolci era ormai immangiabile.
Isabelle, mortificata, mise le mani sul viso. «Mi dispiace, mi dispiace sono una tale maldestra...» continuò a chiedere scusa fino a che le donne non la pregarono di fermarsi. «Va tutto bene, sono cose che capitano giornalmente» disse una. «Ma certo! E poi la crema è abbastanza veloce da eseguire, ci metteremo poco a rifarla» continuò un'altra.
Rassicurata, Isabelle tolse le mani sul viso, avendo però dimenticato di avere le mani nere e il suo viso aveva adesso l'impronta delle sue mani. «Davvero?» Chiese con gli occhi che brillarono ancor di più per le lacrime trattenute e il nero sul viso.
Le donne, a quella vista, non riuscirono a trattenere una risata generale fin quasi alle lacrime, sotto lo sguardo sbalordito di Isabelle.
Non appena riuscirono a fermasi le mostrarono il suo viso attraverso uno specchio. «Oh, cielo!» Se l'avesse vista sua madre, vestita da contadina e con il viso sporco in quel modo, di sicuro sarebbe svenuta all'istante così come le sue amiche. A quella scena, scoppiò a ridere di cuore anche lei, causando di nuovo l'ilarità di tutte le altre.
Fu così che le trovò Claude e, dopo uno sguardo cupo divenne sorpreso. «Cosa sta succedendo qui?»
Le donne smisero di ridere e si guardarono tutte come delle bambine che avevano commesso una marachella.
L'altro inarcò un sopracciglio, sospettoso. «Su ragazze sputate il rospo... ma, mademoiselle cosa vi è successo?» Chiese notando il viso di Isabelle.
Quest'ultima gli sorrise, a disagio. «Mi dispiace monsieur Claude, penso di non essere brava con la cucina.»
Dopo aver spiegato la situazione, Claude la invitò ad aiutarlo con l'addobbo dei tavoli all'esterno. Isabelle accettò immediatamente, anche se un po' sorpresa dell'invito.
L'uomo, a parer suo, sembrava un tipo chiuso e che con difficoltà si aveva una conversazione con lui. Infatti per più di mezz'ora nessuno emise un suono, occupati com'erano ad allestire il tutto.
Il sole stava ormai per tramontare e il freddo diventava più pungente. Il suo sguardo vagò in giro, sperando di vedere Cédric, ma non fu così.
Con la coda dell'occhio, vide Claude mettere alcuni oggetti sul tavolo, di fronte a lei. Il suo sguardo sembrava pensieroso, quasi preoccupato.
«Monsieur Claude, vi sentite bene?» Non riuscì a trattenersi lei, dal chiedere.
L'uomo sentendo la sua voce la fissò come se la stesse notando solo ora. «Scusate Contessina, volevate chiedermi qualcosa? Ero distratto.»
«Monsieur Arsènè vi ha detto di me, immagino» intuì lei. «Ma, se non vi dispiace, preferirei che non usaste il mio titolo nobiliare. Non vorrei che le altre ragazze si sentissero a disagio, sapendolo solo adesso, e in più qui non ha nessun senso.» Sperò nel profondo che la sua spiegazione fosse comprensibile per l'uomo e che non le ridesse in faccia, pensandola una povera pazza.
Ma lui non emise suono, continuandola a fissarla, come se la stesse studiando. Ciò la mise ancor più a disagio e mosse le mani a casaccio per fare qualcosa, ottenendo solo un pasticcio giacché con un movimento della mano scontrò un bicchiere che cadde a terra, rompendosi al suolo.
«Oh! Mi-mi dispiace... sono sbadata per natura...» si chinò con il viso rosso, e non per il freddo.
Dei passi risuonarono davanti a lei e si ritrovò l'uomo di fronte. Quest'ultimo le scostò le mani dai cocci, con delicatezza, raccogliendoli lui per lei. Isabelle rimase piegata di fronte a lui, fissandolo imbambolata per qualche secondo per poi scoppiare a ridere.
L'uomo la fissò sorpreso. «Vi faccio ridere, mademoiselle?» L'altra s'interruppe, scuotendo velocemente la testa. «Scusate, non sto ridendo di voi. Stavo pensando che voi somigliate molto a Cè.. Monsieur Arsènè» si corresse immediatamente lei.
L'altro si oscurò in viso. «Mademoiselle, ci deve essere stato un malinteso. Io non sono il padre di Cédric.»
«Sì, lo so. Ma non intendevo in quel senso, pensavo per lo più ai vostri gesti e i comportamenti» spiegò lei con dolcezza. «Sembrate una persona scorbutica e poco amichevole, ma in realtà siete gentile, l'ho notato da come la servitù si comporta davanti a voi. Siete chiuso, è vero, ma tenete al benessere di chi vi sta vicino» notò, indicando i cocci di vetro nella grande mano dell'uomo, segnata da calli e graffi. «Un uomo che ha lavorato per tutta la vita, insegnando i veri valori e dando calore a chi ne aveva bisogno.»
Claude non emise una parala, rimanendo a fissarla per qualche momento, per poi chinare la testa e concentrandosi sui riflessi del vetro.
«Siete molto più perspicace di quanto non immaginassi. Ma non credo che abbiate afferrato proprio tutto» disse alla fine lui, alzandosi e poggiando i cocci su un fazzoletto. «Ho cercato di dare qualcosa che in realtà non potevo dare.»
Anche Isabelle si sollevò, scrutando l'uomo. «Vi riferite a Monsieur Arsènè?»
L'uomo annuì. «La prima volta che lo vidi era un ragazzino pelle e ossa, quasi morto di freddo, nascosto tra i sacchi di patate e farina nel calesse. Ero appena tornato da Parigi per le provviste per l'inverno, dato che successe proprio a Dicembre.» Lo sguardo dell'uomo divenne nostalgico e una luce spuntò dai suoi occhi. «Io sono un vedevo che, come molti altri, aveva perso la propria moglie a causa di una malattia, perdendo così anche il bambino che teneva in grembo.»
Isabelle chiuse gli occhi per non mostrare la tristezza che stava provando.
«Ero solo, scorbutico, odiavo la gente intorno a me» continuò l'altro, non accorgendosi dello stato d'animo della donna. «Era passato solo un anno da allora e non volevo altro che stare da solo. Ma non appena lo vidi tutto si rivoluzionò dentro di me, cambiando per l'ennesima volta la mia vita.»

1803 Dicembre

Il freddo sembrava voler penetrare attraverso gli abiti, pensò irritato Claude mentre percorreva la strada verso la sua locanda. Le guardie ci avevano messo più tempo del solito a lasciarlo libero di uscire dai confini di Parigi. La sorveglianza era sempre più aggressiva e persistente, ma fortunatamente tutto era finito nel migliore dei modi. Le provviste sarebbero bastate per quell'inverno senza bisogno di ritornare in città per un bel po'.
Cominciò a nevicare, ma fortunatamente era ormai arrivato. Vide la sua locanda e la tensione cominciò a scemare. Si sentiva sempre bene quando stava lì dentro,era piena di ricordi che lo straziavano, ma che allo stesso tempo gli riscaldavano il cuore. Era tutto ciò di cui aveva bisogno.
Fermò il calesse e scese aprendo la porta della locanda, cominciando ad illuminare la sala, dopo un'intera giornata spenta. Claude si ritrovò a fissare la sala, rivedendo con i ricordi la moglie che lo salutava dal bancone mentre serviva i clienti, col suo sorriso gentile e affettuoso che riservava a tutta la gente che entrava lì dentro. Era stata una donna forte e piena di salute, ma purtroppo la malattia l'aveva presa proprio quand'era in un momento più delicato della sua vita. Era incinta del loro primo figlio, il frutto del loro amore. Quel luogo aveva perso il suo calore, nel momento stesso in cui la fonte era scomparsa.
Sospirando, uscì a prendere la roba lasciata in calesse e cominciò a prendere i primi sacchi, mettendoli dentro. Al terzo viaggio, notò un suono sospetto nel calesse mentre si avvicinava. Raggiunse i sacchi e vide un lieve movimento. Maledizione, probabilmente qualche animale si era intrufolato in mezzo e stava cercando di bucare uno dei sacchi. Si arrampicò sul calesse. «Eh no, non lo farai bestiaccia.»
Afferrò un sacco e lo sollevò velocemente, pronto a scaraventare l'animale via con un colpo di stivale. Ma si fermò con la gamba sollevata non appena si accorse dello sbaglio, fissando a occhi sgranati.
Un ragazzino, pelle e ossa, stava rannicchiato in un angolo con dei vestiti ormai consunti e poco adatti alla stagione del momento, seduto stretto stretto per proteggersi dal freddo e con testa china sulle ginocchia al petto.
«Cosa ci fai tu qui?» Mormorò a stento Claude, ancora incredulo, posando il sacco al suo fianco. Il bambino a quel punto decise di alzare il viso e l'uomo sussultò interiormente non appena incrociò il suo sguardo. Il suo viso smunto era segnato per metà da una cicatrice rossa e non ancora cicatrizzata del tutto, oltre che infettata. Ma non fu solo quello a lasciarlo pietrificato, bensì il suo sguardo. Aveva degli occhi dannatamente freddi e minacciosi, non sembrava per niente un bambino ma un adulto pieno di rabbia omicida. Chi diavolo era? Figlio di satana per portarlo a bruciare nell'inferno?
Poi, dopo il primo momento di sorpresa si diede dell'idiota per i suoi pensieri, rendendosi conto della loro assurdità. Il suo corpo tremava senza riuscire a controllarsi e il suo respiro era ansante. Claude provò un senso di dolore nel vedere quella creatura ridotto in quella maniera. Probabilmente fuggendo dalla guerra aveva perso i suoi genitori. Molti bambini erano rimasti orfani per ciò.
Si tolse il cappotto e fece per metterlo intorno alle spalle gracili del bambino, ma venne fermato dalla sua mano sul suo braccio. Incrociò il suo sguardo, pieno di diffidenza e sospetto. «No-n... av-vicinar-ti.» balbettò a stento.
«Sta tranquillo ragazzino, non voglio farti del male, ma non ci tengo proprio che tu muoia dentro il mio calesse» disse usando un tono indifferente, sperando così di destabilizzarlo. E così fu, dato il suo sguardo sorpreso e non gli impedì di mettergli il cappotto dietro le spalle.
Claude scese dal calesse, per poi voltare la testa verso il bambino. «Non so cosa ci facevi nel mio calesse, ma dato che ormai sei qui sarebbe meglio entrare dentro dato la nevicata, non trovi?» Propose indicando la locanda.
«Sono abbastanza attrezzato per ospitare gente» ironizzò, prendendo due sacchi contemporaneamente e portandoli dentro, sotto lo sguardo del bambino su di sé.
Non lo raggiunse neanche quando raccolse gli ultimi sacchi. Da parte sua, Claude fece finta di niente, non rivolgendo la parola e lasciando che lo osservasse come un animale selvatico che fissava qualcosa che non sapeva se lo intimoriva o potesse aiutarlo. Perché era proprio questo comprese, un animale selvaggio impaurito. Prese il cavallo e lo portò nella stalla occupandosi di lui, ormai in procinto di entrare dentro. Non appena uscì vide il calesse vuoto e il suo cappotto abbandonato nel calesse. Che se ne fosse andato?
«Strano ragazzino...» mormorò, prendendo l'indumento e andando verso la locanda.
Non appena entrò trovò una sorpresa. Il ragazzino era disteso a terra svenuto. «Maledizione!»
Corse verso di lui e non appena toccò la sua fronte la trovò bollente. Lo portò immediatamente sul suo letto e lo mise al caldo, accendendo il camino. Si avvicinò al letto notando la sua respirazione accelerata. Nessun dottore sarebbe arrivato con la neve.
E' più morto che vivo, pensò.
Notò che teneva stretta la mano destra a pugno sin dall'inizio e non aveva neanche da svenuto mollato la presa. Si avvicinò alla mano, riuscendo ad aprirla, anche se provò a impedirglielo, svelando il luccichio di una pietra zaffiro.
Claude sbatté gli occhi più volte, incredulo. Cosa ci faceva una gemma di tale valore in mano a un ragazzino cencioso? Che l'avesse rubata?
«Non l'ho rubata» La voce del ragazzino, anche se febbrile, era chiara mentre lo fissava con i suoi occhi tanto simili a quelli della pietra.«Mi appartiene per diritto» mormorò ansante.
L'uomo lo fissò, dubbioso. «Davvero e chi ti darebbe questo diritto?»
Il ragazzino, anche se con difficoltà, non cedette il suo sguardo. «L'uomo che mi ha permesso di venire al mondo insieme a mia madre. Lucien Duval.»
L'uomo rimase allibito. Cosa stava farneticando? Conosceva solo per dicerie l'uomo in questione, ma sapeva benissimo chi fosse e di quale famiglia illustre appartenesse. Ed era più che sicuro che fosse ancora scapolo.
«Tu saresti... il suo...»
«Bastardo» finì per lui il ragazzino. «E' così che mi ha chiamato... l'unica volta in cui ci siamo visti, dandomi... la pietra.» La sua voce era sempre più flebile. «Quello è stato il suo unico dono nei miei riguardi... quindi mi appartiene.» Il suo respiro si mozzò, mentre una fitta al petto lo invadeva.
Claude a quel punto posò la pietra sul comodino vicino, decidendo che in quel momento fosse meglio occuparsi di lui.
Sorprendentemente a quanto pensato, il bambino si riprese, grazie alle sue cure fatte per più di dieci giorni con il costante calore del camino, cibo nutriente e calore umano. Non poté fare molto per la cicatrice, ormai in stato avanzato, ma poté togliere l'infezioni pulendola giornalmente e curandola con balsami. Il suo viso sarebbe stato segnato da una cicatrice orribile, ma almeno era vivo.
Chiuse a malapena gli occhi, restando sempre vigile di giorno, entrando nella sua stanza a controllare ogni qualvolta trovava un momento libero nella locanda, e la notte rimanendo sulla sua poltrona al fianco del letto.
Fu in una di quelle notti che prese una decisione importante, osservando il viso del bambino ormai più sereno.
Non importava chi fosse, qual'era il suo passato e cosa avrebbe portato in futuro la sua scelta. L'avrebbe tenuto con lui, se fosse riuscito a convincerlo. «Siamo due anime ferite, con diverse storie alle nostre spalle.»
Si alzò dalla poltrona, avvicinando la mano sul suo viso più fresco e roseo. «Ma insieme, forse, riusciremo a recuperare ciò che resta della nostra vita. Tu aiutandomi a rimettere colore nella mia vita e io insegnandoti a crearteli.»



PICCOLO SPAZIO A ME!!!!

Ciao a tutti!

Scusate, come al solito, la lunga assenza ma ho davvero un sacco di cose da fare e ben presto vi aggiornerò. 

Spero che questi due capitoli vi siano piaciuti, abbiamo conosciuto un'altra parte del passato di Cédric e compreso ancor di più il suo tormento interiore. 
Le bugie diventano sempre più un peso per quest'ultimo e la situazione potrebbe peggiorare giacché entrambi hanno scoperto chi siano, anche se non del tutto.
Come andrà?
Lo scopriremo nel prossimo capitolo!
Per ora è tutto, vi auguro una buona serata!


CIAOOOO RAGAZZIIIII!!!!!!!!!!!!!!! 


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