Capitolo 1
1818 PARIGI
La carrozza si era ormai inoltrata nel bosco, in direzione di Parigi. Il cocchiere, ignaro di essere spiato, conduceva il lussuoso veicolo con dentro i suoi datori di lavoro. Avevano poco tempo per completare la loro missione e tutti dovevano essere pronti e preparati per ogni imprevisto. Non erano permessi errori. Improvvisamente la carrozza sobbalzò violentemente, tanto che il cocchiere e il valletto, dietro la carrozza, rischiarono di cadere. Quest'ultimo gridò qualcosa, ma la sua voce si perse al suono dei cavalli che cominciarono a nitrire, infastiditi dall'ostacolo. «Ferma la carrozza!» Questa volta la voce del valletto riuscì a perforare il suono degli animali, arrivando al cocchiere che tirò le redini per fermarli. Subito dopo un uomo distinto, di mezza età con abiti ricchi e raffinati, aprì lo sportello senza aspettare il valletto, guardando furioso i servi. «Che cosa è successo? Non sei più in grado di gestire i cavalli?» Disse al cocchiere. Quest'ultimo ansioso, mosse le mani agitate. «Non so spiegarmi, monsieur. Una ruota deve aver colpito qualcosa. Anche se io non ho visto nulla che possa...» Fece silenzio allorché vide il viso dell'uomo farsi rosso. «Monsieur, forse l'ho trovato.» Indicò il valletto, poco lontano dal duo. L'uomo si avvicinò a controllare, insieme al cocchiere. Effettivamente c'era una fossa abbastanza profonda da causare un danno non indifferente a una carrozza che andava ad una certa velocità. «Mi chiedo cosa vi tenga a fare se non riuscite a notare una fossa di queste dimensioni, maledizione.» S'infuriò il gentiluomo, sotto lo sguardo colpevole dei suoi dipendenti. Il valletto, osservando ancora una volta la fossa, notò un altro piccolo dettaglio. «Monsieur, forse ho compreso. Ci sono delle foglie secche, evidentemente qualcuno deve averla coperta in questo modo.» «Evidentemente qualcuno con una fossa anche nel cervello!» Gli urlò l'altro, furente.
«Non siate così severo monsieur. Abbiamo fatto del nostro meglio con quello che avevamo.» Il trio sussultò contemporaneamente, sentendo una voce estranea. «Chi ha parlato?» Il gentiluomo si guardò a destra e sinistra, agitato. Poi, con la coda dell'occhio vide una sagoma vicino alla carrozza. Voltò lo sguardo in quella direzione, impallidendo alla vista di un uomo con una maschera in viso seduto comodamente con le gambe incrociate tra loro, sullo sgabello del cocchiere. Un bandito! Sapeva che la foresta ne era infestata, ma sperava che andando ad una certa velocità, senza fermarsi, avrebbero percorso quel tratto di strada indenni. Gli avevano teso una trappola! Prese immediatamente la pistola che teneva sempre con sé, quando si allontanava da Parigi per impegni di lavoro, puntandola contro l'uomo. «Non mi farò derubare da dei criminali come voi. Meritereste di andare tutti alla gogna!» pronunciò con fervore, continuando a tenere l'arma ben tesa verso il Bandito. Quest'ultimo non si scompose di un millimetro, continuando a fissarlo attraverso la maschera. L'anziano gentiluomo strinse i denti, deciso a non far notare quanto si sentisse intimorito dalla situazione. «Niente giochetti, adesso alzatevi e presentatevi di fronte a me, affinché vi leghi e vi porti alle autorità.» I due servi, assistevano alla scena basiti, ma pronti ad intervenire non appena il Bandito avrebbe eseguito gli ordini. La loro era una convinzione, dopo tutto cosa poteva fare solo contro tre persone? Il trio rimase a bocca aperte, nel sentire l'uomo in una iniziale risatina per poi lasciarsi andare in modo aperto e sonoro. «Cosa ti fa così tanto ridere?» Attaccò il gentiluomo, infuriato dalla poca considerazione da parte del Bandito. «Il fatto che ti è andata male o che penzolerai in una corda?» L'altro smise di ridere, seppur con difficoltà, fissando il trio. «Non esattamente. Perdonate la mia ilarità monsieur, ma trovo sempre divertente il modo in cui voi nobili vi relazionate con il pericolo.» La posa del Bandito, seppur in apparenza innocua, era in realtà tesa e anche nella sua voce si poteva percepire un rancore accumulato da anni. Il gentiluomo dal canto suo, cominciò a perdere la pazienza. «Che cosa state farneticando? Ti ordino di scendere da lì e di prostrarti ai miei piedi all'instante!» L'altro rimase ancora una volta impassibile, portando il gentiluomo al limite della sopportazione. Mirò l'arma con precisione verso il Bandito. «Va bene, ve la siete....» Gemette per lo sgomento allorché percepì qualcosa di freddo e metallico alla base del collo. «Cosa diavolo...» «Non un movimento.» Una voce estranea all'uomo tagliò l'aria, irrigidendolo ancor di più quando sentì una pressione alla sua schiena. Erano circondati dai banditi. Era ovvia quale sarebbe stata la sua fine, pensò mentre fissava il Bandito scendere dallo sgabello. Anche se coperto dalla maschera, l'anziano uomo poté immaginare il suo sorriso di scherno e una rabbia, dovuta all'orgoglio ferito, lo invase. «Non fate azioni che potrebbero causarvi problemi più grandi di quanto non siano necessari.» mormorò il Bandito, percependo la tensione della sua vittima. «State tranquillo, non vi uccideremo, vogliamo solo alleggerirvi da pesi inutili per la vostra persona.» Il suo sguardo cadde sull'abbigliamento ricercato dell'anziano uomo, in particolare sulla pietra incastonata ad una spilla sulla cravatta. «A cominciare dal vostro abbigliamento. Spogliatevi per favore.»
«Non so come tu sia riuscito a trattenerti dal non picchiare quel pallone gonfiato.» «Anni d'esperienza, immagino.» rispose Cédric Arsène, togliendosi con un sospiro di sollievo la maschera. A volte gli era difficile indossarla, poiché si sentiva soffocare. In tutti i sensi. Non rimpiangeva la decisione presa anni fa, ma alle volte sentiva in sé la sensazione di essere in trappola. Uscì dalla caverna, che era stato il loro rifugio in quegli ultimi anni, salutando con un gesto della mano i suoi compagni. Guardò il cielo e notò il sole farsi più cocente. «Dovresti andare» disse improvvisamente, riconoscendo i passi alle sue spalle. «O cominceranno a cercarti. Mi domando ancora come possano accettare le tue uscite improvvise. Sei pur sempre figlia di un Marchese.» La Marchesina, Renée Lacroix, sbuffò infastidita togliendosi la maschera, rivelando una pelle abbronzata dalle lunghe cavalcate e due occhi dal colore simile al cognac, che in quel momento sembravano voler fulminare qualcuno. «Perchè lo dici sempre con un tono sprezzante?» Domandò contrariata, togliendosi il cappello che nascondeva una massa di capelli ramati e dirigendosi verso il suo cavallo. «In questi due anni ho fatto tutto ciò che potevo per convincerti che non sono come una qualsiasi donnicciola che sviene ad ogni rumore improvviso.» A quell'esempio, Cédric non poté trattenere un sorriso, salendo in groppa al suo cavallo. Chiunque confondesse Renée per una di quelle donne, non poteva commettere errore più grande. Due anni prima era riuscito a trovarlo in una bottega malfamata, insieme al suo gruppo di uomini e a qualche boccale di birra per festeggiare un colpo andato piuttosto bene. Gli si era parata davanti, travestita da uomo, decisa ad unirsi alla sua banda. In un primo momento tutti presero la cosa come uno scherzo, ordinandole di andar via. Ma lei non si era arresa, raccontandogli tutti i dettagli del colpo fatto quella notte e di come li avesse spiati senza che nessuno si fosse accorto di nulla. Dopo l'iniziale sbalordimento, Cédric, con molti pensieri e dubbi, decise di farla entrare nella banda sotto lo sguardo esterrefatto di tutti. I suoi occhi avevano emanato una luce di determinazione, mista alla disperazione del desiderio di affrontare qualcosa di diverso della vita che le era stata già prescritta. Quello sguardo lo aveva convinto a darle una possibilità e da quel giorno, non si era mai pentito della sua decisione. Si era rivelata un'ottima spia e in molte occasioni lo aveva aiutato con diversi colpi. «Hai ragione. Sei sicuramente una persona su cui fare affidamento.» Renée fissò i tratti dell'uomo ammorbidirsi rendendolo ancora più affascinante ai suoi occhi. Anche quella cicatrice che segnava la sua guancia destra, non poteva in alcun modo renderlo meno carismatico ai suoi occhi. Aveva sempre odiato la vita che conduceva, desiderando qualcosa di più emozionante e Cédric era la reincarnazione dei suoi desideri. In tutti i sensi. Un improvviso rumore di zoccolo dietro di loro, ruppe l'intesa che si era creata. Cavallo e cavalieri si misero tra i due, facendo un gran rumore. «Stavate già andando via?» domandò in tono vivace il terzo uomo, togliendosi la bandana dalla testa e scompigliandosi i capelli castano chiaro, già non perfettamente in ordine. Renée fissò infastidita il giovane uomo. «Youri, stavamo conversando in modo civile ed è evidente che non è qualcosa che ti viene naturale.» «No, direi proprio di no. Sono figlio di un semplice commerciante di tessuti, non dimenticatelo Marchesina» rispose l'altro con tono di beffarda ilarità. L'altra gli lanciò uno sguardo assassino. «Zitto, idiota! Qualcuno avrebbe potuto sentirti.» «E chi? Siamo alle porte dell'inverno, non troveresti neanche degli scoiattoli, in zona.» «Come si può essere così sconsiderati?» «C'è sempre di peggio. Tu che ne dici Cédric?» Domandò Youri, voltandosi dall'altra parte e sgranò gli occhi non trovando l'amico al suo fianco. Il nitrito di un cavallo gli fece alzare lo sguardo davanti a sé, dove vide Cédric parecchio lontano da loro. «Hei, dove stai andando?» Gli urlò, sorpreso. «Il vostro dibattito è molto interessante, ma purtroppo devo lasciarvi e non volevo interrompervi» spiegò Cédric dandogli le spalle e continuando ad allontanarsi. «Ma Cédric...» Cercò di obbiettare l'altra, delusa di non poter stare ancora un po' con l'uomo. «La mia giornata non è ancora finita e ho parecchie cose da fare. Alla prossima» salutò Cédric velocemente, schioccando le funi del suo destriero per incitarlo ad un galoppo. Renée fissò la schiena dell'uomo, allontanarsi sempre di più.
Cédric cavalcò nella fitta boscaglia fino a che non raggiunse il punto desiderato. Rallentò l'andatura non appena intravide la locanda. Osservò da lontano che non ci fosse nessuno in quel momento, prima di dirigersi nel retro. Mise il suo cavallo dentro la stalla, occupandosi delle sue necessità in fretta, per poi avviarsi nel retro della bottega. Dei rampicanti coprivano quasi tutta la parete. Cédric, guardandosi in giro, osservò tra le piante con attenzione fino a che non trovò ciò che cercava. Una scala. La posizionò sotto la finestra prescelta, per poi salirci su con attenzione. Non appena la raggiunse, sorrise nel notarla aperta. Varcò la finestra, facendo entrare per prima la lunga gamba. Sussultò quando sentì la porta della camera aprirsi di colpo alle sue spalle. Si voltò pronto a intervenire, ma fece un respiro di sollievo non appena comprese chi fosse. «Accidenti Claude! Mi hai fatto venir un colpo.»
«Potrei scusarmi, ma dato che un bandito sta entrando nella mia locanda, non vedo perché farlo.» Il locandiere chiuse la porta dietro di se, poggiandosi dopo su essa. «Avete fatto più tardi del solito, stavolta» mormorò. Cédric si tolse la tracolla, gettandola sul letto per poi svestirsi in fretta. «Non così tanto. Ha fatto un po' di storie ma alla fine ha dovuto cedere.» Claude mise una mano tra i capelli neri brizzolati, con un sospiro. «Quanto tempo durerà?» «Cosa?» Domandò distrattamente il giovane, abbottonandosi il panciotto. «Sai benissimo di cosa sto parlando, ragazzo. Non posso stare in continua preoccupazione per te. Sto invecchiando anch'io.» Sentendo quelle parole, Cédric interruppe ciò che stava facendo per guardare l'uomo. Claude era un semplice locandiere, con una corporatura massiccia e alta da sembrare un pugile professionista. Si era occupato di lui da quando, anni fa, lo aveva beccato a rubare le sue provviste dal suo calesse. Invece di picchiarlo e farlo arrestare dalle autorità, lui gli aveva offerto del cibo e un posto caldo dove dormire. Con pazienza, era riuscito ad ottenere la fiducia di Cédric, trattandolo come se fosse un figlio. Ma non era riuscito a domarlo del tutto. I suoi obbiettivi, dopo aver lavorato e vissuto con Paul, erano molto chiari. Diventare un uomo potente e rispettato da tutti. Nessuno poteva più sottometterlo. Aveva faticato tanto, affinché riuscisse nello scopo, lavorando duramente e risparmiando centesimo dopo centesimo. Era riuscito ad aprire una sala da gioco per gentiluomini, che gli aveva procurato molti guadagni. Ma non gli bastava, voleva diventare sempre più potente. Le sue conoscenze lo avevano portato verso degli investitori con cui era diventato socio, versando su nuove navi di trasporto merci, con un motore più potente che avrebbe rivoluzionato la navigazione. Era stato un rischio, data la vendita della sua attività avviata in poco più di un anno, ma la sua determinazione era stata ripagata. Infatti l'investimento era andato a buon fine, facendogli guadagnare le somme sperate e ottenendo ciò che più desiderava. «Non dovresti dire questo Claude, hai ancora tanti anni a disposizione» s'interruppe quando sentì qualcosa di numeroso cadere sul tavolo di legno. Il suo sguardo cadde lì, dove vide una piccola sacca voluminosa. Sapeva cosa conteneva, e per questo diede un'occhiataccia all'uomo. «Sei più testardo di un mulo» mormorò, seccato. «Non voglio il tuo denaro» disse solamente l'uomo, guardandolo con sguardo inespressivo. Cédric sospirò, spazientito. «Giuro che non sono soldi rubati» mormorò, anche se sapeva che non era questa la motivazione del rifiuto di Claude. «Non voglio il tuo denaro a prescindere da dove provenga. Ti ho accolto in casa mia consapevole di ciò che stavo facendo, perché volevo aiutarti e non per un tornaconto.» Cédric si sentì punto in viso, ma non lo fece notare. Odiava l'idea di dover essere debitore con qualcuno e faceva tutto il possibile affinché ciò non avvenisse mai. Ironia della sorte, l'unica persona a cui doveva la sua vita era la stessa che non voleva essere in alcun modo ripagato da quel debito e ciò lo frustrava come nient'altro. Dopo aver messo i vestiti da bandito nella tracolla, si diresse verso la porta dove stava ancora Claude. Si fissarono per una manciata di secondi, senza che nessuno dei due cedesse. «Cos'hai intenzione di fare adesso che tutti sanno chi sei? Adesso che tutti sanno che sei un Duval.» Cédric strinse i pugni con rabbia, ripensando a ciò che era successo solo una settimana fa. Richard Duval, il vero erede del titolo ducale, nonché suo cugino, si era intestardito affinché anche Cédric ottenesse il diritto del nome. L'essersi sposato e diventato padre , non l'aveva fermato dal suo obiettivo, portandolo il più delle volte all'esasperazione. Gli aveva mandato lettere, avvocati e persino il Duca in persona aveva bussato alla sua porta per cercare di convincerlo. Ma, in tutti i casi, era stato rifiutato. Malediceva ancora il giorno in cui si era convinto di uccidere quell'uomo e così svelare la sua identità, per poi scoprire che era stato un gesto inutile. Se non l'avesse fatto, a quest'ora vivrebbe con i suoi demoni in santa pace. E soprattutto non sarebbe successo ciò che aveva sempre sperato non accadesse. Dopo la nascita dell'erede dei Duval, Richard colse l'occasione dando ai giornalisti ciò che volevano. Un pezzo di carne da spolpare. Aveva dichiarato l'esistenza non solo di un nuovo membro nella famiglia Duval, bensì due. Il figlio di Lucien Duval. Non aveva dato dettagli indiscreti sulla sua nascita, ma ciò non lo salvava dalla sua furia. Adesso tutti sapevano che c'era un figlio e l'unica cosa che lo salvava era il fatto che nessuno sapesse chi era, dato che aveva fatto attenzione a mantenere discrezione e che soprattutto manteneva ancora il nome della madre. Quel gesto era stata l'ultima freccia a disposizione del Duca per farlo uscire allo scoperto e, dannazione, la freccia aveva sfiorato il bersaglio mettendolo in difficoltà. Nessuno, a parte i Duval, sapeva delle sue origini. L'unico ad essere informato era Claude, doveva per forza raccontarglielo, dato il modo in cui l'uomo lo aveva accolto. «Non ho intenzione di fare un bel niente. Continuerò la mia vita, così com'è» disse, senza riuscire a guardarlo negli occhi. Non voleva vedere il suo sguardo mentre lo stava squadrando. «Così com'è, dici? Piena di rancore e di vendetta? Tu sei Cédric Duval.» «Io sono Cédric Arsène» ribatté l'altro. «Puoi ingannare gli altri, anche te stesso se ti fa più comodo, ma sai perfettamente che tutto ciò non avrà mai una fine se continuerai con le tue convinzioni.» Lo sguardo castano di Claude trasmetteva tutte le emozioni che in quel momento ardevano in lui. «Cosa può portarti tutto ciò? Continuare la vita da bandito, nonostante non ne hai alcun bisogno. Dimmi vuoi forse finire alla gogna?» Gli disse con tono apparentemente calmo. «Cosa penserebbe Inés adesso di te, se potesse vederti...» Un pugno colpì la porta, ad un soffio dall'orecchio sinistro di Claude. Quest'ultimo fissò Cédric rosso in viso e la cicatrice sulla guancia sembrò spiccare ancor di più. Cédric sollevò lo sguardo verso il suo e Claude poté notare che i suoi occhi blu sembravano essersi oscurati, segno di quanto la rabbia avesse preso il sopravvento su di lui. «Sai benissimo che non voglio che quel nome sia nominato, davanti a me.» Staccò la mano dal legno lentamente, per poi passar accanto a lui fino a che non aprì la porta. «Nessuno, e dico nessuno, ha il diritto di dirmi come devo vivere la mia vita. Ne i vivi e tantomeno i morti, soprattutto se uno di quelli sta bruciando all'inferno.» Uscì dalla stanza senza aggiungere nient'altro. Non c'era più niente da dire.
«Contessina Isabelle! Venite subito, è successo qualcosa a vostro padre.» Isabelle Mureau ebbe un sussulto, non appena sentì la porta del suo salone privato aprirsi di scatto. Era così presa dalla sua lettura, da non rendendosi conto di ciò che la circondava. Capì solo dopo qualche secondo le parole della cameriera. «Mio padre!?» disse preoccupata. «Cos'è successo a mio padre?» Si alzò di scatto, poggiando il libro sulla poltroncina che aveva occupato, andando verso la porta. La cameriera sembrava visibilmente spaventata, e Isabelle cominciava a preoccuparsi davvero tanto. «Vostro padre è stato aggredito dai banditi.» Isabelle trattenne a stento un gemito di paura, sgranando gli occhi verdi. I banditi in quel periodo erano diventati molto più frequenti, tanto d'aggredire anche di giorno. Suo padre doveva tornare oggi da un viaggio di lavoro, ma non aveva pensato ad un eventualità del genere. «Dov'è adesso? E' qui? E' ferito?» La ragazza tartassò di domande la cameriera senza riuscire a mascherare le sue emozioni. «Sì, Contessina. Si trova in biblioteca con vostra madre, ma non sembra...» Isabelle non aspettò che finisse, dirigendosi di corsa verso la biblioteca del padre. Lei era l'unica figlia dei Conti Mureau, amata e voluta con tutto il cuore, ricambiati dallo stesso affetto. Doveva tutto a loro, dopo tutto quello che avevano fatto per lei. E anche se a volte sentiva un senso di colpa invadere il suo animo, per ciò che da tempo stava cercando, sapeva di farlo per delle motivazioni molto importanti per lei. Raggiunse la stanza aprendo la porta di colpo, trovandoci i suoi genitori che la fissarono a occhi sgranati. Sua madre, che stava in piedi di fronte al marito, fu la prima a parlare. «Isabelle! E' questo il modo di varcare una soglia? Per non parlare dei tuoi capelli in disordine» commentò osservando con attenzione il suo aspetto. I capelli non erano acconciati e cadevano come una manta d'oro sulle sue spalle. L'abito di casa era pieno di pieghe a causa della posizione avuta per ore nella sua poltrona per la lettura. Presa alla sprovvista dalla notizia ricevuta, Isabelle non aveva pensato a niente se no a costatare le condizioni del padre. Cercò di darsi una sistemata alla svelta con le mani, senza ottenere in realtà un grande successo, mentre la madre continuava a fissarla spazientita. Facendole un veloce sorriso di scuse con una riverenza, si avvicinò al padre. Quest'ultimo seduto nella sua poltrona dietro la scrivania, non appena si era reso conto di chi fosse, si era di nuovo fatto corrucciato come se stesse riflettendo su qualcosa. «Bentornato padre» cominciò la figlia, ma lui sembrò non aver sentito alcun suono, tant'era concentrato sui suoi pensieri. Isabelle, poté notatore sorpresa, che gli abiti dell'uomo sembravano sgualciti, e tutti i bottoni del panciotto erano spariti. Fissò la madre, cercando spiegazioni, ma ciò che ottenne fu una alzata di spalle. «L'ho trovato anch'io nella medesima posizione e non ha emesso una parola per tutto il tempo.» spiegò, lanciando un occhiataccia al marito ancora piegato sulla scrivania. Se non fosse stato per la grave situazione, Isabelle avrebbe riso di gusto. Suo padre era decisamente una testa calda e non accettava che niente e nessuno intralciasse la sua strada. Quando qualcuno provava a negargli qualcosa, diventava intrattabile e stava anche ore a pensare a come agire. «Sembra incolume.» notò sollevata, guardandolo attentamente. «Sì, l'ho notato anch'io» concordò la madre. «Sono quasi tentata di andarmene e lasciarlo da solo con i suoi pensieri.» «Ho trovato!» Entrambe le donne sussultarono, nel sentire la voce del Conte sferzare l'aria all'improvviso. Lo videro alzarsi di colpo, mentre cominciava ad andare avanti e indietro per tutta la stanza. Isabelle a quel punto preferì sedersi sulla sedia vicina, aspettando che, da un momento all'altro, suo padre parlasse. Infatti non si fece attendere troppo. «Ho trovato un modo per fermare quei banditi.» iniziò, sotto lo sguardo sorpreso delle due donne. «Quindi siete stato davvero bloccato da loro» disse la Contessa, ricevendo uno sguardo trasecolato dal marito. «Naturalmente! Chi altri avrebbe mai potuto ridurmi in questo modo?» Strinse i pugni, mentre ricordava l'umiliazione che aveva dovuto subire. «Se penso a come si siano divertiti, rendendomi ridicolo e beffandosi di me! Che Dio li maledica!» Urlò agitandosi. Isabelle, fissava il padre con gli occhi sgranati. Era sempre stato un uomo passionale e spesso si agitava per nulla, ma in quel momento sembrava proprio furioso. «Cos'hai intenzione di fare?» chiese la moglie, anche lei non del tutto indifferente alla reazione dell'uomo. Il Conte rivolse un sorriso fiducioso alle due donne, parlando con tono sicuro. «Ho intenzione di far cadere quei banditi a modo mio. Se i soldati non riescono nell'impresa, lo farò io. Prenderò tutte le informazioni in mio potere. Luoghi degli attacchi, il quantitativo di banditi ad ognuno di questi. Li beccherò sul fatto, lì farò arrestare e a quel punto...» «Che sciocchezza» s'intromise la moglie, diretta. Padre e figlia, guardarono la donna che lanciò uno sguardo di fuoco al marito mentre si dirigeva verso la porta. «Non accetterò mai che tu faccia una cosa così assurda e pericolosa.» Il Conte cercò di riprendersi dallo stupore iniziale per dire la sua. «Ma non puoi negarmi questo. Como moglie dovresti sostenermi e io come uomo devo difendere il mio onore...»
S'interruppe, quando vide la donna voltare la testa verso di lui, linciandolo con un' occhiataccia. «Marito, se farai mai una cosa del genere, dovrai temere la mia ira, non certo quella dei banditi» detto ciò, aprì la porta di scatto. «Andiamo Isabelle. Dobbiamo preparare il tutto per il ricevimento di domani.» Isabelle raggiunse la madre, nascondendo un sorriso divertito. «Riposate padre, avete subito una giornata piuttosto intensa» gli consigliò, rivolgendogli un sorriso gentile, per poi chiudere la porta, sotto lo sguardo ancora allibito dell'uomo. Raggiunse la madre, ritornando con la mente ai banditi. Erano davvero ovunque e fuori controllo. Anche se nessuno sembrava esserne rimasto ferito, almeno non in gran modo, da un incontro con loro il rischio era sempre più elevato. I suoi pensieri dovettero interrompersi allorché vide la sua cameriera personale avvicinarsi a loro. Isabelle, con finta non curanza, chiamò la Contessa. «Madre andate pure avanti, devo parlare con Alice.» La madre si fermò e fissò Isabelle sorpresa. «Adesso? Questa chiacchiera non può aspettare un altro momento?» S'informò. Isabelle, che non era abituata a mentire ai suoi genitori, ne tanto meno a nascondere niente, si ritrovò a non saper cosa dire. «Ecco, io...» Le fu d'aiuto la sua cameriera. «Mi scuso Contessa, ma ho acquistato alcuni nastri per la Contessina, richiesti da lei. Però non sono sicura di aver preso la tonalità giusta, perciò se avessi sbagliato dovrei tornare al mercato a cambiarli prima che diventi sera.» La donna fissò entrambe indispettita, per poi fare un profondo sospiro. «Va bene, ma fai in fretta Isabelle, e assicurati di ciò che acquisti Alice, la prossima volta» raccomandò, per poi allontanarsi. «Si, madre.» disse automaticamente Isabelle, anche se la donna si era già allontanata. Sospirò, sentendo allentare la tensione, per poi voltarsi verso Alice. «Andiamo nelle mie stanze.» Non appena chiusero la porta, Isabelle prese per le spalle la ragazza, sua coetanea. Alice, prima di diventare la sua cameriera personale, era stata la sua fedele compagna di giochi. Era molto legata a lei e la considerava più una amica che una semplice cameriera al suo servizio ed è per questo che le aveva chiesto di stare con lei anche in quella avventura. «Allora? L'hai visto?» Domandò, impaziente. «Sì, sì. L'ho visto. E' il solito ragazzino, al solito punto.» disse un po' a disagio la ragazza, spostandosi una ciocca di capelli castano scuro. «Mi ha dato questa.» mormorò, uscendo dalla tasca del suo grembiule una lettera. Isabelle ebbe il respiro ansante quando prese la lettera. L'aprì con mani tremanti e lesse il contenuto tutto d'un soffio. D'altronde non era molto. «Cosa dice?» Chiese la cameriera, incuriosita anche lei. Isabelle battè più volte gli occhi e rilesse la lettera ancora una volta, prima di rivolgersi alla donna. «Dice di avere delle informazioni in più e che vuole incontrarmi» le rivelò, porgendole la lettera. La cameriera lesse velocemente per poi strabuzzare gli occhi. «Ma Contessina, quel luogo... non potete andarci sul serio.» Isabelle la guardò determinata, con gli occhi verdi illuminati. «Non posso certo mancare all' appuntamento.»
«Avanti» disse distrattamente Cédric, mentre controllava alcune lettere nella scrivania. Probabilmente era l'affittuario, pensò infastidito. A Parigi soggiornava in un appartamento di soli scapoli, sperando di non dare nell'occhio, coprendo l'affitto per un anno intero affinché non venisse disturbato per nessuna ragione. Evidentemente si era sbagliato. La porta si aprì, ma Cédric non si diede la pena di voltarsi verso l'uomo, concentrato com'era a leggere la sua corrispondenza. «Cosa volete, monsieur?» «Solo fare qualche chiacchiera.» Cédric s'irrigidì istantaneamente, per poi lasciar scivolar le lettere dalle mani voltandosi verso la voce. Le lettere toccarono terra nello stesso istante in cui Cédric afferrava con violenza la giacca di Richard Duval. «Come diavolo hai fatto ad entrare qui e soprattutto a sapere della mia camera?» Gli ringhiò, incrociando lo sguardo blu del cugino, simile al suo. Richard non si scompose, mantenendo una calma tale da infastidire ancor di più Cédric. «Ho i miei metodi di persuasione. Non appena capisci cosa vogliono, tutto è più semplice.» Dopo averlo studiato per qualche secondo, sbuffando, lasciò la presa e si allontanò di qualche passò da lui. «Dannato, basta un po' di denaro in più per perdere la lealtà.» borbogliò Cédric, riferendosi al proprietario. «Non prendertela con lui» lo difese Richard, con un sorriso beffardo. «Ognuno ha il suo prezzo.» Cédric gli lanciò uno sguardo di fuoco. «Non io!» «Non ho detto questo.» commentò l'altro con molta calma, che stava per far irritare ancor di più Cédric. «Credevo fossi più furbo e che non saresti venuto consapevole di ciò che hai fatto.» «Ho fatto ciò che ritenevo giusto.» rispose Richard con fermezza. «Per te ciò che è giusto significa sbandierare la mia persona a tutta la nobiltà?» S'infervorò Cédric. «Come te lo devo dire che io non voglio aver a che fare con quel mondo?» Richard strinse gli occhi, anch'egli al limite della pazienza. «Non vuoi avere a che fare con la nobiltà o con la tua famiglia?» Cédric strinse i denti, sentendosi a disagio su come rispondere. «Io non ho una famiglia» disse alla fine. «Non vi conosco, non so chi siete e, se non fosse stata per la mia vendetta, voi non avreste mai saputo niente di me. C'è un motivo del perché, dopo l'ultimo scontro di un anno fa, sono andato via.» La sua voce era fredda come il suo sguardo per fare intendere che per lui non c'era alcun legame. Richard non si scompose, avvicinandosi a lui fino a due passi di distanza. Cédric, diffidente, strinse gli occhi e si tese aspettando che l'uomo l'attaccasse. Richard, notando la sua reazione, fece qualche passo indietro. «Comprendo il tuo scetticismo» iniziò.
«Ma credimi, sia io che Crystal, non abbiamo altre intenzioni se non quelle di volerti nella nostra famiglia. Non importa se tu sei figlio di Lucien. Tu sei un Duval.» Cédric non sapeva come interpretare quelle parole. Non voleva una famiglia, non c'era stata quando ne aveva avuto più bisogno e adesso gli risultava del tutto inutile. Se era riuscito ad ottenere ciò che possedeva adesso, era perché aveva sempre agito consapevole di un guadagno. Ogni mossa, ogni azione veniva compiuta nella consapevolezza che ciò gli avrebbe fruttato. Tutto il resto, non era importante. «Anche se il mio sangue è mescolato con quell'uomo, per quanto un nobile, io sarei sempre classificato come il figlio bastardo di un pazzoide omicida.» Cédric serrò i pugni, cercando di mantenere un auto controllo e freddezza che da sempre l'aveva distinto.
«Non sarebbe così. Noi ti proteggeremmo, non permetteremmo che le male lingue possano in alcun modo...» Richard s'interruppe notando in Cédric un sorriso, che non raggiunse gli occhi, spuntare sulle sue labbra.
«Vorresti dirmi che mi proteggereste? Che fareste in modo che nessuno possa in alcun modo ferire il mio povero cuore?» lo beffeggiò Cédric.
«Sarebbe davvero un gesto nobile, non c'è che dire.» Si voltò per risistemare le lettere che aveva ricevuto, dandogli le spalle. «Mi dispiace dover distruggere i tuoi sogni cavallereschi» continuò, voltando leggermente il viso verso il cugino. «Ma è passato molto tempo dall'ultima persona che ha ferito i miei sentimenti.» Richard imprecò, cominciando a perdere la pazienza, notando il suo atteggiamento freddo. «Non era questo il mio obiettivo!» «No?» Domandò l'altro, con sguardo da finto stupido. «Non stai, ancora una volta, cercando di ripulire la tua coscienza per gli errori del passato?» Notando lo sguardo allibito di Richard, un sorriso soddisfatto spuntò sulle labbra di Cédric. «Stai tranquillo. Come ho detto, non ho più pensato di riversare su di te la mia vendetta per la morte di Inés.» Pronunciò quel nome con difficoltà. Anche se erano passati degli anni, la ferita bruciava ancora tanto. Lei era stata l'unica donna per cui aveva provato un sentimento puro. Lo aveva accettato per com'era, nonostante sapesse chi era. E proprio perché lo aveva accettato e amato, Inés era morta. Un lieve bussare interruppe il silenzio avvoltosi in quella stanza.
Cédric oltrepassò Richard, ancora immobile e teso. Aprendo la porta trovò un valletto. Capì immediatamente chi lo avesse mandato lì e dischiuse leggermente la porta affinché Richard non notasse l'individuo. Il valletto uscì dalla sua giacca un biglietto. «Per voi monsieur. Da parte...»
«So bene a chi appartiene, grazie.» lo interruppe, afferrando il biglietto alla svelta chiudendogli la porta in faccia. «Sembra che alla fine non venga compreso il tuo voler stare in solitudine» mormorò Richard, non appena sentì la porta chiudersi. L'altro abbassò lo sguardo sul biglietto. «A quanto pare no.» mormorò distrattamente. «Cédric» ricominciò il cugino, per niente intenzionato ad arrendersi. «Vorrei soltanto che tu mi dessi una possibilità per conoscerci meglio.» «Come ho già detto la cosa non potrebbe interessarmi molto.» Disse distrattamente mentre la sua mente cominciava a lavorare non appena finì di leggere le due righe del biglietto.
Ho appena scoperto che Lopex Aubert parteciperà al ricevimento di questo sabato.
sai cosa fare. Renée.
Era la loro occasione, pensò Cédric sentendo l'eccitazione invadergli il sangue. Guardò Richard, mantenendo un atteggiamento disinteressato. «Ma voglio fare un tentativo.»
Lo sguardo di Richard non poteva essere più sorpreso. «Dici davvero?» L'altro sollevò le spalle, con fare annoiato. «Noto che ci tieni molto e che stai davvero provando ad rincollare pezzi, a mio parere, ormai rotti per sempre ed è per questo che voglio dimostrarti che sbagli.» Sorrise mentre continuava la sua messa in scena. «E te lo dimostrerò al ricevimento dei Lacroix.» Le sopracciglia di Richard scattarono in alto, per la sorpresa. «Tu conosci i Lacroix e per giunta hai ricevuto un loro invito ad un ricevimento?» Domandò con fare dubbioso.
Cédric non cambiò espressione. «Ovviamente» Oltre la figlia, non conosceva nessun'altro membro, ma era sicuro che Renée avrebbe provveduto a procurargli un invito. «Con il mio lavoro ho fatto molte conoscenze e ho anche lavorato con alcuni dell'alta società, mio malgrado.» «Sei in un certo senso andato contro i tuoi principi» commentò Richard, ancora allibito.
«Già» disse solamente Cédric, mentre andava verso la finestra. La sua mente stava già pianificando ogni singolo dettaglio. «Ma quando ho un obbiettivo vado contro anche a me stesso.»
Piccolo spazio a me!!!!!!!!!!
Ciao a tutti!!!
Sono stata brava vero, vero? XD
Ho mandato il 1 capitolo, consapevole che solamente il prologo era troppo poco. Spero vi sia piaciuto questo salto nel tempo dove abbiamo avuto modo di conoscere il Cédric adulto e la nostra Isabelle, colei che era innamorata di Richard o almeno credeva , nel 2 libro. Come avete notato ci sono già misteri e segreti al primo capitolo XD
Che posso farci, li adoro!!!
La prossima settimana manderò il 2 capitolo, promesso, nel frattempo vi auguro un buon weekend!!!!
CIAOOO RAGAZZIIIIIIII!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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