7. La sinfonia del terrore

L'aria della sera, pungente e umida, filtrava dalle finestre socchiuse, facendo correre un brivido lungo la mia schiena. Mi rigirai nel letto, incapace di trovare pace. Le parole di Lefèvre e Ferdinando risuonavano ancora nella mia mente, come un eco lontano che non voleva spegnersi. Il pensiero di dover suonare ancora quel pezzo, di dover rivivere quel terrore, mi attanagliava. Ma non era solo quello. C'era qualcos'altro, un mistero ancora nascosto, sfuggente, che continuava a eludermi.

Con movimenti lenti, cercai di non svegliare Isabelle.

Mi alzai dal letto, i piedi nudi che sprofondavano nel freddo pavimento di legno. Dovevo trovare delle risposte, e sapevo esattamente dove andare a cercare: nella biblioteca dell'Accademia. Quello era il luogo dove, tra antichi manoscritti e libri dimenticati, si celava forse la chiave per capire ciò che stava accadendo.

Quando arrivai alla biblioteca, la grande sala era immersa in un silenzio quasi sacrale. Le lunghe ombre proiettate dalle scaffalature sembravano animarsi sotto la luce fioca delle lampade e il solo suono che riempiva lo spazio era il monotono e costante ticchettio di un vecchio orologio a pendolo, nascosto tra gli scaffali.

Mi diressi verso la sezione "Musica e Arti Mistiche". Lefèvre, nelle sue lezioni, aveva accennato a leggende antiche, storie di musicisti in grado di canalizzare visioni attraverso il suono, intravvedendo frammenti di realtà sconosciute.

Con la mano tremante sfiorai i dorsi dei volumi impolverati, finché un titolo catturò la mia attenzione: "Musica e Visioni: Storie di Suoni e Misteri".

Lo afferrai dallo scaffale, il peso del libro conferiva una solennità tangibile.

Le sue pagine ingiallite profumavano di segreti dimenticati, un odore antico e rassicurante. Mi sedetti a un vecchio tavolo di legno, cercando di calmare il battito frenetico del mio cuore.

Sfogliando il libro, mi imbattei in un capitolo che sembrava scritto apposta per me. Parlava di un'antica leggenda. Alcuni musicisti, diceva il testo, possedevano un dono raro, una capacità innata di vedere frammenti del futuro attraverso la musica.

Ma quel dono aveva un prezzo: un'oscura maledizione che attirava su di loro entità di un altro mondo, presenze inquietanti e pericolose.

La pelle mi si raggelò.

Quelle parole sembravano descrivere esattamente ciò che vivevo con il mio Maladaptive Daydreaming. Le mie visioni non erano solo frutto della mia mente. C'era qualcosa di più, qualcosa che legava la mia musica a quelle oscure entità.

Proprio mentre stavo per voltare pagina, un rumore sottile ruppe il silenzio alle mie spalle. Mi voltai di scatto, il cuore che pulsava violentemente nel petto. La biblioteca era immersa in un'oscurità appena interrotta dalla luce tremolante delle lampade, ma una figura emerse dalla penombra, avvicinandosi con passi misurati. Era Lefèvre.

Il suo volto era parzialmente illuminato dalla debole fiamma di una candela che reggeva con una mano, l'espressione indecifrabile.

<<Non dovresti essere qui>> disse con tono calmo, ma carico di autorità. La sua voce, sempre così controllata, ora sembrava avvolta da una sottile minaccia <<Ci sono segreti che è meglio lasciare sepolti>>

Mi alzai bruscamente, il libro ancora stretto al petto, il cuore che martellava. Sentivo la tensione crescere in ogni muscolo del corpo.

<<Cosa vuoi dire, Lefèvre?>> domandai, cercando di mantenere la voce ferma, ma tradita dal tremore che mi attraversava.

Lui si avvicinò di un passo e l'intensità del suo sguardo mi fece gelare il sangue nelle vene. I suoi occhi, freddi e taglienti, non lasciavano scampo, come se volessero penetrarmi l'anima.

<<La verità non è mai così semplice come appare>> continuò, la voce ora più bassa, quasi un sussurro <<Ci sono forze all'opera, al di là della nostra comprensione. Mariè... anche lei aveva cominciato a indagare su queste cose, prima che accadesse ciò che sai>>

Il mio cuore accelerò ancora di più, un presagio oscuro si insinuava nei miei pensieri.

<<Marie... cosa stava cercando?>> domandai, le parole quasi soffocate dal timore di sapere.

Lefèvre fece un passo indietro, il suo sguardo si perse tra gli scaffali della biblioteca, come se cercasse una risposta tra le ombre.

<<Lei credeva che la musica potesse rivelare ciò che è nascosto. Non era la sola. C'è un manoscritto, un antico spartito, che si dice abbia il potere di evocare visioni straordinarie. Ma è anche un pericolo. Si narra che un'entità senza volto protegga quel segreto, e che chiunque si avvicini troppo alla verità venga perseguitato>>

Sentii un brivido freddo corrermi lungo la schiena.

Le sue parole avevano un peso insopportabile, quasi tangibile.

<<Dove si trova questo manoscritto?>> chiesi, cercando di dare voce alla domanda che mi martellava in testa.

Un sorriso enigmatico apparve sul volto di Lefèvre, ma non raggiunse mai i suoi occhi.

<<Lo stiamo cercando entrambi, Maddalena. Ma ti avverto: il prezzo della conoscenza è spesso troppo alto da pagare. Potresti perdere molto più della tua sanità mentale>>

Le sue parole mi lasciarono stordita ma prima che potessi rispondere, un suono improvviso di vetri infranti esplose nella biblioteca. Le luci tremolarono e nell'oscurità si materializzò una figura indistinta, avvolta da un'aura minacciosa. Lefèvre si girò rapidamente, posizionandosi tra me e l'entità.

<<Corri, Maddalena!>> gridò, la sua voce improvvisamente acuta e carica di urgenza <<Trova il manoscritto prima che sia troppo tardi!>>

Non ci fu bisogno di ulteriori parole.

Con il libro stretto al petto, scattai fuori dalla biblioteca.

Il suono dei passi pesanti dell'entità echeggiava nei corridoi, incalzante come il tamburo di una condanna imminente. Il terrore mi spinse avanti, superando ogni pensiero razionale.

Correvo senza sosta, il cuore che mi martellava nel petto, fino a quando non raggiunsi la mia stanza. Chiusi la porta dietro di me con un colpo secco, ansimando per la corsa e per la paura che ancora mi stringeva in una morsa.

La presenza minacciosa sembrava essersi dissolta, ma la tensione rimaneva. Mi voltai verso il letto, trovando Isabelle sveglia, il volto pallido, gli occhi pieni di preoccupazione.

<<Cosa è successo?>> mi chiese con un filo di voce, che tremava come le mie mani.

<<Devo trovare quel manoscritto>> dissi, cercando di ricompormi. Le parole mi uscirono quasi strozzate <<C'è qualcuno, o qualcosa, che non vuole che lo faccia>> Isabelle mi fissò a lungo, i suoi occhi ora pieni di consapevolezza. Entrambe sapevamo che quella ricerca non era solo una questione intellettuale. Era pericolosa ma il punto di non ritorno era già superato.

Non c'era più modo di tornare indietro.

La mattina seguente mi svegliai di colpo, il cuore che martellava nel petto, la mente ancora annebbiata dalle immagini che avevo visto. Un sogno, mi dissi, ma sapevo che non era solo questo. Quelle visioni erano troppo vivide, troppo tangibili per essere relegate a semplici fantasie notturne.

Cercai di calmare il respiro ma un senso di inquietudine si radicò dentro di me, insinuandosi come una presenza invisibile. Mi guardai attorno: ero nella mia stanza, la luce fioca dell'alba disegnava ombre indistinte sulle pareti, mentre il respiro regolare di Isabelle era l'unico suono a interrompere il silenzio.

Rimasi sdraiata per qualche istante, immobile, cercando di razionalizzare ciò che avevo vissuto. C'era una connessione tra quel sogno e la realtà, un legame che non potevo più ignorare.

La biblioteca, Lefèvre, il manoscritto.

Erano tutti frammenti di un puzzle che iniziava a prendere forma.

E se fosse stato un avvertimento?

O peggio, una chiamata. La mia mente rifiutava di lasciar andare l'idea che quel libro fosse reale, che le risposte che cercavo fossero nascoste proprio lì.

Non potevo più restare ferma.

Mi alzai con cautela, senza far rumore, attenta a non svegliare Isabelle.

Mi vestii rapidamente, il mio corpo quasi agendo per conto proprio, spinto da un'urgenza che non riuscivo a spiegare. Uscendo dalla stanza, mi ritrovai a percorrere i corridoi ancora avvolti nell'oscurità. L'eco dei miei passi rimbalzava sulle pareti, ogni suono amplificato dalla quiete irreale della casa. Più mi avvicinavo alla biblioteca, più sentivo crescere dentro di me la tensione, come se ogni metro percorso mi avvicinasse a una verità pericolosa.

Quando entrai nella biblioteca, l'atmosfera era esattamente come la sera precedente, o nel sogno. La stanza era immersa in un silenzio denso, l'aria carica di una strana elettricità. Mi diressi senza esitazione verso la sezione che avevo intravisto nella mia mente, dove sapevo avrei trovato il libro.

"Musica e Visioni: Storie di Suoni e Misteri".

Scorsi i titoli con dita tremanti finché non lo vidi.

Era lì, come se mi stesse aspettando.

Lo presi e mi sedetti a un tavolo isolato, il cuore che ancora batteva freneticamente.

Le pagine si aprirono facilmente e le parole mi saltarono agli occhi come se avessero vita propria. Il capitolo sulla leggenda dei musicisti e delle visioni era esattamente come l'avevo sognato.

Ogni frase confermava ciò che avevo visto: l'antico spartito, le visioni evocative, e quell'entità senza volto che sembrava inseguirmi anche fuori dal sogno.

Sentii un brivido corrermi lungo la schiena, come se qualcosa di invisibile fosse lì, dietro di me, a osservare ogni mia mossa. Mi voltai di scatto, ma non c'era nessuno. Solo l'oscurità della biblioteca, che sembrava farsi più opprimente.

Continuai a leggere anche se le mani tremavano leggermente.

Ogni parola era intrisa di un significato che andava oltre la semplice narrazione.

La leggenda parlava di musicisti capaci di aprire porte tra mondi attraverso la musica, ma a un prezzo terribile. Ogni melodia suonata era un incantesimo, una chiamata a entità di altre dimensioni, entità che potevano interagire con il nostro mondo, distorcerlo, piegarlo alla loro volontà.

Mi sembrava impossibile, ma sapevo che non potevo più ignorare la gravità di ciò che avevo davanti.

Le righe si confondevano nella mia mente, intrecciandosi con le immagini del sogno e con ricordi che sembravano emergere da angoli remoti della mia coscienza. C'era qualcosa di antico e pericoloso in quelle parole, un potere nascosto che non avrebbe dovuto essere risvegliato.

Sentii il respiro farsi più corto e per un istante, la biblioteca sembrò restringersi attorno a me, come se l'aria fosse diventata più densa, più difficile da respirare. Ogni suono sembrava amplificato, dal fruscio delle pagine al battito del mio cuore, creando una tensione che mi strinse in una morsa implacabile.

Chiusi il libro di colpo, cercando di fermare il vortice di emozioni che minacciava di sopraffarmi. Dovevo fermarmi, riflettere, capire cosa stessi davvero cercando ma sapevo che ormai era troppo tardi per tornare indietro.

Avevo scoperto qualcosa di fondamentale, una chiave che poteva aprire porte su verità inimmaginabili. Eppure, sentivo anche che questa conoscenza mi esponeva a un pericolo immenso. C'era qualcuno, o qualcosa, che non voleva che io continuassi su questa strada.

Mi alzai dalla sedia, stringendo il libro contro il petto come fosse l'unico scudo tra me e la crescente oscurità che mi circondava. Ogni mio passo risuonava nei corridoi silenziosi della biblioteca, amplificato dal vuoto che pareva avvolgermi.

Il suono dei miei tacchi sull'antico pavimento riecheggiava come un lugubre rintocco funebre, un richiamo a qualcosa di invisibile ma sempre presente.

Sentivo l'entità senza volto, la sua presenza che aleggiava nell'aria, un'ombra costante, vigile. Ogni angolo buio, ogni angolo silenzioso, sembrava nascondere una minaccia in agguato, pronta a manifestarsi al minimo segno di debolezza.

Attraversai i corridoi con passo incerto, accelerando man mano che il senso di urgenza cresceva dentro di me.

Quando finalmente raggiunsi la mia stanza, trovai Isabelle seduta sul letto, con il viso teso e pallido. I suoi occhi, solitamente calmi, erano pieni di un'angoscia che non avevo mai visto prima. Il cuore mi cadde nello stomaco ancora prima che aprisse bocca. Qualcosa non andava, lo sapevo senza bisogno di parole.

<<Isabelle, cosa succede?>> La mia voce tradiva la tensione che sentivo, tremando appena.

Lei mi guardò e per un attimo ci fu solo silenzio, carico di una tensione insopportabile. Poi, con un respiro profondo, parlò.

<<Mad... è successo qualcosa. Sono passati i professori nelle camere>>

Un brivido mi percorse la schiena, come se il mondo intorno a me stesse per crollare. Il senso di pericolo che avevo avvertito fin dal risveglio ora prendeva forma, minaccioso e inarrestabile.

<<Di cosa si tratta?>> La mia voce, sebbene ferma, era carica di un'ansia che non potevo più nascondere.

Isabelle abbassò lo sguardo per un momento, come se stesse cercando la forza per continuare.

<<Hanno trovato un altro corpo>> Le sue parole erano lente, pesanti, cariche di dolore. Le scese una lacrima <<Un'altra studentessa. Le circostanze... sono identiche a quelle di Mariè>>

Il mio mondo si incrinò in quel momento.

Sentii il libro che stringevo diventare improvvisamente pesante, come se avesse preso vita e stesse bruciando tra le mie mani. Il terrore mi travolse, paralizzandomi per un istante.

<<Chi... chi è?>> Le parole uscirono a stento, la mia voce rotta dall'angoscia che mi divorava.

Isabelle scosse la testa lentamente, il viso contratto in un'espressione di impotenza e dolore.

<<Non lo so. Non la conosco. Ma chiunque sia stato... è ancora qui e... potrebbe colpire di nuovo>>

Quelle parole rimasero sospese nell'aria, echeggiando nella stanza come un'eco funesta. Il pericolo era reale, tangibile. Non si trattava più di supposizioni o di sogni. Ogni fibra del mio corpo reagì a quell'informazione, come se il futuro stesso fosse sospeso su un filo sottile. Guardai il libro che avevo trovato nella biblioteca, il suo peso ora infinitamente più significativo.

Sapevo di avere tra le mani qualcosa di molto più grande di me e, con esso, un fardello carico di rischi che avrei dovuto affrontare.

Di colpo, un bussare insistente alla porta interruppe il silenzio pesante che gravava sulla stanza, come una lama che fende l'aria stagnante.

Sobbalzai, il cuore mi balzò in gola.

Isabelle si alzò con lentezza, come se ogni movimento richiedesse uno sforzo innaturale, e aprì la porta.

Sullo stipite, due poliziotti attendevano in silenzio. I loro volti erano rigidi, segnati dall'esperienza, con sguardi che tradivano una determinazione inflessibile. Accanto a loro stava il Maestro Lefèvre, pallido e visibilmente stanco, con gli occhi ombreggiati dalla preoccupazione.

<<Maddalena, mi dispiace disturbarti, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto>> disse il poliziotto più anziano, un uomo alto con una barba ben curata e occhi penetranti che sembravano scavare dentro di me, cercando la verità nascosta.

Nonostante il tremito che iniziava a risalire dalle profondità del mio stomaco, cercai di mantenere un tono calmo.

<<Okay... cosa posso fare?>>

La poliziotta al suo fianco, una donna dai capelli corti e lineamenti scolpiti, intervenne con uno sguardo deciso.

<<Dobbiamo comprendere meglio ciò che hai visto quella notte>>

Annuii lentamente, sentendo il cuore accelerare come un tamburo impazzito. Lefèvre si avvicinò, il suo volto segnato da una gentilezza che, in quel momento, sembrava più pesante del sollievo che cercava di offrire.

<<Maddalena, so quanto sia difficile. Ma è necessario>> mi disse il maestro Lefèvre.

Mi condussero verso una stanza adiacente, un'aula di musica. Ogni passo rimbombava lungo il corridoio vuoto, amplificando la sensazione di oppressione che mi stringeva il petto. Quando arrivammo, il pianoforte troneggiava al centro della stanza, un'ombra scura e maestosa.

Mi sedetti sullo sgabello, le mani tremanti si posarono sui tasti freddi come se il gelo stesso della notte in cui tutto era accaduto fosse tornato a infiltrarsi nelle mie ossa.

Chiusi gli occhi, tentando di calmare il battito incessante del mio cuore che ora sembrava voler scappare dal mio petto.

Le dita cominciarono a muoversi automaticamente, scivolando sui tasti con una fluidità familiare ma le note che uscirono dal pianoforte furono tutto tranne che musica. Erano un eco lontano, cariche di terrore, lamenti intrisi di angoscia.

Cercavo disperatamente di rievocare le immagini di quella notte, di riportare alla luce ciò che la mia mente aveva confinato nei suoi recessi più oscuri ma, invece di un ricordo nitido e chiaro, ciò che emergeva era un abisso di paura, una sensazione soffocante che mi serrava la gola. Ogni nota sembrava portare con sé il peso di quel momento, intrisa di un'ombra malefica, una tenebra inesorabile.

Sentivo il sudore freddo scivolarmi lungo la schiena mentre cercavo di mantenere il controllo ma era inutile.

Il pianoforte, anziché liberarmi, sembrava essere il tramite di una visione distorta, un ponte tra me e quel terrore ancestrale che non potevo controllare.

Le dita continuavano a scivolare sui tasti ma le immagini che avrei dovuto evocare non apparivano. Tutto ciò che potevo offrire ai poliziotti era il riflesso della mia stessa paura.

Quando l'ultima nota si spense, il silenzio calò come un velo pesante sulla stanza. Nessuno parlò per alcuni istanti. Poi, la poliziotta fece un passo avanti, il suo volto era teso ma gentile.

<<Sei stata molto brava, Maddalena. Ma... non è quello che ci serve>>

Nonostante la gentilezza nelle sue parole, percepivo la delusione nelle sue aspettative. Lefèvre mi si avvicinò di nuovo, posandomi una mano sulla spalla.

<<Va bene così, Maddalena. Hai fatto il possibile>> La sua voce era comprensiva, ma non potevo fare a meno di sentire un peso crescente dentro di me.

Annuii, forzandomi a credere nelle sue parole. Eppure, qualcosa nei recessi della mia mente si agitava. Una sensazione che avevo cercato di soffocare, ma che ora si stava facendo strada con forza.

Fu in quel momento che la vidi.

Apparve all'angolo della stanza, la mia sorellina. Il suo volto, di solito dolce e sereno, era ora distorto in un'espressione di rabbia feroce. Un'aura di ombre e luce tremolante la circondava, come un'illusione nata dal mio stesso terrore.

Rimasi a guardarla, paralizzata, sapendo che stava per rivelarmi qualcosa di terribile.

Gli occhi, solitamente luminosi e pieni di vita, ora si erano trasformati in due abissi insondabili di oscurità. Quelle labbra, che avevo sempre visto distendersi in sorrisi innocenti, erano ora contratte in una smorfia deformata dal dolore e dal rancore.

Il suo volto, che conoscevo così bene, appariva irriconoscibile: ogni linea tirata, ogni muscolo teso in un'espressione di furia contenuta. Era come se l'oscurità stessa della stanza si fosse materializzata attorno a lei, avvolgendola in un manto denso di disperazione e rabbia.

Non era più la mia sorellina.

Era l'incarnazione di qualcosa di più profondo, più inquietante.

Il battito del mio cuore martellava nelle orecchie, amplificato dal silenzio carico di tensione.

Il sudore freddo mi scivolava lungo la schiena, facendomi sentire intrappolata in una morsa glaciale.

I miei occhi erano incatenati a quella visione, non potevo distoglierli, nonostante l'orrore che mi travolgeva. Ogni fibra del mio essere lottava contro la realtà che si stava svelando davanti a me.

Eppure, una domanda martellante s'insinuava nella mia mente: era reale? O era solo un'altra distorsione provocata dal mio Maladaptive Daydreaming?

Quel confine sottile tra la realtà tangibile e le mie allucinazioni oniriche si stava sgretolando davanti ai miei occhi, lasciandomi in balia di un caos emotivo e percettivo.

Con movimenti lenti, quasi meccanici, la mia sorellina fece un passo avanti.

La sua figura sembrava crescere in intensità e con essa il suo volto si contorse ancora di più, in un'espressione quasi grottesca di accusa e dolore.

Il suo sguardo era fisso su di me, implacabile, come se cercasse di trafiggermi con una verità inconfessabile. Quello sguardo parlava senza bisogno di parole. E quel silenzio mi travolgeva più di qualsiasi grido.

Sentii un'ondata di colpa sommergermi, un senso di impotenza che mi paralizzava. Il peso di un'accusa che non riuscivo a comprendere mi soffocava, mentre il terrore mi avvolgeva sempre di più, stritolandomi.

Poi, all'improvviso, esplose un urlo.

Un suono acuto, lacerante, che sembrava non provenire dalla bocca di una bambina, ma da qualcosa di antico e primordiale. Le sue grida perforavano l'aria, squarciando il silenzio come una lama e sembrava che ogni eco si radicasse nelle mie ossa, scatenando un'ondata di puro terrore. Il suono non era solo rabbia, era sofferenza, un dolore così profondo che sembrava scaturire dalle viscere della terra stessa, un richiamo che proveniva da un luogo oscuro e dimenticato.

<<No! Smettila! Non urlare!>> gridai ma la mia voce era fragile, spezzata dall'angoscia che mi stringeva la gola.

Le mie parole si dissolvevano, impotenti, sopraffatte dall'intensità della sua disperazione. Ogni grido rimbombava dentro di me, come se fosse un colpo inferto direttamente al mio cuore. Era un suono che non poteva essere ignorato, che si insinuava nei recessi più profondi della mia mente, amplificando il dolore e la paura con ogni secondo che passava.

Ogni muscolo del mio corpo era in tensione, come se stessi combattendo contro un'ondata invisibile, cercando disperatamente di non soccombere al terrore che mi stava travolgendo. Ogni fibra di me stessa lottava per mantenere la lucidità ma era una battaglia che stavo perdendo.

Il mondo intorno a me cominciava a sfaldarsi, a distorcersi, come se la realtà stessa si stesse sgretolando sotto il peso di quella paura insostenibile.

Guardare la mia sorellina in quello stato, così cambiata... così irriconoscibile, era un colpo devastante. Non era più la creatura innocente che avevo sempre visto. Era qualcosa di diverso, qualcosa di spaventoso e quella trasformazione mi gettava in un abisso di disperazione. La speranza che avevo tenuto dentro di me come un'ancora era stata strappata via, lasciandomi naufragare in un mare oscuro di paura e impotenza.

Le sue grida continuavano, più penetranti, più dolorose, come se fossero un richiamo diretto alla mia anima. Capii, in quel momento, che stavo per cedere, che stavo per perdere il controllo.

Mi alzai di scatto, il bisogno di reagire divenuto insopportabile. Dovevo raggiungerla, fermarla, fare qualcosa. Ma ogni passo era un'impresa titanica. Era come se la gravità stessa si fosse moltiplicata, come se il suolo cercasse di trattenermi, di impedirne ogni movimento.

Lefèvre si voltò di scatto, il suo volto si scolorì in una maschera di terrore e incomprensione. Potevo vedere il suo sguardo vagare, perso, come se cercasse qualcosa nell'aria densa che ci circondava.

Sentiva il cambiamento nell'atmosfera, un'energia pesante, quasi tangibile ma i suoi occhi non riuscivano a percepire ciò che i miei vedevano chiaramente.

<<Maddalena, cosa sta succedendo?>> chiese, la sua voce incrinata dal tremore, carica di un'inquietudine crescente.

Non potevo rispondere.

Le grida della mia sorellina si erano fatte più forti, più strazianti, tagliandomi dentro come coltelli affilati. Ogni singola nota di quella disperazione si conficcava nella mia mente, penetrando le difese che disperatamente cercavo di mantenere.

Il dolore esplose all'improvviso, un'ondata devastante che mi travolse.

Urlai, incapace di contenere l'agonia che mi consumava.

Le mie mani si aggrapparono ai lati della testa, come se temessi che la mia mente potesse frantumarsi sotto quella pressione insostenibile. Le gambe cedettero e mi ritrovai a terra, il corpo convulso, stretto in una morsa di dolore che sembrava provenire da un luogo che non potevo controllare.

Lefèvre si precipitò verso di me, il suo volto pallido rifletteva una preoccupazione sincera.

<<Maddalena! Maddalena! Cos'hai?>> La sua voce sembrava distante, eppure così urgente. Il mondo intorno a me iniziò a ruotare, la stanza ondeggiava come se fosse intrappolata in una spirale, un vortice che mi trascinava giù, sempre più giù.

Il dolore martellava inesorabile nella mia testa, ogni battito pulsante una nuova fitta, una nuova scarica di sofferenza.

Lo sentii muoversi, il suono dei suoi passi frettolosi mentre correva verso la porta. <<Qualcuno! Chiami un'ambulanza!>> gridò, la voce spezzata dal panico mentre spalancava la porta con disperazione. Ma io ero ormai oltre, intrappolata in un abisso che non rispondeva più al mondo esterno.

E mentre la mia visione si oscurava, mentre la realtà si dissolveva in un nero infinito, l'ultima immagine che i miei occhi catturarono fu il volto della mia sorellina. Era deformato, irriconoscibile, una maschera di rabbia e dolore che continuava a urlare, un grido che squarciava l'aria, straziante, senza fine. Era un suono che non portava altro che distruzione, un eco che risuonava nelle profondità della mia mente.

Poi, il buio mi avvolse.

Il mio corpo si arrese al caos che montava dentro di me. E, in quell'istante finale, l'unico suono che potevo ancora sentire era il battito frenetico del mio cuore, un ritmo disperato, l'ultima resistenza di un'anima intrappolata in un vortice di terrore e smarrimento.

Mi risvegliai lentamente, come emergendo da un abisso profondo.

L'odore pungente di disinfettante e l'aria sterile tipica di un ospedale colpirono immediatamente i miei sensi, quasi soffocandomi. La testa pulsava ancora, un dolore sordo, costante, che sembrava scorrere lungo la colonna vertebrale fino a insinuarsi nel cuore stesso della mia anima. Era come se il dolore avesse radici più profonde di quanto il corpo potesse sopportare.

Intorno a me, i suoni sembravano lontani, ovattati, simili a voci e rumori sommersi sotto uno strato d'acqua.

Con uno sforzo estenuante, i miei occhi cominciarono a mettere a fuoco le luci fluorescenti sul soffitto. La loro luminosità era tagliente e mi costrinse a socchiudere le palpebre. Provai a muovere un braccio ma le mie membra sembravano fatte di piombo, ogni movimento un'impresa titanica. Il mondo attorno a me ondeggiava leggermente e una nausea sottile cominciò a insinuarsi, minacciando di travolgermi.

Inspirai lentamente, cercando di dominare il caos interiore.

Sotto le mie dita, le lenzuola erano fresche, un contatto quasi confortante in mezzo alla confusione.

<<Bentornata tra noi, signorina!>> disse una voce morbida. Girai lentamente la testa, come se il solo gesto richiedesse uno sforzo sovrumano. Davanti a me c'era un'infermiera, il volto solcato da un sorriso gentile, un tentativo di rassicurarmi.

I suoi occhi azzurri, calmi e professionali, cercavano di trasmettermi una tranquillità che al momento mi sembrava irraggiungibile.

<<Come ti senti?>> domandò con tono pacato mentre si avvicinava al letto.

La sua voce era morbida ma aveva un'autorità silenziosa, quella di chi è abituato a gestire situazioni delicate con fermezza. Il suo sguardo rimase fisso su di me, in attesa mentre io lottavo per trovare la forza di rispondere.

Ogni parola sembrava bloccata nella gola, pesante come una pietra.

<<Dove... dove sono?>> riuscì a malapena a sussurrare. La mia voce era rauca, spezzata, come se non avessi parlato da giorni.

<<Sei in ospedale. Hai avuto un malore, probabilmente un calo di pressione dovuto all'agitazione>> spiegò con calma mentre sistemava il cuscino dietro la mia testa con gesti esperti. Il suo tocco era delicato ma fermo, trasmettendomi una parvenza di stabilità in un momento di totale disorientamento.

<<Mi sento così... debole>> mormorai, cercando di trattenere l'ansia che, ancora una volta, minacciava di soffocarmi.

<<È normale>> rispose con fermezza rassicurante <<Devi solo riposarti. Fra qualche ora potrai tornare a casa, non preoccuparti>>

Annuii.

Le sue parole si scontravano con il mio stato d'animo. Un terrore sottile si agitava sotto la superficie. Tornare all'accademia significava affrontare di nuovo quelle visioni, quelle sensazioni che sembravano pronte a trascinarmi nel baratro.

Non ero sicura di essere pronta a farlo.

Qualche istante dopo, la porta si aprì, e Isabel e Miguel entrarono nella stanza, i loro volti segnati dalla preoccupazione. Le loro espressioni erano un misto di sollievo e ansia, chiaramente tesi per le condizioni in cui mi avevano trovata.

<<Mad, come ti senti?>> domandò Isabel, avanzando rapidamente verso il letto, mentre Miguel la seguiva a ruota.

<<Meglio, credo>> risposi, sforzandomi di sorridere. La mia voce era più forte di prima, ma il corpo ancora non rispondeva completamente <<Solo un po' stordita>>

L'infermiera intervenne di nuovo, il suo sorriso era una rassicurazione silenziosa. <<Si riprenderà presto>> disse con un tono che sembrava voler chiudere la questione. Sembrava sicura, come se quello che stavo vivendo fosse solo un capitolo passeggero, qualcosa che presto sarebbe stato archiviato.

Con l'aiuto di Miguel, riuscii finalmente a mettermi in piedi.

Le gambe erano deboli, come se non mi appartenessero, ma almeno riuscivo a rimanere dritta. Ogni passo verso l'uscita era una vittoria contro la fragilità che ancora mi stringeva. Isabel e Miguel mi sostenevano, i loro sguardi vigili su ogni mio movimento, pronti a intervenire se fossi crollata di nuovo.

Mentre ci dirigevamo verso l'uscita dell'ospedale, l'aria fredda del corridoio sembrava più leggera e ogni passo, seppur incerto, mi riportava a una qualche forma di controllo. Tuttavia, nella mia mente, le immagini di ciò che avevo visto non accennavano a dissolversi.

Il viaggio di ritorno all'accademia fu silenzioso. Miguel guidava con cautela, lanciandomi ogni tanto sguardi preoccupati. Io ero assorta nei miei pensieri, fissando il paesaggio che sfrecciava oltre il finestrino. Le immagini del sogno, della mia sorellina, erano ancora vivide nella mia mente, un vortice di emozioni contrastanti.

Isabel, seduta accanto a me, interruppe il silenzio improvvisamente

<<Chissà se avranno scoperto qualcosa i poliziotti>>

La sua voce era calda, ma carica di un'intensità che non potevo ignorare.

Sentii il peso delle sue parole nel mio petto, come un'ancora che mi trascinava verso una realtà difficile da affrontare.

Miguel si voltò brevemente verso di noi, gli occhi fermi sulla strada ma il volto contratto da una preoccupazione palpabile.

<<Non lo so>> rispose con voce ferma, per poi continuare

<<Mad, esattamente cos'è successo?>>

Loro non lo sapevano, ma come potevo dirglielo?

Non vado fiera per le mie visioni. Quelle parole, cariche di preoccupazione sincera, scossero le fondamenta della mia riserva interiore.

Non lo sapevano ma come avrei potuto dir loro?

Non era facile per me ammettere la mia condizione.

Tuttavia, erano i miei amici e sentivo che avevano il diritto di sapere.

Qualcosa dentro di me mi sussurrava che era giunto il momento di aprirmi. Sentii il nodo che avevo nel petto allentarsi leggermente, un segno che forse era giunto il momento di lasciare che mi vedessero per quella che ero veramente.

<<Il sogno...>> cominciai con voce incerta <<È parte di qualcosa che mi tormenta da quando sono nata. Si chiama Maladaptive Daydreaming. È una forma di evasione che prende il sopravvento, come una sorta di dipendenza da fantasie che diventano così intense da interferire con la mia vita quotidiana>>

Isabel mi guardò con occhi che riflettevano comprensione e preoccupazione. Miguel, sempre concentrato sulla strada ma con un orecchio attento a ogni parola che pronunciavo, continuava a guidare con una sicurezza che contrastava con la mia turbolenza interiore.

<<Ero convinta di poter gestire tutto da sola>> confessai con un filo di tristezza <<ma l'episodio di oggi mi ha mostrato quanto sia fragile questa facciata che cerco di mantenere...>> feci una breve pausa <<d'altro canto voglio solo essere una persona normale ed essere trattata normalmente>>

Le parole mi uscirono dal cuore, liberandomi da un peso che avevo portato per troppo tempo. Era una sensazione di vulnerabilità, ma anche di fiducia nei confronti dei miei amici che erano lì, accanto a me, pronti a sostenere e comprendere.

<<Mal... cosa?>> chiese Miguel

<<I sogni. Sognare ad occhi aperti>> disse Isabel per poi continuare <<Quella sera Mad. Solo ora riesco a capire>> disse Isabel con aria stupita.

<<Cosa intendi?>> le chiesi

<<Ci sta qualcosa che ti tormenta o, comunque, qualcosa che vedi costantemente?>>

<<Mmmh>> pensai l'immagine della mia sorellina e l'uomo senza volto <<Si, la mia sorellina e... una strana persona... non riesco a vedere il suo volto>>

<<Mad da quanto tempo le vedi?>> mi chiese Isabel.

Non riuscivo proprio a capire il motivo di questa sua domanda. Esattamente dove voleva arrivare?

<<Non saprei...>> risposi.

<<Maaadd!!!!>> disse Isabel attonita

<<Non lo so. Questa figura... questo uomo da qualche mese>>

Isabel con aria più decisa disse <<La tua sorellina?>>

<<In realtà... io non ho mai avuto una sorellina ma c'è una parte di me che l'ha sempre vista. È più piccola di me. Ho cominciato a vederla all'età di 6 anni, o forse 7... penso>> dissi abbozzando un sorriso.

<<Io non capisco, cosa significa?>> chiese Miguel stizzito.

<<Tranquillo, ti spiegherò tutto quando torneremo in Accademia, ora pensa a guidare!>>. Gli rispose Isabel impaziente.

Isabel si voltò verso di me, i suoi occhi riflettevano una comprensione nuova, quasi illuminata.

<<Mad...>> disse con voce calma ma intensa <<penso che la tua mente stia cercando di dirti qualcosa. La figura della tua sorellina... rappresenta forse una parte di te stessa, un'innocenza o un trauma non risolto da quando eri piccola. E quest'uomo senza volto potrebbe essere la manifestazione delle tue paure più profonde, un'ombra che hai cercato di evitare>>

Le sue parole mi colpirono come un fulmine. Era come se una cortina fosse stata sollevata, rivelando un panorama nascosto che avevo ignorato per troppo tempo. Non avevo mai considerato queste figure sotto questa luce.

Isabel, con la sua intuizione acuta e la sua comprensione profonda, aveva svelato un aspetto fondamentale della mia psiche che mi era sempre sfuggito. La mia mente stava cercando di comunicare attraverso queste visioni, di dirmi qualcosa di cruciale su me stessa e sulle mie esperienze passate.

Mi resi conto che la figura della mia sorellina non era semplicemente un'illusione. Rappresentava una parte di me stessa, forse un frammento della mia infanzia che avevo perso o represso. La sua presenza, così costante e viva nei miei sogni, indicava una connessione profonda con un'innocenza o un trauma non risolto. Ogni sorriso, ogni sguardo, ogni gesto della sorellina era una risonanza di qualcosa di molto reale e significativo dentro di me.

E quest'uomo senza volto, che da mesi appariva nelle mie fantasie, forse rappresentava le mie paure più profonde, quelle che ho sempre cercato di evitare.

<<Sinceramente non ho mai pensato che tutto quanto potesse avere un significato più profondo...>> dissi con voce tremante. Feci una breve pausa e ripresi <<...non avevo mai visto le cose in questa ottica. La mia sorellina e l'uomo senza volto... sono manifestazioni di qualcosa di più profondo. È come se la mia mente stesse cercando di parlarmi... di farmi capire parti di me che ho ignorato o nascosto>>

Isabel annuì, il suo sguardo pieno di una comprensione serena.

<<Mad, credo che queste visioni siano la chiave per comprendere te stessa. La tua mente sta cercando di farti affrontare qualcosa, qualcosa che forse hai sepolto nel profondo per proteggerti>>

Miguel, sempre concentrato sulla guida ma con un orecchio attento a ogni nostra parola, sembrava anche lui afferrare la gravità della situazione.

<<Sappi che non sei da sola, Mad! Noi ci siamo per te>>

Le parole di Miguel e Isabel scivolarono dentro di me come un balsamo lenitivo, riscaldando il mio spirito tormentato. Erano come una luce che si fa strada attraverso le ombre, portando con sé un senso di sollievo e chiarezza che non avrei mai osato sperare.

Arrivati all'accademia, Miguel mi aiutò a scendere dalla macchina, il suo braccio forte e sicuro mi sorreggeva mentre la mia mente lottava per riacquistare stabilità. Le ombre lunghe del crepuscolo si allungavano sull'accademia, conferendo all'edificio un aspetto quasi mistico. Isabel camminava al nostro fianco, il suo sguardo attento e protettivo.

La mia testa era ancora leggera, e sentivo il bisogno di un luogo sicuro dove potermi riposare.

Miguel mi guidò attraverso i corridoi familiari, l'eco dei nostri passi risuonava nelle pareti. Arrivati davanti alla mia porta, aprii con un gesto stanco e mi appoggiai contro lo stipite, cercando di raccogliere le forze.

<<Vuoi che rimanga con te?>> mi chiese Miguel, la sua voce carica di premura e una preoccupazione evidente nei suoi occhi.

Scossi leggermente la testa.

<<No, grazie. Vorrei stare un po' da sola>> dissi, allo stesso tempo mi girai anche verso Isabel.

Miguel annuì, riluttante a lasciarmi sola, ma rispettando il mio desiderio.

Isabel, sempre al mio fianco, mi lanciò uno sguardo che sembrava promettere che non mi avrebbe lasciato affrontare tutto questo da sola.

<<Andiamo a dormire!>> disse Isabel.

Entrammo in camera entrambe mentre Miguel si diresse verso il suo dormitorio.

Chiusi la porta dietro di me e mi lasciai scivolare contro di essa, la mente un vortice di pensieri e ricordi. La mia stanza era un rifugio sicuro, un luogo dove potevo permettermi di abbassare la guardia.

Mi diressi verso il letto e mi sdraiai, fissando il soffitto mentre cercavo di mettere ordine nel caos della mia mente.

La figura della mia sorellina era ancora lì, un'ombra gentile nei recessi della mia memoria. Non era reale, eppure era una parte fondamentale di me.

Questa condizione, il Maladaptive Daydreaming, mi aveva sempre perseguitata, una realtà parallela che si intrecciava con la mia vita quotidiana.



Ogni passo di questo viaggio diventa più speciale sapendo che ci sei anche tu a percorrerlo insieme a Maddalena 🌙.

Ogni stellina ⭐ e ogni parola che lasci è un piccolo segno che questa storia trova un posto nel tuo cuore, e questo mi rende immensamente felice 🌸

Grazie per essere parte di questa avventura, il tuo supporto significa più di quanto riesca a esprimere 💕

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