5. Lamento in fa diesis
I giorni che seguirono si rivelarono un turbine di intensità e scoperta. Le lezioni, sempre più avvincenti e impegnative, mi trascinavano in un profondo abisso di conoscenza musicale, rivelando strati di complessità e bellezza che non avrei mai osato immaginare.
Ma non era solo l'istruzione a catturare la mia attenzione.
Era la stessa Parigi, una città intrisa di storia e arte, che si ergeva come un gigantesco palcoscenico di ispirazione. Ogni angolo, ogni vicolo e ogni monumento raccontava una storia, una narrazione di epoche passate che si intrecciava con il presente. Mi nutrivo di ogni dettaglio, assaporando l'architettura che si ergeva maestosa, i suoni che si mescolavano nell'aria e le immagini vivide che si delineavano davanti ai miei occhi. Parigi era un'entità vibrante, un'armonia di culture e storie, ed io, come un compositore che scrive una nuova partitura, cercavo di assorbire ogni sfumatura di questo straordinario ambiente che mi circondava.
Una sera, dopo una giornata di studio particolarmente intensa, decisi di intraprendere una passeggiata per le strade di Parigi, accompagnata da Isabelle e Miguel. Il cielo, ormai cinto da sfumature dorate, si colorava mentre il sole si ritirava lentamente dietro le antiche facciate degli edifici, conferendo alla città un'aura di incanto.
Arrivai di fronte alla maestosa Cattedrale di Notre-Dame. Le sue torri si stagliavano imponenti contro il crepuscolo, una visione che evocava un senso di sacralità e meraviglia.
Immersa nei miei pensieri, una sensazione di tranquillità mi avvolse, come un abbraccio morbido e avvolgente. Ma fu in quel momento che la quiete fu interrotta da una voce familiare, che risuonò nell'aria con una chiarezza sorprendente: <<Maddalena!>>
Mi voltai di scatto e, con sorpresa, incontrai lo sguardo di Gabriele. Il suo sorriso, caldo e rassicurante, illuminava l'oscurità crescente che circondava il nostro incontro. La sua presenza sembrava emanare una luce di conforto, fungendo da faro di sicurezza nella notte incipiente.
Tuttavia, ciò che inizialmente interpretai come una manifestazione della realtà si rivelò un inganno.
Gabriele a Parigi?
Non poteva che essere un'illusione, un miraggio creato dalla mia mente, un sogno ad occhi aperti in cui mi ero inaspettatamente persa. Poi, come un fulmine che squarcia un cielo sereno, quel sogno si incrinò e la mia mente, turbata e confusa, cominciò a svelare verità nascoste dietro il velo dell'illusione.
Segreti sconcertanti, fatti oscuri e inconfessabili si insinuavano tra i meandri della mia coscienza, distorti ma ineluttabilmente presenti.
Le strade di Parigi, che avevo cominciato a considerare familiari e accoglienti, si trasformarono in un labirinto di misteri e inganni ai miei occhi. Ogni angolo pareva celare un segreto, ogni ombra nascondeva una verità inquietante.
Vedevo frammenti di una realtà che mi sfuggiva, come schegge di vetro che riflettevano una luce distorta. Volti sconosciuti mi fissavano con occhi vuoti e voci indistinte sussurravano minacce e promesse oscure. Mi sentivo come un attore su un palcoscenico surreale, intrappolato in un dramma di cui ignoravo il copione, in balia di eventi che sfuggivano al mio controllo.
I segreti che affioravano dalle profondità della mia mente mi avvolgevano come un'ombra incombente, oscurando ogni possibilità di chiarezza. Cercavo di afferrare i fugaci fili della verità, ma essi sembravano sempre un passo avanti a me, sfuggenti come fumo tra le mie dita. Era una lotta estenuante e frustrante.
Mi ritrovai sola in questo labirinto di illusioni, priva di una bussola in grado di guidarmi verso l'uscita.
Ogni passo che compivo sembrava avvicinarmi al centro di un mistero inesplicabile ma la verità si manteneva ostinatamente al di fuori della mia portata, simile a un miraggio nel deserto, irraggiungibile e illusoria.
Tuttavia, non potevo permettere che la disperazione avesse la meglio su di me. Dovevo scavare più a fondo, oltre il velo di inganni e illusioni, alla ricerca della chiave che avrebbe aperto le porte ai segreti del mio sogno distorto.
Poi, come un pugno nello stomaco, la realizzazione mi colpì con forza.
Ero sola, persa nel cuore pulsante di Parigi, eppure non era Gabriele ad abbracciarmi. Era la città stessa a parlare, a rivelarmi l'ombra dei miei pensieri distorti. Un labirinto oscuro e insidioso che minacciava di inghiottirmi interamente. I miei pensieri danzavano pericolosamente, intrecciandosi in una rete di ansie e incertezze.
Improvvisamente, una voce familiare ruppe l'incantesimo, strappandomi dalla mia trance.
<<Mad!>> urlò, risuonando con un tono di urgenza. <<Mad, cosa stai facendo? Vieni con noi!>>. Era Isabelle, visibilmente alticcia, il suo urlo riempiendo l'aria con un'energia che contrastava con il tumulto interiore che mi attanagliava.
Mi voltai, ritrovando i miei amici, Isabelle e Miguel, entrambi ubriachi e animati, che correvano e ridevano per le strade di Parigi. Non potevo fare a meno di sentirmi trascinata nel loro fervore, eppure, mentre mi univo a loro, il pensiero di Gabriele e il significato del mio sogno continuavano a tormentarmi.
Era ormai passato un mese da quando avevo lasciato Roma, e il Maladaptive Daydreaming sembrava aver preso il sopravvento dentro di me, confondendo ulteriormente la linea tra realtà e illusione.
Ci eravamo persi tra le strade illuminate di Montmartre, avvolti in un'atmosfera incantata che sembrava quasi magica nella notte parigina. Ogni angolo si rivelava portatore di storie affascinanti, come se la città stessa sussurrasse segreti dimenticati.
Tuttavia, nonostante la bellezza del paesaggio che ci circondava, dentro di me si stava facendo strada un senso di inquietudine. Era un'intuizione persistente, una sensazione che qualcosa non fosse in ordine, che la realtà si stesse preparando a rivelare un suo oscuro mistero.
Il ritorno all'accademia si svolse nel silenzio più assoluto, spezzato unicamente dal suono ritmico dei nostri passi nel corridoio deserto.
Isabelle ed io ci dirigemmo verso la nostra stanza. Nel momento stesso in cui chiusi la porta, una calma apparente si instaurò. Isabelle si lasciò subito rapire dal sonno, mentre io, al contrario, rimasi sveglia, immersa in un vortice di pensieri che continuavano a turbinare nella mia mente.
Una strana sensazione di vuoto mi avvolgeva, come se qualcosa di vitale stesse sfuggendo al mio controllo.
Le ombre lunghe che si allungavano sul pavimento parevano danzare in sincronia con il battito irregolare del mio cuore, un ritmo ansioso che risuonava nel silenzio della notte. Mi sentivo in attesa, come se stessi per affrontare un evento imminente, un'apparizione che avrebbe scosso le fondamenta della mia realtà e cambiato irrevocabilmente il corso della mia vita.
Era forse solo un presentimento, oppure vi era qualcosa di più profondo e inquietante che si nascondeva dietro le quinte della mia esistenza?
Mentre il silenzio notturno avvolgeva l'accademia, mi trovai intrappolata in un turbinio di pensieri confusi, incapace di trovare un momento di pace. Una sensazione di oppressione mi spingeva a cercare una via di fuga, un modo per liberarmi dal peso che gravava sulla mia mente. Decisi quindi di abbandonare la mia stanza, alla ricerca di un po' di aria fresca e di quella chiarezza mentale che sembrava essermi sfuggita. Salii sul terrazzo, lasciandomi avvolgere dal freddo abbraccio della notte parigina, un invito a riflettere in quel contesto così straordinario. Poco dopo, un rumore improvviso proveniente dal piano inferiore interruppe la quiete della notte.
Quel suono, stridente e fuori luogo, accese in me un senso di inquietudine che si diffuse come un brivido lungo la schiena. Scesi le scale con passi incerti, guidata da una forza misteriosa che non riuscivo a spiegare.
La mia mente era un tumulto di emozioni, ma la curiosità e l'ansia mi spingevano avanti.
Quando raggiunsi il piano e mi avvicinai all'aula di musica, un orrore glaciale mi attanagliò la gola. Il pavimento era macchiato di rosso, una chiazza profonda e sinistra che evocava il terrore e la morte. Il mio cuore si fermò, ghiacciato nel petto, mentre il panico si insinuava in ogni angolo della mia mente, come una nebbia densa che offuscava il mio ragionamento.
Entrai nella stanza e il terrore mi avvolse come un boato assordante, lasciandomi senza fiato. Mariè giaceva senza vita sul pavimento, immersa nel suo stesso sangue, un'immagine che marchiò il mio animo come un marchio indelebile. Accanto a lei, l'uomo senza volto, la figura sinistra e inquietante che mi era già apparsa una volta in sogno, quella che aveva preso la mia sorellina. La paura mi paralizzò, mentre una voce dentro di me urlava con una disperazione angosciante: "Vattene! Scappa!". L'istinto di sopravvivenza si scontrava con il desiderio di comprendere la realtà di quella scena orrenda, un conflitto che mi lasciava bloccata, incapace di muovermi o reagire.
Senza alcuna idea di quale direzione prendere, corsi in segreteria, cercando disperatamente aiuto ma l'edificio si rivelò desolatamente vuoto, avvolto nel silenzio inquietante della notte. La realtà, in quel momento, sembrava scivolare via tra le mie dita, come sabbia in un orologio. Mi chiesi se tutto ciò che stavo vivendo fosse semplicemente un altro sogno, un incubo alimentato dai miei timori più profondi, un'illusione che si intrecciava con il mio stato mentale già precario.
Tornai nella sala di musica ma l'uomo senza volto era svanito nel nulla, lasciandomi sola con l'orribile visione di Mariè, che giaceva senza vita. Un'onda di impotenza mi travolse, mentre la disperazione si insinuava nel mio cuore come una serpe velenosa. Ogni istante sembrava un'eternità, un tunnel senza uscita in cui la luce della ragione si affievoliva sempre di più.
Corsi nella mia stanza e svegliai Isabelle, la mia amica, nella speranza di trovare conforto e sostegno. Ma quando Isabelle notò il sangue sui miei vestiti, il terrore si diffuse tra di noi come una marea inarrestabile. L'espressione di paura sul mio volto la colpì come un fulmine e con voce tremante mi chiese cosa fosse successo. Ero incapace di rispondere. Le parole si bloccavano in gola, soffocate dal terrore che mi avvolgeva come una morsa, un abbraccio mortale che rendeva impossibile qualsiasi tentativo di spiegare.
Decisi di tornare nella sala di musica, un luogo che ora era diventato un angolo di tormento. Lì, giaceva ancora il corpo di Mariè, testimone silenzioso di un orrore indicibile, un enigma che gravava su di noi. Eravamo sole, impotenti di fronte a un mistero che minacciava di divorarci interamente, schiacciate dal peso della morte che aleggiava nell'aria. La nostra esistenza si trovava sull'orlo di un abisso, e il suo richiamo era inarrestabile.
Isabelle ed io incrociammo gli sguardi, un'intesa silenziosa di terrore e incertezza che aleggiava nell'aria densa di paura. L'orrore della scena che si presentava davanti a noi ci aveva inchiodate al suolo, immobilizzando le nostre menti e i nostri corpi, ma sapevamo che, nonostante la paralisi che ci avvolgeva, dovevamo agire. Non potevamo restare impassibili di fronte a un atto di violenza così brutale e disumano.
Con il cuore che batteva furiosamente nel petto, ci avvicinammo al corpo di Mariè, cercando disperatamente di ignorare l'orrore palpabile che ci circondava.
La vista del sangue che macchiava il pavimento, un rosso scarlatto che si mescolava al freddo della morte e il corpo senza vita dell'amica erano come un pugno allo stomaco, una realtà che lacerava le nostre anime.
Tuttavia, eravamo consapevoli dell'importanza di mantenere la lucidità in quel momento cruciale. Ci ponemmo una domanda che rimbombava nei recessi della nostra mente: "Chi l'ha uccisa?" Una domanda che, nella sua semplicità, nascondeva un abisso di mistero e di paura, e che, allo stesso tempo, costituiva la chiave per svelare la verità celata dietro a quell'orrendo omicidio.
Decidemmo di tornare nella nostra stanza, avvolte da un crescente senso di angoscia e disperazione. Eravamo consapevoli che non potevamo permettere al terrore di sopraffarci. Avevamo bisogno di un piano, di un'azione che ci riportasse il controllo sulla situazione.
Appena entrammo, chiamammo il numero di emergenza, sperando che una voce rassicurante rispondesse alla nostra richiesta di aiuto. Ma il telefono rimase muto e l'assenza di risposta ci avvolse in un'atmosfera opprimente, un silenzio che sembrava amplificare la nostra paura.
Decidemmo quindi di tornare nella sala di musica, sperando di trovare qualche indizio che potesse dissipare l'orrore che si era insinuato nelle nostre menti. Tuttavia, quando raggiungemmo la stanza, un colpo di scena agghiacciante ci attese: il corpo di Mariè non era più lì. Era come se fosse svanito nel nulla, lasciandoci sole con i nostri dubbi e l'orrore che cresceva dentro di noi. La stanza sembrava ancor più buia e opprimente, come se un'ombra sinistra avesse preso dimora tra le quattro mura, avvolgendoci in una crescente inquietudine.
Improvvisamente, un urlo risuonò dall'alto. La mia mente si affrettò a concludere: "Il terrazzo." Non esitai a correre su, spinta da un impulso irrefrenabile.
Una volta giunta in terrazzo, la porta si chiuse con un tonfo sordo alle mie spalle, lasciandomi sola, avvolta dalla paura.
Quello che era un rifugio di pace e tranquillità si trasformò in un palcoscenico inquietante. Con il suono della porta che risuonava ancora nelle mie orecchie, il mio cuore cominciò a battere freneticamente, come un tamburo di guerra che preannuncia l'imminente pericolo.
Mi voltai, i sensi in allerta, e lì, nell'oscurità avvolta dal cappuccio, si stagliava la figura imponente di Gabriele. La sua presenza era simile a un faro nella notte ma il suo volto rimaneva celato nell'ombra, aggiungendo un ulteriore strato di tensione alla scena. Gabriele emanava un'aura di potenza e autorità, nonostante l'oscurità nascondesse il suo viso. La sua postura era decisa e determinata, come se fosse pronto a fronteggiare qualsiasi minaccia potesse manifestarsi.
Nonostante il mio istinto mi incitasse a urlare e fuggire, una parte di me si sentiva stranamente al sicuro in sua presenza. Era come se la sua figura incappucciata aggiungesse un alone di mistero, trasformandolo in un alleato enigmatico e potente in questo viaggio attraverso le tenebre.
Mentre mi trovavo lì, bloccata sul terrazzo con Gabriele, la realizzazione mi colpì come un fulmine in una notte tempestosa. Questo non poteva essere un sogno. Ogni dettaglio intorno a me, ogni sensazione che provavo, era troppo reale e troppo tangibile per essere frutto della mia mente.
Fissai Gabriele, la sua figura oscura che si ergeva nell'ombra, interrogandomi sul significato di questa presenza misteriosa.
Cosa rappresentava quest'apparizione nel cuore della notte, in un luogo così isolato e carico di ombre?
Rimasi immobile mentre la mia mente rincorreva freneticamente ogni possibile spiegazione. Forse era un'allucinazione, una distorsione della realtà provocata dal tumulto dei miei pensieri. Tuttavia, la sensazione della porta che si era chiusa dietro di me con un tonfo era troppo reale per essere ignorata.
Mi guardai intorno, scrutando l'oscurità circostante nella speranza di scovare un indizio, una chiave che potesse spiegare la complessità di questa enigmatica situazione. Ma ciò che percepivo era solo un vuoto opprimente, un'oscurità infinita che pareva inghiottirmi lentamente, come se volesse relegarmi in un abisso senza fine.
Poi, inaspettatamente, come un lampo di luce che squarcia la notte, una nuova possibilità si fece strada nella mia mente.
Forse tutto questo non era casuale.
Forse faceva parte di un disegno più grande, di un mistero che si celava dietro le apparenze, attendendo con pazienza di essere svelato.
Con un senso di determinazione crescente, mi afferrai a questa idea.
Questo incontro con Gabriele, questo strano evento che si stava svolgendo sul terrazzo, avrebbe potuto rivelarsi l'inizio di un viaggio verso la verità, verso la risposta che tanto desideravo.
Decisi di affrontare questa nuova realtà con coraggio e risolutezza, consapevole che ogni passo che avrei fatto mi avrebbe avvicinato alla soluzione di questo mistero avvolgente. Mentre mi preparavo a fronteggiare ciò che il destino aveva in serbo per me, una sola certezza si insediò nella mia mente: non avrei mai più guardato il mondo allo stesso modo.
Lo sguardo intenso di Gabriele si posò su di me mentre porgeva la mano con fermezza. La sua voce, carica di un'inquietante promessa.
<<Vieni da me>> mi disse. Era un invito intriso di promesse e mistero ma io, immobilizzata nel dubbio e nell'incertezza, non potevo cedere così facilmente.
La mia mente ribolliva di domande senza risposta mentre l'atmosfera, carica di tensione, danzava intorno a noi come un'ombra inquieta.
Sebbene il richiamo di Gabriele risuonasse profondamente nel mio animo, sapevo di dover resistere alla tentazione, almeno finché non avessi compreso appieno le implicazioni di quella proposta. Con un impercettibile movimento del capo, respinsi silenziosamente l'invito di Gabriele, sentendo la mia determinazione crescere come un'onda impetuosa.
Il mio cuore era diviso tra il desiderio di avventura e la paura dell'ignoto, ma avevo chiaro in mente che dovevo rimanere salda nelle mie convinzioni, almeno per ora.
Di colpo, un suono penetrante squarciò il silenzio della mia mente: la sveglia. Aprii gli occhi e mi ritrovai nel mio letto, circondata dall'ombra familiare della mia stanza. Nell'altro letto, Isabelle si era già alzata.
Erano le sette del mattino, e come ogni mattina, la sua energia travolgente si manifestò in un flusso incessante di parole.
Il suono della sua voce, in quel momento, sembrava paragonabile a una bomba che esplodeva e mi venne un mal di testa acuto, come se le sue parole stessero cercando di perforare il velo della mia sonnolenza.
Subito dopo, un brusco bussare alla porta interruppe il nostro breve scambio di routine. Isabelle si affrettò ad aprire, rivelando la figura della donna della segreteria, la quale ci invitò ad abbandonare la nostra camera e a dirigere verso l'aula magna.
Una volta arrivati, ci radunammo tutti nell'austera aula magna dell'accademia, un luogo che in passato aveva visto esami e conferenze di grande rilevanza. Ma questa volta, l'atmosfera era intrisa di una gravità palpabile.
La presenza imponente della polizia, i cui agenti si muovevano con autorità tra i banchi degli studenti, aggiunse un ulteriore strato di tensione alla scena.
Ogni loro movimento era scrutato da occhi attenti, creando un clima di anticipazione misto a timore.
Ci sedemmo in silenzio, osservando con trepidazione il palco, dove le autorità si preparavano a prendere la parola.
Il capo della polizia, con la sua figura massiccia e il suo sguardo penetrante, si stagliava di fronte a noi come un guardiano della verità, pronto a rivelare i segreti oscuri che si nascondevano dietro l'evento luttuoso che aveva scosso le fondamenta della nostra comunità.
Quando aprì bocca, le sue parole risuonarono nell'aria, taglienti come lame affilate. Ci informò dei dettagli dell'indagine in corso sulla morte di Mariè e ogni sua affermazione colpiva il nostro cuore come un pugno, un richiamo alla cruda realtà di ciò che era accaduto.
Mentre ascoltavamo, cercavamo di venire a patti con la perdita di una nostra compagna, consapevoli che nulla sarebbe stato più come prima.
Dopo quella riunione, un silenzio teso e opprimente avvolse l'aula magna.
I poliziotti, le cui figure autoritarie avevano segnato quel momento, si allontanarono, lasciandoci a confrontarci con l'incubo che aveva travolto la nostra vita accademica. L'eco dei loro passi si disperse nei corridoi, portandosi via l'ultimo fragile frammento di normalità che ci era rimasto.
Le lezioni ripresero ma l'atmosfera era cambiata in modo irreversibile.
Ogni nota, ogni parola pronunciata dai nostri insegnanti sembrava gravare su di noi come un peso insopportabile.
I docenti tentavano di mantenere un'apparenza di serenità ma i loro occhi tradivano un'inquietudine che non poteva essere nascosta.
I miei compagni si muovevano come ombre, scambiandosi sguardi furtivi, domande non dette e paure inesprimibili.
Durante la lezione con il Maestro Blanch, un insegnante di musica noto per il suo volto severo ma per gli occhi gentili, la tensione era palpabile. Il suo volto, di solito concentrato e inflessibile, mostrava una preoccupazione evidente che non poteva più celare. Dopo averci fatti sedere e aver lasciato che il silenzio si diffondesse nell'aula per qualche istante, Blanch si alzò dal suo posto dietro il pianoforte e avanzò verso di noi, fermandosi al centro dell'aula, circondato da volti attoniti.
<<Cari studenti>> iniziò, la sua voce risuonò come un'eco inquieta nelle nostre menti, interrompendo il silenzio pesante. <<So che questo avvenimento è estremamente difficile per tutti noi. La perdita di Mariè è una tragedia che ha colpito profondamente la nostra comunità. Mariè non era solo una vostra compagna di studi ma anche una giovane artista con un futuro brillante davanti a sé. La sua scomparsa ci lascia un vuoto che sarà difficile colmare>> fece una pausa. Il silenzio nell'aula divenne quasi assordante, un momento di rispetto per la perdita.
<<Se qualcuno di voi sa qualcosa, qualsiasi dettaglio, per quanto piccolo possa sembrare, deve farsi avanti. La polizia sta indagando ma ogni informazione può essere fondamentale per fare luce su questo terribile avvenimento. Non abbiate paura di parlare. Questo è un momento in cui dobbiamo unirci e sostenerci a vicenda>> le sue parole, cariche di gravità e urgenza, risuonarono tra di noi, come un appello a far fronte insieme a un dolore che ci univa. La speranza di scoprire la verità si mescolava con la paura del mistero che avvolgeva la morte di Marie, lasciando un segno indelebile nelle nostre vite.
Blanch ci scrutava uno per uno, i suoi occhi penetranti cercavano risposte nei nostri volti pallidi e confusi. Era evidente che stava cercando di instaurare un contatto, di cogliere l'angoscia e l'incertezza che ci attanagliavano. Poi, continuò con tono solenne
<<Capisco che possiate sentirvi spaventati o incerti. Forse qualcuno di voi ha visto o sentito qualcosa che potrebbe rivelarsi rilevante. Non dobbiamo lasciare che la paura ci zittisca. Mariè merita giustizia e noi dobbiamo fare tutto il possibile per aiutarla a ottenerla>>
Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Sentivo il mio cuore battere forte nel petto, un ritmo frenetico che rifletteva il tumulto interno generato da quella notte inquietante.
Cosa avrei potuto dire?
La mia mente si trasformò in un vortice di immagini confuse, in cui sogni e realtà si intrecciavano in un caos inestricabile.
La mia anima cercava disperatamente di afferrare un pezzo di verità, un frammento di ricordo che potesse giustificare la mia presenza lì, in quel momento così carico di emozione.
<<Voglio che sappiate>> proseguì Blanch, il suo sguardo ora più compassionevole <<che siamo qui per voi. Se avete bisogno di parlare, se avete domande o, semplicemente, se avete bisogno di supporto, non esitate a venire da me o da qualsiasi altro insegnante. Siamo una famiglia qui e in questo momento di dolore dobbiamo restare uniti>>
Tornando dietro al pianoforte, appoggiò le mani sui tasti e lasciò che un accordo morbido riempisse l'aria, un suono che sembrava cercare di mitigare il peso del silenzio che ci opprimeva.
<<La musica è la nostra ancora>> dichiarò <<Anche nei momenti più bui, può portarci conforto e speranza. Voglio che continuiate a suonare, a creare, a esprimere i vostri sentimenti attraverso la musica. Mariè avrebbe voluto così>>
Con un gesto gentile ci invitò a recarci verso i nostri strumenti e l'aria si riempì di una vibrante aspettativa. Iniziammo a suonare, ogni nota un tentativo di liberare l'angoscia che ci opprimeva, di dare forma al dolore che ci univa. La melodia che ne scaturì si trasformò in un lamento, un grido di dolore e di speranza, un omaggio a Mariè e un impegno a cercare la verità.
Ogni nota sembrava rappresentare un passo verso la comprensione, un modo per elaborare il trauma e trovare un filo di luce nell'oscurità che ci avvolgeva. La lezione proseguì ma le parole di Blanch rimasero impresse nella nostra mente, un invito imperativo a rompere il silenzio e a intraprendere insieme il cammino verso la verità, per onorare la memoria di chi avevamo perso e non permettere che la sua storia venisse dimenticata.
Mentre tutti suonavano, mi avvicinai al pianoforte e iniziai a premere i tasti con una delicatezza carica di emozione. Ogni nota che emanava dallo strumento sembrava prendere vita, inondandomi di una sensazione che trascendeva il semplice suono. In quel momento, tutto il resto svanì. Il mondo esterno si dissolse e rimasi immersa in una sorta di trance, come se tutti i miei compagni fossero entrati nella mia mente. Vidi e sentii le loro emozioni, il dolore e la paura che opprimevano l'aula, un luogo che era diventato un carcere per le nostre ansie.
Gradualmente, i miei compagni iniziarono a smettere di suonare, le loro espressioni si facevano sempre più smarrite mentre io cambiavo accordi, raccontando a tutti loro, senza parole, la storia di quella notte terribile.
Riuscivano a percepire il sangue che macchiava l'aria, a visualizzare l'oscurità e la paura che permeavano quell'aula ormai avvolta dal silenzio. Persino Blanch, il maestro, si trovava intrappolato nella mia visione.
La tensione cresceva in modo palpabile.
Ad un certo punto, il maestro interruppe la musica, avvicinandosi a me con un'espressione di urgenza, cercando di farmi smettere. Ma io, con gli occhi chiusi, continuai imperterrita. Dovevano sapere, dovevamo affrontare insieme la verità. Blanch rimase impietrito, il suo sguardo riflettendo la stessa rivelazione che stava attraversando la mia mente. Anche lui avvertì la presenza di quella figura dal volto oscuro, che aleggiava come un'ombra nei recessi della mia memoria. Gradualmente, iniziai a modulare il suono del pianoforte, i tasti diventando sempre più cupi e trascendenti. Dopo un po', cessai di suonare.
Il silenzio che seguì era denso e carico di incredulità. I volti dei miei compagni erano sbalorditi mentre il maestro rimase senza parole.
<<Come hai fatto?>> mi chiese Blanch, con un'espressione sorpresa e curiosità.
Un silenzio inaspettato calò nella stanza, interrompendo ogni conversazione. Blanch mandò via gli altri studenti e chiamò il Maestro Lefèvre.
I due uomini si scambiarono uno sguardo d'intesa e si sedettero di fronte a me, creando un'atmosfera carica di attesa.
<<Maddalena>> iniziò Lefèvre, la sua voce profonda e autoritaria risuonava come un richiamo <<devi spiegarci cosa è successo>>
Sospirai profondamente, cercando di mettere ordine nei miei pensieri confusi. <<Non so se riesco a spiegare tutto>> dissi, le parole uscivano a fatica, cariche di un tremore inespresso. <<Ciò che avete visto... ciò che ho fatto... è collegato a una condizione che ho, una malattia chiamata Maladaptive Daydreaming>>
Blanch si inclinò in avanti, il suo sguardo si intensificò.
<<Maladaptive Daydreaming? Non ne ho mai sentito parlare>>
Annuii, sentendomi vulnerabile ma al tempo stesso spinta a condividere.
<<È una condizione che mi fa sognare ad occhi aperti in modo molto intenso e realistico. I miei sogni si intrecciano con la realtà, rendendomi difficile distinguere ciò che è vero da ciò che non lo è. Quando suono, posso trasferire le mie visioni e i miei sentimenti agli altri>>
Lefèvre sembrava affascinato ma una preoccupazione evidente si leggeva sul suo volto.
<<Quindi, tu hai davvero visto qualcosa quella notte? Quella figura senza volto...>>
<<Non so cosa sia reale e cosa no>> ammisi, la mia voce tremava <<Quella notte ero confusa e terrorizzata. Ho visto sangue, ho visto Mariè. E poi ho visto... lui... quella figura>>
<<Lui chi?>> incalzò Blanch, l'ansia crescente nelle sue parole.
Avevo visto Gabriele, in terrazzo, ma non poteva essere reale.
<<Non lo so>> risposi, sentendo un brivido lungo la schiena <<Forse è il presunto serial killer, oppure è solo una proiezione delle mie paure>>
Lefèvre rimase in silenzio per un momento, riflettendo intensamente.
<<Dobbiamo capire se quello che hai visto può aiutarci a trovare il colpevole. La tua capacità è straordinaria, ma anche pericolosa>>
Blanch annuì in segno di accordo.
<<Non possiamo ignorare ciò che hai mostrato, Maddalena. Potrebbe essere un indizio per la polizia>>
Mi sentivo esposta, vulnerabile, ma anche determinata a fare la mia parte.
<<Farò tutto il possibile per aiutare>> dissi, incrociando i loro sguardi, una fiamma di determinazione accesa dentro di me.
Le loro espressioni si indurirono, riflettendo una determinazione condivisa. Sapevamo che ci attendevano giorni difficili e che, in qualche modo, io potevo aiutarli. Tuttavia, la verità era che nemmeno io avevo chiaro cosa fosse accaduto e cosa avessi realmente visto. Era un'amara consapevolezza: non ero una testimone affidabile. Quella notte, avevo sperimentato due sogni ad occhi aperti, a distanza di poche ore l'uno dall'altro e nel profondo sentivo che qualcosa non andava.
Stavo perdendo il controllo di me stessa.
Ero lontana da casa e dalla mia famiglia, in quel momento la nostalgia si fece sentire con insistenza. In quel momento, desideravo ardentemente la presenza di mia madre, colei che sapeva comprendere le mie sensazioni in modo profondo e intuitivo. Ora, però, dovevo affrontare tutto questo da sola, contando esclusivamente su me stessa e sulla mia resilienza.
Quella sera, mentre il sole calava su Parigi e le luci della città iniziavano a brillare, un poliziotto bussò alla mia porta. Ero seduta alla scrivania, cercando di studiare, ma la mia mente era un tumulto di pensieri disordinati, troppo agitata per concentrarsi. Isabelle alzò lo sguardo dai suoi appunti, lanciandomi un'occhiata preoccupata, come se avesse percepito la gravità della situazione.
La stanza si trasformò in un bozzolo di tensione e il mio interrogativo risuonava nel vuoto come un eco inquietante. Sembrava di essere stata risucchiata in un vortice di incertezze, incapace di distinguere tra verità e finzione, tra realtà e illusione.
Il risveglio avvenuto nella mia stanza era stato un risveglio in un labirinto di domande senza risposta, un enigma avvolto in un alone di mistero.
Come ero finita lì?
E cosa era realmente accaduto dopo?
Le telecamere, quegli occhi osservatori e implacabili, avrebbero dovuto testimoniare ogni mio movimento, eppure la verità sfuggiva ancora alle loro lenti scrutatrici. L'evento sconcertante della sospensione improvvisa delle telecamere, proprio mentre mi trovavo nell'aula di musica, rappresentava una nota dissonante nell'orchestra del mio pensiero.
Come avrei potuto spiegare ciò che avevo visto se nemmeno le telecamere avevano registrato nulla?
Il cuore affranto dal peso dell'incertezza, mi resi conto di trovarmi di fronte a una scelta cruciale.
Dovevo trovare il coraggio di affrontare la verità anche se essa mi conduceva su sentieri oscuri e sconosciuti.
Ma prima di tutto, era necessario che guardassi dentro me stessa, trovando la forza per affrontare i demoni che si nascondevano nelle profondità della mia mente tormentata. Solo allora avrei potuto sperare di scoprire la chiave per svelare il mistero che avvolgeva la mia esistenza, una verità che attendeva di essere rivelata.
È davvero bello sapere che Maddalena sta trovando un posto nei tuoi pensieri💖
Spero che questo capitolo ti abbia incuriosito e, se ti va, sarebbe bellissimo leggere cosa ne pensi. E se ti va, lascia una stellina! 💫
Ogni piccolo segno da parte tua è sempre molto apprezzato🌸
Grazie di cuore💖
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