2. Sotto il velo del matrimonio

Era finalmente arrivato il giorno tanto atteso: il matrimonio di mia zia Serena. Le lancette segnavano le dieci del mattino, e io ero lì, pronta, immersa in un vortice di emozioni contrastanti. Invitata d'onore e cantante designata per l'evento, sentivo l'ansia serpeggiare dentro di me come un predatore silenzioso. Era una tensione costante, una presenza latente che, nonostante tutto, non riusciva a spegnere l'eccitazione che cresceva ad ogni minuto. Ero impaziente, desiderosa di vedere l'auto che ci avrebbe portato alla cerimonia.

Mentre aspettavo, il mio riflesso nello specchio catturava la mia attenzione. Provai a concentrarmi su pensieri positivi, un esercizio mentale necessario per domare l'irrequietezza che mi tormentava.

Alle mie spalle, mio padre stava discutendo con mia madre, esasperato dal suo ritardo, consapevole che l'auto sarebbe arrivata da un momento all'altro. Nonostante tutto, ero elettrizzata. Quel matrimonio significava molto per me. Ma, anche in quel giorno di festa, non riuscivo a scrollarmi di dosso l'inquietudine che mi provocavano i miei sogni ad occhi aperti, quei frammenti onirici che continuavano a perseguitarmi.

Uno di questi sogni, recente e vivido, mi tornò alla mente con una chiarezza disarmante. Mi trovavo in un bosco misterioso, incantato. Gli alberi, avvolti da una luce irreale, emanavano un bagliore che illuminava la mia strada, mentre strane creature mi osservavano da lontano. C'era una melodia nell'aria, dolce e ipnotica, che mi attirava sempre più in profondità nel cuore di quella foresta.

Ogni passo che facevo sembrava condurmi verso una verità nascosta, un segreto che dovevo scoprire. Tuttavia, man mano che avanzavo, un senso di inquietudine cominciava a insinuarsi, un presentimento oscuro che cresceva silenzioso.

Una voce distante mi sussurrava di fermarmi, di tornare indietro.

Ma la mia curiosità era troppo forte e la spinta a continuare, irresistibile. Il sogno si fece più vivido, i colori attorno a me cambiarono e, al di sopra degli alberi, il cielo si tingeva di sfumature inquiete: un blu profondo, un rosso vivido, un giallo accecante. Sembrava che il cielo sanguinasse, quasi come se fosse un presagio funesto. Abbassai lo sguardo e mi ritrovai accanto a un ruscello, il cui corso tranquillo mi invitava a seguirlo.

Camminai lungo quel sentiero d'acqua, facendo attenzione a non scivolare tra fango e ramoscelli. Il percorso era breve ma incantevole e la sensazione di equilibrio precario mi faceva sentire viva, in armonia con l'ambiente circostante. Alla sorgente, l'acqua brillava con una purezza innaturale, cristallina come uno specchio perfetto.

Mi chinai, osservando il mio riflesso. La mia immagine sembrava quasi dipinta, come se la natura stessa avesse catturato ogni dettaglio del mio volto in quel momento di serenità assoluta.

Ma quella pace fu presto infranta.

La mia immagine nello specchio d'acqua si distorse improvvisamente e ciò che vidi fu inquietante. I miei occhi, velati da una strana foschia, sembravano lontani, come se un'altra versione di me, più oscura e nascosta, stesse cercando di emergere. Cosa voleva dirmi la mia mente?

Quale segreto stava cercando di rivelarmi attraverso quella figura alterata?

La domanda restò sospesa, irrisolta, mentre il sogno lentamente svaniva.

Il risveglio fu brusco, riportandomi alla realtà con un senso di disorientamento.

Ero di nuovo lì, davanti allo specchio, nel mio vestito elegante, circondata dal trambusto della preparazione. Scossi la testa, cercando di liberarmi di quelle sensazioni residue e mi diressi verso il salotto alla ricerca della mia borsetta rossa di Valentino, quella che riservavo per le occasioni speciali.

L'autista era arrivato da qualche minuto e aspettava pazientemente sotto casa nostra. La vettura, una berlina nera, lucida e impeccabile, spiccava come un'ombra elegante nel tranquillo paesaggio del nostro quartiere.

L'auto sembrava quasi fuori luogo, un elemento di discreto lusso che contrastava con la quiete e la semplicità circostante.

Mi trovavo vicino alla finestra del salotto, osservando tutto con attenzione.

Mentre il mio sguardo vagava tra l'auto e il cortile antistante, dentro di me le emozioni ribollivano in un tumulto silenzioso. L'ansia, l'eccitazione, e quel sottile senso di irrequietezza che ormai conoscevo fin troppo bene si alternavano come onde che si infrangono sulla riva, mentre cercavo di mantenere il controllo.

<<Mara, stiamo facendo tardi!>> La voce di mio padre riecheggiò impaziente dal corridoio, tagliando il silenzio. Era il solito rimprovero velato che precedeva ogni occasione importante.

Mia madre era ancora nella sua stanza, probabilmente impegnata nei dettagli finali del trucco o nella scelta dell'abito. Era sempre così, ogni evento significativo sembrava trasformarsi in una corsa contro il tempo, un piccolo dramma fatto di preparativi minuziosi e inevitabili ritardi.

Dopo qualche minuto, mamma finalmente fece la sua apparizione. Entrò nel salotto con un'aria composta ed elegante, indossando un abito color crema che le donava un'aura di grazia e serenità.

<<Sto arrivando, sto arrivando!>> disse con un sorriso indulgente, mentre afferrava la borsa e mi lanciava uno sguardo complice. Quel sorriso trasmetteva una sorta di rassicurazione: "Siamo pronti, tutto è sotto controllo".

Con passo deciso, ci dirigemmo verso le scale. Scendemmo insieme, io con la borsa stretta tra le mani, come se fosse un'ancora a cui aggrapparmi.

Il battito del mio cuore accelerava ad ogni passo mentre cercavo di gestire la tensione crescente. Il matrimonio di zia Serena era un evento importante e non potevo ignorare l'importanza che rivestiva per la nostra famiglia. Ma c'era di più. Nella mia mente, il confine tra la realtà e l'immaginazione cominciava a sfumare. Le mie fantasie, intricate e persistenti, si sovrapponevano alla realtà, creando una rete complessa di pensieri e scenari ipotetici che, in alcuni momenti, sembravano sopraffarmi.

Entrammo nell'auto. I sedili di pelle, morbidi e profumati di un odore dolciastro e quasi lussuoso, accolsero i nostri corpi con un comfort che contrapponeva il mio stato interiore di agitazione.

L'autista ci salutò con un cenno rispettoso e avviò il motore.

Il rombo potente del veicolo mi colse di sorpresa, scuotendomi leggermente. Era una sensazione strana, come se quel suono avesse risvegliato in me una scintilla di adrenalina, alimentando l'ansia che già ribolliva sotto la superficie.

Mamma e papà parlavano tra loro, le voci un sussurro sommesso che si perdeva nei miei pensieri. Ero troppo immersa nel mio mondo per ascoltare realmente. Guardavo fuori dal finestrino osservando distrattamente le strade che ci lasciavamo alle spalle.

Il paesaggio familiare scorreva veloce ma nella mia mente le immagini si distorcevano. Le strade comuni si trasformavano in passaggi verso luoghi sconosciuti, i volti delle persone che incrociavamo diventavano enigmatici, sfuggenti. Mi immaginavo in una realtà parallela, in un'auto diversa, in una città diversa. Forse in fuga. Da cosa, non lo sapevo.

Ogni dettaglio del percorso diventava un indizio, ogni volto estraneo una potenziale minaccia. Ero, ancora una volta, prigioniera dei miei pensieri, incapace di distinguere chiaramente tra ciò che era reale e ciò che apparteneva alle mie visioni.

Mentre l'auto scivolava attraverso la città, il senso di eccitazione che mi aveva avvolto fino a pochi istanti prima si dissolse rapidamente, lasciando spazio a una stanchezza improvvisa e opprimente quasi come se un velo pesante mi stesse trascinando in uno stato di torpore irresistibile, paragonabile alla narcolessia. Nonostante le voci dei miei genitori continuassero a scambiarsi parole in sottofondo, percepivo i loro dialoghi come un rumore lontano e ovattato.

Le loro parole si fondevano con il costante rumore del motore e, lentamente, senza rendermene conto, scivolai in un sonno profondo, involontario.

Ma il sonno non fu una fuga dalla realtà. Al contrario, mi catapultai in una visione alternativa dello stesso momento. Non stavo sognando un altro luogo o un altro tempo ma la mia mente sembrava avermi trasportato in una diversa prospettiva di quello che stavo vivendo. Ogni incrocio che superavamo si trasformava in un nodo di tensione crescente, come se un presagio oscuro incombeva su di noi. Nella mia immaginazione, una figura indistinta, un'ombra minacciosa, ci seguiva a distanza, mantenendo la sua posizione dietro di noi, implacabile e invisibile agli occhi dei miei genitori ma non ai miei.

Cominciai a chiedermi se tutta la questione del matrimonio nascondesse davvero qualcosa di più profondo, un mistero sepolto sotto la superficie della normalità. Forse un segreto inconfessabile, una verità che nessuno osava affrontare. O forse, più semplicemente, era il mio subconscio che, ancora una volta, stava prendendo il sopravvento, trasformando una semplice occasione di gioia in una rete di dubbi e inquietudini. Sta di fatto che il mio cuore iniziò a battere forte, con un ritmo quasi assordante nelle mie orecchie. Ogni suono esterno, anche il più banale, sembrava amplificato: il fruscio dei pneumatici sull'asfalto, il rumore sordo del motore, i respiri dei miei genitori. Ogni dettaglio del paesaggio, ogni auto che passava o edificio che scorreva al di là del finestrino, si trasformava in un elemento di sospetto.

Improvvisamente, un sobbalzo violento mi strappò al mio sogno.

L'auto aveva preso una buca, scuotendomi bruscamente dal sonno. Ma nel mio stato di disorientamento, mi sembrò tutt'altro. Era come se fossi atterrata, dopo essere stata sospesa in una bolla di terrore e agitazione, in una realtà più stabile, ma non per questo meno inquietante. Il mondo esterno si era calmato, ma il mio cuore ancora batteva frenetico e la sensazione di una minaccia invisibile rimaneva, nascosta appena sotto la superficie del normale.

Arrivammo finalmente alla chiesa, nel cuore pulsante di Roma, una struttura che dominava il paesaggio circostante con le sue alte guglie gotiche e le vetrate maestose, i cui colori riflettevano la luce del mattino con un bagliore quasi ultraterreno. L'autista, con un gesto rapido e rispettoso, aprì la portiera ed io fui la prima a scendere.

L'aria fresca riempì i miei polmoni ma non portò con sé quella sensazione di sollievo che speravo.

Invece, una tensione palpabile sembrava avvolgere ogni cosa, come se lo stesso edificio sacro nascondesse segreti antichi e inconfessabili tra le sue pietre millenarie.

Mamma e papà mi seguirono poco dopo, camminando fianco a fianco, immersi in un silenzio che contrastava con l'allegro chiacchiericcio delle persone radunate sul sagrato.

Ma io non riuscivo a lasciarmi andare.

Qualcosa dentro di me, un terrore sottile e strisciante, si faceva largo a ogni passo, come se in qualche modo io non appartenessi a quel luogo. Era una sensazione di estraneità che mi paralizzava, come se fossi spettatrice di un mondo che non era il mio, un mondo in cui gli intrighi e i pericoli nascosti erano all'ordine del giorno.

Eppure, insieme al terrore, c'era un'altra emozione che mi pervadeva: l'elettrizzante aspettativa che qualcosa di straordinario fosse sul punto di accadere.

Ogni gesto, ogni parola scambiata tra gli invitati sembrava nascondere un significato più profondo, come se tutti fossero parte di un piano più grande che ancora mi sfuggiva.

Mi guardai attorno, immersa in un mare di volti, alcuni familiari, altri completamente sconosciuti, eppure tutti legati da un filo invisibile che sembrava intessere la trama di una storia ancora non rivelata.

Tutto appariva perfettamente normale in superficie. Abbracci calorosi, sorrisi, risate, ma io non potevo liberarmi della sensazione che sotto quella patina di normalità ci fosse qualcosa di sbagliato, un dettaglio che mi sfuggiva, ma che avrebbe potuto cambiare tutto. La mia mente cercava disperatamente di afferrare quell'indizio mancante, quel frammento di realtà che avrebbe svelato la verità. Forse era solo frutto della mia immaginazione, una delle tante suggestioni che mi assalivano nei momenti di tensione. Ma non potevo fare a meno di pensare che quel matrimonio non sarebbe stato come gli altri.

Appena scesa dall'auto, il mio sguardo fu subito catturato da una figura familiare tra la folla: mia zia Viola, raggiante e impeccabile nel suo abito viola scuro, inconfondibile come sempre. I suoi occhi incrociarono i miei e lei mi sorrise, un gesto che, nonostante il tumulto interiore che provavo, riuscì a tranquillizzarmi per un istante.

Il suo sorriso era magnetico, un riflesso del suo carattere vivace e del suo fascino naturale. Mi ritrovai a ricambiare, nonostante il cuore mi battesse all'impazzata, come se fossi sopraffatta dall'intensità di quel momento.

Zia Viola indossava un abito lungo che scendeva perfettamente fino alle caviglie, esaltando la sua figura snella e impeccabile. Il tessuto, di una tonalità viola scuro e leggermente lucido, catturava ogni riflesso di luce, conferendole un'aura quasi eterea. I dettagli in pizzo lungo le maniche e l'orlo dell'abito aggiungevano una delicatezza sofisticata, che si sposava perfettamente con la sua personalità. Al collo portava una collana di perle nere, sobria e raffinata, un accessorio che completava il suo look senza mai risultare eccessivo. Gli orecchini, piccoli e discreti, sembravano un'estensione naturale di quell'eleganza misurata.

I suoi capelli, raccolti in una coda alta, lasciavano libere alcune ciocche che incorniciavano delicatamente il suo viso. Il trucco era leggero, studiato con cura per mettere in risalto i suoi occhi profondi e quel sorriso caloroso che la rendeva inconfondibile. Persino le scarpe, tacchi alti neri di vernice, erano la perfetta sintesi di stile e classe. Ogni dettaglio rifletteva il suo gusto impeccabile, la sua capacità innata di apparire elegante in qualsiasi circostanza.

Accanto a lei, con la stessa impeccabile compostezza, vi erano i miei nonni.

Erano figure maestose nella loro eleganza senza tempo. Mio nonno, sempre fiero, indossava un abito grigio scuro che sembrava cucito su misura per esaltare la sua figura slanciata. La giacca, perfettamente sagomata, rivelava una cura maniacale per i dettagli. La cravatta di seta bordeaux aggiungeva un tocco di colore sobrio e sofisticato mentre il fazzoletto nel taschino, piegato con precisione geometrica, era la ciliegina su quell'insieme di impeccabilità classica.

Mia nonna, che lo affiancava con la grazia di chi ha sempre saputo come comportarsi in ogni occasione, indossava un abito blu notte che scivolava morbido fino alle caviglie, impreziosito da ricami argentati che brillavano con discrezione alla luce del mattino. Le maniche lunghe, trasparenti e ricamate, conferivano all'intero look una femminilità sobria e senza tempo.

Una collana di perle, perfettamente abbinata all'abito, adornava il suo collo, completando un'immagine di raffinatezza assoluta. I suoi capelli grigi, raccolti in uno chignon impeccabile, incorniciavano il suo volto sereno, mentre le scarpe basse di vernice nera riflettevano la luce con una discrezione che ben si sposava con il suo stile.

Guardando loro, sentii una profonda gratitudine. C'era qualcosa di confortante nella loro presenza, una dignità che emanava non solo dal modo in cui si vestivano, ma da come affrontavano la vita stessa.

Ogni dettaglio rifletteva l'affetto e la cura che mettevano in tutto ciò che facevano, e io non potei fare a meno di sentirmi fortunata ad essere lì con loro, parte di una storia più grande, fatta di amore, rispetto e tradizione.

<<Maddalena, sei bellissima oggi>> esclamò mia nonna, stringendomi forte a sé. Sentii il calore invadermi il viso, consapevole del rossore che si faceva strada sulle mie guance. Cercai di mascherare il mio imbarazzo dietro un sorriso incerto, ma le parole sembravano sfuggirmi, come bloccate da quella strana miscela di emozioni che mi agitava dentro.

<<Guardate chi c'è!>> intervenne mio nonno, rompendo il momento di silenzio e interrompendo il mio disagio con la sua voce energica. Poi continuò <<È arrivato lo sposo!>> gridò, attirando l'attenzione di tutti.

Come in un movimento coreografato, gli sguardi si diressero all'unisono verso la macchina che si avvicinava lentamente lungo il vialetto.

Giorgio, il futuro marito di zia Serena, scese dall'auto con la disinvoltura di chi è abituato a essere al centro dell'attenzione. Il suo sorriso sicuro illuminava il volto, e la sua figura imponente sembrava emanare un'aura di sicurezza.

Con mamma, papà, zia Viola e i nonni ci avvicinammo a lui. Giorgio ci accolse con un abbraccio caloroso, ma quando i suoi occhi freddi come il ghiaccio incrociarono i miei, un brivido mi percorse la schiena. Il suo sguardo era penetrante, quasi troppo diretto, e sentii una strana combinazione di emozioni attraversarmi: un misto di eccitazione, ansia e una sottile attrazione che non riuscivo a ignorare. Il cuore iniziò a battermi più forte, costringendomi a controllare il respiro per mantenere un'espressione composta.

<<È un piacere vedervi tutti qui>> disse Giorgio con una voce profonda, carica di gravitas.

<<Viva lo sposo!>> gridò improvvisamente uno dei suoi amici d'infanzia, spezzando la tensione. Tutti si girarono verso il gruppo di amici che si avvicinava, un gruppo vivace che ci guidava verso l'ingresso della chiesa.

Fu in quel momento che lo vidi.

Gabriele, il testimone di nozze di Giorgio, attirò immediatamente il mio sguardo. Era lì, alto e sicuro di sé, con la sua figura slanciata avvolta in un abito nero perfettamente tagliato che evidenziava le sue spalle larghe e la sua postura impeccabile. La camicia bianca e la cravatta sottile aggiungevano un tocco di raffinatezza al suo aspetto, ma furono i suoi occhi verdi, brillanti sotto la luce del sole, a catturare davvero la mia attenzione. Il suo sorriso disarmante irradiava una naturale eleganza e ogni volta che lo guardavo, sentivo che riusciva a penetrare direttamente nella mia anima.

Mi unii al gruppo, cercando di mantenere un'aria distaccata, anche se sentivo il cuore accelerare ogni secondo che passava. Giorgio, ora intento a conversare con Gabriele e altri due amici, mi salutò con il suo solito sorriso caloroso, ma i miei occhi non riuscivano a staccarsi da quelli di Gabriele.

<<Maddalena, è un piacere rivederti>> disse Gabriele, avvicinandosi a me con un sorriso affabile. La sua voce era profonda, modulata con una calma naturale che sembrava capace di tranquillizzare chiunque. Sentii un leggero tremore lungo la schiena, mentre cercavo di mantenere la calma.

<<Ciao, Gabriele>> risposi, cercando di sembrare disinvolta nonostante il battito del mio cuore sembrasse amplificato. <<Come stai?>> aggiunsi, mantenendo lo sguardo fisso nei suoi occhi.

<<Io decisamente molto bene, grazie. E tu? Sei splendida oggi>> disse con quella voce calma che sembrava priva di sforzo, mentre i suoi occhi mi scrutavano con un'intensità che mi fece arrossire ancora una volta.

Sentii il calore invadermi di nuovo il volto.

<<Grazie, a... anche tu sei molto elegante>> balbettai, cercando di nascondere la mia agitazione dietro un sorriso imbarazzato. La tensione nell'aria era palpabile, come se ogni parola, ogni gesto, contenesse qualcosa di non detto, un'emozione latente che fluttuava tra di noi.

Il tempo sembrava sospeso, come se ogni istante si dilatasse, rendendo eterno il breve scambio tra me e Gabriele. Ogni secondo trascorso accanto a lui era intriso di una miscela di felicità e tensione, un equilibrio fragile tra il piacere di essere in sua compagnia e l'ansia che mi attanagliava. Era una dolce tortura, quella di trovarmi lì, sapendo che ogni parola, ogni sguardo, portava con sé un peso emotivo che non riuscivo a ignorare. Avrei voluto che il momento non finisse mai, che quella conversazione potesse prolungarsi all'infinito, un piccolo rifugio dalla realtà che ci circondava.

Le sue parole, pronunciate con quella calma disarmante, e il suo sorriso, che sembrava essere rivolto solo a me, mi facevano sentire unica, come se in quel momento il mondo intero si fosse ridotto a noi due.

Ogni frase, ogni accenno di movimento, contribuiva a costruire una connessione che sembrava invisibile agli altri, ma tangibile per noi. Mi sentivo vista, come se solo lui riuscisse a cogliere ciò che nascondevo dietro la mia facciata calma.

E poi, come una lama che squarcia la quiete, fu Giorgio a interrompere quel fragile incantesimo. Il suo sorriso impeccabile e la sua voce sicura risuonarono nell'aria, riportandomi alla realtà.

<<È quasi ora di entrare. Andiamo dentro, la cerimonia sta per iniziare>> annunciò con la sua solita naturalezza, come se nulla fosse accaduto, come se il mondo non avesse appena ripreso il suo corso normale.

Con quelle parole, il momento svanì.

Con un ultimo sguardo a Gabriele, mi avviai verso l'ingresso della Basilica di Sant'Anastasia al Palatino, accompagnata dal rumore sommesso dei nostri passi sul selciato. La chiesa, un imponente monumento che dominava il paesaggio circostante, si ergeva davanti a noi, ancora più maestosa di quanto la mia memoria avesse conservato. La sua facciata severa sembrava custodire al suo interno segreti secolari, e appena varcata la soglia, fui travolta dall'aura sacra che emanava ogni singolo dettaglio architettonico. Le alte navate si stagliavano verso il cielo, come mani protese in preghiera, mentre la luce soffusa delle candele danzava sulle pareti affrescate, proiettando ombre morbide che rendevano l'atmosfera quasi onirica.

Ogni passo che compivo verso il mio posto sembrava appesantito da una miscela confusa di emozioni. L'imminente inizio della cerimonia era carico di aspettative: l'ansia per il rituale che stava per iniziare, l'eccitazione per l'occasione solenne, ma soprattutto quel turbamento interiore che Gabriele aveva inconsapevolmente risvegliato in me.

Mi sedetti, cercando di dominare il battito frenetico del cuore, che pareva scandire un ritmo proprio, distante dalla calma circostante.

Era fondamentale restare concentrata sul presente, ma la mia mente continuava a vagare, divisa tra la bellezza del momento e il tumulto interiore.

L'attesa per l'arrivo di zia Serena era palpabile, quasi tangibile nell'aria. Tutti gli sguardi erano rivolti verso l'ingresso, in attesa che il maestoso portone si aprisse. Quando finalmente le porte si spalancarono, la sala si riempì di un mormorio sommesso di ammirazione.

Zia Serena apparve come una visione celestiale, irradiando una bellezza che sembrava quasi irreale. Il suo abito da sposa, un capolavoro di sartoria, rifletteva la luce soffusa delle candele, creando un'aura di eleganza intorno a lei. Ogni dettaglio, dal corpetto ricamato con perle e cristalli che scintillavano come stelle, alle maniche di pizzo trasparente che aggiungevano una nota di delicatezza, sembrava studiato per esaltare la sua figura slanciata. Era una visione di perfezione, come se fosse uscita da un antico dipinto, tanto armonioso era il suo portamento.

Mentre zia Serena avanzava con passo leggero lungo la navata, il suo sorriso calmo e radioso illuminava l'intera chiesa, coinvolgendo ogni singolo invitato in un'atmosfera di pura meraviglia. Ogni respiro era sospeso, come se quel momento fosse fuori dal tempo, un frammento di eternità che avrei portato con me per sempre. La bellezza della Basilica di Sant'Anastasia, con la sua imponenza, sembrava amplificare la sacralità di quell'istante, avvolgendoci tutti in un abbraccio solenne. Il Colosseo si intravedeva in lontananza dalle finestre della chiesa, un guardiano silenzioso di una città millenaria che faceva da cornice perfetta a quel giorno indimenticabile.

Eppure, mentre osservavo zia Serena avanzare, una parte di me ribolliva.

L'incontro con Gabriele fuori dalla chiesa aveva scatenato in me un turbinio di emozioni che non riuscivo a soffocare. Era sempre stato un sogno irraggiungibile, ma ora, con lui così vicino, il confine tra desiderio e realtà si faceva sfumato e difficile da discernere. Sentivo crescere dentro di me un'ondata di emozioni contrastanti che minacciava di sommergermi. Il mio cuore, già agitato, sembrava accelerare ancora di più mentre realizzavo che presto mi sarei dovuta esibire.

Avrei cantato e suonato davanti a tutti, un compito che solitamente mi dava gioia, ma che ora sembrava un ostacolo insormontabile.

E se avessi sbagliato?

Se la mia voce avesse tradito l'ansia che mi divorava?

La cerimonia proseguiva, ma io ero lontana, persa in un vortice di pensieri, immaginando scenari che sapevo non sarebbero mai diventati realtà. In un angolo della mia mente, sognavo che Gabriele si avvicinasse e mi confessasse sentimenti che sapevo non esistevano, mentre la realtà si rivelava impietosa nella sua indifferenza. Sentivo il peso delle aspettative su di me, come un'ombra pesante che minacciava di schiacciarmi, rendendo ogni respiro più difficile e ogni pensiero più angoscioso.

Mentre gli sposi si scambiavano i voti, una strana inquietudine cominciò a insinuarsi nel mio animo. Era come se un sottile strato di tensione avvolgesse l'aria, impercettibile agli altri, ma impossibile da ignorare per me.

Ogni parola pronunciata dall'officiante, ogni sguardo pieno di amore tra gli sposi sembrava perfetto, eppure sotto quella perfezione si celava qualcosa di insidioso, una sensazione di presagio che non riuscivo a decifrare. Era come se il tempo stesso si fosse fatto più denso, come se un'ombra invisibile si stesse insinuando nel momento, offuscando la luce di quella giornata.

Poi accadde.

Le massicce porte della chiesa si aprirono senza preavviso, lasciando entrare un vento freddo e tagliente. Il gelo mi colpì come un avvertimento, strappandomi al torpore dei miei pensieri e facendomi rabbrividire.

Fu un contrasto improvviso con il calore e la solennità del rito che si stava svolgendo, come se l'equilibrio fosse stato spezzato da una forza esterna e sconosciuta.

Istintivamente, mi voltai verso l'ingresso, cercando con lo sguardo qualcosa che giustificasse quella sensazione opprimente. Fuori, il paesaggio appariva immobile, come intrappolato in un fotogramma, senza alcun segnale visibile di pericolo o cambiamento.

Eppure, non potevo liberarmi dalla crescente consapevolezza che qualcosa di oscuro stesse per manifestarsi. Era come se un evento ineluttabile stesse per abbattersi su di noi, qualcosa che avrebbe stravolto l'ordine perfetto di quella giornata. Non c'era nulla di concreto a cui aggrapparmi, nessun dettaglio visibile che potesse confermare i miei sospetti. Ma il mio istinto mi gridava che quel vento gelido non era un semplice fenomeno atmosferico. Era l'annuncio di un cambiamento imminente, qualcosa di irreversibile, e sapevo, nel profondo, che da quel momento in poi nulla sarebbe stato più lo stesso.



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