14. Segreti Celati
Incredula per la sequenza di eventi recenti, cercai rifugio in quella che sapevo essere la mia unica fonte di conforto: la musica. Mi diressi all'aula di musica, il luogo dove tutto sembrava trovare un ordine naturale.
Mi sedetti al pianoforte.
Le dita incontrarono i tasti, familiari sotto i polpastrelli. Iniziarono a muoversi in un ritmo che pareva appartenere a un'altra dimensione, più silenziosa e protetta. Ogni pressione sui tasti bianchi e neri generava una nota precisa e familiare che si diffondeva nell'aria, un respiro profondo che leniva le ferite invisibili di quei giorni.
Le mie mani, abituate a questa danza, si muovevano con grazia e sicurezza, tracciando melodie che sembravano dilatare lo spazio intorno a me, riempiendo ogni angolo dell'aula con una dolcezza rassicurante.
Ogni nota vibrava come un'eco in lontananza, penetrando con precisione nelle zone più oscure del mio animo, dove i dubbi si annidavano silenziosi. In quel momento, era come se le mie tempeste interiori si placassero, ritirandosi per lasciare spazio a una calma rara e preziosa.
Seduta al pianoforte, mi sentii rinata, come se stessi riemergendo a poco a poco da un incubo. Qui, ero solo Maddalena, una ragazza che si perdeva nella musica in cerca di un barlume di pace.
Ogni accordo mi richiamava a una realtà più gentile, più quieta.
In quell'istante sospeso, il caos sembrava finalmente lontano, sostituito da una tranquillità che non credevo più possibile, un'oasi di pace che la mia anima accoglieva con infinita gratitudine.
Il mondo esterno si era quasi dissolto, lasciando solo una sottile eco delle sue preoccupazioni. In quel momento, eravamo solo io e il pianoforte, una connessione intima e profonda che mi faceva sentire viva, ancorata al presente.
Ogni accordo e ogni scala che percorrevo mi riconducevano a una parte di me stessa che la confusione degli ultimi giorni aveva oscurato, riportandomi alla luce.
Mentre suonavo, il caos e l'incertezza si dissolvevano come nebbia al sole, sostituiti da una serenità che avevo quasi dimenticato.
La musica si rivelava il mio rifugio, il mio scudo contro le ombre che minacciavano di sopraffarmi. Le note fluivano dalle mie dita con una naturalezza quasi mistica, creando una melodia che sembrava risuonare in perfetta armonia con il mio cuore. Ogni tasto premuto rappresentava un passo verso la guarigione, un gradino in una scala che mi riportava a una lucidità tanto desiderata.
Mentre le mie mani danzavano sulla tastiera, la tensione si allentava e il mio respiro si faceva più calmo. Quello era un momento di pausa ma anche di profonda riflessione. La mia mente vagava tra i ricordi dei giorni passati, rivivendo le immagini tormentose che continuavano a perseguitarmi: le ombre che si aggiravano nella villa, le parole sussurrate nell'oscurità, i volti che emergevano dai miei incubi con la stessa inquietante presenza.
Il maestro Lefèvre, con le sue espressioni enigmatiche, si stagliava nei miei pensieri come una figura scolpita nel marmo, le sue parole cariche di promesse velate di verità e di pericolo. Il ricordo del nostro dialogo mi assaliva, ogni parola pronunciata risuonava con un eco sinistro, creando un mosaico di significati che si intrecciavano nel mio animo. La chiave della verità, il monastero nascosto tra le montagne, il mistero che avvolgeva ogni aspetto della mia vita.
Cosa significava tutto questo?
Perché avvertivo il tempo scorrere inesorabile, come sabbia tra le dita?
Ogni nota che suonavo sembrava incatenarsi ai miei pensieri mentre ogni accordo si configurava come un passo cruciale verso una verità che desideravo ardentemente afferrare. La melodia si intensificava, avvolgendomi in un'onda di emozioni che sembrava quasi febbrile, alimentata da un'urgenza crescente che mi sovrastava come un'ombra incombente.
Nella mia mente, le immagini di Mariè e di Kate, l'altra ragazza, si succedevano come un film in bianco e nero, le loro morti avvolte in un mistero intricato e in una sofferenza che sembrava sfuggire a ogni tentativo di comprensione.
I ricordi dell'interrogatorio, le domande incessanti degli investigatori, si mescolavano in un vortice confuso e opprimente, minacciando di travolgermi e portarmi via dalla realtà che tanto desideravo afferrare.
Eppure, nonostante tutto, la musica rimaneva il mio unico ancoraggio, un filo sottile che mi teneva saldamente legata a una realtà che si faceva sempre più evanescente. In quel rifugio sonoro, cercavo di orientarmi, di ritrovare la mia strada tra le note e i silenzi, con la speranza che ogni suono, ogni melodia, mi avvicinasse progressivamente a una verità che si mostrava elusiva, ma che sapevo di dover affrontare, per liberarmi finalmente da questo labirinto di incertezze e paure che mi imprigionava.
Non potevo permettermi di fermarmi. Dovevo proseguire, continuare a suonare, riflettere e tentare di ricomporre i frammenti di questo puzzle infernale che minacciava di schiacciarmi.
Mentre le ultime note si diffondevano nell'aria, un tumulto di emozioni si agitava dentro di me. Percepivo sensazioni sfuggenti, indescrivibili, che sembravano pulsare al ritmo del mio battito cardiaco.
Era come se un'intuizione, un'illuminazione, fosse sul punto di manifestarsi. Avvertivo che presto avrei scoperto la verità, che avrei affrontato i miei incubi e trovato le risposte che cercavo con tanta urgenza. Non importava quanto difficile o pericoloso potesse rivelarsi il cammino, ero disposta a tutto pur di sollevare il velo di mistero che avvolgeva la mia esistenza.
Nel frattempo, il pianoforte si trasformava in un rifugio sicuro.
La musica, che fluiva dalle mie mani e dal mio cuore, fungeva da ponte verso una serenità inaspettata, un accesso a una comprensione profonda di ciò che le parole non riuscivano a esprimere.
Quando la melodia giunse al termine, mi ritrovai a sorridere debolmente.
Era un sorriso fragile ma intrinsecamente sincero. Quel momento, nell'aula di musica, mi aveva restituito una parte di ciò che avevo smarrito lungo il tortuoso cammino della mia ricerca di verità. La conclusione di quella malinconica melodia lasciò nell'aria un silenzio denso di significato.
Rimasi seduta al pianoforte, il cuore ancora palpitante, la mente sorprendentemente più chiara.
Ero pronta ad affrontare ciò che mi aspettava.
Ancora incredula per gli eventi che avevano stravolto la mia esistenza, mi alzai dal pianoforte, il battito del mio cuore che lentamente cominciava a trovare un ritmo. Gli occhi scorrevo sulla stanza, mentre il calore della musica si diffondeva nell'aria come un'eco persistente, un promemoria di ciò che avevo appena vissuto. Era un momento di pausa, un respiro profondo prima che la tempesta successiva si scatenasse.
In quel frangente, avvertivo di stare trovando un equilibrio precario, una modalità per affrontare le sfide che si prospettavano all'orizzonte.
La musica aveva agito come un faro, illuminando le acque tumultuose della mia mente, almeno per un breve intervallo.
Con passo leggero ma risoluto, mi allontanai dall'aula di musica, consapevole che quella melodia aveva esercitato un effetto quasi curativo su di me.
Ora era il momento di raccogliere le mie forze e prepararmi a ciò che mi attendeva, con la piena consapevolezza che le rivelazioni imminenti avrebbero scosso le fondamenta di tutto ciò che credevo di sapere.
Il futuro si profilava oscuro e avvolto nel mistero, e dovevo essere pronta a svelare ogni segreto che giaceva celato nell'ombra.
Ed io ero pronta.
Aprii la porta dell'aula di musica e fui immediatamente travolta dal brusio vivace del corridoio dell'accademia. Nonostante il tumulto interiore che ancora mi faceva sentire scossa, il suono familiare delle voci degli studenti mi riportò a una parvenza di normalità, come un porto sicuro in mezzo a una tempesta.
Proprio mentre mi preparavo a dirigermi verso la mia stanza, notai una figura familiare avvicinarsi. Ferdinando, con la sua consueta aria calma e determinata, avanzava verso di me. Il suo volto, però, era serio e i suoi occhi scintillavano di una gioia strana, quasi incomprensibile.
Un brivido di inquietudine mi percorse la schiena e il cuore mi balzò in gola, mentre una nausea opprimente si faceva strada dallo stomaco.
<<Buongiorno, cara Mad>> disse, la sua voce un po' esitante ma ferma.
Cercai di evitare il suo sguardo, consapevole del peso delle domande che avrei dovuto affrontare. Non volevo parlare, non volevo aprire le porte a un confronto che sapevo inevitabile. Ignorai le sue parole e accelerai il passo, sperando di fuggire dall'inevitabile conversazione.
<<Nemmeno saluti?>> chiese con tono lievemente ferito.
Mi fermai bruscamente, il respiro affannato. Il corridoio sembrava restringersi intorno a me. Il rumore delle risate e delle conversazioni degli studenti diventava un ronzio distante.
Mi girai lentamente verso Ferdinando, cercando di controllare le mie emozioni.
<<Scusa, Ferdinando>> dissi, la voce tremante <<È solo che... ho avuto una mattinata difficile>>
Ferdinando mi guardò con un misto di preoccupazione e curiosità.
<<Ho sentito cosa è successo con la polizia>> disse, abbassando la voce <<So che deve essere stato terribile. Vuoi parlarne?>>
Di colpo mi venne in mente Louis Dubois. Mi parlava con quest'aria tranquilla e pacata dopo avermi venduta a quell'uomo.
Scossi la testa rispondendo
<<Non adesso>> cercai di mantenere la calma <<Non so nemmeno cosa dire>>
Lui annuì comprensivo.
<<Capisco. Ma volevo dirti che sono qui per te. Se hai bisogno di parlare, se hai bisogno di aiuto, io sono qui.>>
Le sue parole, per quanto gentili, mi fecero salire ancora di più la nausea. Questa finta gentilezza. Non riuscivo a capacitarmi del fatto che lui era così apprensivo verso di me. Non volevo avere a che fare con questa persona orribile.
<<Grazie, Ferdinando>> mormorai freddamente, cercando di sorridere debolmente <<Apprezzo il tuo sostegno>> e poi feci per andarmene.
Sentivo le sue parole riecheggiare lungo il corridoio. Il malessere saliva sempre di più. Ero sconcertata da tutto. Dopodiché lui mi guardò intensamente, come se cercasse di leggere nella mia anima.
<<Sai, Maddalena, ho trovato qualcosa di strano in biblioteca stamattina>>
Mi fermai di nuovo, allibita questa volta con i brividi lungo il corpo e il cuore che batteva ancora più forte.
<<Cosa intendi?>>
Ferdinando tirò fuori un piccolo libro dalla sua borsa. La copertina era consumata, le pagine ingiallite dal tempo.
<<Questo libro parla di una chiave d'argento>>
No, non poteva essere reale, doveva per forza essere un sogno. Ferdinando non era qui ed io stavo semplicemente rivivendo un incubo. Paralizzata dalla paura, osservavo Ferdinando mentre mi mostrava quel libro logoro, con la copertina consumata e le pagine ingiallite, come se fosse un reperto archeologico proveniente da un'epoca dimenticata.
Non riuscivo a credere né a ciò che stavo vedendo né a quello che stava dicendo. La mia mente era un turbine di pensieri confusi, dove realtà e sogno si intrecciavano, nuovamente, in un groviglio inestricabile.
Il Maladaptive Daydreaming stava prendendo il sopravvento, distorcendo ogni mia percezione e trasformando la mia vita in una narrazione surreale.
Dio mio, ti prego, aiutami. Fammi tornare alla realtà.
Non voglio affrontare altri eventi luttuosi, altre verità scomode.
<<Una chiave d'argento?>> riuscii a balbettare, il cuore martellante nel petto, come se volesse fuggire da quel momento.
Ferdinando annuì con gravità, i suoi occhi brillavano di un'intensità che mi fece rabbrividire.
<<Sì, Maddalena. Questo libro narra di segreti antichi e di un antico monastero, custode di segreti oscuri sepolti nel tempo. E la chiave d'argento è il mezzo per accedervi>>
Le sue parole riecheggiavano nella mia mente come un'eco lugubre, evocando pensieri sul maestro Lefèvre e sulle sue affermazioni enigmatiche, sul monastero nascosto tra le montagne, che sembrava un enigma irrisolvibile.
<<Ma... come può essere vero?>> domandai, cercando di allontanare la crescente sensazione di terrore che mi avvolgeva come un velo opprimente.
Ferdinando sorrise, ma non c'era gioia in quel sorriso. Era un'espressione carica di significati nascosti, di segreti che solo lui sembrava comprendere appieno.
<< La realtà supera spesso l'immaginazione, Maddalena. E ciò che stiamo affrontando potrebbe rivelarsi più vicino di quanto immaginiamo >>
Un brivido mi percorse la schiena. Il suo tono confermava le mie più profonde paure: non c'era via di scampo da questa trama che si stava tessendo intorno a me <<Non possiamo ignorarlo>> continuò Ferdinando, la voce ora un sussurro urgente.
<<Dobbiamo trovare risposte, prima che sia troppo tardi!>> affermò, infine, bruscamente.
Le sue parole mi colpirono come un pugno nello stomaco. Era come se avessi varcato una soglia invisibile, catapultata in un'avventura che avrebbe potuto rivoluzionare tutto ciò che conoscevo. Avevo bisogno di tempo per assimilare la gravità della situazione ma il tempo sembrava un lusso che non potevo permettermi.
<<Esci dalla mia testa!>> esclamai, ma fu un tentativo vano, un grido perso nel vortice del destino che mi attendeva.
La figura di Ferdinando rimase immobile, impassibile, il suo sorriso lungo e sinistro come un enigma irrisolto. Sembrava fissarmi attraverso le pieghe del tempo, il suo sguardo capace di oltrepassare la realtà tangibile, come se avesse accesso a verità che io stessa cercavo disperatamente di negare.
Il terrore mi attanagliava, stringendo il mio cuore in una morsa di ghiaccio. Le visioni che mi avevano tormentato si mescolavano con il presente, dissolvendo ogni barriera tra sogno e realtà. La mia mente si trasformò in una tempesta di confusione, un labirinto oscuro dal quale non riuscivo a trovare via d'uscita.
Quando il peso insopportabile delle emozioni mi sopraffece, il mio corpo cedette. Il mondo intorno a me svanì e la mia coscienza si dissolveva come fumo evanescente nell'aria. Sprofondai in un vuoto nero, senza fine, privo di punti di riferimento o di qualsiasi forma di conforto, un abisso che sembrava inghiottirmi.
Quando riaprii gli occhi, fui disorientata per un istante. Ero distesa su un pavimento freddo, la mente ancora avvolta nel torpore del risveglio. Il mio cuore batteva freneticamente nel petto, un ritmo disordinato che rifletteva la confusione che mi attanagliava. Con mano tremante, mi toccai il viso, avvertendo la fredda umidità del sudore che si era accumulata sulla pelle.
Mi resi conto di trovarmi nella sala di musica, stesa a terra, accanto al pianoforte.
Il silenzio circondava l'ambiente, il riverbero delle note che avevo suonato si era già dissipato, lasciando solo un vuoto di silenzio opprimente.
Ero sola con i miei pensieri tumultuosi, avvolta da una consapevolezza inquietante: qualcosa di profondo e oscuro mi avvolgeva come un manto invisibile, opprimente e inevitabile.
Non volli alzarmi.
La mia mente, intrisa di terrore, continuava a rievocare le parole di Ferdinando, il suo sorriso enigmatico che sembrava preannunciare un destino ineluttabile.
La sensazione di essere una pedina in un gioco più grande di me si fece nuovamente strada, accompagnata da un senso di impotenza frustrante che mi attanagliava come una catena invisibile.
Mi alzai lentamente, cercando di ricompattare i frammenti sparsi della mia volontà. Ogni movimento era un atto deliberato, un passo verso una realtà incerta che mi attendeva, come un sentiero oscuro di fronte a me.
Osservai l'ambiente circostante, in cerca di un punto di ancoraggio nella realtà che sembrava sempre più sfuggente. Il pianoforte, immobile e silenzioso, sembrava attendere il mio ritorno, come un amico fidato che non osa interrompere il silenzio.
Le mie dita, ancora tremanti, si muovevano con cautela. Non riuscivo a dare un senso a tutto ciò che stavo vivendo.
Tuttavia, avvertivo un richiamo irresistibile provenire dal pianoforte. Era come se fosse imprescindibile continuare a suonare, come se solo attraverso la musica avrei potuto svelare il significato dei miei sogni. In quel momento, il pianoforte si ergeva a tramite tra le mie visioni e la realtà, un intermediario silenzioso che prometteva chiarezza.
Mi sedetti di fronte a lui e senza ulteriori indugi, iniziai a suonare.
Le dita si posavano delicatamente sui tasti e la musica si diffondeva nell'aria, un linguaggio universale capace di esprimere le mie emozioni più profonde.
Ogni nota costituiva un ponte verso una comprensione tanto desiderata, verso una verità che si faceva sempre più evasiva.
Mentre suonavo, sentii le emozioni fluire attraverso di me: un mix tumultuoso di paura e determinazione, incertezza e speranza. Il suono del pianoforte divenne il mio unico conforto, la melodia che mi avvolgeva come un abbraccio caldo e rassicurante, trasportandomi lontano dalle inquietudini che mi assillavano.
Quando le ultime note del pianoforte svanirono, una calma precaria si diffuse nell'aula di musica. Il silenzio, palpabile e denso, avvolgeva ogni angolo della stanza, come se l'intero edificio trattenesse il respiro in attesa di ciò che sarebbe accaduto. Il mio sorriso, pur flebile, tradiva una tensione interna che si rivelava in ogni fibra del mio essere.
Il futuro si presentava davanti a me come un abisso oscuro e insondabile, pieno di incognite e pericoli nascosti dietro ogni angolo.
Avevo appena intrapreso un viaggio nelle profondità di un mistero che minacciava di inghiottirmi completamente. Ogni passo che compivo sembrava allontanarmi da ciò che conoscevo, immergendomi sempre più in un mondo di segreti inaccessibili.
Ero ben consapevole che la verità, quella verità che tanto cercavo, non sarebbe stata rivelata senza un costo.
Ogni respiro che prendevo sembrava avvicinarmi a una scoperta che avrebbe stravolto tutto, mettendo in discussione le fondamenta stesse della mia esistenza. Il brivido della paura, mescolato a una crescente anticipazione, percorreva la mia spina dorsale mentre mi alzavo dallo sgabello del pianoforte.
Osservai l'aula con attenzione, cercando indizi o segnali che potessero guidarmi attraverso il labirinto intricato dei miei pensieri e delle prove che mi attendevano. Con ogni fibra del mio essere, sapevo di dover proseguire.
Mentre mi preparavo a lasciare l'aula di musica, avvertii il tempo stringere intorno a me come un'incudine implacabile. Ogni istante era cruciale, ogni passo in avanti mi avvicinava a una svolta che avrebbe definito il mio destino.
Ero determinata a non arrendermi, a non cedere di fronte alla complessità del cammino che avevo scelto di intraprendere.
La mia mente si agitava, un turbine di pensieri mentre riflettevo su ciò che avevo visto e suonato, e sulle conseguenze di tutto ciò.
Qualcosa dentro di me sussurrava che era importante e fondamentale scoprire cosa stesse accadendo, ed io ero pronta ad affrontare qualsiasi cosa mi aspettasse.
Grazie di cuore per essere arrivat* fino a qui 🌟🎶
La tua presenza rende speciale ogni parola che scrivo, e sapere che stai camminando accanto a Maddalena in questo viaggio mi scalda l'anima. Spero che le note del suo pianoforte abbiano risuonato anche dentro di te, regalandoti emozioni, riflessioni o magari un attimo di tregua dal mondo là fuori. ✨🎹
Mi piacerebbe sapere cosa ne pensi: 💬
🌸 Cosa hai provato leggendo questo capitolo?
🎭 Hai percepito il peso dei misteri che circondano Maddalena?
🔑 E Ferdinando, secondo te, è davvero un alleato o nasconde qualcosa?
Lascia un commento qui sotto: le tue parole sono come una luce che illumina il mio cammino da autrice💖 Se il capitolo ti è piaciuto, non dimenticare di lasciare una stellina ⭐️: è un piccolo gesto, ma per me significa tantissimo.
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Grazie ancora per il tempo e l'attenzione che hai dedicato a questa storia. Sei parte di qualcosa di speciale🦋✨
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