11. Il prezzo della libertà


Mentre il crepuscolo scivolava silenziosamente in una notte densa di promesse oscure, sentii il peso dell'ansia farsi strada dentro di me. La consapevolezza di ciò che mi aspettava, una serata che, in un modo o nell'altro, avrebbe lasciato un segno indelebile nella mia vita, avvolgeva ogni pensiero con un senso di inevitabile tensione. Le parole di Ferdinando risuonavano ancora nella mia mente, cariche di implicazioni appena sussurrate, intrise di una minaccia sottile e disarmante.

Indossavo un abito nero, l'eleganza tagliente del tessuto sembrava fondersi perfettamente con il mio stato d'animo teso. Mi guardai allo specchio, cercando di catturare un'ombra di calma nel riflesso, un'espressione che mascherasse il turbinio di emozioni che mi assediava. Ma sapevo, con un'intuizione che superava ogni tentativo di autoconvincimento che nulla di ciò che stava per accadere sarebbe stato ordinario.

Il taxi arrivò davanti all'accademia, i suoi fari tracciavano figure sinistre sul grande portone. Sentii il battito del mio cuore accelerare, l'ansia serrarmi il petto come una morsa invisibile. I miei passi sul selciato risuonavano con il ritmo cadenzato dei tacchi, come un inquietante rintocco che preannunciava qualcosa di irrevocabile.

Mentre salivo sul taxi, era come entrare in una realtà sospesa, un mondo permeato da un enigma, dove ogni gesto e ogni sguardo parevano celare segreti.

L'autista, un uomo di mezza età dal viso segnato e dal berretto consunto, mi scrutò dallo specchietto retrovisore mentre aprivo la portiera posteriore e prendevo posto. <<Bonsoir, mademoiselle>> mormorò con un sorriso educato, in cui aleggiava una curiosità appena trattenuta. La sua voce era calda ma intrisa di un sottotono che sembrava voler decifrare qualcosa oltre la mia apparenza.

<<Bonsoir>> risposi, modulando un sorriso incerto nel tentativo di soffocare l'ansia che mi stringeva lo stomaco. Con un leggero brivido che mi attraversò la schiena, mi sistemai sul sedile, consapevole della gravità della serata che mi attendeva. Sapevo che mi addentravo in territori sconosciuti e potenzialmente minacciosi ma era troppo tardi per tirarmi indietro.

Avevo accettato l'invito di Ferdinando senza comprendere appieno cosa significasse e il sentore di pericolo, quasi tangibile, si insinuava in me come un avvertimento silenzioso.

Quando il taxi si mosse, scivolando fluido per le strade umide della città, lasciai che i miei pensieri viaggiassero in quella penombra.

Le luci stradali, in una scia di colori sfocati, danzavano sulle superfici dei finestrini, riflettendosi come ombre sfuggenti.

Serrando gli occhi, l'immagine della mia sorellina, quella figura impalpabile che mi perseguitava nei sogni e, quanto sembra, anche nella realtà affiorava con forza, i suoi lineamenti scolpiti nella mia mente come un'eco indelebile.

Mi chiesi se quella notte mi avrebbe offerto le risposte che cercavo o se mi avrebbe trascinata ancor più a fondo in quel mistero fitto e impenetrabile che minacciava di consumarmi.

L'autista interruppe il filo dei miei pensieri con una domanda diretta

<<Vous allez à une fête, mademoiselle?>> chiese e nella sua voce percepii una nota di curiosità che si mescolava a un'ombra di preoccupazione.

<<Oui>> risposi, accennando un leggero cenno col capo. <<Une sorte de réunion>> aggiunsi, nel tentativo di sembrare disinvolta. Ma la verità era che non avevo la minima idea di cosa avrei trovato ad attendermi.

Lui sorrise appena, uno sguardo veloce lanciato nello specchietto retrovisore.

<<Il semble que vous êtes nerveuse. C'est normal pour une première fois>> osservò con una gentilezza che non riusciva a nascondere un tono vagamente paternalistico. Il suo sorriso si allargò appena, complice, come se volesse dirmi che la mia apparente sicurezza non gli era sfuggita.

Risposi con un sorriso incerto, lottando per mantenere un'espressione distesa. <<Oui, c'est ça>> dissi, consapevole che le mie parole sapevano di fragile convinzione, di una calma solo apparente, mentre dentro di me ribollivano incertezze.

Il silenzio riempì nuovamente l'abitacolo mentre il battito del mio cuore risuonava, più forte del sottofondo discreto della radio. Le note, lievi e malinconiche, sembravano accompagnare i miei pensieri come un'oscura colonna sonora. Con ogni metro che ci avvicinava alla villa, la mia mente si affollava di domande.

Chi avrei incontrato quella sera?

Quale disegno segreto Ferdinando stava tessendo attorno a me?

E, soprattutto, quale verità cercava di portare alla luce, una verità che sembrava voler nascondere con altrettanta determinazione?

Il taxi svoltò, imboccando un viale alberato. All'orizzonte la villa emerse come un'imponente figura d'ombra e luce. Maestosa ed elegante, era avvolta da un alone quasi mistico di luci soffuse che accentuavano ogni dettaglio dell'architettura. Le colonne di marmo, candide sotto la luna, sembravano brillare come guardiani silenziosi. Grandi finestre, scintillanti di bagliori dorati, offrivano scorci discreti di un interno opulento. La scena, studiata in ogni particolare, intendeva stupire e intimorire, come un palcoscenico pronto per una rappresentazione drammatica.

Il taxi si fermò di fronte all'ingresso principale. L'autista, con un ultimo sguardo allo specchietto retrovisore, mi lanciò un'occhiata come se intuisse l'inquietudine che cercavo di mascherare.

<<Bonne chance, mademoiselle>> disse con un sorriso velato di un'incoraggiante ironia.

<<Merci>> risposi in tono calmo, forzando un sorriso mentre porgevo il pagamento.

Scesi dal taxi e respirai profondamente, riempiendomi i polmoni di quell'aria fresca, nel tentativo di stabilizzare i nervi prima di varcare la soglia della villa.

Avanzai verso l'ingresso, ogni passo amplificato dall'eco nella mia mente come un conto alla rovescia. L'ombra delle colonne pareva estendersi verso di me, quasi un sinistro richiamo, un invito che mi solleticava un brivido di paura. Mi fermai un attimo, esitando davanti alla porta massiccia, prendendo un respiro prima di bussare.

Un istante dopo, la porta si aprì con lentezza studiata e un uomo distinto, in abito scuro, apparve, accogliendomi con un sorriso impeccabile.

<<Benvenuta, signorina>> disse con un tono controllato e preciso

<<Il padrone di casa l'attende nella sala principale. La prego, mi segua>>

Lo seguii lungo un corridoio splendidamente ornato, con pareti rivestite di dipinti antichi e candelabri dorati che diffondevano una luce soffusa e calda. Ogni elemento dell'arredo sembrava progettato per esibire una ricchezza senza tempo, una potenza quasi intimidatoria, mentre il mio cuore non smetteva di battere, scandendo la tensione crescente.

Arrivammo nella sala principale, dove il soffitto, altissimo, sembrava aprirsi verso l'infinito, dominato da una grande vetrata che offriva una veduta mozzafiato dei giardini avvolti dalla notte.

Al centro della stanza, un piccolo gruppo di persone era radunato attorno a un pianoforte a coda, immerso in conversazioni sommesse. I miei occhi scandagliavano l'ambiente, cercando Ferdinando, ma lui non c'era.

Mi trovai invece faccia a faccia con un uomo che non avevo mai visto prima. Alto, con i capelli brizzolati e uno sguardo enigmatico, avanzò verso di me con passo misurato.

<<Buonasera, Maddalena>> disse, porgendomi la mano con un sorriso che sembrava misurato al millimetro <<Sono il signor Louis Dubois, il padrone di casa>>

<<Buonasera>> risposi, stringendogli la mano e avvertendo la sua presa decisa mentre il suo sguardo penetrante sondava ogni sfumatura della mia espressione.

<<Mi è stato detto che possiede un talento particolare per la musica>> continuò, con un sorriso che si allargava in modo inquietante <<Non vedo l'ora di ascoltarla>> disse, con un'inflessione vagamente sarcastica, come se intendesse mettermi alla prova. La mia mente era un vortice di pensieri, sensazioni sovrapposte di timore e determinazione, consapevole che ogni parola e ogni gesto di quella serata poteva rivelare o celare indizi cruciali.

La serata era appena iniziata ma l'aria nella stanza era densa di tensione, come una corda pronta a spezzarsi. Avvertivo una sottile inquietudine insinuarsi dentro di me, un senso di presagio che premeva sui miei pensieri, rivelando ombre nascoste.

Mi diressi verso il pianoforte, consapevole di essere osservata, di sentire su di me lo sguardo affilato di cinque uomini, ognuno dei quali sembrava portare con sé un frammento di un mistero più oscuro.

Alla mia sinistra sedeva un uomo anziano, con capelli color neve e occhi freddi, in un completo grigio tagliato su misura. La sua osservazione era glaciale, uno studio analitico che mi fece sentire esposta.

Di fianco a lui, un giovane dall'aspetto altezzoso tamburellava le dita sul bracciolo di una sedia, un sorriso obliquo che trasudava disprezzo e vanità.

Di fronte a loro, un uomo di mezza età, massiccio e dagli occhi taglienti, scrutava ogni movimento con braccia serrate al petto, come in attesa di una mia mossa sbagliata.

Più in là, un altro uomo, visibilmente nervoso, sedeva al bordo della sedia, i suoi occhi rapidi che guizzavano da un lato all'altro, come se cercasse un'uscita d'emergenza.

Infine, un giovane seduto vicino alla finestra mi fissava con un'intensità inquietante, i suoi occhi brillanti di un interesse che andava ben oltre la curiosità.

Le mie mani tremavano mentre poggiavo le dita sui tasti e con un respiro profondo, iniziai a suonare. Le note riecheggiarono nella sala come sospese nell'aria, ma anziché calmarmi, sembravano amplificare la tensione. La melodia si fondeva con i miei pensieri agitati, e non riuscivo a liberarmi dal senso di vulnerabilità crescente che mi opprimeva.

Dopo pochi istanti, avvertii una presenza dietro di me.

Un brivido mi attraversò la schiena, mentre una mano si avvicinava lentamente al mio collo. Sentii un respiro caldo sfiorare la mia pelle e il mio corpo si irrigidì di colpo, intrappolato in una paura istintiva. Poi, con una lentezza calcolata, l'uomo si piegò verso di me e mi baciò, un bacio gelido, privo di qualsiasi gentilezza che mi fece rabbrividire come sotto il morso di un serpente.

Una ripugnanza viscerale mi invase, spingendomi a reagire d'istinto. Mi allontanai bruscamente, la voce tremante mentre cercavo di mantenere il controllo.

<<Che cosa pensa di fare?>> sibilai, lottando per reprimere il terrore che minacciava di sopraffarmi.

Lui mi osservò con un sorriso compiaciuto, una soddisfazione malata nei suoi occhi.

<<Solo un assaggio, mia cara>> sussurrò, il tono basso, quasi ipnotico. Ogni parola sembrava ghermirmi, come un avvertimento di una minaccia incombente.

<<Non osare toccarmi di nuovo>> risposi, ma la paura aveva ancora radici profonde nelle mie ossa, immobilizzandomi.

Proprio in quel momento, la voce profonda e autoritaria di Louis Dubois ruppe il silenzio.

<<Lasciatela suonare>> disse, il tono gelido che non lasciava spazio a contestazioni. Poi si voltò verso di me. I suoi occhi tradirono un'ombra di sadico compiacimento <<Avrete tutto il tempo per giocare, dopo>>

Sentii la mia pelle incresparsi e ogni residuo di calma mi sfuggì di mano.

Cercai disperatamente di ritornare alla melodia ma il tremore delle mie dita era ormai incontrollabile. Ogni nota che suonavo pesava come un macigno e mi rendevo conto che, qualunque fosse la ragione della mia presenza in quella casa, ero ormai intrappolata in una rete tessuta con cura e la mia unica arma, la musica, non bastava a dissipare le ombre che mi circondavano.

Il signor Dubois si avvicinò a me dopo pochi minuti di silenzio, fissandomi con un sorriso sinistro che mi gelava fino al midollo. La sua ombra incombeva su di me mentre io lottavo per mantenere la calma ma ogni battito del mio cuore sembrava amplificarsi, come un tamburo lontano di un pericolo imminente

<<Ora, mia cara>> disse, la sua voce era bassa e carica di squallore <<Voglio qualcosa di più da te>>

Un brivido freddo mi avvolse.

Avvertivo il panico crescere dentro di me, implacabile e paralizzante, come una morsa di ghiaccio.

Ero intrappolata, come in una tela di ragno, senza possibilità di fuga. Ma, all'improvviso, la porta della stanza si spalancò, e vidi Gabriele entrare. Sorpresa e incredulità mi travolsero.

Cosa c'entrava Gabriele con questa gente?

Gli occhi di Gabriele cercarono i miei, colmi di perplessità e tensione.

L'aria nella stanza si fece densa mentre io rimanevo inchiodata sul posto, incapace di decifrare se fosse lì per salvarmi o, peggio ancora, se fosse parte di quel grottesco complotto.

Dubois, come un cacciatore che si diverte col bottino, si voltò verso di lui con un sorriso crudele

<<Oggi abbiamo una dolce e sensuale compagnia>> disse a Gabriele, guardandomi infine con la coda dell'occhio, come se fossi un oggetto inanimato, un trofeo da esibire.

Io e Gabriele ci guardammo intensamente cercando di comunicare attraverso il silenzio.

<<La vuoi?>> chiese Dubois a Gabriele, il suo tono insinuante e perverso.

<<Io non...>> Gabriele accennò qualche parola. Non gli uscivano le parole di bocca, bloccate dall'orrore della situazione.

<<Non fare il timido>> lo incalzò Dubois, poi continuò <<...è anche per te>> e gli fece un occhiolino, come se stesse condividendo un segreto volgare.

Gabriele cercò di mantenere la calma e adottò un tono assertivo, la voce ferma e decisa.

<<Louis, che piacere vedere qui questa ragazza, ha veramente un bel talento lasciamo che si esibisca ancora un po'>>

Dubois guardò Gabriele con uno sguardo valutativo, sembrava considerare le parole di Gabriele.

<<Si, lasciamo suonare ancora un po' la ragazza>> disse con tono sicuro. Gabriele stava prendendo tempo.

Per un attimo, sembrò che le parole di Gabriele avessero fatto breccia. Dubois si fermò, il suo sguardo passava da Gabriele a me, come se stesse pesando le opzioni. Ma un mormorio dagli altri ospiti ruppe l'incantesimo.

Però uno degli ospiti di Dubois non era pienamente d'accordo. Quello con i capelli castani e l'aria arrogante, disse con voce impaziente <<Dai Louis, noi ci vogliamo divertire>>

Mi si gelò completamente il cuore al suono di quelle parole.

Dubois sorrise, un sorriso che non raggiunse mai i suoi occhi.

<<Sembra che i ragazzi abbiano già deciso>> disse Dubois.

Prima che potessi reagire, mi afferrò per il braccio con forza, facendomi male. Cercai di ribellarmi ma la sua presa era salda e implacabile.

<<No!>> gridai, cercando di liberarmi <<Lasciami andare!>>

Gabriele si mosse rapidamente verso di noi ma uno delle guardie del corpo di Dubois lo afferrò e lo bloccò con una facilità sconcertante.

<<Lascia stare la ragazza, Louis!>> urlò Gabriele, lottando per liberarsi ma la guardia del corpo lo colpì con forza alla testa, facendolo crollare a terra stordito.

Dubois mi trascinò con forza in una delle camere, chiudendo la porta con un movimento rapido e deciso. Il mio cuore sembrava voler esplodere, i pensieri si accavallavano caotici e ogni istinto urlava di ribellarmi, di scappare. Ma ogni sforzo era vano, mi pietrificai.

Con uno sguardo predatorio, Dubois mi spinse con brutalità sul letto, la sua espressione era di un uomo sicuro della propria impunità.

<<Ora ci divertiamo, mia cara>> sussurrò, il tono velenoso della sua voce mi fece rabbrividire. Le lacrime iniziarono a scorrere liberamente, soffocate da un senso di disperazione che mi stringeva il petto.

<<Per favore... fermati>> supplicai tra i singhiozzi ma lui ignorò le mie parole.

Con un'aggressività studiata, mi immobilizzò. Ogni suo gesto sembrava carico di un'ostilità che andava oltre la mia comprensione.

Tentai di lottare ma la sua presa era ferrea e il mio corpo rispondeva con tremiti involontari mentre la mia mente cercava rifugio in un luogo lontano, al di fuori di quella stanza.

Quando Dubois si abbassò i pantaloni, sentii un senso di vuoto, come se la mia essenza stessa stesse per essere strappata via. Ogni tocco, ogni movimento lasciava una ferita invisibile, un segno che percepivo come irreparabile.

Sentivo il suo respiro pesante e disgustoso ovunque intorno a me e io potevo solo chiudere gli occhi, pregando silenziosamente che tutto finisse.

Finalmente, dopo un'eternità che mi era parsa insostenibile, Dubois si allontanò, apparendo soddisfatto. Rimasi lì, distesa e tremante, come se la mia forza fosse stata completamente prosciugata. Ogni fibra di me continuava a tremare, le lacrime mi solcavano il viso e dentro di me sapevo che qualcosa era stato distrutto.

La porta si spalancò all'improvviso con un colpo secco. Vidi Gabriele entrare di scatto, con un taglio sulla fronte e il sangue che gli colava lungo la guancia. Nei suoi occhi lessi un misto di rabbia e dolore.

<<Maddalena!>> gridò, correndo verso di me.

<<Ga...Gabriele...>> sussurrai, la voce rotta dai singhiozzi.

Si inginocchiò accanto a me, stringendomi con delicatezza, e cercò di calmarmi con voce bassa e rassicurante.

<<Sono qui adesso>> disse, accarezzandomi con mano ferma.

Ma presto lo sguardo di Gabriele si diresse verso Dubois, il volto acceso di una furia trattenuta a stento.

<<Perché, Louis?>> chiese con un tono che celava una rabbia profonda.

Dubois lo guardò con distacco e parlò con glaciale indifferenza.

<<Ho solo fatto un favore a un amico>> rispose con un'aria di impassibile determinazione. Poi aggiunse <<Ora togliete il disturbo, voi due. E tu, Gabriele, scordati l'accordo>> nel mentre si allacciò i pantaloni.

Con uno sguardo denso di preoccupazione, Gabriele mi prese per mano.

<<Andiamo via di qui>> disse, aiutandomi ad alzarmi.

Mi aggrappai a lui, trovando un filo di conforto nella sua presenza. Uscimmo dalla stanza, lasciando Dubois alle nostre spalle, impassibile e silenzioso, come se nulla fosse accaduto.

Quando finalmente uscimmo dalla villa, inspirai profondamente, cercando di calmare il respiro irregolare e placare i battiti furiosi del cuore. Il volto di Gabriele era teso, nei suoi occhi lessi un misto di preoccupazione e dolore profondo.

Le sue mani, leggermente tremanti, mi stringevano i polsi con una determinazione delicata, come se temesse che potessi sfuggirgli da un momento all'altro.

La brezza pungente della notte parigina colpì il mio viso, penetrando attraverso la pelle ma non bastò a scacciare il gelo che sentivo all'interno.

Ogni passo verso l'uscita sembrava un atto monumentale, come se dovessi trasportare un peso invisibile e schiacciante. Avvertivo in pieno il marchio che Dubois mi aveva lasciato, una cicatrice che sapevo sarebbe rimasta, incisa in me con una brutalità silenziosa.

Sentivo di aver perso qualcosa di inalienabile. Qualcosa che, forse, non avrei più potuto recuperare. La sensazione di essere irrimediabilmente svuotata mi avvolgeva mentre i miei pensieri arrancavano nella ricerca di stabilità.

Gabriele mi osservava in silenzio.

Nei suoi occhi vedevo un'incontenibile rabbia e una tenerezza che mi colpiva con una forza disarmante.

<<Maddalena, come ti senti?>> la sua voce si incrinò, tradendo una vulnerabilità che raramente avevo visto in lui.

Cercai le parole ma ogni tentativo si dissolveva sotto il peso delle emozioni che mi opprimevano.

<<Non lo so, Gabriele>> riuscii a mormorare.

In risposta, Gabriele mi strinse ancora più forte, come se tentasse di trasmettermi una parte della sua forza silenziosa e inesauribile.

<<Ora ci sono io. Mi dispiace>> le sue parole erano un sussurro, cariche di gravità e di un dolore quasi palpabile. Non c'era traccia di esitazione nella sua voce, solo una ferma risolutezza e una sofferenza che sembrava rispecchiare la mia.

Nel suo abbraccio trovai un'ancora.

Il calore del suo corpo filtrava attraverso la mia pelle, penetrando quella barriera di gelo che mi aveva avvolta poco prima. Sentii la tensione sciogliersi, anche se non potevo liberarmi del senso di vuoto che incombeva su di me, come un'ombra tenace. Eppure, tra le sue braccia, mi sembrò di riscoprire una fragile parvenza di pace, un rifugio in cui, per un istante, potevo lasciare da parte ogni frammento del terrore e della desolazione che mi affliggevano.

Camminammo in silenzio, immersi in una bolla di dolore e condivisione mentre le luci di Parigi pulsavano attorno a noi, vivide e indifferenti. La città sembrava respirare, con la sua energia notturna e le sue strade illuminate, ma io mi sentivo un'estranea, come se mi trovassi in un sogno da cui non riuscivo a svegliarmi.

<<Perché sei qui, a Parigi?>> domandai, la mia voce un sussurro sommesso, quasi come se temessi la risposta.

Gabriele mi guardò, colto di sorpresa, e rispose in tono pacato

<<Per lavoro. Ma non credo che l'affare andrà in porto>> lo disse gettandomi uno sguardo penetrante.

<<Per colpa mia...>> risposi, sentendo un gelido senso di colpa insinuarsi nell'anima.

<<No, Maddalena. Non è colpa tua, e forse è meglio così. È rischioso avere a che fare con uomini potenti come lui. Ma dimmi, tu... perché eri lì?>>

Ci fu un cambiamento nel suo tono, una curiosità che non riusciva a nascondere. Il suo sguardo indagatore mi fece capire che stava cercando di comprendere il mio coinvolgimento in quegli eventi.

Così iniziai a raccontargli tutto.

Dalla mia partenza da Roma fino al mio arrivo in questa città che tanto avevo sognato. Gli parlai della vita all'accademia, di Lefèvre, di Ferdinando e dei miei compagni, dei vivi e dei morti.

Man mano che parlavo, rivivendo i ricordi uno dopo l'altro, per un attimo mi sorprese la sensazione di trovarmi ancora in uno dei miei sogni ad occhi aperti ma sapevo perfettamente che non era così.

Questa volta era reale.

Gabriele era reale, non frutto della mia mente. La sua presenza e la sua attenzione costante erano il mio appiglio al presente.

Il calore del suo sguardo sembrava sfidare i fantasmi che mi tormentavano. E mentre continuavo a parlare, sentivo la mia mente divisa tra il peso dei ricordi traumatici e la certezza rassicurante che, almeno per ora, non ero sola.

Gabriele mi ascoltava in silenzio, con uno sguardo fisso e attento, i suoi occhi penetranti che cercavano di afferrare ogni sfumatura delle mie parole. Ogni tanto annuiva, un gesto semplice ma carico di significato, che mi faceva sentire compresa. Avvertivo il peso della sua preoccupazione, un calore che emanava dalla sua empatia e che sembrava riscaldare le ferite ancora aperte nel mio cuore.

Le sue parole, misurate e sincere, si posavano su di me come un balsamo, alleviando il dolore che mi accompagnava da troppo tempo.

Quando finalmente ebbi il coraggio di ringraziarlo, il suo sorriso fu un raggio di luce in mezzo all'oscurità. Mi guardò con dolcezza e in quel momento, mi resi conto che stavo lentamente cominciando a sciogliermi.

Sentivo il ghiaccio che aveva avvolto il mio cuore e la mia anima iniziare a cedere, lentamente ma inesorabilmente, grazie alla sua presenza rassicurante.

Era come se ogni istante trascorso con lui contribuisse a dissolvere le barriere che avevo eretto per proteggermi, permettendo un barlume di calore e speranza di affacciarsi nella mia vita segnata dalla sofferenza.

Continuammo a camminare, lasciando che Parigi ci avvolgesse con la sua bellezza e la sua magia, un abbraccio che sembrava eterno. Ci dirigevamo verso la Torre Eiffel, le cui luci scintillanti danzavano nell'aria, creando un'atmosfera surreale e incantevole, come un sogno che si materializzava sotto i nostri occhi. La vista era mozzafiato ma in me persisteva un peso opprimente, un'oscurità che non riuscivo a dissipare.

Gabriele camminava accanto a me e il suo silenzio parlava con un'intensità che mille parole non avrebbero mai potuto esprimere. Attraversammo il Pont d'Iéna, con la Senna che scorreva tranquilla sotto di noi, una distesa di acqua che rifletteva le luci della città come se custodisse i segreti di Parigi.

Mi fermai un attimo, incantata dal suono rilassante del fiume, nella speranza di trovare un briciolo di pace in quel frangente turbolento. Gabriele si fermò accanto a me, rispettando il mio silenzio ma la sua presenza costituiva un conforto inaspettato, un'ancora in un mare di emozioni tumultuose.

Proseguimmo verso i Champs de Mars, passeggiando tra i giardini ben curati e le statue che punteggiavano il parco, simboli di una bellezza che sembrava sfuggirmi. Parigi era un'opera d'arte vivente ma non riuscivo a immergermi completamente nella sua magnificenza. Tuttavia, con Gabriele al mio fianco, percepivo una flebile speranza, un barlume che forse, un giorno, avrei potuto ritrovare la serenità perduta, lasciando finalmente alle spalle il peso del passato.

Dopo una lunga e straziante serata, Gabriele mi accompagnò fino alle porte dell'accademia. Le luci della sera si riflettevano sull'edificio storico, conferendogli un aspetto quasi magico, un rifugio familiare che mi trasmetteva un senso di sicurezza, seppur effimero. Ogni passo verso la porta sembrava pesare come un macigno. Non volevo che la serata giungesse al termine. La sua presenza era stata per me un'ancora in quella notte di terrore e dolore, un elemento di stabilità che mi aveva permesso di affrontare l'impatto devastante delle emozioni.

Ogni istante trascorso con Gabriele aveva contribuito ad alleviare, anche solo per un momento, la mia sofferenza interiore.

L'idea di doverlo salutare mi colmava di tristezza, come se una parte di me stesse per andarsene con lui.

<<Non voglio che te ne vai>> sussurrai, sentendo le lacrime scorrere di nuovo, inarrestabili.

Gabriele, comprendendo il mio tormento, mi accarezzò dolcemente una guancia. Il suo tocco era delicato, carico di affetto, come se cercasse di trasferirmi un po' della sua forza.

<<Devi riposare. Ma ricorda, sarò sempre qui per te, ogni volta che avrai bisogno>> disse, le sue parole una promessa che mi avvolse in un velo di conforto.

Poi, con una grazia che mi lasciò senza fiato, mi baciò dolcemente sulle labbra. Quel gesto, semplice ma carico di tenerezza e di promesse non dette, rappresentava per me un segno di speranza, un memento di ciò che avevo perduto e di ciò che, forse, avrei potuto ancora trovare.

Quando si allontanò, avvertii un vuoto nel petto, un desiderio disperato di non lasciarlo andare. La sua presenza era stata una roccia in un mare di oscurità e caos in cui mi trovavo intrappolata.

<<Buonanotte>> disse, accennando un sorriso che cercava di illuminare l'atmosfera pesante, prima di voltarsi e scomparire nella notte, lasciandomi con una sensazione di solitudine e una flebile speranza nel cuore.

Rimasi lì, immobile, a osservare Gabriele allontanarsi, un desiderio profondo di fermarlo che pulsava nel mio petto come un'eco insistente. Respirai profondamente, cercando di raccogliere i miei pensieri, infine entrai nell'edificio. Varcata la soglia, mi avventurai nel corridoio semibuio, le pareti sembravano avvolgermi in un abbraccio opprimente mentre mi dirigevo verso la mia stanza, in cerca di un po' di pace.

Tuttavia, l'immagine di quel brutto incubo appena vissuto continuava a tormentarmi, incapace di svanire dalla mia mente. Una volta giunta nella mia camera, il mio sguardo si posò su Isabelle, che dormiva profondamente, ignara del tumulto interiore che mi attanagliava. Cercai di non fare rumore mentre mi cambiavo in abiti da notte, infilandomi nel letto con la speranza che il sonno potesse finalmente avvolgermi in un dolce oblio.

Ma la mia mente era prigioniera dei ricordi di quella notte terribile, intrappolata in un vortice di angoscia crescente. Il sonno mi sfuggiva, lasciandomi esposta a un tormento interiore che sembrava intensificarsi ad ogni istante.

Le lacrime cominciarono a scorrere lentamente dai miei occhi, trasformandosi in un fiume incessante di dolore silenzioso, un torrente di emozioni che cresceva di intensità con ogni minuto che passava.

Poi, improvvisamente, una frase si affacciò alla mia mente come un fulmine a ciel sereno: "Ho solo fatto un favore a un amico." Erano queste le parole che Dubois aveva pronunciato a Gabriele, un'affermazione che portava con sé un peso insostenibile. Poi mi venne in mente l'immagine di Gabriele sul tetto quella notte. E ora... era amorevole.

Poi, di colpo, in quel momento, i miei pensieri si diressero verso Ferdinando. La consapevolezza di ciò che stava accadendo, di come ogni elemento del puzzle si stesse incastrando, mi colpì come un'illuminazione, amplificando il caos emotivo che già mi attanagliava.


Grazie di cuore per aver letto questo capitolo e per essere arrivato/a fin qui. 💖 

È davvero speciale condividere con te la storia di Maddalena.

Cosa ne pensi di ciò che è accaduto? 

Se ti va, mi farebbe piacere leggere un tuo pensiero nei commenti e magari ricevere anche una stellina. 🌟 Sono piccoli gesti, ma per me significano tantissimo.

Grazie ancora per il tuo supporto e per accompagnare Maddalena in questo viaggio! 🌸

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