1. Il codice dell'inconscio
Tutto ebbe inizio nel 2011, in occasione del mio diciottesimo compleanno. Erano ormai trascorsi oltre dieci anni dall'inizio del nuovo millennio e il mondo attorno a me si rivelava sempre più complesso e insidioso.
In quel contesto, coltivavo un sogno, un'ardente passione che rappresentava l'unico faro di speranza in una realtà che sembrava avvolta da un'oscurità ineluttabile. È una convinzione che potrebbe apparire comune, addirittura scontata, ma il potere dei sogni risiede nella loro capacità di illuminare anche i percorsi più tortuosi.
Credere fermamente in essi, definire un obiettivo chiaro e impegnarsi nella sua realizzazione è ciò che conferisce significato all'esistenza. Queste riflessioni sembrano banali ma sono essenziali per affrontare le sfide della vita e per non perdere mai la speranza.
Per me, il canto non era semplicemente una passione, una dote naturale, un talento innato che mi era stato riconosciuto da chiunque avesse avuto il privilegio di ascoltarmi. Molti affermavano che una risorsa come la mia non dovesse andare sprecata.
Tuttavia, sebbene ci siano numerosi individui dotati di abilità simili, ciò che mi differenziava dagli altri era la mia capacità di trasportare il pubblico nei miei sogni, di immergerlo nel mio universo attraverso le dolci melodie che il pianoforte emanava ogni volta che posavo le dita sui suoi tasti.
In quei momenti, esse e il mio corpo si fondevano con lo strumento, creando un'armonia quasi mistica. Era come se entrassi in una dimensione parallela, dove la comunicazione con il pianoforte diventava un'esperienza intima e profonda. Ogni tocco dei tasti non era solo una nota, ma un messaggio che pulsava di vita mentre la mia voce si sollevava in gemiti e parole che si intrecciavano con la melodia. Man mano che il brano si sviluppava, la musica diventava una forza crescente, avvolgente, trasformandomi in un'estensione dello strumento stesso.
Era un'esperienza catartica, una danza di suoni ed emozioni che elevava me e il mio pubblico verso vette inaspettate di connessione e intensità.
I miei occhi si chiudevano e in quel momento magico, come accadeva sempre, le dita sapevano esattamente dove andare. Ogni nota, ogni sfumatura, erano già impresse nella mia mente, anticipando i movimenti delle mani.
La dolce melodia si diffondeva nel mio corpo, avvolgendo ogni pensiero e ogni emozione.
Ogni volta che mi esibivo, mi giungevano frasi di ammirazione: "Maddalena, sei bravissima", "Da quanti anni studi musica e canto?", "Hai una voce angelica", "Non smettere mai di suonare", "Mi hai fatto emozionare". Queste parole mi riempivano di orgoglio, eppure quando mi chiedevano della mia formazione musicale, rispondevo sempre con la medesima affermazione: "Sono nata con un dono speciale." A questa dichiarazione, gli altri sorridevano senza indagare oltre. La verità, tuttavia, era ben diversa: non avevo mai preso lezioni di canto o di musica; la mia abilità era, per così dire, istintiva.
Possiedo un orecchio assoluto e una memoria eccezionalmente robusta.
Ma come ogni medaglia, anche il mio talento aveva un lato oscuro: il sogno. Può sembrare strano ma questa straordinaria dote ha sempre nascosto un aspetto inquietante della mia esistenza. Soffro di una condizione nota come Maladaptive Daydreaming, una sorta di malattia legata alla capacità di sognare ad occhi aperti.
A volte, questa tendenza mi portava a confondere la realtà con le mie fantasie, a tal punto da perdere la cognizione del tempo e dello spazio, immaginando situazioni che non avevano riscontro nel mondo reale.
Nel corso degli anni ho iniziato a credere sempre di più, che la mia famiglia non fosse composta solo da mia madre e mio padre: i miei sogni mi hanno convinta di avere una sorella, una dolce bambina dai capelli biondi e dagli occhi verdi che mi sorrideva e mi chiedeva di raccontarle storie.
In queste visioni, mi ritrovavo a inventare narrazioni, gesticolando per comunicare meglio i concetti. Raccontavo storie divertenti ma anche malinconiche. Spesso, esprimevo le mie emozioni attraverso il canto, momento in cui il mondo sembrava fermarsi: c'ero solo io e la mia musica, un'entità che prendeva forma e che mi trascinava in un abbraccio avvolgente.
Quella melodia rappresentava il mio rifugio sicuro, il mio posto nel mondo.
Il 10 giugno 2011, giorno del mio diciottesimo compleanno, segna un importante capitolo della mia vita. Mia madre e mia zia Viola mi svegliarono con una notizia che mi colpì profondamente: la zia Serena mi avrebbe offerto duecento euro per cantare al suo matrimonio.
L'emozione si mescolava a una certa apprensione. Non avevo mai cantato di fronte a un pubblico così vasto e l'idea di trovarmi al centro dell'attenzione mi provocava un tremore incontrollabile alle mani.
Tuttavia, il desiderio di rendere felice mia zia Serena superava ogni timidezza, accendendo in me una determinazione che non avevo mai conosciuto prima.
Accettai la proposta e presi il telefono per comunicarglielo. La sua voce squillò attraverso la cornetta.
«Pronto, Mara!»
«Zia, sono Maddalena!» replicai con un tono divertito. Era naturale che, chiamando dal telefono di mia madre, potesse confondermi con lei.
«Ho parlato con mamma e zia Viola. Va bene per la proposta» continuai trattenendo l'emozione.
La reazione di mia zia fu immediata ed esplosiva. Esultò, il suo entusiasmo risuonava come un canto di gioia che si propagava nell'aria. Non potevo fare a meno di sorridere, divertita e al contempo eccitata.
Tuttavia, nel profondo, si agitava un tumulto di emozioni contrastanti. L'idea di esibirmi davanti a tante persone, esposta al giudizio altrui, amplificava le mie paure più recondite. Eppure, tra quelle ansie, si faceva strada una scintilla di eccitazione al pensiero che, attraverso la mia musica, avrei potuto toccare le emozioni di chi mi ascoltava.
Provavo un misto di timore e meraviglia, un conflitto interiore che rendeva l'attesa ancora più intensa e carica di significato.
Mi preoccupavo silenziosamente, domandandomi se sarei stata all'altezza delle aspettative. La mia voce avrebbe risuonato forte e chiara come desideravo o il timore che a volte mi stringeva come una morsa avrebbe avuto il sopravvento?
E se non fossi abbastanza brava?
Se non riuscissi a catturare l'attenzione del pubblico, deludendo chi aveva riposto in me così tante speranze?
Eppure, dietro quelle paure c'era anche un senso di gratitudine e di orgoglio.
Era un'opportunità preziosa per donare gioia a zia Serena, per rendere speciale il giorno del suo matrimonio. Sentivo che quel momento mi avrebbe permesso di dimostrare il mio talento e la dedizione che nutrivo verso la musica. Però, la voce critica dentro di me non si placava, sussurrando dubbi e incertezze, come un'eco costante che non mi abbandonava mai.
Quando mi immergo in sogni e fantasie, sento un vortice di emozioni contrastanti. So di avere un dono, di saper suonare il pianoforte e cantare con una naturalezza che pochi possono vantare. Ma quando quei sogni cominciano a prendere il sopravvento, temo di perdere la presa sulla realtà. È una lotta interna, una battaglia silenziosa tra ciò che è reale e ciò che appartiene alla mia mente. È come se una parte di me si smarrisse in quei mondi immaginari e tornare indietro non fosse mai semplice.
Questa incapacità di mantenere il controllo totale sulla mente mi riempie di dubbi, specialmente quando si tratta di concentrarmi, non solo durante le esibizioni, ma anche nelle situazioni quotidiane.
Non è facile mantenere l'equilibrio. Spesso mi preoccupa il fatto di non riuscire a connettermi realmente con le persone attorno a me, di non essere pienamente presente nelle relazioni, perché la mia mente vaga altrove, imprigionata in qualche sogno.
I sogni influenzano tutto, ogni cosa. Ogni relazione, ogni pensiero. Mi chiedo spesso se sarò mai in grado di esprimere completamente la bellezza della musica che sento dentro di me o se resterà confinata nei limiti della mia immaginazione.
Eppure, quando suono o canto, qualcosa accade. Chi mi ascolta entra nel mio mondo, riesce a percepire, a vivere ciò che io sento, quasi fosse una magia. È come se riuscissi a creare una connessione profonda tra il mio mondo di fantasia e la realtà dove si trovano gli altri. È un privilegio raro e ne sono consapevole.
Quando chiudo gli occhi, tutto prende forma.
Ma al di là di queste fantasie, chi sono davvero?
Quanto influiscono i sogni sulla vita reale?
Sono domande a cui non riesco ancora a dare risposta.
Ci sono dilemmi che mi accompagnano costantemente, enigmi che ancora non ho risolto. Ma l'unica certezza che possiedo è che non sono sola. La mia famiglia è con me, pronta a supportarmi in ogni momento. So di avere la forza di affrontare queste sfide, di scoprire chi sono al di là delle illusioni che la mia mente crea.
E mentre riflettevo su tutto questo, il "palcoscenico" mi attendeva.
I miei pensieri erano tutti rivolti alla musica, alla melodia che mi avrebbe guidato, portandomi oltre i dubbi e le incertezze, verso un'espressione autentica di ciò che sono, e di ciò che ero destinata ad essere.
«Maddalena!» sentii la voce di mia madre che mi chiamava dalla stanza accanto. Mi avviai verso di lei.
«Cosa c'è?» le risposi.
Appena entrata, trovai anche zia Viola con il viso raggiante di gioia, che mi chiese entusiasta: «Come stai? Sei emozionata per la notizia del matrimonio di tua zia?»
Ero ancora in uno stato di eccitazione nervosa, un turbine di sentimenti mi agitava dentro.
«Sì, sono contenta, ma anche piena di ansia» ammisi con una certa energia.
Mia madre, però, sembrava avere qualcos'altro in mente.
«A proposito... ti ricordi cos'è successo ieri?» disse, con un tono quasi preoccupato.
Le sue parole mi colpirono, facendomi realizzare quanto fossero sfocate le mie memorie recenti. Uno degli aspetti più particolari del mio sognare ad occhi aperti è proprio questo: la realtà, in quei momenti, sembra dissolversi lasciando solo tracce vaghe, mentre i sogni diventano predominanti e quasi reali. Scossi la testa. «Non ricordo molto» risposi, cercando di nascondere l'incertezza che mi stava invadendo. Le due si scambiarono uno sguardo, come se entrambe cercassero di decifrare cosa stesse accadendo dentro di me.
Poi mia madre riprese, con una leggera insistenza: «Cosa ricordi, Maddi?» mi disse. Tentai di focalizzarmi. «Poco» ammisi, poi continuai «ricordo solo di aver avuto in mano delle forbici e di averle lanciate contro il divano, poi... più nulla»
Avevo omesso una parte importante. Nel sogno c'era anche la mia sorellina, ma decisi di non dirlo. Non volevo dare loro altre preoccupazioni, soprattutto perché mia sorella non esisteva nella vita reale. Era un frammento del mio mondo onirico che a volte prendeva il sopravvento.
Nella mia mente, ero tornata al soggiorno, dove lei mi raccontava una storia spaventosa che mi aveva messo a disagio. Ero convinta di avere una matita in mano e di essere sul punto di lanciarla per farla smettere, ma non mi ero resa conto della presenza di mio padre, seduto accanto a me.
Per me, in quel momento, l'unica persona nella stanza era mia sorella. Anche dopo essere uscita dal sogno, la sua presenza sembrava aver cancellato quella di mio padre. Era come se la mia mente lo avesse trasferito altrove. Dettagli che non potevo assolutamente condividere con loro, dettagli che preferivo tenere per me, per non turbarli ulteriormente.
«Maddalena, se c'è qualcosa di cui vuoi parlare...» iniziò mia madre, con una dolcezza che faticavo a sostenere.
Mia zia la interruppe, sporgendosi verso di me e prendendomi delicatamente le mani.
«Tesoro, lo so che certe cose possono spaventare ma noi siamo qui per te. Non ti abbandoneremo mai, qualsiasi cosa accada» mi disse con voce ferma e rassicurante.
Le sue parole colpirono direttamente il mio cuore, come un raggio di luce improvviso in una stanza buia.
Sentii una stretta, un misto di sollievo e vulnerabilità. Sapere che la famiglia era al mio fianco, pronta a sostenermi in qualsiasi situazione, mi offriva un conforto immenso. Eppure, allo stesso tempo, quella sicurezza mi rendeva consapevole della mia dipendenza emotiva.
Era una sensazione ambigua perché da un lato c'era il sollievo di avere qualcuno su cui contare, dall'altro, la paura di non riuscire a sostenere da sola il peso delle mie paure.
Non riuscivo ancora a comprendere fino in fondo il significato delle loro parole, né come potessi trovare equilibrio tra la mia fragilità e la forza che cercavo di costruire.
Ma di una cosa ero certa: la loro presenza era come una luce costante, una guida attraverso il caos dei miei pensieri.
Grazie di cuore che stai continuando la lettura! 📚✨
Spero che questo primo capitolo ti sia piaciuto. Se ti va, lascia un commento e/o una stellina ⭐, mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensi.
La storia di Maddalena è un viaggio interiore che fa riflettere 🌿💭, ci invita a guardare dentro di noi. Non vedo l'ora che tu possa scoprire tutte le sue sfaccettature. Grazie per seguirla! 💖
Per rimanere sempre aggiornato sulle novità, seguimi su Instagram! 📸💫👉IG: _sylvie_ds__
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top