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| I commenti non sono collegati ai capitoli che leggerete. Purtroppo Wattpad ha stravolto tutto. Per evitare spoiler, vi consiglio di non leggerli. Semmai voleste scrivere, siete liberi di farlo|

Distendo le gambe sull'erba bagnata ed i muscoli del corpo si rilassano all'istante. La testa ciondola e di istinto serro le palpebre beandomi della brezza mattutina, la quale accarezza dolcemente il mio viso.
L'intensa attività fisica mi ha completamente stesa ed i rivoli di sudore che imperlano la mia pelle ne sono la prova. L'ennesima notte insonne mi ha indotta ad abbandonare la mia camera e se ad Homs avevo il mio personale sacco da boxe che mi aspettava ogni notte, qui invece, non ho altro che un immenso campo terroso ed erboso da calpestare. La corsa mattutina solitamente mi aiutava a non pensare molto, la mia attenzione si incentrava sui passi, sulla respirazione e sul movimento del corpo. Da un po' di tempo a questa parte, però, le cose sono cambiate. Da quando ho messo nuovamente piede in accademia non riesco più a concentrarmi come dovrei; la missione verrà attuata tra due giorni ma la mia mente si trova da tutt'altra parte. Le parole di Trevor continuano a vorticare nella mia testa come un mantra e più mi impongo di non pensarci, di focalizzare la mia attenzione ed il mio interesse sulla missione, e più le sue parole, così enigmatiche ed incomplete, fluttuano nel mio cervello. Non avevo mai pensato alla mia famiglia prima di quel giorno al capannone, non mi sono mai chiesta chi fosse mio padre o mia madre, se abbia mai avuto un fratello o una sorella. Questi pensieri hanno smesso di trivellare il mio cervello all'età di otto anni, quando la bambina che c'era in me ha capito che continuare a cercare sarebbe stato inutile, una perdita di tempo. Mia zia non mi ha mai fatto pesare alcuna mancanza, nonostante le grosse differenze che notavo tra una vera famiglia e me. All'inizio mi isolavo ed in silenzio mi chiedevo se, in fondo, lei sapesse qualcosa. La osservavo mentre cucinava, quando mi raccontava con una certa tristezza del suo primo amore finito male oppure quando dolcemente mi accarezzava i capelli cullandomi tra le sue braccia. Mi è sempre sembrata amorevole e felice ma, con il tempo, mi sono resa che conto che si comportava in questa maniera solo per non caricare ulteriormente il mio bagaglio di assenze. Penso che abbia riservato parte della sua vita a me, dedicando anima e corpo alla nipote che considera ormai figlia, accantonando i suoi desideri solo per rendermi felice. In tutti questi anni non ho mai dato importanza a tutto questo, al fatto che abbia sacrificato se stessa e le sue volontà per salvarmi, eppure adesso più che mai mi sento egoista. Egoista perché ho sempre pensato a me stessa, fregandomene altamente della persona che più di tutte mi è stata accanto. Annerosie ha fatto davvero tanto per me ma non me lo ha mai fatto pesare. Ha tentato di non farmi sentire sbagliata, inadeguata per questo mondo fin troppo crudele e, considerati i risultati ed il posto in cui mi trovo, credo che ci sia riuscita alla grande. Ho tutto quello che una donna può desiderare ma allora perché sento che mi manca qualcosa?
Sebbene mi costi ammetterlo, le parole di Trevor mi hanno scombussolata in una maniera che non credevo possibile. Non ho mai pensato alla mia famiglia biologica ma da quel giorno non faccio altro che pensarci. Vorrei dedicarmi ad altro, vorrei pensare all'imminente missione ma non riesco a concepire altro che non siano le sue frasi incomplete, non dette. Perché se prima pensavo fossero solo seghe mentali, adesso più che mai, ho la sicurezza che non lo siano. Il punto interrogativo sulla mia famiglia c'è, è palese, ma nessuno provvede a rendermi partecipe di qualcosa che mi riguarda in prima persona. Ne ho la certezza, tutti sanno ma nessuno intende dirmi nulla.

Respiro l'aria pulita, aria incontaminata e mi beo della tranquillità e del silenzio che aleggia in questo angolo di paradiso. L'alba è già passata da un pezzo ed i raggi solari diventano via via sempre più insistenti ma non per questo intendo abbandonare la natura. Non so come e nemmeno perché, ma il malessere sembra scomparire quando mi isolo dal mondo. Molte volte mi chiudo in un bolla talmente spessa da dimenticare tutto quello che mi turba nel profondo. Ciononostante, al momento, sembra turbarmi qualsiasi cosa e per la mia sanità mentale non è un bene.
Mi posiziono supina, infischiandomene del fatto che i capelli a breve si sporcheranno, e incrocio le dita sul mio grembo. Il vento raffredda il sudore e per un attimo rabbrividisco quando una folata particolarmente densa colpisce il mio corpo.

Sebbene il sole sia presente, le basse temperature invernali eclissano gran parte del bel tempo. Se non fosse per il cambiamento climatico nemmeno penserei al fatto che tra non molto sarà Natale.
Le feste non mi sono mai piaciute, anche se mia zia ha sempre provato a farmele piacere, soprattutto il natale. Nonostante abbia vent'anni continua imperterrita a comprarmi regali di ogni tipo, come se innumerevoli oggetti possano eguagliare il bene immenso che mi vuole. Eppure solo adesso comprendo il vero motivo per cui si comportava e si comporta tutt'ora così.

Sorrido inconsapevolmente sospirando profondamente; inutile anche negarlo, mi manca da morire e mi pento ogni giorno per non dimostrarle il bene che le voglio.

Un leggero fastidio al naso mi desta momentaneamente dai miei pensieri e di istinto lo arriccio, grattando il punto solleticato sicuramente da qualche moscerino o piccolo insetto.

Ma il fastidio si ripresenta nuovamente e quando apro gli occhi mi scontro con due iridi verdi che mi fissano dall'alto.

Arriccio nuovamente il naso abbozzando un sorrisom « Pensavo fosse un insetto» alludo alle sue dita che si depositano tra i miei capelli ormai sparsi sull'erba.

I suoi occhi mi scrutano dall'alto e quasi sorrido divertita constatando la posizione ambigua in cui ci troviamo.

« Non mi immagino un insetto.» asserisce districando le lunghe ciocche rosse, solleva il mento distogliendo lo sguardo dal mio viso puntandolo altrove. « Hai trovato un bel posto»

Alzo gli angoli della mia bocca in un piccolo sorriso e annuisco. « Lo so. Mi piace la natura, il silenzio che aleggia... mi sento in pace, tranquilla, e sì, anche libera.» sussurro giocando distrattamente con le dita sul mio grembo, il tocco leggero e mirato delle sue dita mi costringe a socchiudere gli occhi. « Molte volte mi chiedo come sarebbe questo posto se la guerra non esistesse»

Trevor prende posto al mio fianco divaricando le gambe, poggia un palmo aperto sul terreno – per sorreggersi – mentre l'altra mano si intrufola tra i miei capelli, come se il semplice tocco lo possa rilassare.

« Mio padre amava la natura, come te. Mi raccontava sempre quanto gli piacesse stare qui, prima che la guerra distruggesse ogni cosa. La Siria era un posto meraviglioso ed io ascoltavo con attenzione, immedesimandomi nei suoi racconti, come se fossi io il protagonista delle sue storie» mormora sorridendo nostalgico.

Apro gli occhi stupita e anche un po' sorpresa del fatto che si stia aprendo con me su qualcosa che non gli ho mai chiesto. Solo in questo momento mi rendo conto di quanto poco lo conosca.

« Amava?» ripeto quasi timorosa della sua risposta.

Il movimento delle sue dita si arresta per qualche secondo ma poi riprende come se nulla fosse. I suoi occhi non incrociano mai i miei e vorrei che lo facesse, vorrei guardarlo per poter scorgere tutte le emozioni che stanno momentaneamente attraversando le sue iridi.

« È morto» esala ma scorgo rabbia e rancore dalla sua voce.

Le mie labbra si schiudono alla sua risposta. « Com'è morto?»

Sussulto nel momento in cui incatena i nostri sguardi; non sembra infastidito dalla mia domanda diretta, anzi, sembra piuttosto propenso al dialogo, cosa alquanto strana considerato il suo atteggiamento schivo, soprattutto per gli affari personali.

« È morto in guerra. Mio padre era un membro dei cinque, compagno di vita di Marxwell e Jeffrey»

Il silenzio irrompe tra di noi e la tranquillità di poco prima si dissolve a questa confessione inaspettata. Non aveva mai parlato della sua famiglia, di chi fosse suo padre o sua madre, e sinceramente non ho minimamente pensato al fatto che uno degli uomini morti in battaglia potesse essere suo padre.

Quasi immediatamente la mia testa ricollega un episodio del passato che ricordo perfettamente.

                                                                              

Il primo uomo mi le spalle ma riesco a riconoscerlo dal suo fisico possente e dalla divisa che porta, la quale si differenzia dal resto per il ruolo ad egli affibbiato. Marxwell, gesticola animatamente scuotendo il capo perentorio e trattengo il respiro quando mi rendo conto di chi, quest'ultimo, ha di fronte: Trevor serra la mascella – probabilmente per qualcosa che il colonnello gli ha appena riferito – e lo fissa con rabbia come se qualcosa lo abbia turbato.

« Non agitarti, mantieni la calma, sai che abbiamo tutto sotto controllo.» il mormorio di Marxwell è appena udibile ma, grazie al silenzio tombale che avvolge il luogo, riesco perfettamente a sentire ogni parola appena pronunciata.

« Non capisco perché stiamo temporeggiando» afferma duro, passando una mano tra i capelli per la frustrazione.

Aggrotto la fronte cercando di capirci di più: cosa intende? Temporeggiando su cosa?

« Dobbiamo fingere di non sapere nulla, Claflin, te l'ho ripetuto centinaia di volte» ribatte e rabbrividisco ma questa volta non per il freddo ma per il modo glaciale con cui si è rivolto.

Trevor serra le mani in due pugni alla sua risposta, probabilmente non gli è piaciuta, i suoi occhi sembrano più scuri del solito e quel verde intenso si trasforma in un nero simile alla pece.

« Per quanto tempo? Ancora un altro anno, colonnello ?!» alza la voce ricevendo un segnale di ammonimento dal colonnello.

« Claflin! Mantieni la calma e non azzardarti ad alzare la voce. Qui decido io e tu devi sottostare ai miei comandi, se non ti va bene, sai cosa fare per rinunciare»

Osservo i loro movimenti soffermandomi sul riccio che allarga le narici per il modo in cui l'uomo si è rivolto, impiega così tanta forza nel serrare la mascella che se solo continuasse a fare pressione potrebbe rompersi. Sono sicura del fatto che vorrebbe rispondere a tono ma quando distoglie lo sguardo, cercando con gli occhi qualsiasi cosa da guardare, capisco che l'unica cosa che farà sarà tacere.

Le varie ipotesi si accavallano nella mia testa creando un caos rumoroso: cosa intende Trevor con ' temporeggiare ' ? E soprattutto, perché devono fingere? Cosa nascondono?

« Cerca di placare la tua ossessione, Trevor.» poggia una mano sulla sua spalla e rimango sorpresa del gesto che compie. «So bene come ti senti ma dobbiamo essere certi su ogni cosa prima di agire»

                                                                     

Ricordo perfettamente anche i colpi alla parete e la rabbia che covava ma solo adesso ne comprendo il motivo.

« Iabo ha distrutto la mia vita, la mia famiglia e continua a disseminare morti e sangue, non curandosi minimamente di niente. Lo odio con tutto me stesso, lo vorrei uccidere con le mie stesse mani ma non posso, non posso ancora farlo» ammette con collera.

Mi sollevo mettendomi a sedere proprio tra le sue gambe, incrocio le mie poggiando le mani sulle sue cosce irrigidite.

« Noi distruggeremo lui, Trevor, è questione di tempo» affermo risoluta. Lo conosco così bene da sapere quanto i ' mi dispiace ' lo infastidiscano.

Scuote il capo sorridendo scettico. « Non sai quante volte ho sentito queste parole,» asserisce guardandomi con espressione vuota. « sono anni che mi trovo qui, che temporeggiamo e che rimandiamo. Sono stufo di aspettare, io voglio vendicarmi.» sussulto al suo tono di voce duro e glaciale. « Iabo merita di morire, merita di soffrire tanto quanto sta soffrendo mia madre»

Non mi guarda più, distoglie lo sguardo puntandolo altrove. Non ho mai visto Trevor così vulnerabile, così adirato per qualcosa in particolare. L'ho sempre considerata una persona dura, inscalfibile eppure adesso è diverso, sembra aver perso quell'aria tutta d'un pezzo. I suoi occhi sono lucidi ed un vuoto si insinua all'altezza del mio petto.

La sofferenza è palpabile; Trevor soffre la mancanza di suo padre e la sofferenza della madre. È solamente un ragazzo che cerca una vendetta legittima.

Le mie mani si fermano ai lati del suo viso e delicatamente lo costringo a guardarmi. « Ehi, guardami.» perdo un battito quando asseconda i miei gesti, so bene che continuare ad alimentare questo discorso porterebbe solo ad ampliare il suo dolore. Così, decisa sul da farsi, gli sorrido dolcemente. « Come era tuo padre?»

Deglutisce alla mia domanda e, come speravo, accenna un sorriso. « Era un vero stronzo» ammette facendomi scoppiare a ridere.

Le mie mani scivolano dal viso al retro del suo collo, che comincio ad accarezzare con le mie dita. « Ogni volta che veniva congedato e tornava a casa la prima cosa che mi chiedeva era non come stessi ma se avessi preso insufficienze a scuola. Non sai quante volte lo facevo arrabbiare; non mi piaceva andare a scuola e ti confesso che ne combinavo di cotte e di crude» sorride scuotendo il capo ed il mio cuore perde altri mille battiti.

Vederlo sorridere, stargli vicino... è qualcosa che sto iniziando ad amare ed è strano, troppo, ma non riesco a farne a meno. So solo che le rare volte in cui lo vedo spensierato, di riflesso, lo divento anche io.

Lo ascolto parlare del padre, delle stronzate che combinava pur di vederlo gironzolare in casa spesso, del rapporto che aveva con quest'ultimo ma anche del dolore provato dopo la sua perdita. Dell'inferno passato in casa, della depressione della madre e delle volte in cui non sapeva come fare per non cadere. Perché era lui l'uomo di famiglia ma considerata la tenera età non riusciva a sostenere il peso che ne comportava.

Assorbo ogni parola, assorbo ogni tassello della sua gioia e del suo dolore per farlo mio. Lo accarezzo, sorrido insieme a lui quando il momento lo richiede e mi rattristo quando gli angoli della sua bocca si serrano in una linea dura. E più parla, più mi avvicino e non solo fisicamente – come in automatico accade – ma anche mentalmente, emotivamente. Trevor si sta aprendo con me come mai ha fatto in tutti questi mesi, lentamente mi sta integrando nella sua vita senza aver mai chiesto nulla. Si sta fidando di me, si sta consegnando nelle mie mani inconsapevolmente ed io so che sebbene si ostini ad allontanarmi, in fondo, l'unica cosa che vuole davvero è avermi più vicina possibile.

Lo osservo incantata quando le fossette sbucano su entrambe le guance, quando lecca il suo labbro inferiore, quando districa i suoi capelli scuri, quando si formano le rughette ai lati degli occhi ma anche quando si acciglia, quando si estrania per pochi secondi e anche quando le sue gemme verdi si scontrano con le mie iridi scure, desiderose di sapere il più possibile della sua vita.

E anche quando smette di parlare ed il silenzio ci avvolge mi sento legata a lui, un tutt'uno con la sua mente, un tutt'uno con il suo corpo.

« Come stai?» chiedo bloccando il movimento delle mie dita.

Prende un respiro profondo e mi fissa. « Ara... io non riesco più.» esala appoggiando le mani sulle mie gambe, « Sono settimane che impongo a me stesso di stare zitto»

Deglutisco a vuoto accigliandomi leggermente, osservo come i tratti del suo viso si induriscono nel momento in cui pronuncia queste parole. I campanelli di allarme cominciano a suonare incessanti. « Sono pronta» ribatto coprendo, per quel che posso, le sue mani con le mie.

Mi fissa per pochi secondi ma alla fine distoglie lo sguardo.

« Mio padre, Jeremy Claflin, era un membro dei cinque, questo te l'ho già detto.» annuisco incerta sul da farsi. « Conoscevo già Marxwell e Jeffrey, sin da quando ne ho memoria ma non sono gli unici... all'appello mancano altre due persone, morte in battaglia insieme a mio padre.» aggrotto la fronte interessata, la cosa ambigua è che non riesco a capire cosa possa c'entrare questo discorso con me, « Scott Ward, il padre di Drew e Coen Nelson, tuo padre biologico»

I suoi occhi cercano i miei non appena quel nome abbandona le sue labbra: incerti, pentiti. Non so esattamente cosa accade dentro di me, cosa quelle due semplici parole suscitano e non so nemmeno come descrivere il senso di vuoto che attanaglia il mio stomaco. L'unica cosa che al momento la mia testa mi intima di fare è guardarlo negli occhi, guardare queste due iridi che mi hanno sempre suscitato fiducia. Era questo ciò che intendeva, era questo il motivo per cui dovrei odiarlo con tutta me stessa eppure non riesco a pensare all'odio, perché quel sentimento è l'ultimo dei miei pensieri.

« Continua» replico, non muovendomi di un solo centimetro.

L'espressione di stupore non passa di certo inosservata, suppongo si aspettasse una sfuriata estrema eppure dovrebbe sapere che non sono fatta così. Tuttavia, scrollando le spalle, riprende il suo discorso da dove l'ha interrotto.

« Sia io che Drew siamo cresciuti con tutti loro; mia madre pensava volessi fare un altro mestiere nella vita, magari l'avvocato... ma la sola idea mi mette, tutt'ora, i brividi. Ci sperava fino a poco tempo fa ma poi ha capito che l'unico percorso di vita che volevo intraprendere era lo stesso intrapreso da mio padre molti anni prima. Immagina due bambini di sei anni che, di nascosto, spiavano i loro padri mentre si allenavano.» abbozza un sorriso al ricordo ma la mia espressione non muta, tant'è che si accorge del mio mutismo e sospirando riprende il discorso. « Mio padre, all'inizio, non voleva che seguissi la sua strada. Voleva che continuassi con l'università e non sai quante liti ci son volute per fargli capire ciò che volevo fare davvero. Alla fine, colui che gli ha aperto gli occhi è stato proprio Coen»

Inconsapevolmente stringo la sua mano, l'unico gesto che può confermare il fatto che stia effettivamente respirando. Trevor accarezza la mia guancia ed un sospiro tremolante scappa dalle mie labbra.

« Tuo padre fu il mio mentore per due anni; tutto quello che so, tutto quello che ti ho insegnato sono solo conoscenze assorbite da mesi e mesi di spiegazioni e allenamenti impartiti da lui. Conoscevo Coen, lo consideravo un secondo padre... la loro morte mi ha devastato.» deglutisce sfiorando un'ultima volta la mia pelle. « Non sapevo niente di lui, non sapevo se avesse una moglie, dei figli... ho scoperto le cose basilari solo quando Marxwell mi affidò l'incarico di scegliere cinque ragazze da addestrare per la missione»

« Lo sapevi da settembre» asserisco, ormai certa, dopo minuti interminabili di silenzio.

Trevor si volta di scatto annuendo lentamente. « Sì, quando lessi le vostre schede personali ed il tuo cognome collegai subito.» ammette. « In effetti, non saprei dirti il motivo per cui non parlò mai della sua famiglia. O per lo meno, io non ne sapevo nulla» scrolla le spalle tracciando linee sul dorso della mia mano.

« E mia madre?» chiedo, leccando il labbro inferiore. Questa parola così semplice sembra talmente estranea...

« Morì dandoti alla luce,» il mio cuore cessa all'istante, per poi cominciare a battere furiosamente. « non so nient'altro»

Distolgo lo sguardo fissando un punto davanti a me, confusa e a tratti angosciata per queste rivelazioni che, prima o poi, o da Trevor o da mia zia avrei scoperto ugualmente. Perché in fondo lo sapevo già, ma avevo troppa paura per accettarlo.

Annerosie sa, sento che è così, ma ha voluto che fossi io a chiederle di parlarmene.

Il silenzio ci avvolge, accompagnato dal fruscio del vento che muove l'erba alta ed i miei capelli, senza alcuna costrizione elastica. Trevor mi osserva senza più dire una parola, ha capito quanto ciò, un po', mi abbia turbata.

« Non ti odio,» sussurro senza smettere di fissare i fiori bianchi che colorano la fitta area verde. « non è colpa tua»

Incrocio i suoi occhi verdi intrisi di stupore e al contempo di sollievo.
« Vieni qui»
Sospira pesantemente afferrando i miei polsi e in pochi secondi mi ritrovo seduta sulle sue gambe, con il viso nascosto nell'incavo del suo collo.

Le sue dita si intrufolano tra i miei capelli ed un senso di conforto si insinua in me.

Serro le palpebre beandomi del profumo della sua pelle, circondando il suo busto con le braccia. « Secondo te, perché non ha mai voluto conoscermi?»

« Credo per proteggerti, in fondo nessun padre vorrebbe vedere la propria figlia in pericolo» mormora depositando un bacio sui capelli.

« Lo credo anch'io» concordo, sfiorando la pelle del suo collo.

« Come stai?» chiede cauto, con una dolcezza infinita da causarmi gli occhi lucidi.

Scuoto il capo. « Ho solo bisogno di tempo per metabolizzare» esalo sollevando il viso.

Circonda il mio viso e servendosi dei pollici accarezza i miei zigomi umidi. « Non trivellare l cervello con le tue paranoie. Non so molto, è vero, ma di una cosa sono sicuro al cento per cento: tuo padre da lassù ti sta guardando ed è fiero della persona che sei»

Non ho mai pianto nella mia vita, sono rare le volte in cui mi sono accasciata a terra privando il mio corpo di ogni energia. Ritenevo fosse inutile, quasi stupido piangere fino a consumarsi ma in questi mesi molte cose sono cambiate, io sono cambiata.

E, per quanto abbia cercato di trattenermi, per quanto abbia cercato di resistere... alla fine cedo.

Le lacrime bagnano le sue dita che, con dolcezza, tentano di scacciarle e vorrei non piangere ma il carico è troppo grande da sopportare.

« Non ho mai fatto caso alle lentiggini sul tuo viso,» asserisce provocando un sorriso sulle mie labbra nel momento in cui tocca ogni piccola pagliuzza. « sembri una bambina»

Tiro su con il naso scuotendo il capo. « Non ti odio, Trevor,» richiamo la sua attenzione afferrando entrambe le sue mani, mi guarda con estrema serietà senza accennare parola. « non era compito tuo dirmi tutto questo ma te ne sono grata. Credo... credo che sapere mi abbia fatto bene, in un certo senso»

« Quando la smetterai?»

« Di fare cosa?»

« Di stupirmi»

Increspo le labbra in un sorriso scacciando le lacrime dal mio viso. « Spero mai».

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Spazio autrice;
Ecco qua, non ho nient'altro da aggiungere.
Al prossimo aggiornamento x

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