Vivo o morto
I battenti del saloon cigolarono, vidi lo straniero entrare e capii subito che non prometteva nulla di buono. Era alto, il bastardo più alto che avessi mai visto pascolare sulla verde terra di Dio. Aveva una barba folta, nera come il carbone e arricciata. Lo Stetson dalla tesa ricurva che indossava era impolverato, e così pure i calzoni, il poncho e la camicia. Sembrava appena uscito da una tempesta di sabbia... o da sottoterra.
Ed Wilson, dietro il bancone, aveva un'espressione preoccupata. Non si vedevano molti stranieri in città ma, quando ne arrivava uno, di solito si lasciava dietro una scia di cadaveri. E di solito crepavano sempre nel suo saloon.
Quando si tolse il cappello e scrollò via la polvere gli vidi i capelli. Erano grigi. Restai di stucco. Come poteva avere la barba nera come il fondo di un pozzo se aveva più capelli grigi di quanti ne avessi io, un bacucco con un piede e mezzo nella fossa? Il viso poi non aveva una ruga, neanche piccola.
I giocatori seduti in fondo al locale avevano smesso di studiare le carte che tenevano aperte a ventaglio in una mano e si erano voltati a guardare. Rick, il pianista, aveva smesso di suonare quella stupida canzone che mi faceva imbestialire e sembrava spaventato alla vista di quell'omaccione. Le baldracche che giravano fra i tavoli in cerca di clienti avevano interrotto la questua e lo squadravano da capo a piedi. Il tempo sembrava essersi fermato. Ricominciò a scorrere solo quando lo straniero si incamminò verso il bancone. Allora le dita di Rick ripresero a saltellare sui tasti, alla ricerca della melodia perduta, le baldracche ripresero la questua e i giocatori tornarono alla partita.
Io continuai a tenergli gli occhi addosso e, mentre lo guardavo rimettersi il cappello, notai la banda di cuoio che girava attorno alla calotta. Aveva dei solchi che contenevano cartucce. Non avevo mai visto una cosa simile. Come non avevo mai visto un cowboy con una piuma sul cappello. Ma quel tipo ne aveva una infilata nella banda. Somigliava a quelle che i pellerossa usano per farci i loro copricapo.
Mi passò davanti senza degnarmi di un'occhiata, poggiò gli avambracci sul bancone – la punta dello stivale sulla sbarra di ferro – e attese che Ed lo raggiungesse.
«Whisky», disse.
Aveva una voce profonda come quella di un dio. Ed tirò fuori una bottiglia di dolce nettare ambrato e ne versò due dita in un bicchiere.
«Lascia la bottiglia», gli ingiunse lo straniero, ed Ed si allontanò. «Aspetta», lo chiamò quello. Ed impallidì e tornò indietro.
Lo straniero sfilò dal cinturone un foglio arrotolato come un cannocchiale e lo srotolò sul bancone. Ed si avvicinò e guardò. Mi disse in seguito che sul foglio c'era il volto di un tizio. Mi prese un colpo quando mi rivelò che aveva una taglia di diecimila dollari sulla cotenna.
«Non l'ho mai visto», disse Ed.
«Non è passato di qua?» chiese lo straniero.
«Me ne ricorderei.»
Lo straniero lo fissò per qualche momento, poi rinfoderò il foglio. Infilò una mano in tasca e tirò fuori una moneta d'argento. Per poco non mi andò il whisky di traverso. La sventolò sotto il naso di Ed.
«Se lo vedi entrare da quella porta, vieni subito a chiamarmi. Ho preso una stanza all'hotel.» Posò la moneta sul bancone. «Questa dovrebbe bastare per il disturbo e per il whisky», disse prendendosi la bottiglia.
Si girò, fece qualche passo e si fermò. «Quasi dimenticavo», disse. «Tu non mi hai visto.» Fece girare lo sguardo per il saloon. «E questo vale per tutti.»
Duke Patterson saltò su imbufalito e io pensai: faresti meglio a sederti e a tenere la bocca chiusa.
«Chi diavolo credi di essere per venire qui a dettare legge?» abbaiò.
Duke non era lo sceriffo né il sindaco ma si comportava come se fosse entrambi. Aveva una mandria di non so quanti capi e due belle figliole che tutti i caballeros si contendevano.
Lo straniero non si scompose. Si limitò a estrarre con fulminea rapidità la pistola e a puntarla su Duke, che divenne pallido come il latte che usciva dalle poppe delle sue vacche. Si lasciò cadere sulla sedia e non parlò per un pezzo, anche dopo che lo straniero se ne andò. Aveva la pelle tirata e gli occhi enormi. Se date retta a me, era a un passo dal bagnarsi i calzoni.
Lo straniero gli tenne addosso i suoi occhi grigi, rinfoderò la pistola e andò via. Restammo in silenzio ad ascoltare i passi che si allontanavano, poi mi avvicinai al bancone e chiesi a Ed cosa gli avesse mostrato lo straniero. Mi fece un resoconto completo.
«È vera, quella?» chiesi indicando la moneta sul bancone.
«Non lo so», disse Ed.
Sembrava non volerla toccare.
«Dovresti mostrarla a Frank.»
Frank Clayton aveva lavorato in banca ed era l'unico ad aver mai visto una moneta d'argento. Ed la prese come se fosse rovente e la fece sparire in tasca.
«Lo farai?» chiesi. «Lo informerai se quell'altro arriva in città?»
«Ho scelta?»
«Probabilmente no.»
* * *
Il momento che Ed sperava non arrivasse mai arrivò. L'uomo che lo straniero andava cercando giunse in città nel corso di un pomeriggio sonnacchioso. Il saloon era un mortorio. Rick batteva sui tasti, con fare indolente, quelle salsicce che aveva per dita. Smise quando qualcuno gli ingiunse di "piantarla se non voleva buscarsi una palla nella schiena". Il tavolo dei giocatori era vuoto e le baldracche si aggiravano annoiate per il locale. Io me ne stavo al solito tavolo, quello vicino al bancone. Lottavo per non addormentarmi, quando il cigolio dei battenti mi costrinse ad aprire gli occhi.
L'uomo che entrò non era alto quanto lo straniero ma ci andava maledettamente vicino. Aveva occhi che sprizzavano scintille e una faccia di pietra. Si diresse a passo spedito verso il bancone senza badare a nessuno. Ed lo vide e si lasciò sfuggire di mano un bicchiere che stava pulendo. Il suono di vetri che andavano in frantumi risvegliò dal torpore il resto di noi.
L'uomo posò un piede sulla sbarra di metallo e le mani sul bancone.
«Sto cercando un tizio grande e grosso», disse a Ed, che si era fatto piccolo come un marmocchio. «Ha i capelli d'argento e indossa un cappello con una piuma.»
«Io...» mormorò Ed, tormentandosi le mani.
Sembrava indeciso se rivelare o no all'uomo la verità. Alla fine mentì e fu la scelta migliore. Lo straniero l'avrebbe ucciso se avesse spifferato qualcosa.
«Non vedo facce nuove da un bel po'», rispose Ed. «Se l'avessi visto me ne ricorderei. Uno così non passa inosservato.»
«Vero. Se passa di qua e chiede di me, non dirgli che sono in città.»
«Come vuole.»
L'uomo batté le nocche sul tavolo, girò i tacchi e se ne andò. Ed iniziò a raccogliere i cocci dietro il bancone. Mi alzai e lo raggiunsi.
«E ora?» chiesi.
Era inginocchiato e stava radunando i vetri. Sollevò lo sguardo e vidi la paura nuotargli negli occhi.
«Devo avvisarlo», disse con un filo di voce.
Sospirò sconfortato e si alzò come se portasse sulle spalle il peso del mondo.
«Ti spiace prendere il mio posto per qualche minuto?» mi chiese.
«Nessun problema.»
Si tolse il grembiule e lo mise sul bancone. Venne dal mio lato e ci scambiammo di posto.
Lo vidi sospingere i battenti come se pesassero un quintale e uscire sotto il sole cocente. I passi risuonarono sulle assi della passerella, si allontanarono e sparirono.
Fu una lunga attesa. Quando lo vidi tornare, capii subito che era successo qualcosa. E a giudicare dalla faccia che aveva, doveva essere qualcosa di grosso.
«So chi è», disse raggiungendomi dietro il bancone.
Me lo ritrovai a un palmo dal naso.
«Di che diavolo stai parlando?» chiesi.
«Lo straniero coi capelli d'argento.»
Mi raccontò tutta la storia. Disse di essere entrato nella stanza dove alloggiava e di aver parlato con lui. Gli aveva detto di quell'altro, quello con la taglia da diecimila dollari sulla cotenna. Lo straniero non aveva spiccicato parola per tutto il tempo. Si era limitato a guardarlo con quegli occhi di ghiaccio, le braccia incrociate sul petto ampio come una cartina del Texas, e infine aveva abbassato la mano alla fondina. Ed aveva raccomandato l'anima al Creatore, convinto che l'altro stesse per sforacchiarlo perché non gli credeva, e invece lo straniero aveva infilato la mano in tasca, aveva tirato fuori qualcosa e l'aveva lanciata ad Ed, che dopo averla presa al volo si era sentito dire: «Sei stato bravo.»
«Guarda», disse mostrandomi qualcosa che stringeva nel pugno.
Era una moneta d'argento.
«Per tutti i musi rossi, quello è pieno come una diligenza», dissi.
«E non sai ancora la parte migliore.»
Disse che era stato avvicinato dalla donna delle pulizie mentre stava andando via. Lei gli aveva detto di essere entrata nella stanza di quella montagna d'uomo per rifare il letto e di averlo sorpreso a petto nudo, seduto a gambe incrociate, le spalle rivolte alla finestra aperta mentre nella stanza bruciava qualcosa che emanava un odore simile all'incenso. Sul petto dello straniero c'era il disegno di un'aquila rossa con le ali spalancate e certi altri disegni che ricordavano le pitture dei pellerossa che stanno sulle montagne a est. Lo straniero l'aveva fulminata con lo sguardo e la donna era battuta in ritirata dopo aver mormorato delle scuse. Vedendo Ed uscire dalla stanza aveva presunto che i due si conoscessero, perciò... non è che Ed poteva dirgli che era dispiaciuta per l'incidente? Ed le aveva assicurato che era tutto a posto, poi si era diretto da Tyler Woodrow, il proprietario dell'hotel, e gli aveva chiesto di dare un'occhiata al registro. Naturalmente non aveva trovato nessun nome accanto al numero della stanza, ma Ed aveva una teoria sulla sua identità.
«Secondo me è Johnny Bolack», disse.
Mi si seccò la gola. «Quel Johnny Bolack?» chiesi mentre prendevo una bottiglia dallo scaffale e mi versavo un goccio.
Ed, che alle sue bottiglie ci tiene più che ai suoi figli, mi lasciò fare e mi chiese di riempire un bicchiere anche per lui.
Johnny Bolack, il cacciatore di taglie più famoso di questa parte di mondo, era nella nostra città e alloggiava da Tyler Woodrow, a uno sputo dal saloon.
«Che mi prenda un accidenti», dissi, e bevvi d'un fiato.
Se chiedete a me, la fama di Bolack era pari a quella di Lincoln, almeno all'epoca dei fatti. Le sue abilità di cacciatore di taglie gli venivano dal suo retaggio. Era un mezzosangue, e la metà Apache era la più temuta da quelli con una taglia sulla cotenna. Avevo sentito un milione di storie su Johnny Bolack, alcune incredibili.
Mi venne in mente subito quella che echeggiava in ogni cittadina del Texas. Qualche anno fa girava per lo stato una banda di fuorilegge. Erano assassini spietati e ogni città che aveva la sfortuna di accoglierli si trasformava in un inferno di morte e distruzione. Uccidevano tutto quello che c'era da uccidere e rubavano tutto quello che c'era da rubare, poi passavano a un'altra città. Potevi sentirli arrivare da chilometri di distanza. Quei loro cavalli neri correvano come diavoli e facevano tremare la terra. Le Vedove Nere. Era così che li chiamavano, per via dei loro abiti e dei cavalli neri che montavano. E perché erano letali come quelle dannate bestiacce. Un giorno assaltarono la cittadina di Norville, parecchie miglia a nord di qui, e quello fu la loro ultima strage.
Perché a Norville trovarono Johnny Bolack.
Li stese tutti e dodici, ma non chiedetemi come fece. Un solo uomo che tiene testa a dodici spietati fuorilegge... non riesco neanche a immaginarlo. C'è chi dice che i capelli gli siano diventati grigi in quell'occasione.
«E adesso?» domandai.
Ed mi guardò e sulla sua faccia rotonda lessi gli stessi dubbi che avevo io.
Era solo questione di tempo. Sarebbe accaduto. Era nell'aria, come quell'odore che ti avvisa di un temporale. Johnny Bolack e quell'altro erano i nuvoloni grigi e presto avrebbero iniziato a rovesciare lampi.
«Che Dio ci aiuti», disse Ed.
* * *
I giorni seguenti trascorsero in una calma apparente. Il tizio con la taglia sulla cotenna si vedeva poco. Una volta venne a farsi una bevuta. Era chiaro che non sapesse della presenza di Johnny Bolack in città.
Il giorno che scoppiò il gran casino faceva caldo. Il Sole arrostiva anche le pietre. Mi ero rifugiato da Ed e come me avevano fatto tanti altri quel giorno. Mi stavo riempiendo di whisky lo stomaco quando vidi entrare Matthew Carson a testa bassa, come se stesse fuggendo da una raffica di proiettili.
«I due stranieri...» disse e risucchiò aria come un vecchio sdentato. Riprese un momento fiato e continuò: «Stanno duellando!»
«Dove?» chiese Duke alzandosi.
«L'hotel. Volano proiettili come se piovesse!»
«E che diavolo stai aspettando? Va' a chiamare lo sceriffo!»
«Lo straniero, quello che stava per farti secco, l'ha chiuso in cella», disse Matthew.
Johnny Bolack aveva chiuso dietro le sbarre l'unico uomo che potesse mettersi fra lui e i diecimila dollari. Ci alzammo in massa e ci precipitammo fuori. Ed mi superò lanciandomi un'occhiata preoccupata. L'orlo delle vesti delle baldracche mi svolazzarono sotto il naso mentre si univano alla folla di curiosi. Me la presi comoda e arrivai quando la festa volgeva al termine, giusto in tempo per il gran finale. Johnny Bolack aveva annodato un cappio intorno al collo della sua preda e l'aveva poi fatta volare fuori da una finestra dell'hotel. C'erano vetri sparsi in terra, molti metri sotto i piedi dell'uomo che pendeva come un condannato a morte.
Guardai in direzione della finestra al secondo piano. Johnny Bolack stava appoggiato con gli avambracci sul bordo della finestra e si godeva lo spettacolo con un ghigno soddisfatto. Non calcava lo Stetson e potevo vedergli la chioma grigia e spettinata. Quell'altro si agitava come un vitello preso al lazo, scalciando l'aria e gorgogliando. Solo allora capii che Bolack non poteva averlo fatto volare fuori, perché in quel caso il collo gli si sarebbe spezzato come un ramo secco. Doveva averlo calato giù per poi legare l'altra estremità della corda da qualche parte, magari alla testiera del letto.
«Vivo o morto.»
Sobbalzai. Non mi ero accorto che Ed era accanto a me. «Cosa?» chiesi.
«Sul foglio che mi ha mostrato», disse. «Sotto la taglia da diecimila dollari. C'era scritto così: vivo o morto.»
Rabbrividii.
Quando l'uomo smise di agitarsi, Bolack rientrò. Lo vidi uscire in strada qualche secondo dopo. Aveva di nuovo lo Stetson calcato in testa. C'erano due fori di proiettile poco sopra la striscia di cuoio. Non si curò della platea venuta ad assistere allo spettacolo. Sfoderò la sua Colt e sparò un colpo. Il proiettile spezzò la corda e il corpo penzolante cadde nella polvere. Bolack se lo caricò sulle spalle come la carcassa di un animale. Passò accanto a me e ad Ed ci guardò dall'alto della sua mole. Mi sentii piccolo e indifeso come un moccioso. Si infilò una mano in tasca e lanciò qualcosa che roteò nell'aria scintillando parecchie volte prima che Ed l'acchiappasse.
«Dalla al padrone dell'hotel», disse con quella sua voce profonda.
Si toccò la tesa del cappello con due dita e ci lasciò lì come due dementi. Ed guardò cosa aveva acchiappato. Era una moneta d'argento.
«Ma quante ne ha?» dissi.
Ed se la rigirò nella mano. La moneta scintillò.
«Deve fare un fracasso d'inferno quando monta, con tutto quel metallo che si porta appresso», mormorai.
Lo guardammo posare il corpo su quel suo cavallo e lasciare la città.
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