Il treno della morte
«Sì, signore. Ero lì. E c'erano anche Jimmy Yowa e i suoi.
«Se ne sono sicuro? Altroché, come so come mi chiamo. E poi non penso che questo bel ricordino potevo farmelo da solo.
«Quale ricordino? Il buco che uno di loro mi ha fatto col suo cannone.
«Come? Alla giuria? Come vuole.
«Che ha da starnazzare? Me l'ha detto lei di mostrarlo, e ora mi dice di tirarmi su i calzoni?
«Che? Certo che sta sulle chiappe. Che crede, che prendo a calarmi giù le braghe nelle aule di tribunale per divertimento? E se ora ha finito di farsi di tutti i colori e ululare come una bagascia mi piacerebbe togliermi quest'impiccio di torno, così andiamo avanti. Ho tante cose da dire, e devo tornare alla fattoria prima che posso. Bessie ha bisogno di essere munta, i polli devono mangiare e ho un buco nel tetto della stalla profondo come un canyon.
«Non state a fare tanto gli schizzinosi, signori. Sono solo chiappe, proprio come quelle dei vostri mariti o delle vostre signore.
«Dove, dice? Proprio qui, sulla guancia destra. Doc ci ha messo quasi un'ora per tirare fuori il proiettile. Si era infilato ben bene, il bastardo. Mi è rimasta la cicatrice, e penso che ci resta finché non crepo e i vermi si mangiano le guance posteriori. Posso rimettere a posto le braghe? Credo che lo spettacolo è durato abbastanza. Chi cavolo me l'ha fatto fare di andare in stazione ad aspettare quell'accidenti di treno.
«Perché l'aspettavo? È questo che vuole sapere? Dovevo incontrare un tizio che voleva vendermi qualcuna delle sue bestie. Ha una mandria di una cinquantina di capi, o almeno è quello che ha scritto nella lettera che mi ha mandato, ed era disposto a vendermi una delle sue bestie...
«Non le interessa delle bestie? Be', per tutti i diavoli dell'inferno, perché allora mi chiede di raccontare che accidenti ci facevo lì se non le frega un accidente?
«Che? Il linguaggio? Non mi sembra che ho bestemmiato la Vergine, Gesù o Giuseppe falegname. Sì, signore. L'ho capito fin troppo bene che sono in un'aula di tribunale. Mica pensavo che questa brava gente seduta qui davanti è venuta qua per vedere le mie chiappe rugose?
«Oh, li lasci ridere. Non fanno male a nessuno. E poi, alla fine dei conti, ha i suoi lati divertenti questa brutta storia.
«Sì, signore. Sto cercando di arrivare al punto, e se si dà una raffreddata e me la lascia raccontare a modo mio forse ci arrivo prima che il tetto della stalla viene giù e i polli muoiono di fame.
«Cinque giorni fa sono andato da Les, per chiedergli di buttare giù una lettera. Lo so che non vuole sentire delle vacche, ma se non vado per ordine e salto questa parte, può darsi che questa spugna che c'ho in testa salta qualcos'altro, magari d'importante, e alla fine sono costretto a ripetere tutto da capo, e allora va a finire che lei o qualcun altro, qui dentro, deve correre a mungere Bessie prima che le mammelle le scoppiano come un barile di polvere da sparo.
«Ora, ero da Les e gli stavo dicendo che doveva scrivere questa lettera e mandarla a questo tizio, un certo Bob Watson. Bessie è l'unica vacca che ho, e di certo non si monta da sola. Ecco, ero lì a dettare a Les che si faceva il segno della croce ogni volta che arrivava alla fine di una frase (credo che anche io facevo lo stesso se ero al posto suo. Questo vecchio si esprime peggio di un pellerossa), quando sentiamo un fracasso di zoccoli come se i quattro cavalieri dell'Apocalisse sono venuti giù dal cielo per dare inizio alla fine del mondo. Mi giro verso la finestra e vedo passare cinque uomini a cavallo.
«Come erano fatti? Come lei e me.
«Che vuol dire 'e poi?' Pensa che potevo uscire e chiedergli se per favore si fermavano, così che potevo guardarli per bene? Come minimo mi sparavano dietro. E comunque filavano come diavoli. Tempo che Les è uscito sul portico ed erano già spariti in una nuvola di polvere. Avevano una fretta infernale. Sono sicuro che sono corsi alla stazione per conoscere gli orari dei treni in arrivo.
«Come dice? Su-ppo-si-zioni? Ha mangiato un libro o cosa? Non so che vuol dire.
«Che? Sì, ho capito. Be', può chiamarle come vuole. Io so solo che, ora che arrivo in fondo alla storia, forse capisce che sono più di... com'è che le ha chiamate? Sì, insomma, quelle robe lì.
«Ora, Les è rientrato e, dopo quasi tre quarti d'ora che si faceva il segno della croce come se c'aveva davanti uno spirito spuntato da dietro una tomba anziché un vecchio campagnolo, ha finito di scrivere la mia lettera. Mi ha detto che ci volevano due o tre giorni per la risposta, giusto il tempo che ci voleva a me per mettere a posto il buco nel tetto della stalla. L'ha piegata ben bene e ha detto che se ne occupava subito. Gli ho promesso di fargli trovare doppia razione di latte la mattina dopo, davanti alla porta di casa, e sono andato a bere un goccio.
«Quando sono arrivato al saloon e ho visto i cavalli di fuori, ho capito subito che qualcosa non quadrava. In città non sono in molti ad avere un cavallo, e non era mai successo che si vedevano tutti insieme. Perciò quelle bestie ferrate dovevano essere di quei tizi che io e Les avevamo visto schizzare in strada come diavoli dalle chiappe in fiamme. Ho messo il naso sopra i battenti per dare un'occhiata dentro e ho visto cinque facce nuove sedute a un tavolo, spaparanzati come me quando me ne sto in veranda a bere finché non finisco ciucco.
«Come? Non lo so, non mi sono messo a guardarli come ha fatto Doc con il buco che ho nella chiappa. Ho solo girato la testa e ho contato i cavalli. Ho visto che erano cinque come quei tizi e mi sono detto: Joe, gira i tacchi e fila a riparare quel cavolo di stalla prima che cade in testa ai polli. Ma con tutto quel parlare, dentro da Les, c'avevo la gola così asciutta che se non bevevo almeno un goccio rischiavo di ritirarmi come la carne che Carl Hudson mette a essiccare sul portico del suo negozio. Così sono entrato e mi sono detto che bastava tirare dritto senza badare a quei tizi seduti più in là. Sono arrivato al bancone senza che nessuno mi rompeva l'anima, ho chiesto un whisky, l'ho buttato giù e me la sono battuta più veloce di un bacucco con la cacarella che corre alla latrina pregando che il didietro non gli si stappi prima che riesce a calarsi le braghe.
«Mentre passavo accanto a quel poker più uno di cavalli legati di fuori, ho visto che avevano tutti lo stesso marchio sulle chiappe.
«Com'era fatto? Era una grossa V chiusa in un cerchio.
«Che? Se era il marchio del ranch di questo Virgil Ortega, proprio non glielo so dire. So solo che ho pensato che se quei cinque avevano tanto da correre, forse era perché quelle bestie le avevano rubate, e...
«Perché quel tizio insiste ogni due e tre ad alzarsi e a starnazzare?
«Come?
«Quindi per farlo smettere devo solo piantarla di fare queste benedette supposte? Sì, ho capito cosa sono, e non mi interessa se si chiamano in un altro modo, mi importa che quel damerino continua a interrompermi e mi manda in malora i pensieri.
«Eh? Come dice? Fa solo il suo lavoro? Be', signore, può farlo con un minimo di cortesia in più. Io spremo poppe per lavoro ma ho i modi di un gentiluomo, anche se sono poppe di vacca.
«Va bene, datti una calmata, non c'è bisogno di andare a piagnucolare da Vostro Onore.
«Dunque, dove ero arrivato? Ah già, i cavalli. Senza fare supposte, quel marchio mi ha messo certi pensieri in testa. Quei tizi non avevano l'aria degli allevatori, e anche se non li avevo guardati per bene come un pellerossa che spia tutti i peli dell'animale che sta per assaltare, non sono ancora rincoglionito del tutto. Le selle avevano tutte una fondina con un fucile, e non ho mai visto allevatori che se ne vanno in giro armati come per dare la caccia alle giubbe blu. Allora sono andato dritto dallo sceriffo a dirgli che quei tizi e i loro cavalli avevano l'aria maledettamente sospetta.
«Cosa mi ha risposto? Di andare a dar da mangiare ai polli e a spremere le uniche tette che può permettersi un Matusalemme come me.
«Come diavolo sarebbe 'che vuol dire'? Secondo lei che vuol dire? Non mi ha dato retta. Forse non gli andava giù che un vecchio campagnolo per una volta la sapeva più lunga di lui. O forse aveva paura. Non lo so e non me ne frega, quello che so è che...
«Sì, Jimmy Yowa, ora ci arrivo, se mi dà il tempo. Se non se n'è accorto non sono più un giovinetto e la mia materia grigia, come la chiama Doc, non gira come un tempo. Per cui si metta l'anima in pace e aspetti, che ci arrivo al suo prezioso Jimmy.
«Dopo lo scambio di complimenti con lo sceriffo me ne sono tornato a casa e ho fatto quello che dovevo. Con il tetto mi ha aiutato Frank Morris. Lei non lo conosce, è un tipo alto e forzuto ed è ben felice di darmi una mano in cambio di qualche uovo e una brocca di latte. Mi ha aiutato a coprire il buco in un lampo. E quando ha finito si è offerto di dare da mangiare ai polli mentre io mungevo Bessie. Un gran bravo ragazzo, quel Morris. Dopo l'ho invitato a entrare per un goccetto, giusto per sdebitarmi, e mentre sistemavo in uno straccio le uova, lui mi fa: "Hai visto quei cinque che sono arrivati in città?"
«"Certo che li ho visti", gli faccio io, e attacco giù a raccontargli la storia, da quando li avevo sentiti arrivare come la cavalleria che va a liberare il forte fino alla parlata con lo sceriffo.
«"Non mi sorprende che lo sceriffo se n'è restato buono", mi fa lui alla fine.
«"Ah, no? E perché mai?" chiedo io, e lui fa una faccia come per dire: dove vivi, sulla cima di una montagna?
«"Sai chi sono quei cinque?" mi chiede.
«"Non lo so e neanche mi frega", gli faccio io, ma si vede che ha talmente voglia di dirmelo che se non lo fa scoppia come la mia vescica quando mi sveglia la notte per chiedermi di svuotarla, e allora lo lascio parlare.
«"Quelli sono Jimmy Yowa e la sua banda", mi fa, e io non so di chi diavolo sta parlando, ma dalla faccia che fa si direbbe che sono peggio di Jesse James e dei suoi amici fuorilegge, e allora faccio finta di essere sorpreso perché mi sembra maleducato fare il contrario dopo che si è spaccato la schiena per aiutarmi. Così attacca a parlare di tutte le imprese di Yowa e della sua banda, i cinque fuorilegge più pericolosi che il Kentucky ha mai conosciuto, dei treni che hanno assaltato, delle diligenze che hanno rapinato e delle banche che hanno ripulito. E io devo sorbirmi le sue chiacchiere, se non altro perché mi ha aiutato a riparare la stalla quando poteva starsene a casa, a fare le capriole sotto le lenzuola con sua moglie o a giocare con i suoi due pulcini.
«Quando finalmente ha finito la scorta di storie su Jimmy Yowa, mi dice che farei meglio a starmene alla larga dal saloon e da qualsiasi altro posto, se nei paraggi ci bazzicano Yowa e i suoi, perché secondo lui succederà presto qualcosa. Io gli dico che non ho alcuna intenzione di ficcarmi nei guai anche se, come ho imparato negli anni, a volte sono i guai che vengono a cercarti, e Frank gira i tacchi e se ne va con le sue uova e il suo latte.
«Il giorno dopo vado in città da Les, che appena mi vede prende a sventolarmi sotto il naso un foglio. Me lo mette in mano e dice che deve essere la risposta che stavo aspettando. Io guardo la lettera, poi guardo Les e gli chiedo senza troppi giri di parole se vuole fare dello spirito. Lui risponde di no e io gli dico: "Allora perché diavolo mi dai la lettera se sai benissimo che non so leggere neanche il mio stramaledetto nome?" Lui fa una faccia da piegarsi in due dal ridere, e quel brutto muso che si ritrova gli si accende come quello di un pellerossa. Si riprende la lettera e inizia a leggere. Quel tizio diceva che arrivava in città con il treno delle 16.15. E qui entra in gioco il suo Jimmy Yowa.
«Prima di quel pomeriggio non sapevo neanche che faccia aveva, ma dopo che l'ho visto entrare in azione penso che quella faccia non mi esce più dalla testa finché campo.
«Cos'è successo poi? È questo che mi ha chiesto? Diavolo, lei è più impaziente di uno con la fregola di schiaffarlo in mezzo a un bel paio di gambe.
«Che? Ma sì, te la racconto la stramaledetta storia, basta che la smetti di menare tutto 'sto casino.
«Ero sulla piazzola, in attesa del treno. Dovevano essere le quattro o giù di lì, quando vedo un'ombra allungarsi sui binari. Mi giro e mi ritrovo a fissare questo tizio dalla faccia che sembra scavata nella pietra, con indosso un poncho di un rosso sbiadito.
«Se è in questa stanza? Ci può scommettere le chiappe che c'è, è quello lì.
«No, non quello con il muso lungo come quello di un cavallo – senza offesa, amico. Quello a fianco. Esatto.
«Come? Ma certo che sono sicuro, mi ha preso per Matusalemme? Avrò pure la sua età, ma vedo ancora parecchi metri oltre il mio naso, e appena l'ho guardato mi sono subito venuti in mente i racconti di Frank. Non è che andava in giro con un manifesto con la sua faccia e il nome sotto, ma ho capito subito che era Jimmy Yowa.
«Come ho fatto a capirlo? Diavolo, l'ha visto in faccia? Uno così non può certo fare il pastore. E quella nove colpi che si porta appresso non spara certo acqua santa.
«Non mi ha degnato neanche di un'occhiata, si è solo allungato un po' per vedere a che punto era il treno. Da lontano lo si vedeva cacciare nuvole di fumo. Poi ha alzato lo sguardo, e quando ho seguito la direzione dei suoi occhi ho visto un tizio appostato sopra la biglietteria. Aveva un fucile e gli occhi fissi sul treno. Ha aspettato che il treno si avvicinava ancora un po' ed è andato giù, lungo disteso sulla pancia.
«Chi? Quello nella biglietteria? Figurarsi se poteva accorgersi di qualcosa, ronfava come un toro che ha passato tutto il giorno a montare vacche. A fargli esplodere un barile di dinamite sotto le chiappe forse la piantava di grufolare come un maiale, ma quanto a svegliarsi... neanche i cannoni del settimo cavalleggeri lo potevano buttare giù dalla sedia.
«Il treno aveva cominciato a rallentare e andava più lento di un cavallo zoppo. Io iniziavo a essere teso come una corda per il bucato. Quei due avevano in mente qualcosa, e non è una supposta, perciò non ti azzardare a saltare su come un'oca pizzicata alle chiappe, elegantone. Anche un cieco poteva vedere che c'era qualcosa che non quadrava. Sono rimasti fermi come sassi ad aspettare, e quando il treno si è fermato e il comignolo ha tossito l'ultimo sbuffo di fumo, si è scatenato l'inferno.
«Il tizio sopra la biglietteria è saltato su, ha preso la rincorsa ed è zompato sulla carrozza che stava a poco più di un metro dalla biglietteria. Jimmy Yowa ha iniziato a sparare come se c'aveva di fronte un esercito di pellerossa pronti a scotennarlo, facendo esplodere i finestrini e mandando al Creatore quelli che si erano affacciati a prendere una boccata d'aria. Ha gridato ai suoi di venire allo scoperto, e altri tre cani rabbiosi sono zompati fuori dal nulla. Uno è corso verso la locomotiva, si è affacciato all'interno e ha sparato tre colpi, bangbangbang!, poi sono saltati a bordo e per un po' ho sentito solo la voce delle pistole e quella dei poveri disgraziati che si erano imbarcati su quel treno della morte.
«L'hanno chiamato così, l'ho letto sul giornale. O meglio, è stato Les a leggerlo. Era in prima pagina.
«Io sono rimasto impalato come l'insegna del barbiere che sta qui di fronte. Non riuscivo neanche a darmela a gambe per quanto ero spaventato. Poi ho sentito qualcosa muoversi alle mie spalle, mi sono girato e ho visto il tizio della biglietteria che faceva esattamente quello che volevo fare io se le gambe avevano la decenza di ascoltarmi. È venuto fuori dalla sua camera da letto, mi ha guardato come per chiedermi che diavolo stava succedendo, e prima che potevo dirgli di correre a chiamare lo sceriffo ha tagliato la corda.
«Un vetro è andato in pezzi, una donna ha urlato come se la stavano sgozzando, e se non era per quegli ululati penso che a quest'ora non avevo un buco nella guancia di dietro ma nella pancia, e non stavo qui a parlare ma ero disteso in una cassa di legno. Quelle urla mi hanno dato una svegliata e sono schizzato via come quel grassone prima di me. E mentre me la filavo, con questi due pezzi di legno sotto la pancia che non volevano saperne di muoversi più veloci di come stavano facendo, sento qualcuno urlare: "Ehi, quello se la squaglia!"
«Ho sentito uno sparo, e qualcosa come un ferro rovente mi si è ficcato nella guancia posteriore. Le gambe hanno smesso di andare, anche se fino a quel momento non è che andavano chissà quanto in fretta, e sono caduto a una manciata di passi dall'ingresso della stazione. La chiappa mi faceva un male cane, come se il diavolo ci aveva ficcato dentro il suo forcone, ma sapevo che dovevo muovermi se non volevo che lo stesso che mi aveva centrato la chiappa mi sforacchiava come uno di quei bersagli di legno che stanno sul retro del negozio di sputafuoco del vecchio Tom. Così sono partito a strisciare sui gomiti, e anche se la chiappa mi diceva di fermarmi, ho stretto i denti e sono riuscito a scivolare dietro il riparo più vicino giusto un attimo prima che una pallottola prendeva il terreno nel punto dove stavo strisciando come una lumaca.
«E sembravo davvero una lumaca. Solo che la striscia che mi lasciavo dietro non era come la bava di quegli animali, ma somigliava più a un fiume puzzolente.
«Ci ho messo tutto l'impegno per non dirlo ma sì, signore, è come dice lei. Me l'ero fatto sotto. Volevo vedere se lei o uno dei presenti, compreso Vostro Onore, riuscivate a tenerla mentre stavate in mezzo a quell'inferno e con un buco nella chiappa che potevi infilarci dentro un dito.
«Sono rimasto nascosto finché non è arrivato lo sceriffo accompagnato da tutti quegli altri armati di pistole e fucili che sembrava avevano svaligiato un negozio di sputafuoco. Il resto lo sapete. Lo sceriffo vi ha detto tutto quando era seduto qui al mio posto.
«Come? No che non ho visto chi me l'ha fatto, il buco nella chiappa. Non perdevo mica tempo a girarmi quando sapevo che avevo una sputafuoco puntata alla schiena. Se vi interessa il calibro, Doc ha tirato fuori il proiettile, e se non l'ha buttato è felice che glielo togliete di torno.
«E ora che ho detto tutto quello che so di questa storia posso andare? Sono piantato qui da un'eternità e ho la chiappa che ulula peggio di una vecchia bagascia in calore.»
* * *
Jimmy Yowa e i suoi compari, che avevano assaltato il treno e fatto fuori tutti i passeggeri, macchinista compreso, furono incriminati per omicidio e furto di cavalli dal giudice Walker e condannati alla forca.
Il giudice ordinò anche di esaminare la pallottola che Doc aveva estratto dal didietro del vecchio Joe e confrontarla con quelle nel tamburo delle cinque pistole che lo sceriffo aveva preso in custodia. Risultò che la cartuccia proveniva dalla nove colpi di Jimmy Yowa. Così il giudice aggiunse al già ben fornito elenco di reati ascrivibili a Jimmy Yowa anche il tentato omicidio.
«Non capisco come fa quel bacucco a stare ancora in piedi», commentò lo sceriffo dopo aver visto la cartuccia.
Doc disse che il vecchio Joe era stato fortunato. La pallottola non aveva colpito alcun nervo, né aveva lesionato irrimediabilmente alcun muscolo.
«Altro che fortunato», commentò lo sceriffo. «Quello ha un angelo che gli guarda le chiappe.»
Prima che il boia tirasse la leva che spalancava le botole sotto gli stivali dei cinque fuorilegge, il giudice Walker dichiarò pubblicamente che era grazie alla testimonianza del vecchio Joe se ora tutta la città era riunita a godersi l'impiccagione di Yowa e della sua banda di assassini. Lo sceriffo, anch'egli tra la folla, spalla a spalla con Doc, si risentì del fatto che il giudice non gli rendesse il merito della cattura dei cinque fuorilegge. Dopotutto, era stato lui a catturarli.
«Lasciamogli almeno questo piccolo encomio», commentò Doc. «Dopotutto, si è beccato una palla nelle chiappe.»
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