Giustizia divina


Quel giorno pioveva, lo ricordo bene. La mandria era a pascolare sulle colline. Ce l'aveva portata Deke. Io me ne stavo sulla veranda a sbronzarmi. Quando balenò il primo fulmine ero ciuccio marcio. Sollevai il mento. Non si riusciva a vedere nemmeno un pezzo di cielo. Pensai che fosse il caso di andare ad aiutare Deke. Non gli sarebbe dispiaciuta una mano per riportare indietro le vacche. Quando sentono le cannonate dal cielo, le bestie diventano irrequiete.

Sollevai il culo dalla sedia a dondolo ed entrai in casa giusto il tempo di posare la bottiglia di whisky, poi mi incamminai. Il cielo era basso, più grigio della divisa di un sudista, e sembrava dovesse venire giù da un momento all'altro.

Arrivai al pascolo. La mandria non c'era. Deke invece sì. Era morto. Giaceva riverso nel suo stesso sangue. Quando mi avvicinai e vidi in che stato era, mi sentii venir meno. La testa era mezzo sfondata. Ma la cosa peggiore era l'espressione che aveva in faccia. Sembrava avesse guardato la Morte negli occhi e ci fosse rimasto secco.

«Cristo santo», dissi, e presi a segnarmi.

Proprio allora iniziò a piovere. Dapprima solo un paio di schizzi, poi lassù qualcuno aprì i rubinetti e venne giù a secchiate.

Corsi a casa e recuperai il carretto dalla stalla. Lo assicurai a un cavallo, tornai sulla collina e caricai Deke sul pianale. Presi anche il suo bastone, quello che usava per radunare il bestiame, e glielo misi sul petto, incrociandovi sopra le braccia del mio amico. Pioveva troppo per seppellirlo, e allora lo portai nella stalla.

Rientrai in casa, tracannai il resto del whisky e attesi che smettesse di piovere.

Stavo pensando di andare in città per raccontare allo sceriffo di quel casino, quando qualcosa sfondò il vetro della finestra che dava sul portico e rotolò sul pavimento, fermandosi a pochi passi dalla gamba del tavolo.

Sulle prime non riuscii a capire cos'era. Ero troppo ciucco. Sembrava una patata gigante. Poi capii che era un sasso avvolto in un pezzo di carta gialla. Mi chinai a raccoglierlo, tolsi la cordicella che assicurava il foglio, buttai il sasso e lessi il messaggio scritto in una grafia tremolante.


HAI PERSO MANDRIA E STALLIERE.

SE NON VUOI CREPARE, FIRMA L'ATTO DI VENDITA E LEVATI DAI PIEDI.

HAI TRE GIORNI.


Ora, una settimana prima che trovassi Deke riverso nel suo sangue, Angus McKay era venuto a farmi visita. Voleva la mia fattoria e la terra che ci sta sotto e tutt'intorno.

«Le offrirò una cifra onesta», mi disse in quella sua parlata, con la lingua che si trascinava le parole e le spazzava fuori dalla bocca.

Gli occhi sorridevano. Si cacciò un sigaro dal taschino interno della giacca spazzolata a dovere e se lo ficcò in bocca.

«Non mi interessa», risposi.

Lui cacciò un fiammifero e accese il sigaro senza scomporsi. Tirò una boccata profonda.

«Sa meglio di me che in un modo o nell'altro ci riuscirò. Quindi perché non prende i quattrini e fa fagotto senza tante storie?»

«Non vendo», dissi.

Tirò un'altra boccata e scrollò a terra la cenere, sfidandomi con lo sguardo ad ammonirlo. Quando capì che non avrei aperto bocca disse: «Amico mio, lei ha la testa dura.»

«Altroché», risposi impugnando il fucile. «E adesso fuori dalla mia proprietà.»

Mi guardò. I suoi occhi non sorridevano più.

«Come vuole», disse. Girò i tacchi e si fermò sulla soglia. «Quando cambierà idea, mi troverà al Four Guns

«Aspetterà per un pezzo, temo.»

Sorrise e uscì. Lo seguii e restai a guardare mentre montava in sella al suo cavallo. Quando sparì oltre le colline, rientrai.

Due giorni dopo venne a farmi visita un tizio con una faccia scavata peggio di quella di un morto e i denti come quelli del cavallo che montava. Sorrise per tutto il tempo, mettendo in mostra quelle lapidi che aveva in bocca.

«Mi manda Angus McKay», disse, sbattendomi in faccia i denti gialli da incallito ruminatore di tabacco.

«Pensavo di essere stato chiaro. Non vendo.»

«McKay dice che forse posso farti cambiare idea.»

«Ah sì? E come?»

Estrasse la pistola, puntò la canna in alto e sparò tre volte. Sentii tre rintocchi metallici e la banderuola sul tetto che ruotava. Sorrise. Odiavo come sorrideva.

«Di' al tuo capo che la mia fattoria non è in vendita.»

«Hai una bella mandria», disse. «L'ho vista mentre venivo. Sarebbe una vera disgrazia se qualche ladro di bestiame la prendesse di mira.»

«Fuori dalla mia proprietà.»

Non intaccai il suo sorriso. Rinfoderò la pistola.

«Il signor McKay la aspetta al Four Guns per la firma», disse.

«Al diavolo McKay. Non avrà la mia terra.»

«Come vuole, mister», disse.

Si pizzicò la tesa del cappello e andò via. La risposta di McKay non si fece attendere.

Quel pomeriggio, mentre spalavo la biada nella stalla, qualcuno mi arrivò alle spalle e mi atterrò. Un attimo dopo avevo un cappio intorno alla gola, e lo stesso tizio che mi aveva messo al tappeto mi trascinava lontano dal recinto delle bestie. Due mani robuste mi sollevarono. Un pugno mi piombò sul grugno.

«Falla passare su quel trave», disse una voce.

Riconobbi il fruscio strascicato di una corda. Uno strattone, poi un altro. Iniziai a sollevarmi mentre il cappio mi lasciava senza fiato. Mi agitai, scalciai, ma non servì. Mi ritrovai a pendere come un condannato a morte.

«Il signor McKay dice che se vuoi crepare è un problema tuo. Prima però devi firmare», disse la voce.

Poi comparve sotto di me quel tizio col sorriso da cavallo. Incrociò le braccia sul petto e restò lì a fissarmi. Raccomandai l'anima al Padre Celeste, ma un secondo prima che mollassi questo mondo, la stretta si allentò e mi ritrovai a cadere. Andai giù battendo il grugno. Poi una mano mi fece scivolare un foglio e una penna sotto il naso.

«Da bravo, metti una croce in fondo.»

Raccolsi tutta la saliva disponibile e sputai sulla riga in fondo all'atto di vendita.

«Mi sa che non ha capito», disse una voce dietro di me, e dopo un attimo mi ritrovai di nuovo a scalciare e a dimenarmi come un vitello preso al lazo.

Mi tirarono su per la seconda volta. Durò un'eternità. L'ultima cosa che ricordo prima di svenire è una voce che diceva: «Se l'ammazziamo, McKay ci fa la pelle.»

Quando ripresi conoscenza ero solo. Mi liberai del cappio, uscii e, dopo aver chiuso la stalla, tornai in casa a bermi tutto il whisky che avevo finché non crollai. Il buon vecchio Deke, fu lui a svegliarmi. Mi punzecchiava con quel bastone che usava per radunare gli animali e ripeteva: «Mister Halloway...»

Sembrava turbato.

«Cosa?» grugnii.

«Che ha fatto?»

Sollevai le palpebre appena e vidi il punto che indicava col bastone. Mi passai la mano sul collo. La pelle aveva una consistenza diversa, a tratti spugnosa. La sensazione continuava come una linea che girava attorno al collo. Coprii i segni dell'impiccagione sollevando il colletto della camicia e gli dissi di togliersi di torno. Lo sentii uscire e chiudersi la porta alle spalle.

Andai in città qualche ora dopo. Avevo due buoni motivi: bermi un bicchierino per lavare via il mal di testa e parlare con lo sceriffo. Decisi che avrei iniziato col whisky. Mi avvicinai ai battenti del Four Guns e spiai all'interno del locale. Non vidi né McKay né quel gringo coi denti da cavallo, e allora mi decisi ad entrare. Filai dritto al bancone e ordinai da bere. Mentre il barista riempiva un bicchiere, i battenti si spalancarono gemendo e all'interno del saloon calò il silenzio.

«Mi pareva fossi tu», disse una voce.

Buttai giù il primo bicchiere e ne chiesi un altro, ma il barista si era congelato. Guardava qualcuno alle mie spalle.

«Sto parlando con te, pezzente!» ruggì la voce, e il barista filò via portandosi dietro il whisky.

Mi voltai. Un fabbro mi martellava nella testa, ma questo non mi impedì di riconoscere quel tizio magro come uno scheletro. Sorrise nel vedere in che stato ero.

«Sei pronto a firmare?» mi disse senza smettere di sorridere.

La sbronza mi passò di colpo. Ero di nuovo lucido. Mi portai una mano alla gola. Il gesto allargò il sorriso di quel morto ambulante. Si infilò i pollici nel cinturone e venne avanti ciondolando.

«Va' a chiamare McKay», disse a un tizio seduto. «Digli che il contadino ha cambiato idea e lo aspetta al saloon.»

Il tizio scattò all'in piedi e uscì, felice di togliersi dai piedi. Il gringo che pareva la morte in stivali e cinturone mi raggiunse. Mi si piazzò accanto, un gomito sul bancone e la punta dello stivale sulla staffa.

«Dovresti fartela controllare, quella brutta ferita», disse, indicando i segni del cappio che avevo sul collo e sbattendomi in faccia quegli incisivi grandi come lapidi.

«Barista», chiamò. «Whisky.»

La bottiglia riapparve come per magia sul bancone.

«Uno anche per il mio amico», disse. «Dobbiamo festeggiare.»

Il barista riempì due bicchieri, uno per me, uno per quel tipo inquietante.

«Alla tua, vecchio», disse, inclinando appena il bicchiere verso di me.

Buttò giù il whisky e, quando vide che io non avevo intenzione di toccare il mio, lo prese e disse: «Dato che non hai sete...» e lo bevve d'un sorso.

In quell'istante entrò McKay, la pancia enorme sotto il gilet dal quale spuntava la catenella di un orologio ficcato nel taschino. Aveva un'espressione soddisfatta sul faccione tondo come una luna. Si avvicinò al bancone, un foglio arrotolato come un cannochiale nella destra. Il gringo inquietante gli lasciò il posto e andò a sedersi più in là.

«Alla fine è venuto», mi disse con un mezzo sorriso, la pancia che accarezzava il bancone. «Sapevo che Hogan l'avrebbe convinta. Sa essere molto persuasivo.» Guardò i segni del cappio. «Anche se a volte si fa prendere la mano.»

Srotolò il foglio che aveva con sé e lo piazzò sul bancone. Mandò una mano a controllare una tasca interna del gilet e, quando la tirò fuori, le dita stringevano un pennino.

«Le spettano diecimila dollari», disse porgendomi il pennino.

«Un bel malloppo», commentò Hogan.

Lo guardai, poi guardai McKay. Alla fine presi il pennino con dita molli e mi rassegnai a firmare. Posai la punta della penna sulla linea tirata alla fine del foglio e i battenti dell'ingresso si aprirono gemendo. Lo sceriffo entrò. McKay mi guardò. Non sorrideva più.

«Firma», disse.

La mia mano tentennò. Sollevai la punta del pennino.

«Firma, maledetto campagnolo», ringhiò McKay.

Posai il pennino sul foglio e ordinai un whisky.

«È così che la metti?» disse lui. I baffi gli fremevano per la rabbia.

«Non la metto in nessun modo», risposi.

Ritirò foglio e pennino, lo piegò e se lo ficcò in tasca. Poi girò i tacchi e uscì. Il suo tirapiedi rimase seduto a guardarmi. Il sorriso gli era sparito dalla faccia. Si mordeva il labbro inferiore con gli incisivi sporgenti. Gli occhi erano due buchi neri.

Lo sceriffo si avvicinò al bancone e chiese da bere. Il tirapiedi di McKay si portò un dito alle labbra e mi ammonì al silenzio. Fece scendere la mano fino al calcio della pistola per assicurarsi che avessi inteso.

Rimasi lì a bere, gomito a gomito con lo sceriffo, con la morte in stivali che mi guardava. Avrei potuto fregarmene, ma quel tizio aveva l'aria di uno che avrebbe potuto far fuori un esercito di pistoleri. Non avevo dimenticato come aveva centrato la banderuola.

Lo sceriffo buttò giù il suo whisky e andò a sedersi. Io bevvi il mio e me ne andai. Mi voltai una volta a guardare in direzione dello sceriffo, maledicendomi per come mi ero fatto spaventare, e me ne tornai a casa con la coda fra le gambe.

Passò qualche giorno senza che accadesse niente. Poi, in un pomeriggio nuvoloso uccisero Deke, mi rubarono il bestiame e mi mandarono quell'avvertimento.

Quando smise di piovere, quello stesso pomeriggio, seppellii Deke dietro la stalla. A quel punto non c'era molto da fare. Non mi era rimasto più nulla. Avevo perso un amico e il bestiame. E senza bestie la fattoria non valeva nulla.

Mentre riflettevo sul da farsi, una voce sbucò dal nulla e disse: è finita. Seppellisci anche il tuo orgoglio e fai quello che devi.

Mi dissi che dell'orgoglio non te ne facevi niente quando eri disteso in una cassa di legno. Riposi la vanga e andai in città, al Four Guns. Entrai e chiesi al barista se avesse visto il tizio con la faccia da morto o McKay.

«Non hai saputo?»

Lo guardai senza capire.

«Quel tizio si è beccato una palla nella schiena e McKay se l'è filata. Ha lasciato la città.»

Non riuscivo a credere alle mie orecchie. Stavo per chiedergli di darmi un pugno sul muso, giusto per essere sicuro che non si trattasse di un sogno.

«Come è successo?» chiesi.

«Ha incontrato dei banditi mentre tornava in città con del bestiame rubato chissà dove. Quelli l'hanno fatto secco e si sono fregati il bestiame.»

Pare che esista una giustizia divina a questo mondo.

Ordinai un whisky, lo buttai giù e tornai a casa.

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