V. Passion fruit
Avviso: La storia parte con una scena di sesso, per cui se preferiste evitarla potete passare direttamente alla conclusione. Riconoscerete il punto esatto perché è diviso dal resto con uno spazio maggiore.
Buona lettura.
"Oh I got a bottle full of liquor with a cocaine.
Kicker and I'm feeling like I'm thirty feet tall."
«Gesù» impreca John. Più che un bacio è risultato uno scontro tra denti. E anche il naso di Sherlock sembra averne risentito visto come se lo massaggia. Watson vorrebbe ridere di gusto, ma si trattiene dal farlo per non offendere l'uomo che ha di fronte. «Ehi» sussurra piano per richiamare a sé l'attenzione dell'altro. Si guardano.
«Perdonami!» comincia il moro «Non per questo. Si, forse anche per questo» dice riferendosi al bacio. «Devi scusarmi, lo so che già te l'ho detto, ma voglio che tu sappia che non ho intenzione di andare via. Di lasciarti, mai più» conclude sincero.
La tristezza, i dubbi, il risentimento, tutti spazzati via da un'unica azione d'impeto di Holmes. Sempre lui il migliore fra i due, pensa il dottore; il primo che sia riuscito a cogliere a piene mani la forza dall'anima e affrontare questo passo decisivo. E l'uomo vuole assolutamente ricambiare.
John accorcia nuovamente le distanze tra loro. Gli porta una mano dietro la nuca per accompagnare le labbra di Sherlock sulle sue.
Morbidezza è la prima sensazione che registra la sua mente. Calore è la seconda. Amore è la terza.
Nulla a che fare con l'incidente precedente. Questo è un bacio lento, quasi le coppie di labbra sono immobili, a godere unicamente di quella vicinanza inaspettata. Watson si scosta appena, riapre gli occhi e ritrova quelli sfarfallanti del coinquilino già puntati nei suoi. Gli sorride.
«Ciao splendore» gli dice John a un pelo dalla sua bocca ancora così vicina. E forse ora l'altro penserà che ha perduto il senno, ma a John sembra quasi di avere di fronte una persona nuova. Eppure non è così, lo riconosce immediatamente, è sempre il solito Sherlock. Un uomo dalle mille facce: chimico, consulente investigativo, coinquilino, sposato col suo lavoro, sociopatico ad alta funzionalità, amico, padre e... amante? È indubbiamente lui, quel turchese lo riconoscerebbe tra un milione.
Cavolo quel colore, è come acqua di sorgente e John vuole abbeverarsi a quella fonte. Lo bacia, ancora. E si tengono stretti. Le dita avvolte alle spalle di Holmes, e le mani di quello ad avvicinare il viso dell'altro. Questa volta non si trattengono dall'assaggiarsi. È un incontro di lingue che si rincorrono vorticose e di sapori nuovi. Che sapore ha Sherlock? Non è simile a niente che abbia mai provato in precedenza. Sa di buono e di gioia.
Si staccano per riprendere fiato, ma anche quei pochi centimetri, ora che si sono trovati, sembrano troppi. Quella bocca è una droga, John ne vorrebbe ancora. Non deve neppure chiedere che Sherlock riprende a baciargli le labbra, le succhia e le morde, come fa anche l'altro di rimando. E con foga lo spinge all'indietro fino a farlo impattare contro il tavolo della cucina, noncurante del materiale scientifico che vi è sopra.
Il medico non può fare altro che pensare a che razza di sogno stia vivendo. È come aver messo in moto una vecchia auto ferma da troppo tempo, perché in realtà, non può più nasconderlo, lo ama da anni. Forse lo ama da sempre. E spera che Sherlock possa essere in grado di dedurlo, dai suoi occhi velati dall'emozione e dai battiti del cuore accelerati; dai baci con i quali gli sta riempiendo la mandibola, lasciando una scia umida fino ad arrivare finalmente al collo e dalle mani che gli percorrono la schiena in calde carezze.
Un trillo fastidioso li riporta sul pianeta terra. John ci mette un attimo di più a catalogare quel suono come lo squillo del cellulare di Sherlock.
«Non rispondere» mugola supplichevole. Vede con la coda dell'occhio l'uomo sfilare il cellulare dalla tasca del pantalone.
«Devo John» replica con voce piuttosto seria. Striscia il dito sul verde. «Cosa vuoi?» risponde caustico, allontanandosi dolorosamente di qualche passo. «Mycroft chi è stato ad avvisarti, Lestrade?»
Watson lo vede alzare un sopracciglio, in quell'azione tipica di quando ha un dubbio, ed effettivamente ne tira su uno anche lui. Si chiede cosa possa volere il fratello maggiore degli Holmes. Di certo, ironizzando, ha avuto un tempismo perfetto.
«Ti ringrazio per l'interesse, ma sto bene. Il tuo ispettore è troppo sentimentale, è solo un graffio superficiale.» Sherlock si rigira la destra avanti agli occhi.
John lo guarda strofinarsi il collo con fare imbarazzato. Dio, avverte proprio il bisogno fisico di tornare a torturarlo quel collo bellissimo, ora così esposto. È già stufo: l'altro non avrebbe dovuto proprio considerare il telefono in un momento come questo. Non ci pensa su nemmeno due volte e si affretta ad avvicinarsi all'uomo. Lo abbraccia e infila il naso in quell'incavo caldo, qualche riccio a solleticargli la fronte. Sherlock profuma di buono; associa quell'odore alla frutta candita e alle mandorle tostate.
L'investigatore, probabilmente stuzzicato dai respiri che Watson rilascia sulla sua pelle, si piega appena e non riesce a trattenere un singulto. «Non ho niente. Deve essere un'interferenza» si affretta a giustificare al fratello. Intanto cerca di spingere debolmente via l'uomo da sé, il quale ha affondato i denti appena sotto il bavero della camicia. «Io non squittisco!» risponde offeso a qualche insinuazione proveniente dall'altro capo del telefono. «Mycroft devo proprio lasciarti ora» interrompe brusco la telefonata.
John sogghigna. Non è nel suo intento far scoprire già tutto al Governo Inglese, ma far capire a Sherlock che non può essere messo in un angolo, in pausa, quello sì.
«Ti sei divertito John?» chiede il moro per niente arrabbiato. Anzi, la sua voce, ha quella stessa particolare nota che il dottore gli sente assumere quando accetta o risolve un caso, sciorinando la sua deduzione finale. E infatti Sherlock prende il sopravvento su di lui cominciando a pressarlo facendo leva col peso del proprio corpo. Si spostano, come stessero danzando, avvinghiati l'uno all'altro.
«Pare che-» prova a dire il consulente investigativo tra un bacio «-Evans abbia confessato...», e un passo «l'omicidio», e un altro bacio. «Smith conosceva il compagno e voleva dei soldi da lui.»
«Non m'interessa, l'abbiamo già risolto» gli dice John sbrigativo, chiudendogli definitivamente la bocca poggiandovi sopra la propria con trasporto.
Watson non sa quali siano le intenzioni dell'altro, forse si stanno dirigendo in camera da letto. Sente una stretta allo stomaco: sta facendo la cosa giusta? Certo che sì, lui lo ama. E non si importa nemmeno più di scendere a patti con la propria sessualità, con quella ci ha fatto i conti già anni prima. Ma non sarà forse che stanno correndo troppo?
«Lasciati andare Jawn. Ti ho aspettato fin troppo a lungo» gli confessa rauco all'orecchio per rassicurarlo.
Sarebbe banale definire Sherlock un genio per essere riuscito a dedurlo anche ora, che hanno la mente ben occupata e gli occhi chiusi; no, Sherlock Holmes è il compagno perfetto, l'uomo della sua vita. D'altronde è vero: l'attesa non ha fatto altro che aumentare il desiderio.
Un tonfo. Spalanca lo sguardo, avanti a sé Sherlock senza più aria nei polmoni. L'ha fatto impattare involontariamente di schiena contro la parete, accanto all'ingesso del corridoio. Si danno un istante per riprendere fiato. È solo un attimo, nel quale John valuta se salire in camera propria, o se proseguire diritto verso quella dell'altro, ma non sa come, si ritrova a cadere sul divano spinto giù dal coinquilino.
Si aggiustano tirandosi più su. Il biondo raggiunge con la testa il bracciolo. Sherlock porta le sue gambe a incorniciare quelle di John. Watson, pienamente consapevole della propria erezione ora sente distintamente anche quella dell'altro su di sé. Un brivido gli corre per tutta la colonna. Strattona Holmes per portarselo al viso, con la lingua lambisce le labbra gonfie di quello fino a entrare nella sua bocca e giocare con la lingua dell'altro. Comincia a sbottonargli la camicia che adesso gli è solo d'intralcio, vuole toccare tutta la sua pelle, baciare ogni anfratto di quel corpo.
Probabilmente raggiunto dallo stesso pensiero, anche Sherlock fa vagare frenetica la sua mano buona sul torace dell'uomo steso sotto di lui. Litiga con i bottoni del cardigan. John che invece ha già terminato il suo lavoro, corre in soccorso dell'altro. Perché diavolo si è vestito a quel modo, si domanda.
È solo quando il moro si alza, seduto su di lui per sfilarsi le maniche della camicia, che finalmente può bearsi di quel corpo perfetto. Chiazze rosee alla base del collo a intaccare quel pallore regale. E quanti altri segni gli avrebbe lasciato sulla pelle, il consulente investigativo non poteva neppure immaginarlo.
Anche John, facendo leva su un braccio alla volta si disfa delle sue maglie. Sherlock fa scorrere lo sguardo sul suo petto nudo, e lui non può nascondere una punta d'imbarazzo. Per cui si affretta a tirare di nuovo su di sé l'altro, pelle contro pelle.
Holmes muove il bacino in uno spasmo non del tutto volontario e questo innesca una scarica di puro piacere che annebbia la vista del dottore. John ne vuole di più. Afferra il culo dell'uomo e lo preme sul proprio ventre. Le due erezioni strette nella stoffa sfregano l'una sull'altra. Lo rifà ancora, e ancora un'altra volta. Sherlock si lascia sfuggire dei suoni gutturali d'approvazione. Un altro affondo. Le natiche di quello così strette nella morsa delle sue dita che potrebbero riportare dei segni permanenti per giorni, se non addirittura per settimane. Il cuore di John batte a una velocità assurda. Sente il sangue incendiargli le orecchie, le stesse che ha preso a torturare con i denti Sherlock.
Una vibrazione ritmica inizia a battere contro il suo pene gonfio nel pantalone. «Cazzo, il cellulare» si lascia sfuggire una volta capita l'origine di quel tremolio.
«Piacevole» sussurra languido Holmes al suo orecchio. Poi ve ne si allontana e punta i propri zaffiri negli occhi maggiormente scuri del biondo. Infila una mano nella tasca per recuperare il telefono, accarezzando col dorso delle dita, con fare innocente, il rigonfiamento attraverso la fodera interna.
«Non mi interessa. Non voglio rispondere» replica sicuro già pronto ad afferrare l'altro, seduto a cavalcioni su di lui, per le spalle.
«È il numero dell'ambulatorio.»
«Merda.» John sobbalza. Non è conscio di che giorno sia. Cerca di riacquistare un pizzico di lucidità: ricorda di aver avuto il turno di notte, poi è stato smontante, ha avuto il riposo, e oggi cosa gli sarebbe toccato? Alle sei sarebbe dovuto andare a lavoro. Afferra il telefonino dalle mani di Sherlock e legge sullo schermo 6:40pm prima di rispondere. «Pronto.»
«Dottor Watson, come sta?» la voce della segretaria preoccupata.
Oh, John sta divinamente, ma non può di certo dare questa risposta. «Signorina Gordon...» Guarda Sherlock stendersi teneramente sul suo torace. «Sto bene.»
«Qui abbiamo notato il suo ritardo e ci siamo preoccupati» spiega quella. «Ha avuto un contrattempo?»
«Si, decisamente sì. Un contrattempo» conferma. E a quelle parole Holmes alza lo sguardo su di lui e ride malizioso. Prende a dargli dei baci leggeri lungo lo sterno, mentre con la mano dal palmo aperto gli carezza il petto provocandogli del solletico con i suoi stessi peli biondi.
«Crede di venire, l'aspettiamo?» domanda ancora la ragazza.
John è distratto da Sherlock che ha individuato i suoi capezzoli e ha cominciato a frizionarli tra i polpastrelli. «Venire?» chiede soffocando a malapena un gemito. Venire, sì, a breve nei pantaloni, pensa. «Credo proprio di no. Mi dovrete segnare un giorno di ferie» dice frettoloso. Nel frattempo l'altro ha preso a respirargli a qualche centimetro dall'ombelico e a premere quelle sue labbra perfette proprio in quella zona lì in basso.
«Attenda un attimo allora che controllo i turni» fa quella dall'altro capo della cornetta.
«No!» sbuffa fin troppo sgarbato, ma deve riuscire ad attaccare prima di perdere completamente il senno. Tenta di rimediare «Signorina Gordon posso richiamarla io più tardi?» chiede speranzoso. Silenzio. «Diavolo» mormora a denti stretti. Probabilmente l'ha messo in attesa.
Sherlock si sta decisamente prendendo la sua vendetta sulla telefonata che prima ha ricevuto lui. John vede le sue dita lunghe avere la meglio sul bottone teso dei jeans e sulla zip della patta. Con un movimento altrettanto rapido gli tira giù i pantaloni fino alle ginocchia. Finalmente si sente un pochino meglio, senza la pressione eccessiva a comprimere la sua erezione.
Watson vorrebbe godere appieno di quegli attimi, con la mano libera cerca di far segno al moro di aspettare. «Sherlock» prova a chiamarlo. Ma quest'ultimo non sembra volerne sapere, anzi poggia il palmo stretto sul membro del dottore. I boxer come unico indumento a dividerli. Quel semplice tocco è in grado di mandare in estasi John.
Il medico registra la presenza di una voce femminile all'orecchio, ma non afferra neppure una singola parola. È più concentrato invece a fissare il volto compiaciuto di Holmes, ne sente il respiro caldo su di sé.
«Dottore? Le ho chiesto se allora ci vediamo domani a mezzogiorno» ripete la segretaria.
«Si, a domani» riesce a dire John acuto. Attacca e si sbarazza del cellulare.
Sherlock, gli sfila anche le mutande. Infondo l'ha aspettato. Watson si sente avvolgere dalla bocca umida e bollente di quello. D'impulso gli infila le mani tra i capelli e li stringe. Apre gli occhi preoccupato per un'eventuale reazione dell'amante, non vuole forzarlo di certo. Con sommo piacere lo ritrova con un sorriso emozionato in viso. Ricambia, prima che l'uomo torni a concentrarsi sul proprio membro pulsante.
Percepisce la sua lingua percorrere l'intera lunghezza dell'asta e poi accoglierlo nuovamente tra le labbra. John è ancora legato a quei ricci, li strizza e li scombina, e segue il movimento ritmico del capo che sale e che scende su di sé.
Holmes allontana una mano dalla coscia di quello sotto, alla quale era arpionata, per correre ad abbassarsi i pantaloni. Watson lo vede toccarsi per darsi un minimo di soddisfazione. Si sente un egoista ad aver pensato solo al proprio piacere. «Sherlock» lo chiama, ma quello sembra non sentire. «Amore» riprova.
Quei bottoni azzurri come il cielo di Londra in piena estate lo raggiungono. Quanto è ridicolmente romantico John, mai avrebbe pensato di chiamare in questo modo il coinquilino.
Sherlock gli sorride, si rialza e fa per dirigersi al suo collo. Lui lo blocca e si sporge a baciarlo sulle labbra. Gliele avvolge cercando il permesso per entrare, che l'altro gli concede velocemente. Il sapore di Sherlock mischiato al suo lo eccita ancora di più se possibile.
Il bacio si trasforma in qualcosa di scomposto in mezzo agli affanni e ai fianchi che cercano di avvicinare reciprocamente. Le loro lingue oramai danzano e si cercano e si ritrovano fuori dalle loro bocche. E gemono preda di quel continuo strofinio.
«Jawn» raschia forte con la gola il moro. «Jawn» ripete.
«Shh!» fa Watson. «Devi fare piano o ti sentirà anche la signora Hudson dal piano di sotto» gli dice in un dolce rimprovero.
«Oh, quella vecchia è sorda come una campana» gli risponde Sherlock da sopra una spalla, e ne ridono entrambi. E in questo frangente davvero non importa se dovessero essere sentiti da tutto il vicinato. È un momento talmente speciale che non potrebbe essere rovinato in alcun modo. «Ti voglio» continua Holmes affondandogli i denti nella carne.
John allora lo prende come prima, per i capelli, rivoltandogli la testa all'indietro e leccandolo sul collo esposto. Il sudore dell'uomo è un po' salato. «Sherlock» ansima. Stacca una mano dai ricci umidi e la porta sul fondoschiena di quello. Infila le dita nel suo fianco e gli si spinge contro dettando il ritmo di quel movimento. «Mio Dio, è ...stupendo» non trova le parole per esprimere le sensazioni fantastiche che sta provando.
«John, io‒» la voce rotta dagli ansiti.
Incitato John incalza ancora di più i movimenti. Le unghie di Sherlock piantate nei muscoli del suo braccio. Un piacere gli esplode dietro le palpebre chiuse, e lo invade fino la punta dei piedi. Vengono assieme. Sente anche l'altro pulsare contro il suo ventre.
Riapre gli occhi e trova l'altro contratto nello sforzo di reggersi. «Sherlock, vieni qui.» Ancora ha l'affanno. Quello si lascia andare sul suo torace e lui lo avvolge in un abbraccio. Sente il cuore martellargli nel petto talmente forte da riverberargli nelle orecchie. È felice come non lo è da anni.
I due si scambiano qualche bacio tenero, ma sempre con lo stesso entusiasmo.
«Ti amo» gli confessa Holmes che ha chiuso gli occhi poggiando il capo tra il petto e la sua spalla. I ricci incollati per il sudore alla fronte.
«Anche io ti amo Sherlock» gli sussurra, ma non è sicuro se questi l'abbia sentito prima di perdersi in un sonno tranquillo.
Il fresco della sera accompagna John nella sua passeggiata. Il cielo sopra la sua testa è sgombro da nuvole e, nonostante l'inquinamento luminoso, si riescono a distinguere le prime stelle. Della luna però non v'è tracia. Ma all'uomo non importa, la volta celeste gli pare perfetta anche così, nella sua incompletezza.
Sarebbe facile dare il merito del buon umore all'ottimo sesso che ha praticato, tuttavia non è così scontato. Nella vita ne ha passate tante, non si è mai autodefinito quello che si dice un uomo fortunato. E tutte le cose negative che gli sono capitate, Watson è sicuro di essersele meritate, dalla prima all'ultima. Un pegno per tutti gli errori commessi, eppure, malgrado le sue imperfezioni, è riuscito ugualmente a fare breccia nel cuore di una persona. Peraltro non una qualunque, no, la creatura più bella e straordinaria che l'intero pianeta possa ospitare, sconvolgente.
Tutto il suo universo gli sembra capovolto, sotto sopra, ma in maniera positiva. Proprio per ragionare e trovare un nuovo baricentro in grado di farlo sentire in equilibrio, è uscito a prendere aria. Oramai ha fatto il giro dell'isolato tre volte, e dopo qualche acquisto fondamentale è pronto a rincasare.
Mentre sale le scale dell'appartamento al 221B di Baker Street riconosce una risatina vispa. E se aveva pensato di non poter essere più felice di così si sbagliava.
«Rosie, papà è a casa» si annuncia John. Spalanca con un piede la porta d'ingresso, dato che ha le mani occupate.
«Papi!» La bimba saltella nella sua direzione con i bei capelli che le ondeggiano come un mantello sulle spalle. «Hai visto che Sherlock si è fatto male? Gli ho detto che può mettersi un uncino se se ne cade la mano» espone la piccola.
«Oh sono certo che la sua mano starà benone molto presto» spiega John divertito. «Ma i pirati non avevano le gambe di legno?»
«Ne esistono di tante specie diverse» precisa Holmes. La sua voce deve provenire dalla cucina.
«Anche quelli con la barba arancione come la tua» gli spiega la figlia che si ritrae dall'abbraccio pungente del padre.
«Prometto che domani mattina mi raderò.» Espira afflitto il dottore. «Adesso che ne dici di dare questo a Sherlock?» mostra il regalo tenuto segreto dietro la schiena fino a quel momento.
Gli occhietti che si assottigliano, spinti all'insù da un sorriso enorme, della stessa tonalità dei suoi ma più chiari; per uno strano scherzo della genetica sono più simili a quelli dell'investigatore che a quelli della madre. «Finalmente» lo rimprovera «pensavo che non ti decidevi più!» Punta le braccia sui fianchi.
«Cosa dovreste darmi?» Sherlock spunta fuori curioso.
Rosie si avvicina a quello porgendogli un fiore dallo stelo lungo nel suo incarto.
«Un pensiero da parte nostra» risponde John trattenendo il fiato, in attesa.
«Passiflora. Scelta particolare, John» commenta Holmes sorridendo sornione. «Grazie.» Il biondo lo vede assumere un'espressione trasognata. Cavolo, pensa Watson, è bellissimo.
«Oh, e ho comprato qualcosa per cena» dice ricordandosi delle buste che ha ancora in mano.
«Menomale: stavo morendo di fame dopo che abbiamo... che io...» le guance del moro si fanno subito rosse per l'imbarazzo. «Insomma hai capito, no!» taglia corto per togliersi dall'impiccio.
«Anche a me è venuta una certa fame» asserisce il dottore. «Ma in frigo abbiamo solo pollici umani. È indecente.» Si produce in una smorfia disgustata. Intanto tira fuori gli scatoli col cibo cinese che ha portato a casa.
«Posso assaggiare anche io?» chiede la piccola Rosie che intanto ha preso posto sul divano. Avanti a lei, sul tavolino basso, John riconosce la scocca del proprio portatile aperto.
«Questa principessa voleva vedere quel film che sta sul tuo computer, per cui ho dovuto accenderlo» si affretta a dargli una spiegazione Sherlock, che deve aver notato la sua espressione crucciata. «Quante volte ti ho detto di scegliere password più complicate, è stato fin troppo semplice indovinarla...» si vanta il consulente investigativo senza convincere del tutto Watson. «Non vanno bene i nomi delle persone a cui tieni.» L'uomo prende posto accanto alla bambina.
John si avvicina e gli passa una scatola con dei ravioli al vapore. «Chi ti dice che William sia una persona che io non odi?» si sporge fino a far combaciare la sua fronte con quella dell'altro, seduto. Si umetta le labbra.
«Me l'hai detto neppure due ore fa che mi ami, John» dice sicuro Sherlock con la sua voce dannatamente sexy.
Rosie seduta ad aspettare, come se per lei fosse tutto nella norma. I bambini certe volto sono in grado di stupirci, rivelando d'essere anni luce più avanti di noi.
John non può trattenersi dal sorridere sghembo e dare a Sherlock un bacio a fior di labbra. Ha proprio ragione, e se non ci fosse la piccola, in quel momento rifarebbero l'amore assieme, come due animali travolti dalla passione. Ma il dottore sa controllarsi perfettamente, con la consapevolezza di avere tanto tempo avanti.
«Allora» comincia affiancandosi anche lui a Rosamund. «Facciamo partire questo film?» La bimba fa di sì sorridendo e il padre si sporge a schiacciare play sulla tastiera.
Sherlock va a toccarlo su una spalla e l'uomo si volta. Capisce immediatamente che sta cercando un contatto, così allunga un braccio ad avvolgere a sua volta le spalle di quello. Rosie al centro e le immagini di una specie di cane alieno che vanno sullo schermo.
John, sua figlia e il suo migliore amico, vicini, a formare finalmente la famiglia che tanto desiderava costruire.
"You'll never be the same baby once I'm done with you.
Oh you with me baby making love like gorillas."
Bruno Mars _ Gorilla.
https://youtu.be/AHDtXqjgEj4
- Passiflora: dal latino "fiore della passione". Una delle numerose specie di questa pianta erbacea genera il "frutto della passione", che dà il titolo a questo capitolo
- - Il nome completo di Sherlock è "William Sherlock Scott Holmes".
- - - Il "cane alieno" è Stitch, del film d'animazione "Lilo & Stitch", nel quale vi è la famosa frase dalla quale è tratto il titolo dell'intera storia: "Ohana significa famiglia. Famiglia significa che nessuno viene abbandonato. O dimenticato".
Disclaimer
I personaggi di cui sopra non mi appartengono; questa storia è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
Note
Siamo giunti al termine di quest'avventura, mia e dei nostri amati protagonisti, John e Sherlock.
Spero vi sia piaciuto anche questo capitolo finale. Devo confessare che non ero convinta di voler scrivere una lemon, seppur sia molto soft, ma ehi, le regole del gioco erano chiare! Poi è bello anche riuscire a superare certi limiti, come mi ha insegnato questo particolare Holmes di cui ho scritto.
Che poi parliamone: "come i gorilla"?!? Ogni volta che ascolto il brano rido tantissimo! Non ho nulla contro la canzone, sia chiaro, discuto solo la scelta di Bruno Mars che tra tutte le similitudini ha optato proprio per questa.
Ringrazio di cuore tutti voi che avete letto e soprattutto chi vorrà spendere un attimo del suo tempo per lasciarmi un commento.
Alla prossima,
K.
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