Capitolo 6 (Pt. 1)

Inserendo la chiave nella toppa non incontrai alcuna resistenza.

Simone non doveva essere in casa.

Era solito, infatti, dimenticarla appesa, così che io fossi, di conseguenza, costretta a suonare ripetutamente al campanello. Un vizio che non riusciva a togliersi ma che non costituiva di per sé nulla di grave, a parte quando si chiudeva la porta alle spalle ed entrambi eravamo costretti a chiamare il fabbro per rientrare nell'appartamento. 

Per dire, ci eravamo trasferiti da due mesi e la cosa era già accaduta almeno tre o quattro volte. Ma quel pomeriggio no, una volta spalancata la porta, compresi all'istante che mi sarei dovuta ricredere. 

"Menomale" pensai, mentre richiudevo la porta alle mie spalle.

Dalla cucina proveniva l'odore e la consistenza di carne in ebollizione misto al rumore di stoviglie e acqua corrente. 

Una luce, sebbene fievole, illuminava lo scorcio anteriore dell'ingresso permettendomi di intravedere la tavola apparecchiata e diverse porzioni di frutta sullo scaffale vicino alla finestra.

Non saprei descrivere l'espressione che feci una volta varcata la soglia della cucina. 

E, tuttavia, ricordo molto bene la sensazione di smarrimento che provai inizialmente, a cui era seguito un impagabile senso di sollievo e sì,pure un vago sentore di meraviglia.

Simone era in piedi di fronte ai fornelli, una presina in mano e un mestolo nell'altra.

"Bentornata" mi aveva detto, solo questo, non un "dove fossi stata" e non un "perché avessi tardato tanto a tornare a casa" . 

Nessuna domanda, nulla.

Non c'erano, dopo tutto, tante spiegazioni da dare. 

Ero lì, in quel preciso istante, e questo doveva bastare. Avevo scelto, avevo scelto di credere che anche se non fossi stata poi la persona che credevo, se, agli effetti, mi ero reputata migliore di quanto fossi in realtà, anche solo metaforicamente parlando, ciò che importava davvero era altro, era la destinazione finale. Ed io, ero certa di aver fatto la scelta giusta, così come Simone doveva aver fatto nei miei confronti.

Bisognava fidarsi l'uno dell'altro, correggetemi se sbaglio ma non è così che funziona per tutte le coppie?

Quell'uomo, l'uomo del mio incontro, aveva rischiarato la mia mente dai dubbi che più l'attanagliavano, offuscandola. Chissà poi come, in che preciso momento, con quali delle molte parole che ancora frullavano allegre nella mia testa. 

Era accaduto e glie ne ero semplicemente grata.

Sorrisi, anzi scoppiai letteralmente a ridere. 

Simone mi guardava incerto, mentre sistemava la pentola sul fuoco. Mi chiese come mai stessi ridendo e se fossi contenta che, per una volta, s'era deciso a cucinare qualcosa, così che si potesse mangiare decentemente perché: "tu non sai proprio cucinare, tesoro". 

Me lo diceva col sorriso, un po' per prendermi in giro e un po' perché dovevo dargli ragione. 

Agli effetti era la verità e dalla verità è impossibile fuggire.

"Non sai che incontro ho fatto oggi, un incontro molto strano. Ridevo perché prima ero arrabbiata e cercavo di capire cose di cui, in fondo, non mi importa niente. Ci ho dato troppa importanza. Ora so che, beh, possono anche andare al diavolo. Sono felice, in questa nostra casa, con te".

Allora lui mi baciò, come sempre, come se non fosse passato nemmeno un giorno, come se avesse capito tutto ma "avesse deciso di spargere la benzina su quel fuoco, anziché correre a spegnerlo".

In fondo ognuno ha le sue paure e non per questo bisogna concedere loro, volta per volta, la possibilità di prender corpo ad ogni occasione favorevole. Ogni tanto, sì, c'è bisogno che s'affievoliscano come la fiamma d'una candela che, senza ossigeno, si consuma.

Esclusivamente, di rado, c'è bisogno di accettare anche ciò che non ci è concesso di sapere o si finisce per impazzire. La strada è breve, come si suol dire.

Non vi convince?

No, avete ragione. Non ho detto la verità, non la dirò mai per intero o, più semplicemente non qui, qualcosa stona qua sotto, fra il freddo, nelle dita rigonfie di dolore, per la loro infiammazione, su su, attraverso queste righe, le bugie però nascondono piccole verità, le loro verità che dovreste aver colto ma no, non ancora. Beatrice crede di averla accolta la sua vera verità, che ridere quella ragazza. Ogni cosa al proprio tempo giusto? O era tempio? Un tempio per ogni cosa? Quante sciocchezze.

Ah, lasciamo perdere e torniamo ai nostri discorsi, all'ombra che ne è derivata una volta sopraggiunta la notte, a quando tutto si spegne per non rischiare di sbagliare.

Quella notte fummo insieme e ci svegliammo insieme. Sentivo le gambe indolenzite e un leggero formicolio allo stomaco a cagione del troppo cibo, oppure per quel ritrovato senso di sazietà emotiva?

 Avevamo cenato, riso, ascoltato la nostra canzone, le nostre canzoni e bla bla bla mille altre cose smielense che fanno le coppiette, sì. Mi avete sentito, cipicipi, è esatto? Solite stronzate da ragazzini. Mi ritrovai a chiedermi che cosa mi fosse preso, come fossi giunta a dubitare della mia capacità di raziocinio a tal punto da rischiare di far saltare tutto, di rovinare ogni cosa, compresa me stessa.

E se ve lo state chiedendo, sì, siamo stati a letto, luminari della notte, come qualsiasi coppia, fittizia e semi-convinta, solamente non vengo a raccontarlo a voi. No, saranno affari miei? O, d'altro canto qualche scenetta con la sua squallida cornice non ci dispiacerebbe? Avete ragione, avete ragione, il pepe, dopo tutto ce lo aspettiamo tutti quanti. Un po' di pazienza dunque o avete tutta questa fretta? 

Che dico? Ogni tanto la stanchezza, la rabbia, sale in superficie. Finisce per distorcere il mio racconto, sia mai. Per una volta che intendo raccontare le cose non alla bel l'è meglio ma con arte, con sostanza, ma sì ricominciamo da capo. 

Proviamoci almeno! Questa volta, magari, senza girovagare attorno ad uno stesso punto morto.

Quella notte rimanemmo svegli fino a tardi, a fissarci, con la testa rivolta l'uno verso l'altra, fronte contro fronte. Mi diceva: "Forse se battiamo forte la testa, la mia contro la tua e viceversa, passerà il mal di testa e la stanchezza e tutto ciò che ci allontana."

Lo guardavo, senza capire, consolandolo per un dolore che avevo visto fiorire leggero ma a cui non avevo partecipato, neppure come comparsa. Non voleva dire nulla, non voleva ammettere che se fossi stata bene, lui avrebbe potuto fare altrettanto. Quanto era accaduto e quanto stava accadendo aveva lasciato delle tracce che, sebbene fievoli, stavano intorpidendo il rapporto. 

Ma desideravo che quello, proprio quello fosse il primo passo verso la risoluzione, la sconfitta e l'accettazione.

Gli tenni compagnia a lungo ringraziandolo e dicendogli che, per quanto valeva, non doveva preoccuparsi, non ero mai stata così positiva, positiva a tal punto che sapevo si sarebbe risolto tutto.

Il portinaio aveva portato con sé, nel pomeriggio, l'imbianchino e l'idraulico, avevano sistemato alcune cose e quello fu il punto di partenza numero uno.Per fortuna Simone era rimasto in casa e li aveva accolti con la solita cortesia di cui lui solo era capace. E, inoltre, accadde un'ultima cosa bella quella sera, la numero due. Sul piumino Simone aveva poggiato un regalo, sì una scatola enorme ma all'apparenza molto leggera. Una volta aperta, riconobbi subito il suo contenuto e cacciai un urlo clamoroso.

"Lo sapevo che avresti urlato, vedi ero preparato."

Dichiarò, con le mani a coprire le orecchie.

Il contenitore, il contenitore con i foglietti. Era lì, era sempre stata lì. Simone lo aveva trovato mettendo in ordine e spostando alcune cose per fare spazio all'imbianchino così che potesse cancellare dal muro quella macchia, la famosa macchia, che ne frattempo aveva proliferato lungo le due pareti verticali.

"Vedi, non l'aveva presa nessuno. Abbiamo solo guardato male. Sei contenta?"

Sì lo ero, o meglio, ero serena. Molti dei miei interrogativi si erano sciolti. D'ora in avanti, ero certa, sarebbe filato tutto liscio.

Come credi, ragazzina.

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