Capitolo 4 (Pt. 3)

S'incontravano per caso alle medesime feste, lui le sorrideva e la invitava a ballare. 

Lei scuoteva la testa e ringraziava, poi se ne stava in disparte, lontana dalla pista, in attesa di trovare il coraggio e infine la sicurezza per lanciarsi. 

Ma non la trovava mai, le risultava davvero difficile buttarsi in quel guazzabuglio infame di movenze, fra le risate, tante, nella più totale confusione alcolica.

Ciò nonostante non era neppure quello a frenarla, non ci voleva nulla a muovere qualche passo verso il confine e a farsi trascinare, pian piano, dalla marea. 

Era quello sguardo, lo sguardo di Matteo, fisso su di lei, a metterle addosso una sorta di inquietudine. Non che la fissasse tutto il tempo, no, solo a volte, la cercava nel posto in cui l'aveva vista per la prima volta, ritrovandola, ogni singola volta, lì, dove l'aveva lasciata. 

Ma d'altronde dove avrebbe potuto andare? 

Solo una volta, quando Matteo si voltò a cercarla, lei sembrò essere svanita nel nulla e fu allora che tutto accadde per la primissima volta. 

Era la notte del 31 Ottobre quando la città si ritrovò, sin dal primo mattino, avvolta da uno spesso quanto inconsistente strato di nebbia. 

Scendeva giù, lungo le case, accarezzandone il profilo, soffocando la luce dei lampioni, fra il cemento, in una sorta di apparente e vischiosa immobilità. 

Non che vi fosse qualcosa di strano, era abbastanza comune per una città come Torino, soprattutto nei quartieri appena poco distanti dal fiume Po, osservare uno scenario simile; 

eppure pareva fatto apposta, costruito al dettaglio per ricordare alle migliaia di studenti, riversati in strada, che la città godeva ancora di una certa indipendenza e di un bizzarro senso dell'umorismo, nel voler ricordare sempre e comunque lo sfondo di un qualche racconto in stile Edgar Allan Poe.

Erano le undici e mezzo e Beatrice, in compagnia di Vanessa, si stava dirigendo verso una discoteca immersa nel verde del Parco del Valentino. Erano in largo anticipo ma speravano di incontrare alcuni amici appena poco distante dall'ingresso del locale, così si erano incamminate, senza alcuna fretta, lungo le rotaie del tram 16, accostando, come loro solito, il letto del fiume.

Una volta giunte a pochi metri dallo Chalet, tuttavia, s'accorsero presto che qualcosa non quadrava. 

Le sbarre sulle finestre e un cartello appeso di tutta fretta, riportava il divieto di avvicinarsi alla zona a causa di un corto circuito che s'era innestato qualche ora prima durante il sound check. 

La serata era stata, per forza di cose, annullata. 

Così, dopo qualche ricerca online, decisero di andare a dare un'occhiata in giro, alla ricerca di un altro locale che avesse in programma una serata a tema molto simile a quella a cui avevano deciso di partecipare. 

Non ci volle molto a trovare un locale che corrispondesse ai requisiti e dopo qualche minuto di coda fecero il loro ingresso in una sala mal illuminata, a cui era possibile accedere solamente da una rampa di scale in metallo oltrepassata una delle tante porte di servizio. 

L'atmosfera era talmente pesante  che a Beatrice girò la testa, circondata da pareti che, per la loro conformazione e per il loro colore, parevano trasudare olio di motore e catramato. 

Un polmone, ecco cos'era secondo Vanessa, "un meraviglioso polmone notturno, un polmone pronto a esplodere da un momento all'altro."

Ma a differenza di Vanessa che s'era già buttata nella mischia, incitandola a seguirla, Beatrice era rimasta ferma, appoggiata alla ringhiera di metallo della scala, pietrificata, cercando di inspirare tutta l'aria possibile e facendosi così piccola, da non venir neppure sfiorata dallo sgomitare della folla. 

No, non sarebbe durata molto in quel posto, le opzioni erano solo due, lanciarsi a sua volta o andarsene.

Uscire e aspettare, seduta, ad un tavolino o anche sul marciapiede, se ci fosse stato posto. Così dopo aver riflettuto a lungo, una volta persa di vista anche Vanessa, prese a risalire al contrario la scalinata, verso la sala principale.

Fuori faceva relativamente freddo e Beatrice, valutando l'infattibilità del proprio piano, prese a guardarsi intorno, alla ricerca di un posto relativamente tranquillo e riparato nel quale potersi rifugiare. 

Ma ecco che, mentre e ne stava impalata rivolgendolo sguardo altrove, qualcuno fece capolino dinnanzi a lei, richiamando immediatamente la sua attenzione.

Indossava una maschera bianca, scavata nella plastica dura dalla quale erano visibili solamente un paio di occhi molto azzurri. 

Sulle spalle, portava una mantella all'apparenza molto pesante che ricadeva a terra, seguendo il contorto del corpo fin quasi a sfiorare la strada.

Era rossa, rossa e bianca, una specie di sudario sgualcito. Dalle maniche spuntavano un paio di guanti, anch'essi bianchi, in una sorta di pretenziosa continuità.

 Altro, non notò in un primo momento, raggelata solamente da quel suo sguardo e da quella sua eterea profondità, una profondità che raramente Beatrice aveva incontrato. 

Lo sconosciuto l'aveva chiamata per nome, di questo era certa e tuttavia non si riusciva a risolversi nell'associare l'abito e la sensazione al suo legittimo possessore. 

Ma poi, quando udì, nuovamente, il suono della sua voce, il dubbio si diradò, svelto, lasciando il posto ad una inaspettata e piana amarezza. 

Il cuore prese a graffiargli nel petto come non mai, in preda alla vergogna, all'eccitazione e pure allo sgomento.

" Mi chiedevo che cosa ci facessi anche tu qui" 

Disse subitamente, non distogliendo lo sguardo neppure per un istante. 

La guardava fissa, con ostinata curiosità e sorrideva, Beatrice era pronta a scommettere che stesse sorridendo, sì, sotto quella maschera tanto oscena quanto affascinante. 

Ma dopo tutto Matteo era così, straordinariamente affascinante tanto quanto, straordinariamente semplicista.

Quanto accadde nelle ore seguenti fu motivo, per Beatrice, di molti pensieri ed elucubrazioni. Per quanto tentasse di riavvolgere le fila di quello strano incontro, e di quanto avrebbe poi prodotto, non riusciva proprio a capacitarsi del perché e del per come lei fosse stata così sconsideratamente avventata.

Inizialmente Matteo l'aveva accompagnata in un pub poco distante e le aveva offerto un tè caldo. Dal momento che nessuno dei due era solito consumare alcolici, quella si era mostrata la soluzione migliore.

Presero a parlare di molte cose, si scambiarono persino il numero di cellulare e dopo appena una mezz'ora lui le prese la mano, accarezzandone il contorno mentre l'ascoltava parlare.

Annuiva ma non pareva particolarmente interessato.

In quel momento, con molta probabilità, pensava ad altro e lei lo sapeva o meglio, qualcosa aveva intuito, e ciò nonostante non riusciva a smettere di parlare. 

Ogni centimetro di pelle era percorso da un lungo ed inebriante brivido caldo. Una sensazione particolarmente scomoda e imbarazzante eppure piacevole.

Lui la guardava fisso senza mai distogliere lo sguardo. Ed era evidente che qualcosa stava cambiando, prendendo una piega totalmente inaspettata.

***

!Vorresti fare l'amore con me?"

Beatrice, che nel frattempo aveva continuato a parlare più o meno in scioltezza, tentando di dimostrare il più possibile, e con un tantino di disperazione, un certo livello di intelligenza e sobrietà, per poco non si strozzò con la sua stessa saliva. 

"Come scusa?"

Pensò, che era la seconda volta che tentava di ucciderla.

Che era la seconda volta che cercava di spezzarle il cuore.

"Cos'hai detto?"

***

Guardava fuori dal finestrino della macchina quando sentì il motore spegnersi e, nel silenzio più totale dell'abitacolo, pronunciare alcune semplici parole. 

Non una richiesta, erano un'affermazione. Ci rifletté solo in seguito.

"Beatrice, vuoi fare l'amore con me? Ammettilo, è tutta la sera che ci stai pensando, che aspetti che te lo chieda. Lo sappiamo entrambi che lo vuoi, che lo stai aspettando. Chiedimelo allora."

I loro sguardi si incrociarono appena, giusto il tempo necessario perché Beatrice potesse scuotere la testa, balbettare qualcosa e infine ammutolirsi definitivamente.

Non ricordava altro di quella sera se non il tragitto dalla macchina all'appartamento, consumato nel silenzio più assoluto e le sue mani, quelle mani che l'avevano spogliata e prima ancora, che ne avevano disegnato la forma, precisandone dettagliatamente le misure.

Ricordava anche il sapore della sua pelle, delicato, quasi insipido, e sulla nuca le sue mani che si scioglievano senza incontrare ostacoli, dalla radice fin oltre la punta.

Tutto di Matteo era freddo, la pelle chiarissima fusa in un tenue abbraccio, la dimensione del corpo, l'intonazione della voce ,perfino e soprattutto il suo desiderio d'amore. 

Non c'era stata la passione che Beatrice si aspettava, o meglio, che si sarebbe aspettata da un ragazzo come Matteo. 

Pensava, nella sua ingenuità,che si sarebbe sciolto, aperto, che avrebbe tenuto fede a quell'arroganza e a quella determinazione che l'aveva spinta e corrotta nell'accettare il suo inderogabile invito.

E invece no, Matteo non era altro che quello.

Si era aspettatala profondità della tela, lo spessore del colore, il corpo della rappresentazione ma, suo malgrado, aveva ritrovato in quel ragazzo,che tanto le piaceva, solo un segno, un altro segno, differente dal suo, ma nella stessa misura, ugualmente mediocre.

Non era all'altezza di quanto s'era vantato d'essere? 

Forse, Beatrice lo pensò solo per un istante.

La verità era che lui si mostrava esattamente com'era, era il modo in cui le altre e in particolare Beatrice l'aveva guardato, a renderlo migliore o forse semplicemente "qualcos'altro".

Capitela, è un errore comunissimo, così banale che se ci riflettiamo bene, diventa pressoché impossibile evitarlo. 

Era lo stesso discorso della tela, ciò che Vanessa tentava di spiegare e non spiegare a Beatrice, senza che questa si risolvesse a beneficiarne.

Vi domanderete, allora, dove sta la differenza fra Francesco e Matteo? 

Dove sta il punto di incontro, poi? E' così semplice che spiegarlo pare superficiale ma è bene che si sappia, nero su bianco, qui o mai più, Francesco non aveva nulla a che fare con Matteo né Matteo con Francesco. 

All'età di sette anni Beatrice pensò d'essere incappata nel vero amore ma venne rifiutata.

Si sa i bambini si affidano a criteri illogici di scelta sebbene particolarmente rigorosi. 

E vi soffrì, vi soffrì molto ma nonostante ciò proseguì nella reiterazione dell'errore, di bambino in ragazzino, di ragazzino in ragazzino. 

Imparò e commise, alla stessa identica maniera, o pressappoco alla stessa identica maniera, errore ed errore, passando dall'uno all'altro. 

Così venne la primavera e l'estate e dall'estate all'inverno e con l'inverno arrivò, allo scoccare del ventunesimo anno d'età, Matteo. Se prima la cagione del rifiuto era stata una, con Matteo non avvenne. Il processo fu, quindi, pressoché inverso. 

Beatrice fu accolta, nel caldo del proprio letto, proprio per ragioni diametralmente opposte.

E non vi è dubbio che, a pensarci bene, ne rimase totalmente assorbita, fin anche sconvolta. Dal momento che nessuno, non uno, aveva osato tanto, in precedenza, dicendole che sì, era bella, e che non doveva vergognarsene.

Matteo prese e portò con sé quanto ancora era rimasto illeso, bellezza e povertà assieme, con un colpo solamente. Aveva desiderato, in lei, e aveva ottenuto poi, il corpo e nulla più. 

Beatrice così facendo, venne, in ultima istanza, tradita ancora. Perché la similitudine fra l'uno e l'altro, fra Matteo e Francesco e fra Francesco e Matteo era, dunque, solo una, una solamente, ovvero l'aver scelto, prima e dopo e durante, al di là di tutto, un'altra donna.

Perché sì, la storia fra Beatrice e Matteo si concluse così. Lei desiderava il suo tempo, lui desiderava esclusivamente impiegarlo. 

E il fatto che Beatrice avesse acconsentito allo scambio, anche quello venne dettato esclusivamente dal caso. 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top