Capitolo 4 (Pt. 2)
Molto diverso fu l'incontro fra Beatrice e Matteo.
La prima volta che Beatrice lo vide, per poco non cadde a faccia a terra urtando nei suoi stessi piedi. Questo mentre tentava di mantenersi in equilibrio su d'una sedia improvvisata.
Era una sera di fine Luglio e all'Imbarchino c'erano talmente tante persone che non era possibile distinguere il confine fra la pista e il fiume. Neanche dall'alto, in quell'imprecisato formicaio di musiche e pelle, era possibile riconoscersi, e distinguere un gruppo da un altro, giacché ogni viso, nella sua improbabile goliardia estiva, s'era fuso in un unicum di fumo e luce giallastra.
Beatrice se ne stava appollaiata alla ringhiera, in disparte, osservava dall'alto quanto rimaneva di Vanessa e Tommaso, allora il suo fidanzato, mentre nella foga del ballo rovesciavano a terra enormi quantità di alcool. Il tutto accompagnato da sonore risate.
La sua attenzione, tuttavia, era stata colta dalla superficie bruna del fiume, sfiorato a tratti da qualche luce di passaggio. Il vento, o meglio, una leggera brezza dalla consistenza calda ma vischiosa le aveva appiccicato la maglietta alla pelle. Sì, lo ricordava bene.
Tutto, in quel momento le ricordò Vincent Van Gogh.
Il Vincent della'Notte Stellata', il Vincent al quale avrebbe rivolto molte domande e sul quale aveva passato fin troppe ore in contemplazione dell'uno o dell'altro quadro.
Vanessa, che al tempo già s'interessava d'arte ma nelle forme più disparate e - come lei stessa era solita precisare: 'volutamente antinomiche' - l'aveva portata alla mostra più d'una volta; facendola rimanere ferma e immobile per ore, rigorosamente in silenzio si capisce, nella contemplazione di quadri 70x90.
Esclamava poi, quando Beatrice meno se lo aspettava:
"Vedi, non è tanto ciò che ha dipinto, o ciò che è riuscito a dipingere, è ciò che ha scelto di dipingere che è significativo e quando resto, qua, a fissare il suo autoritratto penso che tutto ha scelto nella vita, e nell'arte, tranne, solo in fine, se stesso. Ma posso capirlo."
Beatrice, perplessa, le chiedeva spiegazioni. La pungolava, per giunta, quando si mostrasse necessario, ma Vanessa aggiungeva solo che non si poteva spiegare, era una sensazione.
Era vera quanto loro due lì, quanto quell'autoritratto, il preferito di Vanessa fra tutti i quadri di Van Gogh.
Non ci potevano essere altre spiegazioni. Dopo tutto, ognuno vede ciò che vuole vedere, vede ciò che sente. Anche se è giusto solo in parte.
Beatrice ripercorreva nella propria mente quei momenti, assaporandoli, mentre le gambe a ciondoloni sfioravano il confine fra la mente e il muro di quella realtà dalla quale si sentiva a mala pena sfiorata.
Era invidiosa di Vanessa.
Una sorta di invidia, parliamoci chiaro, che sfocia più che altro in ammirazione e fascino e che, paradossalmente, di rado, può anche tramutarsi in fastidio, in qualcosa di più importante.
Perché?
Avevano entrambe ventun anni, studiavano presso l'Università degli Studi di Torino ed erano libere, una sorta di libertà appena abbozzata, come solamente quella d'un quadro può far sfiorire, cristallizzare.
La vita aveva sorriso ad entrambe, anche se si erano ritrovate a percorrere strade differenti.
Beatrice aveva ormai relegato nel profondo la vergogna e l'amarezza dei propri ricordi infantili, di Francesco e di molti altri bambini di cui si era, oltremodo, ugualmente innamorata.
E dico 'ugualmente'perché l'esito e pure lo sviluppo non furono meno disastrosi dei precedenti, semplicemente, forse, un poco più coloriti. E aveva ,senza quasi rendersene neppure conto, messo da parte le proprie aspirazioni in favore di altre, più complesse e pure, in misura maggiore, consistenti.
Aveva intrapreso gli studi con zelo e dedizione, quasi spasmodica, gettandosi esclusivamente su quanto, secondo l'opinione di altri, erano le sue attitudini scolastiche e lavorative.
Non sapeva suonare alcuno strumento, era libera da vizi o inferenze e per quanto si impegnasse nel mostrarsi simpatica e in un certo qual modo competente, risultava scarna e povera di bellezza,come era, dopo tutto, sempre stata, assorbita in montagne e montagne di informazioni e tentativi che l'avevano resa anche arida nei propri sogni da ragazzina.
Vanessa no, la sua migliore amica era fatta di tutt'altra pasta, spensierata, determinata e irriverente.
A volte, fin troppo volgare, in quella maniera che solo chi sa di aver ragione e di poter mostrarsi, al di là del proprio velo d'ignoranza, sa fare.
Dura, irreprensibile, meravigliosamente sconvolgente.
Non che Beatrice fosse meno intelligente o meno dotata, ma Vanessa, Vanessa era una ribelle.
Lo si notava solo guardandola, in quegli occhi scuri, profondi e sicuri, c'era l'ombra del talento, quello distingueva Vanessa da Beatrice.
L'una era la forma e la sostanza, la profondità del colore e la vitalità della rappresentazione, l'altra era semplicemente la carta, il segno ruvido sulla tela, il bordo che la separava il dipinto dal muro.
Per questo Beatrice guardava, osservava ma non vedeva e, nella sua parziale cecità,rimaneva dubbiosa, in disparte, cercando nella superficie del fiume, sempre e solo sulla superficie, ciò che nessuno avrebbe ammirato.
Tentava di ritrovare se stessa. E mentre se ne stava così, con quello sguardo vitreo e pacato di chi non osa divertirsi, poiché non sa nemmeno da dove iniziare, ecco, proprio allora, destandosi da quel suo lungo sogno che notò un ragazzo, biondo e molto alto, mentre le porgeva la giacchetta che le era, evidentemente, scivolata in precedenza a terra.
Venne folgorata all'istante e se non fosse stata per la prontezza di riflessi di lui, probabilmente, si sarebbe ritrovata a faccia in già sulla pista fra gli sguardi perplessi e divertiti di molti.
Quel ragazzo, dallo sguardo glaciale e stranamente mite non si era messo a ridere ma le aveva sorriso, tenendola stretta alla ringhiera, come Francesco aveva fatto, tanto tempo prima, quando l'aveva scoperta nuda, nel gesto di regalarsi, con quel poco d'amore che era in grado di provare.
Lo rivide e, per sua sorpresa, non le venne da piangere.
Sorrise, sorrise come avrebbe voluto fare anche quella volta, la volta in cui l'aveva tradita, la volta in cui era scivolata in se stessa, il momento, solo quello, in cui si era volontariamente persa.
Già.
Fu altra cosa la storia fra Beatrice e Matteo, da quella sera. Fu tutto ciò che lei non si sarebbe aspettata, nel bene e pure nel male.
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